Società italiana di tossicologia si sofferma sul processo autorizzativo e sulla messa in commercio e l’utilizzo, dei fitofarmaci
“Nonostante i dati dell’ultimo Report di Agrofarma evidenzino come cresca a ritmo costante il mercato degli agrofarmaci in Italia, che ha portato al traguardo di 1,1 miliardi di euro di fatturato nel 2022 con un aumento del 35,8%, il Paese non si è ancora dotato di un’Agenzia che svolga la funzione di Competent Authority”. Così in una nota la Sitox -Società italiana di tossicologia, in riferimento al processo autorizzativo e alla messa in commercio, e quindi l’utilizzo, dei fitofarmaci. “Il regolamento europeo n. 1107/2009, all’art.75 – precisa Corrado Galli, past president Sitox – prevede che ‘ciascuno Stato membro dovrà designare un’Autorità nazionale, incaricata di coordinare e assicurare tutti i contatti necessari con i richiedenti, gli altri Stati membri, la Commissione e l’Autorità’, ma l’Italia ancora non si è adeguata. Infatti, nel nostro Paese il ruolo di coordinamento è svolto dal ministero della Salute, Ufficio 7 della Direzione generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e della nutrizione, che delega le valutazioni riguardanti la sicurezza di uso dei prodotti fitosanitari, sia per il consumatore che per l’ambiente, a varie istituzioni nazionali poiché manca un centro di riferimento, cioè un’Agenzia”. Ma “questa consuetudine rende farraginoso il processo con evidenti impatti sia sulla armonizzazione delle valutazioni sia sulla tempistica attraverso cui vengono evase le pratiche di autorizzazione”.
“La finalità di questo nuovo modello sarebbe quello di dare le necessarie garanzie che l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari sia conforme ai tempi definiti dai regolamenti comunitari – sottolinea Galli – dando così al pubblico le necessarie garanzie di sicurezza dell’impiego di questi prodotti, sia per il consumatore che per l’ambiente, dando al comparto produttivo coinvolto informazioni trasparenti circa le strategie produttive e di mercato”. La Sitox, conclude, auspica “che il ministero della Salute e tutte le autorità competenti associate alla soluzione di tale tematica possano valutare la fattibilità della nostra proposta di adeguamento alla direttiva europea, anche coinvolgendoci in qualità di esperti della materia da decenni, nelle sedi opportune”
Esiste un forte legame tra l’esposizione agli insetticidi e una minore concentrazione di
Lo dimostrano 50 anni di dati, passati in rassegna da un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Melissa J. Perry della George Mason University (Usa), che comprende anche ricercatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna
Esiste un forte legame tra l’esposizione agli insetticidi e una minore concentrazione di spermatozoi negli uomini adulti: lo dimostrano 50 anni di dati, passati in rassegna da un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Melissa J. Perry della George Mason University (Usa), che comprende anche ricercatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna. I risultati sono pubblicati sulla rivista Environmental Health Perspectives. “Capire come gli insetticidi influenzano la concentrazione dello sperma negli esseri umani e’ fondamentale considerata la loro ubiquita’ nell’ambiente e i rischi riproduttivi documentati”, afferma la prima autrice dello studio, Lauren B. Ellis della Northeastern University. “Gli insetticidi rappresentano una preoccupazione per la salute pubblica e per tutti gli uomini, che sono esposti principalmente attraverso il consumo di cibo e acqua .
Per valutare le conseguenze sulla salute riproduttiva maschile, i ricercatori hanno passato in rassegna 25 studi condotti su oltre 1.700 uomini adulti di quattro continenti (Europa, Asia, Nord e Sud America) esposti a due tipi molto comuni di insetticidi, ovvero organofosfati e N-metil carbammati. I risultati dimostrano una forte associazione tra l’esposizione agli insetticidi e una minore concentrazione di sperma, un fatto che secondo i ricercatori merita molta attenzione, soprattutto alla luce della progressiva riduzione della qualita’ dello sperma evidenziata da studi precedenti. “Questa e’ la revisione di studi piu’ completa fatta fino a oggi sulla fertilita’ maschile e sulla salute riproduttiva”, commenta Perry. “Le prove disponibili sono arrivate al punto che dobbiamo intraprendere azioni normative per ridurre l’esposizione agli insetticidi”.
