MEDICINA DEL LAVORO

MODIFICATO IL TU 81/08 SUGLI AGENTI BIOLOGICI

Da Puntosicuro.it

Ecco le ultime modifiche del Tu81/08 relative al titolo sugli agenti biologici.

Nel Titolo X (Esposizioni ad agenti biologici) del D.Lgs. 81/2008 si indica (art. 268) che gli agenti biologici possono essere ripartiti nei seguenti gruppi a seconda del rischio di infezione:

  • agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
  • agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche

 

Inoltre l’art. 274 (Misure specifiche per strutture sanitarie e veterinarie) indica che il datore di lavoro, nelle strutture sanitarie e veterinarie, “in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell’organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta”. E sottolinea che nelle strutture di isolamento “che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 2, 3 o 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono scelte tra quelle indicate nell’allegato XLVII in funzione delle modalità di trasmissione dell’agente biologico”.

 

Anche l’art. 275 (Misure specifiche per i laboratori e gli stabulari) indica che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVI, punto 6, nei laboratori comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, didattici o diagnostici, e nei locali destinati ad animali da laboratorio deliberatamente contaminati con tali agenti, il datore di lavoro adotta idonee misure di contenimento in conformità all’allegato XLVII”.

Ad esempio il datore di lavoro assicura che l’uso di agenti biologici sia eseguito “in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 3”.

 

Infine l’art. 276 (Misure specifiche per i processi industriali) riporta che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVII, punto 6, nei processi industriali comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4, il datore di lavoro adotta misure opportunamente scelte tra quelle elencate nell’allegato XLVIII, tenendo anche conto dei criteri di cui all’articolo 275”.

Ricordiamo anche che la Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020 ha modificato l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo.

 

Le modifiche del decreto-legge n. 149 del 9 novembre 2020

Come indicato in premessa il Decreto-Legge 9 novembre 2020 n. 149 modifica, con l’articolo 17, il Testo Unico indicando che “gli allegati XLVII e XLVIII di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono sostituiti” da due nuovi allegati.

 

Riprendiamo, a titolo esemplificativo, il contenuto del nuovo allegato XLVII (Indicazioni su misure e livelli di contenimento).

 

Si indica che “le misure previste nel presente allegato devono essere applicate secondo la natura delle attività, la valutazione del rischio per i lavoratori e la natura dell’agente biologico in questione”. E nella tabella, «raccomandato» significa “che le misure dovrebbero essere applicate in linea di principio, a meno che i risultati della valutazione del rischio non indichino il contrario”.

 

Questa è la tabella:

 

 

Segnaliamo, infine, che nel nuovo Allegato XLVIII (Contenimento per processi industriali) si indica che:

  • Agenti biologici del gruppo 1: per le attività con agenti biologici del gruppo 1, compresi i vaccini vivi attenuati, devono essere rispettati i principi in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
  • Agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4: può essere opportuno selezionare e combinare le prescrizioni di contenimento delle diverse categorie indicate nella tabella in base ad una valutazione del rischio connesso ad un particolare processo o a una sua parte”.

Rimandiamo all’articolo 17 del Decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149 e alla lettura completa delle due tabelle corrispondenti che riportano le varie misure di contenimento da adottare.

 

 

Tiziano Menduto

 

LA TERAPIA DOMICILIARE A CASA IN “PILLOLE”

Da il corriere.it

Sul corriere della sera é stato pubblicato questo articolo di Laura Cuppini , di cui noi riportiamo la parte più interessante, che fa il punto delle possibili terapie domiciliari per chi é malato di covid. Buona lettura..

Sintomatologia influenza e covid a confronto

“Monitoraggio dei parametri vitali

«Quanto più riusciremo a mantenere i malati a domicilio tanto minore sarà il sovraccarico su Pronto soccorso e presidi ospedalieri» ha affermato il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. La sfida è identificare le persone con sintomi tali da motivare il ricovero, che rappresentano solo il 5-8% del totale, conferma Emanuele Nicastri, infettivologo all’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. «È fondamentale lo stretto monitoraggio dei parametri vitali, in particolare la saturazione di ossigeno» spiega Nicastri. Ma come si curano i pazienti in isolamento domiciliare?

I farmaci che si sono rivelati efficaci nella cura di Covid sono tre: l’antivirale remdesivir (in commercio con il nome Veklury, dopo l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali, ma solo per uso ospedaliero), il corticosteroide desametasone e l’anticoagulante enoxaparina (eparina a basso peso molecolare). Gli ultimi due farmaci sono di fascia A, quindi possono essere prescritti dal medico di famiglia e assunti a domicilio. Ma la questione non è così semplice, anche perché ci sono rischi nei mix con altri medicinali di largo uso. Lo ha ricordato il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini: «I pazienti a domicilio, nelle fasi iniziali di Covid, non devono abusare di antibiotici e neanche combinare tachipirina e cortisone».

