Monthly Archives: Aprile 2022

AMIANTO ZERO IN EMILIA ROMAGNA

Prevenzione e sicurezza nella giornata della memoria delle vittime del lavoro e dell’amianto, una campagna di comunicazione della Regione Emilia-Romagna per rilanciare il Piano regionale ‘Amianto zero’, in occasione della ricorrenza del 28 aprile. Sul sito web dedicato sono disponibili tutte le informazioni sul Piano, le Faq e specifici contenuti per categorie (cittadini, lavoratori, datori di lavoro, aziende addette alla bonifica e smaltimento, proprietari di immobili aperti al pubblico e amministratori di condominio), un video istituzionale di lancio e altre pillole video dedicate alla microraccolta. Della campagna, inoltre, fanno parte una locandina, una brochure informativa sugli ambulatori per i lavoratori ex esposti operativi presso tutte le Aziende Usl e una serie di banner per la comunicazione sui social.

Siamo da sempre impegnati per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori – sottolineano l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, e l’assessora all’Ambiente, Irene Priolo -, impegnati a garantire il massimo sostegno a quanti stanno affrontando la malattia. Ma questo non basta, perché dobbiamo davvero eliminare le fonti di potenziale pericolo. E su questo stiamo lavorando, con determinazione per unire la tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro». «Nel prossimo futuro – concludono gli assessori – metteremo a disposizione anche delle risorse per supportare i privati che devono procedere con operazioni di bonifica, per estendere ancora di più la portata dell’azione di prevenzione regionale». «Grazie alle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione 2014-2020 ‘Piano operativo Ambiente’ – spiega la nota della Regione – l’Emilia-Romagna ha finanziato con un bando nel 2020 99 interventi per la rimozione e lo smaltimento dell’amianto su edifici pubblici per 8.620.433,64 euro. Complessivamente, dai dati forniti nelle candidature degli interventi dai soggetti attuatori, sono e saranno rimossi 93.250,58 mq. In particolare, gli interventi hanno riguardato 77 edifici scolastici e 22 edifici ospedalieri in tutto il territorio regionale».

Cosa fa la Regione per gli ex esposti all’amianto – «Assistenza informativa e sanitaria per i lavoratori ex esposti all’amianto. È il programma messo a punto dalla Regione Emilia-Romagna, secondo il protocollo stabilito dalla Dgr n. 1410/2018, presso gli ambulatori di Medicina del Lavoro dei Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL della regione. Le patologie amianto-correlate, infatti, sono caratterizzate da lunghi periodi di latenza, ovvero fra l’esposizione lavorativa e il loro sviluppo possono trascorrere molti anni. Il programma di assistenza consiste in una visita specialistica presso gli ambulatori di Medicina del Lavoro delle Aziende Usl per definire il livello di esposizione pregressa ad amianto e avviare un adeguato percorso di sorveglianza sanitaria, condiviso su base regionale, con accesso facilitato ad eventuali accertamenti diagnostici e controlli periodici». «Inoltre – prosegue la nota – vengono fornite informazioni sui rischi per la salute derivanti dall’esposizione ad amianto e sull’importanza di adottare stili di vita salutari per prevenire complicanze, oltre che sugli aspetti assicurativi e previdenziali. Al programma possono accedere tutti i lavoratori ex esposti ad amianto residenti in Emilia-Romagna, dipendenti o autonomi, pensionati o occupati in altre attività o in condizione di disoccupazione, sani o già affetti da patologie amianto-correlate, fino a 30 anni dalla cessazione dell’esposizione lavorativa ad amianto. Possono accedere, inoltre, i lavoratori non residenti in Emilia-Romagna, ma che qui hanno svolto la principale attività professionale che li ha esposti ad amianto solo per la definizione del livello di esposizione. L’interessato si deve rivolgere direttamente all’ambulatorio di Medicina del Lavoro presso i Dipartimenti di Sanità Pubblica

dell’Azienda Usl in cui risiede o in cui è avvenuta la principale esposizione lavorativa. Non è necessaria l’impegnativa del medico curante. La visita e gli eventuali accertamenti diagnostici che verranno prescritti sono totalmente gratuiti».