Il presente prodotto digitale aggiornato nel 2023 fornisce un supporto formativo/informativo di base e gli strumenti normativi utili a chi si avvicina per la prima volta al mondo fitosanitario ed ai futuri specialisti del settore agricolo. L’argomento dell’utilizzo di fitosanitari in agricoltura e le diverse tematiche correlate sono affrontate con l’obiettivo di accrescere la cultura e le competenze per la prevenzione e la tutela della salute e dell’ambiente quando si utilizzano tali prodotti, al fine di assicurare il rispetto delle normative vigenti. I materiali formativi e informativi, rappresentano uno strumento per responsabilizzare l’uso di prodotti fitosanitari cadenzato nei tempi e modulato secondo necessità.
È in programma a Brescia un interessante Convegno in cui verranno presentate le nuove linee guida per la sorveglianza sanitaria in agricoltura, pubblicate con la DGR n. XII del 15/05/2023 ad aggiornamento del DDG 3959 del 22/04/2009. Il convegno, organizzato da ATS Brescia, si terrà domenica 29/10/2023, dalle 8.30 alle 13.30 presso il Centro Fiera di Montichiari
L’evento sarà un’occasione di aggiornamento professionale e di confronto tra esperti del settore.
L’iscrizione al convegno potrà essere effettuata seguendo le indicazioni riportate nel programma in allegato, entro giovedì 26 ottobre 2023 e comunque fino a esaurimento posti. Con l’iscrizione è incluso l’ingresso omaggio alla Fiera.
La partecipazione al convegno dà diritto ad acquisire 2,8 crediti ECM.
qui sotto il programma:
Dott. Roberto Trinco Direttore SC PSALATS di BresciaViale Duca degli Abruzzi 1525124 – Brescia
Il 19% dell’acquapotabile in Lombardia risulta contaminata da Pfas, composti poli e perfluoroalchilici, sostanze altamente persistenti – per queste soprannominate forever chemicals, inquinanti per sempre – e associate a numerosi problemi per la salute, tra cui alcune forme tumorali. Il dato preoccupante sull’inquinamento dell’acqua immessa nella rete acquedottistica lombarda emerge dall’indagine di Greenpeace Italia condotta grazie a numerose richieste di accesso agli atti (Foia) indirizzate a tutte le Ats (Agenzia di tutela della salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde. Dopo il Veneto quindi anche la vicina Lombardia deve ora fare i conti con la contaminazione delle acque da Pfas
Secondo quanto ottenuto da Greenpeace Italia, dei circa 4 mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di Pfas. Un inquinamento che rischia però di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari.
Greenpeace: “Emergenza sanitaria fuori controllo”
“L’indagine condotta in Lombardia svela l’esistenza di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo che le autorità locali e nazionali continuano a sottostimare, nonostante sia chiaro che la contaminazione da Pfas coinvolga migliaia di persone, spesso esposte al rischio in modo inconsapevole”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Chiediamo – prosegue – al governo, al Parlamento e ai ministeri competenti di assumersi le proprie responsabilità approvando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento”.
A Milano un campione su tre è contaminato
Guardando ai dati provinciali, la percentuale più elevata di campioni contaminati riguarda la provincia di Lodi, con l’84,8% positivo alla presenza di Pfas; a seguire le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini assoluti, la provincia di Milano (dove si registra anche un numero più elevato di analisi effettuate) ha il triste primato del maggior numero di campioni in cui sono stati rilevati Pfas (ben 201), seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129). Particolari criticità emergono anche nei comuni di Crema (CR), Crespiatica (LO), Pontirolo Nuovo (BG), Rescaldina (MI) e nella zona di Cantù-Mariano Comense (CO).
Sotto la cartina elaborata da Greenpeace con in rosso i punti di analisi in cui è risultata la contaminazione.