Paracetamolo solo con febbre o dolori

Per Emanuele Nicastri i pazienti in isolamento domiciliare dovrebbero prendere solo paracetamolo, con temperatura superiore a 38° o dolori ad articolazioni e muscoli. «Tutto il resto della terapia in questa fase non ha alcuna evidenza scientifica, anzi in alcuni casi è dannosa» rileva l’infettivologo, che consiglia di «non usare il cortisone nei primi 7 giorni di malattia, e in particolare in assenza di desaturazione, perché potrebbe ritardare o ridurre la nostra risposta immunitaria». L’idea di utilizzare cortisone ed eparina a domicilio per evitare l’aggravamento dei sintomi (e quindi la necessità di ricovero) viene però avanzata da alcuni medici. Come Salvatore Spagnolo, direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia del Policlinico di Monza. «Il coronavirus entra nei capillari polmonari e si riproduce nella loro parete interna chiamata endotelio — scrive in una nota il cardiochirurgo —, in questo modo determina una progressiva infiammazione dei polmoni e una trombosi del microcircolo. La somministrazione a domicilio dell’eparina e del cortisone potrebbe contrastare, fin dall’inizio, l’insorgenza dei processi infiammatori e trombotici».

Se la saturazione è inferiore a 94

Invita alla prudenza Francesco Scaglione, professore di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico all’Ospedale Niguarda. «La questione delle terapie per i pazienti domiciliati è all’attenzione degli esperti, anche qui in Lombardia. In questi mesi abbiamo visto che alcuni farmaci sono molto utili per le conseguenze che il virus determina, ma ancora oggi non abbiamo terapie specifiche per Covid. Facciamo però un passo indietro. Quando il virus arriva all’apice della moltiplicazione, può scomparire oppure indurre una disregolazione immunitaria, con conseguenze pesanti: infiammazione da citochine, edema polmonare, microembolia. Ebbene, tutti gli studi fatti sul cortisone (desametasone) mostrano che, se viene somministrato troppo precocemente, può peggiorare la malattia e addirittura aumentare la mortalità nei soggetti che non hanno bisogno di ossigeno. Ecco perché il criterio “principe” è quello della saturazione: un valore ottenibile con un semplice saturimetro, che tutti dovremmo avere in casa.

L’allerta deve scattare quanto la saturazione è inferiore a 94. L’eparina serve in presenza di polmonite e negli anziani allettati, che sono già di per sé a rischio di tromboembolismo».

Asintomatici e pazienti con fattori di rischio

Sugli asintomatici (tanti), il professor Scaglione non ha dubbi: «Non devono prendere assolutamente niente». Diverso il caso di soggetti a rischio di complicanze gravi, come gli ipertesi, che rappresentano la maggioranza delle vittime di Covid: «Per questi pazienti serve una sorveglianza più stretta da parte del medico, ma il marker da osservare è sempre la saturazione. Finché è possibile stare a casa, facciamolo ed evitiamo di correre in Pronto soccorso. Il parametro principale per decidere che è il momento di andare in ospedale è appunto una saturazione inferiore a 94, che non sale neppure con la somministrazione di ossigeno (che si può fare a domicilio)». Quest’ultimo punto aveva rappresentato un grosso problema tra marzo e aprile, per carenza di ossigeno e bombole. Oggi non siamo nella stessa situazione ma, in parallelo con l’aumento dei contagi, c’è una crescita nel fabbisogno di ossigeno a domicilio. «La situazione non è allarmante come durante la prima ondata — afferma Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi —, ma è opportuno muoversi per tempo. Non c’è ancora una carenza generalizzata, ma ci sono territori in maggiore sofferenza su cui occorre iniziare ad agire». ”

ANTICORPI MONOCLONALI CONTRO IL COVID

Dal sito sifoweb.it

La Food and Drug Adrministration autorizza l’uso del farmaco sperimentale bamlanivimab, anticorpo monoclonale per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità.

Bamlanivimab è un anticorpo monoclonale IgG1 neutralizzante che si lega al dominio di legame del recettore della proteina spike della SARS-CoV-2. E’ autorizzato per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità, in pazienti dai 12 anni che sono ad alto rischio di progredire verso una forma più grave e/o di essere ricoverati in ospedale. Diversamente, non sono stati dimostrati benefici per i pazienti ospedalizzati con COVID-19 che richiedono ossigeno ad alto flusso o ventilazione meccanica, per i quali, quindi, non è autorizzato il trattamento.

La decisione dell’FDA si basa sui risultati preliminari dello studio di fase II BLAZE-1 (studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo) che hanno dimostrato come il bamlanivimab, somministrato per singola infusione endovenosa entro 10 giorni dall’insorgenza della sintomotologia, porti ad una riduzione della carica virale, dei tassi dei sintomi e di ospedalizzazione.

