dal bollettino dell’Ordine dei Medici Chirurghi di Milano.
Vaccinazione antinfluenzale: raccomandazioni per la stagione 2023-2024
Pubblicata la circolare del Ministero della Salute “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2023-2024”.
In considerazione della situazione epidemiologica relativa alla circolazione dei virus respiratori nella stagione 2022-2023, viene raccomandato di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre.
Per raggiungere le coperture vaccinali auspicate si raccomanda di aumentare il coinvolgimento dei MMG e dei PLS in collaborazione coi Medici specialisti ospedalieri e del territorio. Importante inoltre sensibilizzare sia i MMG che i ginecologi/ostetrici sull’importanza della vaccinazione antinfluenzale nelle donne in gravidanza, ricordando che l’OMS ritiene le gravide come il più importante dei gruppi a rischio per loro stesse e per il feto.
La circolare sottolinea anche l’importanza della vaccinazione per gli operatori sanitari, direttamente e indirettamente coinvolti nella cura e gestione del paziente, che sono a maggior rischio di acquisire l’infezione rispetto alla popolazione generale e che possono essere loro stessi fonte d’infezione.
Con l’aumento del numero dei contagi, molte aziende rischiano di ritrovarsi senza personale. Eppure, se il tipo di mansione da svolgere si può portare avanti anche da casa e se l’azienda autorizza lo smart working, il lavoratore asintomatico, se vuole, può benissimo continuare a lavorare. Il certificato di malattia, infatti, è rilasciato dal medico di medicina generale solo su richiesta del paziente. «Quella degli asintomatici è una questione astratta – premette Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) – Chi non ha sintomi, infatti, normalmente non si accorge di avere il covid. E, a meno che qualcuno per caso non gli faccia il test, non saprà mai di essersi contagiato». Se però la positività viene accertata, l’asintomatico potrebbe a questo punto continuare a lavorare da remoto. «Chi è positivo per covid deve stare a casa, come indica una circolare dell’Inps del 2020 – precisa Cricelli – ma nella questione lavorativa il medico non c’entra. Non è nostro compito accertare se una persona lavora o è disoccupata. Se io faccio il test anticovid sono obbligato dalla legge a registrare la positività. Da quel momento in poi i dati sono caricati sulla piattaforma nazionale. E il paziente positivo non può uscire da casa e quindi non può tornare al lavoro fino a quando il tampone non risulti negativo». Il vero dilemma, per i medici, è piuttosto che i positivi, che per esempio usano i test fai da te, vadano tranquillamente in giro e continuino a infettare altre persone. «Non dimentichiamo che gli asintomatici – mette in guardia Cricelli – trasmettono il covid esattamente come i sintomatici. E proprio per questo motivo stiamo osservando a un disastro dal punto di vista epidemico».
LE PREOCCUPAZIONI Il timore che la situazione degeneri è evidente. «Chi è asintomatico non può andare a lavorare, si rischia di contagiare gli altri – avverte Pina Onotri, segretario generale del Sindacato medici italiani (Smi) – La positività dura minimo 7 giorni e in alcuni casi anche 14. Mandare a lavorare un positivo, seppure senza sintomi, significa spargere l’infezione, vista la recrudescenza dei contagi». Però un’alternativa c’è. «Se un asintomatico vuole continuare a lavorare potrebbe evitare di chiedere il certificato di malattia e l’azienda potrebbe direttamente metterlo in smart working». La questione burocratica per i medici di medicina generale è ancora un tasto dolente. «In questo periodo ogni medico sta mettendo in quarantena almeno 30 persone al giorno – precisa Onotri – e con tutta la procedura burocratica che gira intorno ai certificati per malattia, isolamento e fine isolamento, noi facciamo aspettare pazienti che soffrono di altre patologie, per lo più croniche, e che necessitano di cure urgenti. E comunque noi siamo medici, non uffici amministrativi». Dopo due anni e mezzo, sembra di essere tornati al punto di partenza. «Il covid non è un’influenza e anche negli asintomatici non è prevedibile l’evoluzione – ribadisce Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Fimmg (la Federazione italiana medici di medicina generale) – Purtroppo ancora non è chiaro che, seppure nella grandissima dei casi il covid depone in modo benigno, la malattia parte sempre in maniera sommessa, ma poi l’evoluzione negativa si ha normalmente 7-8 giorni dopo. Quindi, bisogna monitorare il paziente positivo e gestirlo con le terapie adeguate, da subito. Se però una persona vuole lavorare nonostante sia positiva, non possiamo essere noi ad autorizzarla. Le incombenze legate alle problematiche lavorative esulano dalle competenze mediche»
La pandemia di Covid-19 in Italia cambia rotta ed inverte il proprio trend. Gli indicatori, infatti, tornano a salire: contagi e decessi. Questi ultimi – secondo l’Oms – nell’ultima settimana hanno addirittura fatto registrare un aumento del 17%. Fortunatamente, però, l’alto livello di copertura vaccinale della popolazione, riducendo significativamente i casi di malattia grave, sta impedendo un effetto di sovraccarico sugli ospedali.