I casi di mesotelioma in Emilia-Romagna – «Dal 1993 la Regione Emilia-Romagna si è dotata del Registro Mesoteliomi (ReM), che rileva tutti i nuovi casi di mesotelioma insorti dal 1996 nei cittadini residenti in regione al momento della diagnosi, lo studio dell’incidenza e delle cause di questa patologia. Al 31 dicembre 2021 sono stati registrati 3.186 casi di mesotelioma maligno: 2.298 casi riguardano uomini e 888 donne. I casi sono passati da 73 del 1996 a 160 del 2016. Negli anni successivi è stato registrato un lento ma costante calo sino a raggiungere i 144 casi nel 2019, ultimo anno ad incidenza completa. Il rapporto di genere (casi di genere maschile per ogni caso di genere femminile) è pari a 2,6, a conferma delle maggiori occasioni di esposizione degli uomini all’amianto anche nella nostra regione. L’esposizione ad amianto riconosciuta negli uomini è pari al 86,8%, mentre nelle donne è stata rilevata nel 60,9% dei casi. Inoltre, secondo i dati Inail al 30 aprile 2021, i casi di mesotelioma di origine professionale denunciati in Italia nel corso del 2020 sono stati 477. Di questi, 384 sono stati riconosciuti e indennizzati dall’Inail come di origine professionale».

La micro-raccolta – «Le attività di microraccolta riguardano esclusivamente i privati cittadini circa la rimozione di piccoli manufatti contenenti amianto in matrice compatta presenti nelle relative abitazioni e/o pertinenze, in base a precisi limiti quantitativi, nel rispetto delle norme di natura sanitaria e ambientale a tutela della salute del cittadino e dell’ambiente. Le tipologie di manufatto possono essere: pannelli, lastre piane e/o ondulate per un massimo di 24 mq e 360 kg, serbatoi, cisterne per acqua per un massimo di 2 e fino a 500 litri, canne fumarie 3 mt lineari, altre tubazioni per un massimo di 3 mt lineari, casette o cucce per animali per un massimo di n. 2 e altri manufatti (vasi, fioriere). Il costo per il servizio della microraccolta è “socializzato”, ovvero coperto dalla tariffa del servizio. In Emilia-Romagna nel 2020 sono stati raccolti attraverso il servizio di micro-raccolta oltre 630 mila kg di MCA (materiali contenenti amianto) compatto. Rispetto al 2019 (quasi 988 mila kg raccolti a consuntivo) la micro-raccolta è diminuita del 36% a causa della sospensione del servizio che alcuni gestori hanno attuato nel periodo di lockdown. Attualmente la micro-raccolta è presente nel 40% circa dei Comuni emiliano-romagnoli e ne è prevista la progressiva implementazione su tutto il territorio».

La mappatura – «Il primo Piano amianto della Regione Emilia-Romagna (“Piano Regionale di Protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto”) è del 1996. Sono stati così censiti – aggiunge la nota – 31.321 edifici di cui 1.889 con Mca (materiali contenenti amianto) friabile e 30.023 aziende di cui 2.540 con Mca friabile.