Nell’ambito dello studio clinico, sono stati arruolati 465 adulti non ospedalizzati con sintomi COVID-19 da lievi a moderati. Di questi pazienti, 101 hanno ricevuto una dose di bamlanivimab di 700 milligrammi, 107 hanno ricevuto una dose di 2.800 milligrammi, 101 hanno ricevuto una dose di 7.000 milligrammi e 156 hanno ricevuto un placebo entro tre giorni dall’ottenimento del campione clinico per il primo test virale SARS-CoV-2 positivo.

Principalmente si è assistito al cambiamento della carica virale dal basale all’undicesimo giorno per il bamlanivimab rispetto al placebo, con eliminazione del virus nella maggior parte dei pazienti, compresi quelli che hanno ricevuto il placebo. Inoltre, nel 3% dei pazienti trattati con bamlanivimab si è verificata una riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, rispetto al 10% dei pazienti trattati con placebo. Gli effetti sulla carica virale e sulla riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, nonché sulla sicurezza, sono stati sovrapponibili nei pazienti che hanno ricevuto una qualsiasi delle tre dosi di bamlanivimab.

Bamlanivimab Teco milano

Per ulteriori informazioni:
Bamlanivimab EUA Letter of Authorization
Frequently Asked Questions on the Emergency Use Authorization for Bamlanivimab
Emergency Use Authorization: Therapeutics
Coronavirus Disease (COVID-19)

 

Fonte: www.fda.gov

VISIONE E POSTURA A RISCHIO DI SMART WORKING

Lavorare da casa ha i suoi vantaggi: nessun tragitto giornaliero per arrivare in ufficio, nessun dress code, la possibilità di svegliarsi più tardi…e fin qui tutto bene. Ma come tutte la cose ha anche degli svantaggi: poco movimento, perdita della cognizione del tempo, più ore davanti al computer in posizioni non propriamente idonee alla colonna vertebrale e che affaticano la vista.

Questo cambiamento nel nostro stile di vita quanto sta incidendo sulla salute di schiena e occhi? L’ho chiesto all’osteopata dott. Francesco Bini e al dott. Fabrizio Camesasca, Team Leader Clinico di Oculistica di Humanitas Medical Care, per capire come possiamo rimediare a tante cattive abitudini che sono entrate a far parte della routine quotidiana durante quest’ultimo anno.

“Lo smart working è stato introdotto per proteggere la salute dei lavoratori, ma col tempo ci si sta rivoltando contro – spiega il dottor Bini -. Postura scorretta, assenza di movimento e orari sballati stanno portando sempre più persone a lamentare problemi al tratto cervicale, fastidi alla schiena e mal di testa. Questo perché, quando casa nostra diventa anche il nostro ufficio, si passa dalla posizione supina direttamente a quella seduta, saltando tutta quella routine a cui eravamo abituati quando uscivamo per andare a lavoro, come vestirsi, prepararsi, prendere i mezzi per raggiungere l’ufficio. Tutte azioni che implicano movimento e che con il lavoro da casa è stato praticamente azzerato. Il corpo umano soffre la sedentarietà e la posizione seduta fa malissimo se mantenuta a lungo nell’arco della giornata, soprattutto se la nostra postazione di lavoro non prevede sedie ergonomiche e se non facciamo delle pause per riattivare le gambe. Lavorare tante ore di fila in un ambiente poco idoneo a questo tipo di attività, come il tavolo da cucina, il divano o addirittura il letto, può provocare emicranie da tensione cervicale, lombalgie spesso dovute a posture scorrette su sedie che comprimono in maniera eccessiva le vertebre lombari e infine le cervicalgie che provocano intorpidimento e formicolio al collo”.

Per prevenire questo tipo di problematiche Il dottor Bini consiglia:

Fare delle pause: Fare una pausa di 3 o 4 minuti almeno ogni 30 minuti, muovendosi in giro per la casa: è fondamentale per evitare una stasi muscolare legata a prolungati periodi di inattività.Utilizzare sedie ergonomiche adeguate al tratto lombare: l’ideale sarebbe utilizzare una sedia da ufficio, ma se non ne abbiamo una a disposizione basterà rialzare la seduta con cuscini in modo da allineare le vertebre e prevenire posture scorrette. Postura: Una giusta postura prevede gomiti e avambracci appoggiati al tavolo, schiena dritta, sedere il più possibile vicino allo schienale per sfruttare l’appoggio lombare e occhi all’altezza del lato superiore del monitor. Essendo una posizione difficile da tenere per tanto tempo quello che consiglio a molti miei pazienti è di utilizzare una Fitball, la classica palla da fitness, al posto delle normali sedute, questa solleverà il bacino rispetto alle ginocchia donando una posizione decisamente più naturale alla nostra colonna. E nei momenti di pausa può diventare un ottimo strumento per fare qualche esercizio. Routine mattutina: Creare una routine mattutina prima di posizionarsi davanti al computer: è consigliabile mantenere ritmi e orari regolari, fare un po’ di risveglio muscolare attraverso esercizi di stretching, seguire un regime alimentare sano ed equilibrato, evitando andirivieni dal frigorifero, e assicurarsi la giusta idratazione.Attività fisica: Ultimo consiglio, ma forse il più importante, è prevedere almeno mezz’ora al giorno di attività fisica, meglio se a orari prestabiliti, che sia anche una camminata sul tapis roulant, yoga, pilates, qualsiasi cosa in grado di tenere il corpo in movimento.Un’altra “vittima” dello smart working è la vista. Praticamente i nostri occhi fissano schermi tutto il giorno: per controllare i messaggi sullo smartphone di prima mattina, studiare con la didattica online o per lavorare al pc, o semplicemente per guardare la tv. Ma anche per fare sport in casa con il personal trainer online, per fare yoga e per seguire le ricette che hanno alleviato la quarantena tra pane e pizza al forno. Ma cosa succede ai nostri occhi quando passiamo troppo tempo davanti al computer?

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“L’utilizzo del computer, negli ultimi 30 anni, ha introdotto una terza distanza visiva, intermedia tra quella per lontano e quella per lettura, propria del lavoro al pc – spiega il dott. Fabrizio Camesasca, Team Leader Clinico di Oculistica Oculistica di Humanitas Medical Care -. Le attività al computer attirano costantemente l’attenzione della persona, riducendo la frequenza con cui vengono chiuse le palpebre, la cosiddetta frequenza di ammiccamento. Ciò comporta una maggiore evaporazione delle lacrime, compromettendo la loro funzione protettiva e lubrificante, e inducendo la sensazione di secchezza oculare. Inoltre, una lacrimazione disturbata riduce anche la qualità visiva, dato che la regolare distribuzione della lacrima sulla cornea, prima lente dell’occhio, ne esalta le proprietà ottiche. Una superficie lacrimale irregolare, interrotta, riduce la qualità delle immagini, comporta fastidio e sensazione di bruciore e di corpo estraneo oculari. Restare davanti a un computer per troppe ore in ambienti non adeguatamente illuminati può generare affaticamento, come risposta ad uno sforzo muscolare – accomodativo o di messa a fuoco –  eccessivamente protratto degli occhi.

Normalmente si manifesta con una sensazione di stanchezza, con arrossamento oculare, ma può anche capitare che l’affaticamento oculare generi emicranie e, combinato con una postura incorretta, dolori cervicali. Se poi è presente un difetto visivo – miopia, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia – non ben corretto, l’affaticamento arriva prima. Anche l’età conta molto: è dimostrato che il lavoro visivo per vicino protratto per molte ore, al di sotto dei 21-22 anni di età, aumenta la miopia e la fa progredire. Dunque, per proteggere gli occhi quando si lavora al pc dovremmo:

Fare delle pause: L’essere umano non è stato progettato per guardare da vicino ore ed ore: la prima cosa da fare quando si lavora al pc è dosare la durata dell’attività visiva, cercando di fare pause a intervalli regolari – es. ogni 1 o 2 ore – guardando in distanza per rilassare la messa a fuoco. Consultare uno specialista: molto importante, nel caso di discomfort oculare frequente, effettuare una visita da un Medico Oculista, per l’identificazione e la correzione di eventuali difetti visivi (miopia, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia), di disfunzioni della lacrimazione o di altre patologie.

Curare l’illuminazione: L’illuminazione sia dello schermo del computer che dell’ambiente di lavoro stesso è molto importante. Oltre a regolare la luce dello schermo, è importante disporre di un’adeguata illuminazione ambientale. L’ideale sarebbe di disporre sempre di una luce naturale, ma se si deve ricorrere alla luce artificiale, questa dovrebbe essere il più simile possibile alla luce naturale, evitando riflessi e contrasti eccessivi sullo schermo. Evitare tassativamente riflessi di luce sullo schermo del PC, dunque. Gli ambenti scuri possono affaticare gli occhi e rendere difficile la concentrazione.

Dispositivi di protezione: Circa l’utilizzo di filtri o lenti per schermare la luce del computer e la cosiddetta luce blu, al momento non vi sono evidenze scientifiche che ne attestino realmente l’efficacia. Usare lubrificanti: Se è dimostrata la presenza di una disfunzione o riduzione delle lacrime, l’utilizzo di un lubrificante può aiutare efficacemente. Anche qui spetta al Medico Oculista identificare quello più adatto, usualmente privo di farmaci od altre sostanze che, invece di essere lenitive, possono peggiorare la situazione lacrimale o indurre reazioni allergiche.