Tuttavia l’aumento dei casi segnala che siamo dinanzi ad una nuova ‘ondata estiva’, sia pure sotto controllo, e rende evidente come la convivenza con il virus SarsCoV2 sia ormai diventata inevitabile.
A fotografare l’inversione di tendenza rispetto all’andamento epidemico dell’ultimo periodo è il nuovo monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe relativo alla settimana 8-14 giugno. In 7 giorni, infatti, si è registrato un netto rialzo dei contagi (+32,1%) e salgono anche i decessi (+6,1%). In lieve calo sono invece i ricoveri ordinari (-3,3%) e le terapie intensive scendono del 16,4%. Un netto aumento dei decessi è segnalato anche dall’Oms: a livello mondiale sono aumentati del 4% nella settimana tra il 6 e il 12 giugno, dopo 5 settimane di calo. Nella stessa settimana, segnala sempre l’Oms, i decessi in Italia sono stati 443, pari al +17% rispetto alla settimana precedente.
L’aumento di contagi riguarda quasi tutte le Regioni ed è, secondo Gimbe, «verosimilmente trainato dalla sotto-variante Omicron BA.5». Di parere diverso è però l’epidemiologo Cesare Cislaghi, il quale sottolinea che le Regioni «hanno avuto uno sviluppo epidemico sincrono. Questa è la ragione per cui – spiega – vi sono delle perplessità a credere che l’attuale crescita dei contagi sia per il momento esclusivamente frutto della presenza di una variante più contagiosa».
Se questa fosse la ragione della crescita dei contagi, chiarisce, «ci si sarebbe dovuto aspettare una differente e progressiva diffusione della nuova variante tra le Regioni e quindi una crescita asincrona dei casi. Forse la nuova variante sta già marginalmente provocando i suoi effetti, ma è più credibile pensare che la crescita sincrona regionale sia soprattutto dovuta ad un rallentamento delle misure precauzionali ed a una diminuita sensibilità verso i rischi di contagio».
Attualmente in 99 province si registra un incremento percentuale dei nuovi casi, con Cagliari che ha un’incidenza superiore ai 500 casi per 100mila abitanti. Inoltre, ancora 6,8 milioni di italiani non sono vaccinati e 5,4 milioni sono privi dello ‘scudò della terza dose.
Proprio questa impennata di contagi è il segnale, avverte il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che «siamo di fronte a una variante più diffusiva che però non sta creando problemi di peso negli ospedali. È un’ondata estiva che credo sarà anche autolimitante, già iniziata in altri Paesi Ue e ora pure in Italia ma che non va vista con paura».
Insomma lo scenario sta cambiando e si apre una stagione diversa, come evidenzia il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Lo stop all’obbligo delle mascherine tranne che sui trasporti e in ospedali e Rsa, afferma, «è un ulteriore passo che ci avvicina molto alla normalità: raggiungiamo l’obiettivo della convivenza con il virus, perchè il contagio ‘zerò è un obiettivo irraggiungibile», avverte. Dobbiamo cioè «convivere con il Covid e convivere significa permettere ai nostri ospedali di continuare nella attività ordinaria».