Tutti i siti mappati risultano bonificati con rimozione completa. Inoltre, nel luglio 2004 la Regione Emilia-Romagna ha approvato il progetto “Mappatura delle zone del territorio regionale interessate dalla presenza di amianto”. Nel progetto sono stati prescelti gli edifici pubblici o privati aperti al pubblico, per tutelare la salute sia della popolazione professionalmente esposta, sia della popolazione generale, tendendo a eliminare totalmente l’esposizione alle fibre di amianto o, quanto meno, a ridurla ai livelli minimi possibili. La mappatura viene aggiornata periodicamente sulla base dei piani di controllo attuati dalle Aziende USL e l’attività di bonifica per rimozione completa del materiale contenente amianto, al 31 dicembre 2020, ha riguardato 965 siti, pari all’80% circa, su un totale di 1.198 comunicati dai proprietari e mappati inizialmente. Inoltre, 37 siti, riportati ancora in elenco, non vengono più utilizzati o sono adibiti ad un uso non aperto al pubblico, diverso da quello indicato nella mappatura iniziale. L’elenco comprende anche 19 “siti estrattivi con presenza naturale di amianto” di cui attualmente risultano attivi solo due. I 233 siti rimasti in mappatura comprendono anche quelli in cui sono stati già effettuati interventi di parziale rimozione o incapsulamento o confinamento. Per quanto riguarda in particolare le scuole, ad oggi delle 431 inizialmente mappate ne rimangono 35 (percentuale di rimozione pari al 92%) in cui sono stati effettuati interventi di parziale rimozione e/o di bonifica tramite confinamento o incapsulamento dei materiali e quelli attualmente rimasti sono situati in locali tecnici, il cui accesso è riservato al personale dedicato alla gestione degli impianti».

I controlli nei cantieri – «Tra il 2016 e il 2019 – scrive la Regione – sono stati mediamente ispezionati 1.259,5 cantieri (23,2% sul totale dei cantieri oggetto di vigilanza), con 1,2 sopralluoghi per cantiere. Nel 2020 sono stati ispezionati 939 cantieri (26,4% sul totale). Il calo si deve al rallentamento delle attività ispettive dei Servizi Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dei Dipartimenti di Sanità Pubblica a causa della pandemia di Covid-19. Si sottolinea comunque, per il 2020, l’incremento della percentuale dei cantieri amianto controllati sul totale dei cantieri ispezionati, a indicare come l’amianto rappresenti una priorità nelle attività degli organi di vigilanza. Nel 2021, invece, sono stati ispezionati 1.177 cantieri (23,9% sul totale), con un incremento che avvicina il numero di ispezioni a quello medio degli anni pre-covid. Si stima, inoltre, che nel periodo 2017-2021, sulla base dei Piani di Lavoro pervenuti alle Aziende Usl, siano state rimosse in Emilia-Romagna 157.912 tonnellate di amianto compatto e circa 1.469 tonnellate di amianto friabile, conferite in parte in discariche regionali e in parte in discariche situate fuori regione. Nel periodo 2011-2016 le quantità rimosse erano rispettivamente 287.390 tonnellate di compatto e 1.516 tonnellate di friabile». da il Piacenza it

ALLEGATO 3 B AGGIORNAMENTI

L’Inail, con avviso del 26 aprile 2022, in riferimento alle problematiche relative alla trasmissione delle informazioni sui dati collettivi aggregati e sanitari di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria nell’anno 2021, prevista per il 31 marzo e prorogata al 31 luglio 2022 con nota del Ministero della salute n. 636/2022, ha comunicato che è disponibile l’aggiornamento della funzionalità “Rinnova associazioni” della piattaforma informatica “Comunicazione medico competente”. Tale funzionalità consente ai medici competenti l’associazione delle informazioni relative alle aziende o alle singole unità produttive precedentemente inserite.

In particolare, selezionando dal menu dell’applicativo la funzione “Associa Unità Produttive”, il medico competente ha a disposizione le unità produttive inerenti alle precedenti comunicazioni inviate sia nel 2020 che nel 2021.

DERMATITE DA MASCHERINE NEGLI OPERATORI SANITARI

Da DentalAcademy.it

In tempo di pandemia, i dispositivi di protezione individuale (Dpi), in particolare le mascherine, sono quanto mai essenziali per la sicurezza degli operatori sanitari. È stato però dimostrato che l’uso prolungato dei Dpi aumenta il rischio di dermatosi professionali. Tra le dermatiti professionali figurano la dermatite da contatto irritativa – a cui sono dovuti quattro casi su cinque – e la dermatite allergica da contatto.