Da Tiscali.it

TAMPONE RAPIDO O MOLECOLARE:LE LINEE GUIDA

Da dott33.it

Il tampone molecolare va fatto sempre per un caso sospetto che presenti dei sintomi così come per chiunque abbia un ricovero programmato in ospedale o in Rsa. Mentre il test rapido antigenico è la prima scelta nel caso di chi ha pochi sintomi e non ha avuto contatti con positivi. A chiarire quali test fare a seconda dei diversi contesti, così da permettere «un uso razionale e sostenibile delle risorse» è il documento “Test di laboratorio per Sars-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”, realizzato da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità. Alla luce della necessità di garantire risultati in tempi compatibili con le esigenze di salute pubblica «è fondamentale una scelta appropriata tra i test disponibili», si legge nel testo. Sebbene i test molecolari siano quelli di riferimento per sensibilità e specificità, infatti, «in molte circostanze si può ricorrere ai test antigenici rapidi che, oltre essere meno laboriosi e costosi, possono fornire i risultati in meno di mezz’ora e sono eseguibili anche in modo delocalizzato e consentono se c’è link epidemiologico di accelerare le misure previste». In ogni caso, proseguono gli esperti, «rimane essenziale la rapidità di diagnosi nei soggetti con sospetto clinico o sintomatici e dei contatti per controllare il focolaio». Il documento precisa caso per caso quale tipo di test prescrivere per portare avanti «un’attività di sorveglianza che sia sostenibile», ovvero che permetta di evitare dispendi inutili di tempo e di sforzi da parte di cittadini e operatori sanitari.

Per i contatti stretti di casi positivi ci sono due corsie: tampone molecolare se si frequentano regolarmente soggetti fragili a rischio complicanze e test antigenico, in caso contrario. Il tampone molecolare, naturalmente, resta lo standard per la conferma di guarigione di chi è in isolamento perché è stato trovato positivo. Mentre il test rapido antigenico è indicato per gli screening di comunità, ovvero per la ricerca di possibili positivi in grandi gruppi di persone, così come per asintomatici che effettuano il test su base volontaria in quanto loro richiesto per motivi di lavoro o di viaggio. In caso di positività, serve la conferma del tampone e scatta l’isolamento della persona interessata, oltre alla quarantena per i contatti stretti. I test antigenici rapidi salivari «sono attualmente in fase di sperimentazione ma andranno considerati come alternativa ai test antigenici rapidi su tampone oro-naso faringeo o nasali se le validazioni e le esperienze pilota oggi in corso in Italia, daranno risultati che ne indicano un uso anche nella routine di sanità pubblica. Si sottolinea – avverte l’Iss – che i sistemi di raccolta della saliva tipo “salivette” non appaiono al momento adeguati, per modalità di svolgimento, per i soggetti non collaboranti a causa del rischio di ingestione del dispositivo di raccolta».
«È un momento di sovraccarico di richieste dei test sia per fini clinici che di sanità pubblica, quindi è importante indicare l’uso dei test molecolari per le situazioni in cui la certezza della diagnosi prevale sulla tempestività per difendere le situazioni a maggiore fragilità mentre si apre all’uso dei test rapidi laddove un intervento di controllo precoce può ottenere una riduzione della trasmissione». Lo spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità (Iss), a corredo dell’approfondimento pubblicato dall’Iss sul documento. A segnalare la forte richiesta dei tamponi ai medici di medicina generale è, ad esempio, l’Ats di Milano. «Una forte sofferenza nella possibilità di prenotare ed eseguire in tempi adeguati il tampone per la ricerca dell’Rna virale, nonostante i laboratori abbiano raddoppiato la produzione nell’ultimo mese». Succede nel capoluogo lombardo dove il sistema dei tamponi è in crisi, schiacciato dai numeri dei contagi in impennata da giorni. L’Ats chiede la collaborazione dei camici chiami bianchi, chiedendo di «spiegare agli assistiti che per il momento è opportuno sospendere l’esecuzione del tampone per i contatti stretti». Oltre allo stop ai tamponi per i contatti stretti nel decimo giorno di quarantena, serve «dare priorità a tamponi per casi sospetti», e ancora «evitare nel modo più assoluto che il paziente si rechi negli ambulatori ad accesso diretto, anche se con impegnativa. L’accesso diretto è infatti riservato ai soli casi sospetti segnalati in ambiente scolastico, e il mancato rispetto di questa indicazione è la principale causa delle code nei punti prelievi».