Intanto, il bollettino quotidiano del ministero della Salute segnala che sono 36.573 i nuovi contagi nelle ultime 24 ore (ieri 31.885). Le vittime sono 64, in aumento rispetto alle 48 di ieri. Sono stati eseguiti in tutto 194.676 tamponi con il tasso di positività al 18,7%, in aumento rispetto al 16,3% di ieri. Sul fronte degli ospedali, sono 192 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, 3 in più di ieri, ed i ricoverati nei reparti ordinari sono 4.303, ovvero 85 in più.
Aumentati i casi di Sara 2 -Cov in Portogallo: “Sorgono dei dubbi su quanto si è detto finora, a proposito del fatto che il virus si evolve verso un’attenuata patogenicità”
La sottovariante BA.5 è più trasmissibile rispetto alle altre sottovarianti di Omicron a causa di almeno due mutazioni che le permettono di legarsi alle cellule umane in modo più efficace. I dati sono online sulla piattaforma BiorXiv, che accoglie studi non ancora sottoposti alla revisione della comunità scientifica, e sono il risultato di una ricerca condotta in Giappone e coordinata da Izumi Kimur, dell’Univesità di Tokyo. “Questo spiegherebbe l’aumento dei casi in Portogallo – dice all’ANSA il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano – e indica che è davvero prematuro affermare che il virus SarsCoV2 si stia indebolendo”.
La sottovariante BA.5 è arrivata quasi contemporaneamente alla BA.4 e, secondo i dati più recenti dell’Agenzia britannica per la sicurezza sanitaria (UKHSA), relativi all’8 maggio scorso, allora in Portogallo rappresentava il 18,47% del virus SarsCoV2 in circolazione, contro le percentuali decisamente inferiori di altri Paesi europei, come Germania e Gran Bretagna (in entrambe pari all’1,28%) e poi Francia (0,88) e Danimarca (0,41%). I dati italiani dell’Istituto Superiore di Sanità indicavano che al 3 maggio la sottovariante BA.5 costituiva lo BA.5 0,4% del virus SarsCoV2 in circolazione nel Paese. Intorno al 20 maggio la circolazione della BA.5 in Portogallo era già aumentata al 37%.
Sono almeno tre, rileva Broccolo, i motivi che permettono di mettere in relazione la presenza della BA.5 con l’aumento dei casi in Portogallo. Il primo, osserva, consiste nel fatto che “le sottovarianti BA.4 e BA.5 sono molto simili fra loro perché hanno entrambe la mutazione L452R, che da sola è in grado di far cambiare moltissimo la struttura della proteina Spike, con la quale il virus aggancia le cellule umane”, osserva. “Non è una mutazione nuova – prosegue – perché il il virus l’aveva già selezionata nelle varianti Delta e Lambda” e la sua presenza “aumenterebbe il numero di riproduzione, ossia renderebbe le due sottovarianti più contagiose rispetto ad altre sottovarianti di Omicron, come BA.1 e BA.2″.
Il secondo elemento, prosegue il virologo, è fornito dai dati secondo i quali “le due sottovarianti sfuggirebbero di più agli anticorpi, sia a quelli generati dal vaccino sia a quelli generati dalle infezioni causate da BA.1, BA.2 e BA.2.12.1″. Il terzo elemento riguarda il fatto che, come la variante Delta, anche la BA.5 è sinciziogena, ossia le cellule polmonari infettate dal virus si fondono con quelle adiacenti sane non infettate. “Questa caratteristica – rileva – è stata dimostrata in vitro su colture cellulari ma sappiamo che c’è una correlazione tra il potere fusogenico di una variante osservata in vitro e il suo grado di patogenicità in vivo, come dimostrato anche dalla sua maggiore virulenza in esperimenti condotti su animali “.