L’indagine shock di Greenpeace: dopo il Veneto, l’emergenza Pfas nell’acqua ad uso potabile si scopre in Lombardia. I gestori si difendono: “Riduciamo i Pfas in falda: bevete serenamente dal rubinetto ” La replica dell’associazione: “Non è sempre indicato dove gli enti fanno i controlli”
Il 19% dell’acqua ad uso potabile in Lombardia risulta contaminata da Pfas, composti poli e perfluoroalchilici, sostanze altamente persistenti – per queste soprannominate forever chemicals, inquinanti per sempre – e associate a numerosi problemi per la salute, tra cui alcune forme tumorali. Il dato preoccupante sull’inquinamento dell’acqua immessa nella rete acquedottistica lombarda emerge dall’indagine di Greenpeace Italia condotta grazie a numerose richieste di accesso agli atti (Foia) indirizzate a tutte le Ats (Agenzia di tutela della salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde. Dopo il Veneto quindi anche la vicina Lombardia deve ora fare i conti con la contaminazione delle acque da Pfas
Secondo quanto ottenuto da Greenpeace Italia, dei circa 4 mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di Pfas. Un inquinamento che rischia però di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari.
Greenpeace: “Emergenza sanitaria fuori controllo”
“L’indagine condotta in Lombardia svela l’esistenza di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo che le autorità locali e nazionali continuano a sottostimare, nonostante sia chiaro che la contaminazione da Pfas coinvolga migliaia di persone, spesso esposte al rischio in modo inconsapevole”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Chiediamo – prosegue – al governo, al Parlamento e ai ministeri competenti di assumersi le proprie responsabilità approvando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento”.
A Milano un campione su tre è contaminato
Guardando ai dati provinciali, la percentuale più elevata di campioni contaminati riguarda la provincia di Lodi, con l’84,8% positivo alla presenza di Pfas; a seguire le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini assoluti, la provincia di Milano (dove si registra anche un numero più elevato di analisi effettuate) ha il triste primato del maggior numero di campioni in cui sono stati rilevati Pfas (ben 201), seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129). Particolari criticità emergono anche nei comuni di Crema (CR), Crespiatica (LO), Pontirolo Nuovo (BG), Rescaldina (MI) e nella zona di Cantù-Mariano Comense (CO).
Sotto la cartina elaborata da Greenpeace con in rosso i punti di analisi in cui è risultata la contaminazione
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La mappa consente di verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi vigenti o proposti in altre nazioni come la Danimarca o gli Stati Uniti. Analizzando i risultati dei campioni inviati a Greenpeace Italia si nota come parte dell’acqua della Lombardia sarebbe considerata non potabile secondo i nuovi parametri proposti negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%).
Risultati inquietanti sono emersi anche nella città di Milano, dove quasi un campione su tre è risultato contaminato. Prossimamente, Greenpeace Italia pubblicherà un approfondimento sulla situazione a Milano, con una mappatura delle zone più contaminate, dettagli sui quartieri del capoluogo lombardo e le rispettive concentrazioni di Pfas.
I gestori: “Bevete serenamente dal rubinetto”. Ma molti dati aprono scenari meno rassicuranti
Contattata dal Corriere della Sera, Water Alliance, la rete che unisce i gestori regionali, replica all’analisi dei Greenpeace: “Sono proprio i costanti controlli effettuati dalla rete dei laboratori dei singoli retisti a consentire di conoscere con precisione la qualità dell’acqua. Da tempo i gestori del servizio idrico sono impegnati sul fronte della sicurezza e della riduzione dei Pfas nell’acque di falda che non va confusa con quella che beviamo: prima di uscire dal rubinetto, l’acqua viene infatti sottoposta a un capillare processo di potabilizzazione che esclude qualsiasi danno per la salute. Bevete serenamente l’acqua del rubinetto”.
Tuttavia, come la tabella pubblicata da Greenpeace (clicca qui per consultarla), in molte realtà, come a Bergamo, la contaminazione da Pfas viene rilevata nel post trattamento, ovvero dopo che l’acqua è stata captata e sottoposta procedimenti per eliminare gli eventuali inquinanti. Dunque è possibile che i controlli svolti periodicamente dai gestori non avvengano tutti nello stesso punto.
Spiega Giuseppe Ungherese al Salvagente: “È proprio così: consultando i documenti che ci sono stati inviati, alcuni controlli vengono fatti nei pozzi, altri in una fase pre trattamenti, altri ancora in post trattamento. Tutti però sono stati realizzati sull’acqua ad uso potabile immessa nella rete acquedottistica lombarda. Chiediamo per questo alla Regione Lombardia di individuare tutte le fonti inquinanti e di avviare un piano di monitoraggio regionale sulla presenza di Pfas nelle acque potabili”.