Una revisione sistematica delle dermatosi professionali derivate dall’uso prolungato delle mascherine chirurgiche e dei respiratori FFP3 (N95) è stata recentemente pubblicata sul Journal of the American Academy of Dermatology a cura di un variegato team di studiosi di diversi ospedali e università statunitensi. «Abbiamo identificato – riassumono gli autori – 344 articoli, di cui 16 erano adatti per essere inclusi nella nostra revisione. Gli articoli selezionati erano incentrati sulle dermatosi professionali del viso negli operatori sanitari. È stata segnalata l’insorgenza di dermatite allergica in diversi soggetti, mentre la dermatite da contatto irritativa è risultata comune sulle guance e sul dorso del naso a causa della pressione e dell’attrito».

La dermatite da contatto irritativa, la forma più comune tra le malattie della pelle professionale, deriva da lesioni citotossiche dovute al contatto diretto con sostanze chimiche o irritanti fisici. Le manifestazioni si presentano clinicamente come eritema, desquamazione, edema e vescicole insieme a ulcerazioni e fessure nell’area di contatto. I sintomi riportati spesso includono dolore, pizzicore o bruciore più che prurito. I pazienti con una storia di dermatite atopica sono più suscettibili agli irritanti perché hanno difetti di barriera cutanea. I ricercatori americani hanno rilevato un’associazione della dermatite irritativa con un utilizzo prolungato della mascherina (più di sei ore).

Sono stati anche segnalati casi di eruzioni acneiformi dovute probabilmente a sfregamento o a occlusione (acne meccanica) in pazienti che in passato avevano già sofferto di acne. L’orticaria da contatto è stata piuttosto rara.

La dermatite da contatto allergica è invece una reazione di ipersensibilità di tipo IV ritardata che può svilupparsi in risposta agli allergeni nell’ambiente. In questo caso, i fattori di rischio sono i materiali di cui è composta la mascherina o che sono stati utilizzati per la sua realizzazione e sono ovviamente esacerbati dall’uso prolungato. La divulgazione incompleta e talvolta assente delle sostanze chimiche impiegate nella produzione dei Dpi rende difficile l’identificazione degli allergeni rilevanti. Gli autori hanno comunque identificato diverse fonti possibili di dermatite allergica, come i lacci elastici, la colla e la formaldeide rilasciata da questi dispositivi. Fili o cerchi metallici vengono utilizzati per modellare la mascherina sul viso; anche se è improbabile che questi fili siano a diretto contatto con la pelle, l’uso ripetuto o per lunghi periodi, lo sfregamento e la sudorazione possono provocare il rilascio e il trasferimento degli ioni metallici sulla pelle e scatenare reazioni allergiche in alcune persone predisposte.

Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal

1. Yu J, Chen JK, Mowad CM et al. Occupational dermatitis to facial personal protective equipment in health care workers: a systematic review. J Am Acad Dermatol. 2021 Feb;84(2):486-494.

RISCHIO CHIMICO IN AGRICOLTURA: LA VALUTAZIONE DI INSETTICIDI E FUNGHICIDI SULLE FOGLIE.

da inail.it

Il Quaderno si inserisce nel filone di ricerca sulla valutazione del rischio chimico nei lavoratori del comparto agricolo e presenta un approccio completamente nuovo per la valutazione dell’esposizione.

A questo scopo è stato sviluppato un metodo quantitativo per l’analisi diretta di alcuni comuni pesticidi sulle foglie di due colture estremamente diffuse in Italia: l’olivo e la vite. L’obiettivo del progetto era quello di ottenere un metodo di analisi molto veloce ed affidabile per valutare l’effettiva esposizione dei lavoratori agricoli durante le operazioni di rientro in campo. L’uso di una innovativa interfaccia per spettrometria di massa, la desorption electrospray ionization interface, ha permesso di raggiungere tale obiettivo fornendo i valori di concentrazione dei residui dei pesticidi semplicemente scansionando la superficie della foglia. Tali valori sono direttamente correlabili, tramite un’equazione, all’esposizione dermica potenziale e quindi possono fornire una stima molto accurata della quantità potenzialmente assorbibile dal lavoratore. Il metodo sviluppato è risultato quindi essere sensibile e accurato ma anche molto rapido essendo privo di pretrattamento (scarsa manipolazione del campione da parte dell’analista); inoltre, la quantità di solventi usata in tutto il processo risulta decisamente esigua (nell’ordine di pochi millilitri). Tutti questi aspetti hanno contribuito a rendere il metodo anche ecologico e a basso rischio di esposizione per coloro che devono effettuare i controlli.




