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PURIFICATORI D’ARIA EFFICACI CONTRO IL COVID

Da dottnet.it

Ricercatori australiani hanno dimostrato che purificatori d’aria economici e portatili sono uno strumento efficace e pratico per limitare la diffusione di Covid-19 tramite aerosol negli ospedali, potrebbe essere considerato per gli hotel di quarantena e altri ambienti sanitari. Pubblicato sulla rivista ‘Infection Control and Hospital Epidemiology’, lo studio ha tracciato il flusso d’aria e il movimento delle particelle aerosolizzate in un reparto Covid-19 del Royal Melbourne Hospital.

Purificatore d'aria, i migliori sul mercato per eliminare germi, virus e  odori

Usando due piccoli purificatori d’aria in una singola stanza di un paziente di un reparto dell’ospedale, lo studio ha rilevato che del 99% di aerosol può essere neutralizzato entro cinque minuti e mezzo. L’aria che circolava fuori dalla stanza del paziente portava molto meno aerosol e si riduceva quindi anche il rischio di infezione per il personale nelle aree cliniche circostanti. Lo studio è stato motivato dall’elevato numero di personale sanitario che si era contagiato in quell’ospedale durante la seconda ondata di pandemia a Melbourne a metà del 2020. Un totale di 271 operatori sanitari avevano contratto l’infezione di Covid-19 con inchieste che suggeriscono che la maggior parte di questi contagi erano avvenuti in strutture sanitarie.

Scientific research shows customised innovations can reduce the risk

La responsabile dello studio Kristy Buising, responsabile del servizio malattie infettive nell’ospedale stesso, scrive che i purificatori d’aria rimuovono gli aerosol prima che possano uscire dalla stanza del paziente, ma sono stati testati per vedere se proteggevano il personale sia all’interno che all’esterno. Utilizzando solo due piccoli purificatori d’aria portatili in una singola stanza di paziente, lo studio indica che il 99% dell’aerosol può essere rimosso entro 5 minuti e mezzo. Per lo studio è stato utilizzato un aerosol a base di glicerina come surrogato per gli aerosol respiratori, ed è stata misurata la trasmissione da un’unica stanza di paziente ai corridoi ed a una postazione infermieri nel reparto.

SOSPESA DAL LAVORO PERCHÉ NON VACCINATA

Sospesa dal lavoro e dallo stipendio perché si rifiuta di vaccinarsi contro il Covid, fa ricorso contro il provvedimento al giudice del lavoro, ma questi glielo respinge giudicando la misura “adeguata e proporzionata”. La vicenda è accaduta a Terni e vede protagonista un’operatrice socio sanitaria, dipendente della cooperativa sociale Actl New.

La donna, addetta all’assistenza di anziani non autosufficienti, a febbraio ha negato il proprio consenso informato alla somministrazione del vaccino, dicendosi contraria ad un trattamento sanitario – ha sostenuto – ancora di natura sperimentale, senza prima conoscerne effetti e possibili controindicazioni.

A seguito di questa decisione il medico del lavoro ha espresso un giudizio di inidoneità della lavoratrice, a cui ha fatto seguito a marzo la conseguente sospensione del datore di lavoro per 24 mesi, provvedimento contro il quale la donna ha presentato un primo ricorso alla Usl competente che ha confermato l’inidoneità della operatrice, limitando però il termine della sospensione al 31 dicembre 2021 (salvo ulteriori valutazioni in caso di prosecuzione dello stato di emergenza). La donna ha quindi impugnato in via cautelare il provvedimento di sospensione davanti al giudice del lavoro, chiedendo il reintegro immediato alle sue mansioni (o in subordine diverse) e la corresponsione delle mancate retribuzioni.

Il giudice ha però confermato la legittimità del provvedimento assunto dall’Actl New – assistita dagli avvocati Eleonora Corsi e Matteo Sinibaldi – affermando che il dipendente deve “osservare – si legge nell’ordinanza – precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto”. E’ “imposto” inoltre al lavoratore “l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni”, nonché quello “di osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro”. Sempre per il giudice è quindi da “ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi a vaccinazione contro il Covid-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività” da La Repubblica