Anche se trattata, l’acqua contiene ancora Pfas
Consultando alcuni dati raccolti in “post trattamento” quindi presumibilmente una volta che l’acqua è stata “depurata” da possibili inquinanti, i dati mostrano ancora una presenza di Pfas che supera abbondantemente, come nel caso di Bergamo (si veda la tabella sotto), i 200 nanogrammi per litro.
Come si spiega questa contaminazione? Viene usato un trattamento viene per eliminare i Pfas? E se sì quale? Sappiamo che nella zona rossa del Veneto l’abbattimento dei Pfas nelle acque potabili è stato possibile dopo che sono stati messi filtri al carbone attivo negli acquedotti.
È ai nastri di partenza il 12° Simposio Internazionale sul Monitoraggio Biologico nella Salute Occupazionale e Ambientale (ISBM-12) che si tiene in questi giorni dal 21 al 23 giugno 2023 a Porto. Questo importante evento scientifico è organizzato dall’Istituto Nazionale Portoghese di Sanità (INSA, IP), dall’Istituto di Sanità Pubblica dell’Università di Porto (ISPUP) e dal Comitato Scientifico di Tossicologia Occupazionale (SCOT) della Commissione Internazionale per la Salute Occupazionale (ICOH ), in collaborazione con altri comitati scientifici dell’ICOH, vale a dire il comitato scientifico per la salute dei lavoratori dei nanomateriali, il comitato scientifico per la salute rurale: agricoltura, pesticidi e polveri organiche e il comitato scientifico per la tossicologia dei metalli. ISBM-12: Next Generation Biomonitoring continuerà la serie di congressi ISBM con una visione multidisciplinare e olistica degli ultimi sviluppi nelle scienze del biomonitoraggio umano (HBM), riunendo i principali scienziati, esperti e studenti del mondo.
Un gruppo di studiosi provenienti dall’UCLA Health e da Harvard ha individuato 10 sostanze antiparassitarie che causano gravi danni ai neuroni coinvolti nella malattia di Parkinson, fornendo così nuove informazioni sul ruolo delle tossine ambientali nella patologia. Sebbene l’esposizione ai pesticidi sia stata a lungo associata al Parkinson, individuare quali sostanze aumentino effettivamente il rischio di sviluppare questa malattia neurodegenerativa è stato un compito arduo. Solo in California, esistono quasi 14.000 prodotti antiparassitari che contengono oltre 1.000 principi attivi registrati per l’utilizzo. Attraverso una combinazione innovativa di epidemiologia e screening di tossicità, che ha sfruttato il vasto database sull’utilizzo dei pesticidi in California, i ricercatori dell’UCLA e di Harvard sono stati in grado di identificare 10 sostanze antiparassitarie direttamente tossiche per i neuroni dopaminergici. Questi neuroni sono responsabili del movimento volontario e la loro morte rappresenta un segnale distintivo del Parkinson. Tra i 10 pesticidi identificati come tossici per questi neuroni, figuravano quattro insetticidi (dicofol, endosulfan, naled e propargite), tre erbicidi (diquat, endothall e trifluralin) e tre fungicidi (solfato di rame [basico e pentaidrato] e folpet). La maggior parte di questi pesticidi sono ancora comunemente utilizzati negli Stati Uniti. Nonostante la loro tossicità per i neuroni dopaminergici, questi pesticidi non hanno molte caratteristiche in comune. Infatti, presentano differenti modalità d’uso, sono strutturalmente distinti e non hanno una classificazione di tossicità precedente in comune. I ricercatori hanno anche testato la tossicità di diverse combinazioni di pesticidi comunemente utilizzati nei campi di cotone nello stesso periodo, utilizzando il database dei pesticidi della California. Tra queste combinazioni, quelle contenenti trifluralin, uno dei più comuni erbicidi utilizzati in California, hanno prodotto la maggiore tossicità. (Fonte: Natura comunicazions)
Dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del Lavoro
Nell’ambito dell’approfondimento del rischio chimico in agricoltura, tra i mezzi alternativi agli insetticidi, i ‘semiochimici’ (sostanze emesse da piante, animali e altri organismi), coinvolti nella comunicazione chimica tra organismi viventi, provocando una risposta comportamentale in individui della stessa o altra specie, offrono nuovi strumenti per il controllo integrato degli insetti.