Alla luce di questi elementi, secondo Broccolo “sorgono dei dubbi su quanto si è detto finora, a proposito del fatto che il virus si evolve verso un’attenuata patogenicità”. In passato, prosegue, “l’arrivo della variante Delta ha dimostrato che questa era più patogena rispetto al virus ancestrale, poi è arrivata la Omicron BA.1, che aveva una patogenicità inferiore a quella della Delta, e adesso stiamo vedendo che BA.4 e BS.5 sono più patogene rispetto a BA.2 e hanno recuperato due mutazioni della Delta: a fronte di queste osservazioni – aggiunge – dobbiamo dire che il virus SarsCoV2 non necessariamente si evolve per divenire un virus attenuato e non possiamo prevedere quando ciò accadrà”.
Raccomandazioni, comunicati e gli studi più rilevanti sulla terza e quarta dose di vaccino anti Covid.
#NOVITÁ (scorri sotto per leggere in dettaglio le notizie): • CDC rafforzano le raccomandazioni e amplia l’idoneità per le dosi di richiamo (19 mag) • WHO. Quarta dose e aggiornamento dei vaccini disponibili nel documento ad interim (17 mag) • FDA, dose di richiamo del vaccino Pfizer-BioNTech per bambini da 5 a 11 anni (17 mag) • Efficacia relativa di una dose di richiamo del vaccino a mRNA contro la variante Omicron (3 mag) • Vaccini booster e variante Omicron: una revisione sistematica (2 mag) • Quarta dose: l’approfondimento della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (30 aprile) • ECDC,quarta dose potrebbe evitare un’alta percentuale di decessi da qui a metà autunno nei più fragili (28 apr) • Riduzione di ricoveri e decessi dopo la quarta dose negli israeliani over 60 anni (25 apr) • Gravità di Omicron ed efficacia dei richiami contro la malattia sintomatica in Scozia (22 apr)
Il vaiolo delle scimmie è stato scoperto per la prima volta nel 1958 quando si sono verificati due focolai di una malattia simile al vaiolo in colonie di scimmie allevate per la ricerca, da cui il nome “vaiolo delle scimmie”. Il primo caso umano di vaiolo delle scimmie è stato registrato nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo.
Da allora il vaiolo delle scimmie è stato segnalato negli esseri umani in altri paesi dell’Africa centrale e occidentale. I casi che si sono verificati al di fuori del continente africano erano legati a viaggi internazionali o ad animali importati.
L’infezione non ha niente a che fare con il vaiolo umano, molto più grave, eradicato nel mondo nel 1980, ne condivide soltanto la «famiglia».
Dopo i casi segnalati, a partire dall’inizio di maggio in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato a monitorare la situazione in rapida evoluzione.
Come riporta l’ECDC il primo caso è stato segnalato dall’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) il 7 maggio e si ritiene che sia stato importato. La maggior parte dei casi riguarda giovani uomini che hanno rapporti sessuali con uomini (men who have sex with men – MSM), nessuno con una storia di viaggio recente in aree in cui la malattia è endemica.
Per seguire l’evoluzione della malattia è possibile seguire le news dell’ECDC con gli aggiornamenti epidemiologici, la pagina dell’OMS dedicata e i comunicati dell’Health Alert Network dei CDC.
La sindrome da post-COVID, nota come «long COVID» può avere un impatto fortemente negativo sui lavoratori e sui luoghi di lavoro. Difficoltà respiratorie, stanchezza, mal di testa nonché problemi di memoria e concentrazione sono sintomi che possono durare settimane o addirittura mesi. I datori di lavori si trovano in difficoltà quando lavoratori che ricoprono una posizione chiave non riescono a tornare pienamente operativi a causa di sintomi da long COVID e pertanto possono rivelarsi necessari adeguamenti delle modalità di lavoro.
Questo documento di riflessione illustra le difficoltà nella prevenzione e nella gestione della sicurezza sul lavoro e dei rischi per la salute connessi alla long COVID. Passa inoltre in rassegna possibili misure a livello di politiche, ricerca e attuazione volte a ridurre l’impatto della long COVID e a offrire protezione da eventuali pandemie in futuro.