HI-TECH E START UP DELLA SICUREZZA

Da Wired

Tra coloro a cui l’attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro sembra non mancare c’è il mondo dell’innovazione e delle startup, come dimostrano molti progetti nati di recente. Fra gli ultimi in ordine di tempo, quello di Audiosafety,un’app realizzata da Sicurezza 4.0, startup nata all’interno della facoltà di Ingegneria dell’università La Sapienza di Roma proprio per creare applicazioni che aumentino il livello di tutela dei lavoratori.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di Audiosafety)

Il ruolo delle startup

Audiosafety è una banca dati che comprende circa cinquemila istruzioni di lavoro in sicurezza, relative a ogni tipo di attrezzatura, di attività, di sostanza chimica, di primo soccorso ed emergenza, accompagnate da illustrazioni esplicative e video tutorial e costantemente aggiornate. I dipendenti le possono consultare direttamente dal proprio smartphone, mentre un server registra le visualizzazioni, certificando l’adempimento dell’obbligo d’informazione sugli aspetti di sicurezza che è in capo al datore di lavoro. “Abbiamo immaginato un’app dove ricevere le istruzioni per tutti i settori economici, e anche per uffici e attività̀ amministrative, per lo smart working, le trasferte all’estero, la guida sicura e la casa sicura” spiega uno dei fondatori dell’azienda, Gonzalo Fogliati: “Pochi minuti allo smartphone a leggere e/o ascoltare prima di iniziare la propria attività̀ in sicurezza”.

Sempre dal punto di vista della formazione, va segnalato anche un altro progetto nato in Calabria nel 2017: si chiama Alteredu ed è una piattaforma che propone un catalogo di oltre 200 corsi di formazione online in diverse materie, dalla programmazione web ai master di perfezionamento per docenti e personale ata. Da marzo la startup è stata inserita dal governo nel programma Solidarietà digitale’, e ha erogato oltre mille corsi gratuiti sui temi dell’adeguamento alle normative privacy, del controllo sulle lavorazioni degli alimenti (Haccp) e della sicurezza sul lavoro.

Spazi e affollamenti

Arriva invece da Udine un’altra app, pensata per gestire il tracciamento dei lavoratori all’interno delle aziende o nei cantieri, segnalare possibili affollamenti e monitorare l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (Covid e non), grazie all’utilizzo di sensori basati sulle tecnologie beacon, Nfc e Rfid. A svilupparla, la startup Safe Chain Tech, che da luglio scorso è diventata socia di Confindustria Udine e ha già conquistato molti clienti tra le aziende del Nordest. “Con una soluzione facile ed economica per il Covid-19 – ha detto Filippo Veronese, uno dei fondatori e amministratore dell’azienda – in pochi mesi abbiamo conquistato molte importanti realtà produttive, ma fin da subito gli imprenditori hanno intuito che con l’Iot si può veramente rivoluzionare il modo di lavorare portando efficienza, controllo e sicurezza. Così sono già partite diverse sperimentazioni, per esempio sul monitoraggio di tutti gli asset aziendali tracciandone la posizione, l’utilizzo, e prevedendone le manutenzioni”.

Sempre per controllare al meglio tutti gli aspetti relativi a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nel 2016 la software house veronese E-time ha sviluppato il progetto – poi diventato un’azienda a sé – di 4hse, un software gestionale in cloud che si rivolge alle imprese, ai responsabili della sicurezza nominati dai datori di lavoro e alle aziende di consulenza. Si tratta di un programma saas (software as a service) che non richiede installazione e permette di organizzare le sostanze e le attrezzature presenti in azienda, di effettuare valutazioni di rischio, di gestire le procedure di manutenzione, i corsi di aggiornamento professionale, le visite mediche periodiche e il registro degli eventi (incidenti, infortuni ecc.).

Tecnologia da indossare

Parlando di sicurezza, non potevano mancare i progetti che sfruttano le tecnologie wearable per offrire maggior comfort e protezione ai lavoratori. Uno degli esperimenti più interessanti in questo senso è Workair, il giubbotto realizzato da D-Air Lab, la startup creata da Lino Dainese dopo la cessione dell’azienda che porta il suo nome e che è diventata il punto di riferimento per le giacche protettive per motociclisti. Sviluppato in collaborazione con Enel, Workair è un corpetto con airbag integrato che protegge schiena e torace in caso di cadute da più di 1,2 metri di altezza, riducendo del 60 per cento la forza trasmessa, e dando immediatamente l’allarme in caso di incidente attraverso un chip integrato.