Tra questi i feromoni prodotti dai lepidotteri (Straight-Chained Lepidopteran Pheromones), sebbene sostanze a basso impatto sulla salute umana e sull’ambiente, sono spesso classificati irritanti e/o sensibilizzanti cutanei. Il fact sheet rappresenta un utile compendio nella fase di formazione/informazione, prevista dal d.lgs. 81/2008 e s.m.i., evidenziando l’importanza del ricorso alle idonee misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori professionalmente esposti in tutte le fasi di utilizzo delle suddette sostanze.
Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza.
Il glifosato “provoca gravi lesioni oculari ed è tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”, ma non ci sono prove sufficienti per classificarlo come “tossico” per specifici “organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione”. È questo il parere della European Chemicals Agency (Echa), agenzia UE deputata alla sorveglianza delle sostanze chimiche, in merito al noto erbicida. Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza, i cui risultati complessivi saranno trasmessi alla Commissione europea e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) entro metà agosto.
A sua volta, “l’Efsa effettuerà la sua valutazione del rischio del glifosato, che dovrebbe essere pronta nel luglio 2023″, fa sapere l’Echa. Sulla base di questi dati, continua l’agenzia Ue, “la Commissione presenterà quindi agli Stati membri una nuova relazione e un progetto di regolamento sulla possibilità di rinnovare o meno l’approvazione del glifosato”. La nuova valutazione dell’Echa stride con quella dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc), che nel 2015 ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. La classificazione, spiega lo Iarc, “si basava su prove limitate di cancro negli esseri umani e prove sufficienti di cancro negli animali da esperimento”.
Si pensa che numerose sostanze chimiche siano ototossiche, inclusi il toluene, lo stirene, l’etilbenzene, il disolfuro di carbonio, il piombo, il mercurio e il monossido di carbonio. Diversi pesticidi sono sospettati di essere neurotossici per l’uomo, e possono quindi influenzare il sistema uditivo.
Studiosi del Dipartimento di Igiene del Lavoro dell’INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro di Monte Porzio Catone (Roma) e del Centro di Ricerca e Servizio per la Tutela della Salute e la Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona hanno analizzato i lavori scientifici sugli esseri umani e sperimentali sugli animali che hanno verificato l’ipotesi che l’esposizione ai pesticidi possa essere associata alla perdita dell’udito.
L’analisi si è concentrata sugli studi epidemiologici volti a valutare le associazioni fra ipoacusia ed esposizione ai pesticidi, e su studi relativi agli effetti dei pesticidi sul sistema uditivo negli animali di laboratorio. La ricerca nella letteratura del gruppo di scienziati ha prodotto circa settanta riferimenti, e gli antiparassitari sotto esame hanno incluso organofosfati (OP), piretroidi, composti dipiridilici ed esaclorobenzene (HCB).
I risultati di questa analisi sono stati pubblicati sulla rivista “NeuroToxicology” il mese scorso. Le conclusioni provenienti dagli studi sull’uomo suggeriscono che l’esposizione ai pesticidi neurotossici può indurre il danno al sistema uditivo centrale. Tuttavia, gli autori hanno verificato che nessuna conclusione significativa può essere tratta a causa di una serie di carenze in alcuni degli studi valutati, ad esempio la mancanza di informazioni dettagliate sul livello e la modalità dell’esposizione, e fattori di confusione, in particolare la contemporanea esposizione al rumore. Inoltre, non hanno trovato alcuna evidenza sul potenziamento delle menomazioni uditive indotte dal rumore.
Considerati i dati limitati, gli autori suggeriscono ulteriori indagini sull’ototossicità dei pesticidi. Tuttavia, come misura precauzionale, raccomandano di considerare i pesticidi come possibili agenti ototossici, soprattutto in popolazioni vulnerabili come le donne in gravidanza e i bambini all’inizio dello sviluppo.
Fonte: Gatto MP et al. “Effects of potential neurotoxic pesticides on hearing loss: a review”. Neurotoxicology 2014;42C:24-32.
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