In tempo di pandemia, i dispositivi di protezione individuale (Dpi), in particolare le mascherine, sono quanto mai essenziali per la sicurezza degli operatori sanitari. È stato però dimostrato che l’uso prolungato dei Dpi aumenta il rischio di dermatosi professionali. Tra le dermatiti professionali figurano la dermatite da contatto irritativa – a cui sono dovuti quattro casi su cinque – e la dermatite allergica da contatto.
Una revisione sistematica delle dermatosi professionali derivate dall’uso prolungato delle mascherine chirurgiche e dei respiratori FFP3 (N95) è stata recentemente pubblicata sul Journal of the American Academy of Dermatology a cura di un variegato team di studiosi di diversi ospedali e università statunitensi. «Abbiamo identificato – riassumono gli autori – 344 articoli, di cui 16 erano adatti per essere inclusi nella nostra revisione. Gli articoli selezionati erano incentrati sulle dermatosi professionali del viso negli operatori sanitari. È stata segnalata l’insorgenza di dermatite allergica in diversi soggetti, mentre la dermatite da contatto irritativa è risultata comune sulle guance e sul dorso del naso a causa della pressione e dell’attrito».
La dermatite da contatto irritativa, la forma più comune tra le malattie della pelle professionale, deriva da lesioni citotossiche dovute al contatto diretto con sostanze chimiche o irritanti fisici. Le manifestazioni si presentano clinicamente come eritema, desquamazione, edema e vescicole insieme a ulcerazioni e fessure nell’area di contatto. I sintomi riportati spesso includono dolore, pizzicore o bruciore più che prurito. I pazienti con una storia di dermatite atopica sono più suscettibili agli irritanti perché hanno difetti di barriera cutanea. I ricercatori americani hanno rilevato un’associazione della dermatite irritativa con un utilizzo prolungato della mascherina (più di sei ore).
Sono stati anche segnalati casi di eruzioni acneiformi dovute probabilmente a sfregamento o a occlusione (acne meccanica) in pazienti che in passato avevano già sofferto di acne. L’orticaria da contatto è stata piuttosto rara.
La dermatite da contatto allergica è invece una reazione di ipersensibilità di tipo IV ritardata che può svilupparsi in risposta agli allergeni nell’ambiente. In questo caso, i fattori di rischio sono i materiali di cui è composta la mascherina o che sono stati utilizzati per la sua realizzazione e sono ovviamente esacerbati dall’uso prolungato. La divulgazione incompleta e talvolta assente delle sostanze chimiche impiegate nella produzione dei Dpi rende difficile l’identificazione degli allergeni rilevanti. Gli autori hanno comunque identificato diverse fonti possibili di dermatite allergica, come i lacci elastici, la colla e la formaldeide rilasciata da questi dispositivi. Fili o cerchi metallici vengono utilizzati per modellare la mascherina sul viso; anche se è improbabile che questi fili siano a diretto contatto con la pelle, l’uso ripetuto o per lunghi periodi, lo sfregamento e la sudorazione possono provocare il rilascio e il trasferimento degli ioni metallici sulla pelle e scatenare reazioni allergiche in alcune persone predisposte.
Renato Torlaschi Giornalista Italian Dental Journal
La curva dei contagi da Covid in Italia è tornata a salire, ma l’aspetto che più preoccupa riguarda il rischio di reinfezione. Nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati è pari a 3,2%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,3%). Lo evidenzia il Report esteso dell’Istituto superiore di Sanità in cui si sottolinea che «l’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021 (data considerata di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron), evidenzia un aumento del rischio relativo aggiustato di reinfezione». Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, evidenzia all’Adnkronos Salute che «è molto probabile, parliamo di dati osservazionali che andranno confermati dall’Istituto superiore di sanità, che la protezione data dal vaccino possa scendere al 20% con Omicron 2, anche dopo la terza dose. Questo ci potrebbe anche spiegare il perché di tante reinfezioni che osserviamo, dopo il booster o anche dopo aver fatto la malattia».