(Foto: D-Air Lab)

Un dispositivo che al suo debutto, nel 2015, è stato considerato rivoluzionario è poi il lettore di codici a barre indossabile Mark (ora arrivato alla versione 2), ideato dai bavaresi di ProGlove. Collocato su una fascia da mettere al polso, l’apparecchio consente di velocizzare anche del 50 per cento i tempi di scansione e di ridurre fino a un terzo gli errori, oltre ad essere meno a rischio di cadere o causare incidenti. Sperimentato inizialmente nel settore automobilistico – la prima azienda ad utilizzarlo è stata Bmw – il dispositivo è ora utilizzato da imprese che lavorano nei campi della logistica, della manifattura e anche delle vendite al dettaglio. Inoltre, quest’anno ProGlove ha lanciato un’ulteriore novità, il Mark Display: dotato di uno schermo e-ink (come quelli degli e-reader), consente al lavoratore di accedere a informazioni che prima avrebbe potuto trovare solo su un altro dispositivo, smartphone o pc.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di ProGlove)

Pensato per la protezione del personale, invece, è il robot Cobalt, progettato dall’omonima startup californiana nata nel 2016. L’apparecchio, dotato di intelligenza artificiale ed equipaggiato con le stesse tecnologie delle vetture a guida autonoma, è capace di muoversi su percorsi predeterminati e grazie ai suoi sensori, accoppiati con degli algoritmi di machine learning, è in grado di rilevare eventuali problemi o minacce, inviando una segnalazione a degli operatori che decideranno come procedere. Il robot, inoltre, è anche in grado di interagire con gli esseri umani, verificando attraverso la tecnologia Rfid i badge o i documenti dei dipendenti rimasti in ufficio o in fabbrica dopo l’orario di chiusura. In seguito all’emergenza Covid, poi, l’azienda ha integrato nei robot una termocamera in grado di misurare accuratamente la temperatura corporea, sviluppato le procedure per identificare i dipendenti che indossano dispositivi di protezione e quelle di monitoraggio del distanziamento fisico.

Da Wired.it

COME AVVIENE IL CONTAGIO NEI LUOGHI CHIUSI

Il covid si trasmette per via aerea, soprattutto negli spazi chiusi.

Non ha la capacità infettiva del morbillo, ma gli scienziati ormai riconoscono esplicitamente il ruolo che gioca nella pandemia il contagio tramite aerosol, le minuscole particelle contagiose che esala un malato e che rimangono sospese nell’aria in ambienti chiusi. Come funziona questa modalità di contagio? E soprattutto, come possiamo bloccarlo?

Segnaliamo qui  un interessante articolo pubblicato su Repubblica relativo alle modalità di trasmissione del virus nei luoghi chiusi. La grafica ci permette di capire immediatamente come sia fortemente insidiosa la modalità di contagio

Ecco il link

https://lab.repubblica.it/2020/coronavirus/cosi-si-trasmette-il-contagio-in-un-salotto-un-bar-e-una-classe/

QUANDO L’ARIA CONDIZIONATA FA BENE CONTRO IL COVID

Da newsby.it

Dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma arriva uno studio che rivaluta il ruolo dell’aria condizionata, con gli opportuni filtri e trattamenti, nella prevenzione del Covid-19. La ricerca parte da una simulazione tridimensionale di un ambiente chiuso d’ospedale. Nel caso specifico si tratta di una sala d’aspetto di un pronto soccorso con diverse persone al suo interno, e parte da un colpo di tosse da parte di uno dei presenti, senza mascherina.

La ricerca del Bambino Gesù pubblicata su Environmental Research

La simulazione riproduce esattamente il movimento delle particelle biologiche nell’ambiente e l’impatto dei sistemi di aerazione sulla loro dispersione. Il risultato conferma che un efficace trattamento dell’aria condizionata può rivestire un ruolo importante nel prevenire la diffusione del coronavirus. La rivista scientifica Environmental Research ha pubblicato l’esito dello studio, condotto con lo spin-off universitario Ergon Research e la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA).

Il punto d’avvio della simulazione, il cosiddetto spreader, è indicato in un colpo di tosse da parte di una persona senza mascherina. Questa, tossendo senza il dpi, sparge nell’aria migliaia di particelle contaminate. Con l’aria condizionata spenta, le persone più vicine alla persona che ha tossito respirano nel trenta secondi successivi al colpo di tosse l’11% di aria contaminata, con il fortissimo rischio di contrarre la malattia.

Come cambia l’impatto della contaminazione con l’aria condizionata attiva

Le cose però cambiano, in meglio, quando viene attivata l’aria condizionata. Considerando lo stesso lasso di tempo, a velocità standard le persone più vicine respirano il 2,5% dell’aria contaminata dal coronavirus e quelle più lontane lo 0,5%. A velocità doppia i più vicini al colpo di tosse respirano lo 0,3% di aria contaminata, i più lontani lo 0,08%. Non è una garanzia assoluta di prevenzione, tanto che l’utilizzo della mascherina non è minimamante messo in discussioneÈ comunque la testimonianza che il raddoppio della portata dell’aria condizionata in una stanza chiusa riduce la concentrazione delle particelle contaminate del 99,6%.