La reinfezione si sta verificando, in particolare, nei soggetti con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di Covid-19 fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni; nelle femmine rispetto ai maschi (verosimilmente per la maggior presenza di donne in ambito scolastico dove viene effettuata una intensa attività di screening e per funzione di caregiver in ambito famigliare); nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. «Verosimilmente il maggior rischio di reinfezione nelle fasce di età più giovani è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d’età superiore ai 60 anni», scrive l’Iss nel suo rapporto. Anche più rischi tra gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione. In totale, riferisce l’Iss, dal 24 agosto 2021 al 16 marzo 2022 sono stati segnalati 264.634 casi di reinfezione, pari al 3% del totale dei casi notificati.
Secondo molti esperti, l’aumento è dovuto principalmente alla diffusione di sottovarianti della omicron di cui una, chiamata BA.2, molto contagiosa. «Ciascuna variante ha potenzialmente dentro di sé una capacità di infettare differente che può essere maggiore o minore – spiega sul ‘Corriere della Sera’ Mario Clerici, immunologo dell’Università Statale di Milano – Il punto è che ciascuna variante cerca di eludere gli anticorpi e molti si si stanno contagiando con Omicron pur essendo vaccinati, perché tutti i vaccini in uso si basano sul virus di Wuhan che circolava due anni fa in Cina». Un altro fattore che può influire sulle reinfezioni riguarda la quantità di anticorpi che le varianti riescono a far produrre alla persona che poi guarisce. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica CELL mostra che le reinfezioni di Omicron inducono una risposta anticorpale minore di un decimo rispetto a quanto faceva Delta e minore di un terzo di quanto faccia un booster di un vaccino. I ricercatori spiegano che questo significherebbe «una protezione ridotta contro la reinfezione o l’infezione da varianti future».
Chi si infetta con Omicron, quindi, è in genere meno protetto da futuri contagi. «Predire da questi dati che Omicron conferisca una protezione minore nei confronti di eventuali varianti e infezioni è difficile – osserva comunque Clerici – È impossibile dire come saranno le prossime varianti e sono numeri che derivano da studi in vitro poco applicabili alla realtà».
Parte al Centro cardiologico Monzino di Milano, con i primi tre pazienti, la sperimentazione sul cosiddetto futuro ‘vaccino’ anti-infarto, il farmaco Inclisiran, definito così dal padre della cardiologia moderna Eugene Brauwnwal. Lo studio coinvolgerà oltre 10 mila pazienti nel mondo, con l’obiettivo di dimostrare che il nuovo farmaco di Novartis (che non e’ propriamente un vaccino ma che e’ stato definito cosi’ per la sua capacita’ di ridurre fortemente un fattore di rischio strategico dell’infarto), che viene somministrato solo due volte l’anno, è in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari gravi, come infarto e ictus, dimezzando i livelli di colesterolo cattivo LDL-C. “È noto come l’LDL-C giochi un ruolo chiave nello sviluppo e la progressione delle malattie cardiovascolari e aterosclerotiche ed è dimostrato che, abbassandone i livelli nel sangue, si ottiene una riduzione della loro incidenza e della mortalità”, spiega Piergiuseppe Agostoni, direttore del Dipartimento di Cardiologia Critica e Riabilitativa Monzino.
“Un effetto che è ancora più importante nei soggetti più a rischio, come chi ha già sperimentato nella sua storia un evento cardiovascolare (infarto e ictus). Sono proprio questi i pazienti su cui si focalizza questo studio – aggiunge – ad oggi infatti, pur avendo a disposizione un’ampia gamma di farmaci anticolesterolo, tra cui le note statine, i target di LDL-C desiderabili per ridurre il rischio di recidive sono spesso difficili da ottenere”. “Inclirisan – afferma – è il primo farmaco di una nuova classe che, in studi clinici precedenti, ha già dimostrato di poter abbassare del 50% i livelli di LDL-C sia in pazienti con malattia cerebrovascolare (Cevd) che in pazienti con malattia polivascolare (Pvd)
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