 

VADEMECUM SUI GIORNI DI QUARANTENA

Da il sole24ore.com

Mentre non si arresta il dibattito sull’opportunità o meno di sottoporre a tampone gli asintomatici, dopo la proposta delle Regioni di concentrarsi su chi manifesta sintomi al fine di rilanciare la macchina dei tracciamenti ingolfata dall’aumento dei contagi Covid, è opportuno fare il punto sulle regole della quarantena. A venirci incontro in questo senso è una circolare del 12 ottobre del ministero della Salute. Nell’individuare quattro tipologie di soggetti, il documento fornisce indicazioni sulla relativa quarantena e sull’opportunità di effettuare il tampone molecolare. Ecco le indicazioni ministeriali.

Le persone asintomatiche risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno dieci giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo.

I contatti stretti di casi con Covid confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare: un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso oppure un periodo di quarantena di dieci giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno.

Le persone sintomatiche risultate positive al virus possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno dieci giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno tre giorni senza sintomi.

Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per Sars-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).

Nella circolare si raccomanda inoltre di eseguire il test molecolare a fine quarantena a tutte le persone che vivono o entrano in contatto regolarmente con soggetti fragili e/o a rischio di complicanze; prevedere accessi al test differenziati per i bambini; non prevedere quarantena né l’esecuzione di test diagnostici nei contatti stretti di contatti stretti di caso (ovvero se non vi sia stato nessun contatto diretto con il caso confermato), a meno che il contatto stretto del caso non risulti successivamente positivo ad eventuali test diagnostici o nel caso in cui, in base al giudizio delle autorità sanitarie, si renda opportuno uno screening di comunità. La circolare raccomanda anche di promuovere l’uso della App Immuni per supportare le attività di contact tracing.

«Credo che uscirà nei prossimi giorni un documento specifico sull’utilizzo dei test» per individuare la positività al coronavirus. Lo ha annunciato, durante l’audizione in Commissione igiene e sanità del Senato, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro. «La realtà dei test oggi è costituita dal gold standard – ha precisato – che è il tampone molecolare ma i test antigenici rapidi hanno risultati buoni e sono stati consigliati anche dal Ministero per un utilizzo in determinati contesti. Ma la ricerca tecnologica peró è molto rapida e nelle prossime settimane potremo disporre di ulteriori test più facili da utilizzare. Questo sarà certamente di grande aiuto».

QUALITA’ ARIA DELLE MASCHERINE COME NEI LOCALI CHIUSI

Da Dottnet.it

Uno studio dell’Agenzia per l’ambiente della Provincia di Bolzano sdogana le mascherine per quanto riguarda la qualità dell’aria respirata: il ricambio d’aria è sufficiente e l’anidride carbonica è come nei locali chiusi. Sotto la mascherina la temperatura sale di due gradi, causando a volte un certo disagio a chi la indossa. La concentrazione di anidride carbonica inalata indossando una mascherina è sui livelli di quella rilevata in molti ambienti di vita quotidiani chiusi, e risulta essere molto inferiore rispetto a quella espirata. “L’obiettivo dello studio era soprattutto quello di accrescere la consapevolezza della popolazione con informazioni il più possibile supportate da dati rilevati attraverso un approccio scientifico”, spiega l’assessore Giuliano Vettorato, facendo presente come lo studio sia uno fra i primi del genere realizzati in Italia. Nell’ambito delle analisi è stata quantificata la percentuale di Co2 re-inalata rispetto a quella espirata. A tal fine sono state prese in esame diverse tipologie di dispositivi di copertura naso-bocca: mascherina artigianale, mascherina chirurgica, FFP2 o KN95, visiera e fasce di stoffa.

L’aria che espiriamo – afferma Luca Verdi, direttore del Laboratorio Analisi e radioprotezione – contiene un’elevata concentrazione di anidride carbonica, circa 40.000 ppm, ovvero il 4%. Dallo studio è emerso che indossando un dispositivo di copertura naso-bocca si ha comunque un notevole ricambio d’aria che porta ad una consistente riduzione della concentrazione di Co2. Più precisamente la percentuale di anidride carbonica espirata che viene re-inalata varia da un minimo del 3% con la visiera, a un massimo del 14% con la mascherina artigianale”. Alla luce di questi dati, l’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima ribadisce che i locali in cui soggiornano più persone vanno ventilati frequentemente, come del resto già raccomandato da tutti gli esperti del settore. Oltre a caratterizzare la qualità dell’aria inspirata, lo studio ha voluto valutare una possibile fonte di disagio. “Con una termocamera abbiamo misurato la temperatura superficiale del viso, con e senza mascherina”, spiega Clara Peretti, consulente per il Laboratorio Analisi aria e radioprotezione nell’ambito del progetto europeo Qaes. “Dalla prova – rileva – è emerso che nella zona del viso coperta dal dispositivo di copertura la temperatura superficiale aumenta in media di 2 gradi. Innalzamento di temperatura e conseguente sudorazione possono creare una sensazione di fastidio”.