Prodotto: Volume – Collana Quaderni di ricerca
Edizioni: Inail – marzo 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Informazioni e richieste: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

FTALATI E INFERTILITÀ

da Inail.it

Gli ftalati sono un gruppo di molecole (esteri dell’acido ftalico) utilizzate in numerose produzioni, dai materiali per costruzione a contenitori per alimenti e pellicole, dispositivi medici e cosmetici. Alcuni ftalati hanno mostrato tossicità per l’uomo, in particolare agendo come interferenti endocrini. Attualmente il Reg. CE 1907/2006 REACH ha inserito in regime di autorizzazione 11 ftalati identificati come reprotossici. L’esposizione professionale a ftalati si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti e/o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali, ma anche in ambiti non industriali, come ad esempio nell’estetica, in quanto contenuti negli smalti per le unghie. La ricerca sull’esposizione professionale a sostanze con queste caratteristiche di pericolosità riveste sempre maggiore importanza ed ha condotto il Parlamento Europeo a proporre un aggiornamento della direttiva 2004/37/CE, dedicata alla protezione dei lavoratori da agenti cancerogeni e mutageni, con l’inserimento anche delle sostanze reprotossiche tra le sostanze di maggiore preoccupazione e che richiedono quindi una gestione specifica di prevenzione del rischio occupazionale.

L’azione dello stress ossidativo. Lo stress ossidativo riflette un disturbo nell’equilibrio tra la produzione e accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I ROS vengono spazzati via dal sistema antiossidante, ma quando sono in concentrazione eccessiva, possono ossidare proteine, lipidi e DNA. L’esposizione ad agenti chimici pericolosi può produrre stress ossidativo. I prodotti di ossidazione che vengono escreti nelle urine sono considerati indicatori di effetto, ed evidenziano la presenza di sintomi precoci o situazioni disfunzionali reversibili che possono essere sfruttati per la prevenzione delle malattie professionali.

La ricerca dei laboratori Inail. Da diversi anni i laboratori Inail Dipartimento Medicina del Lavoro sono impegnati nella ricerca sull’esposizione a ftalati e sull’uso di indicatori di stress ossidativo come indicatori di effetti legati all’esposizione ad agenti chimici. Uno studio effettuato dai laboratori Rischio agenti chimici e sorveglianza sanitaria e promozione della salute in collaborazione con l’IRCCS San Raffaele di Milano su 52 uomini e 60 donne sottoposti ad un trattamento assistito della riproduzione ha confermato che i livelli urinari di biomarcatori dello stress ossidativo sono direttamente correlati con i metaboliti di alcuni ftalati urinari in entrambi i sessi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Toxics. E’ possibile consultare l’articolo utilizzando il link sotto indicato.

FOCUS SUL LAVORO AGILE E POSTURE

In una situazione ancora legata alle necessità del contenimento del virus SARS-CoV-2 può apparire difficile operare un’adeguata analisi dei rischi delle tante attività che sono state provvisoriamente organizzate a distanza ( lavoro agile/smart working o telelavoro).

Tuttavia è indubbio che questa nuova organizzazione di lavoro sia destinata ad avere un impatto permanente sul mondo del lavoro e necessiti uno sviluppo di idonee strategie di prevenzione che tengano conto di questa futura evoluzione.

Smart working: ergonomia e disturbi muscoloscheletrici

Parlando di rischi nelle attività svolte in smart working, si ricorda innanzitutto che queste attività sono soggette a criticità ergonomiche e all’eventuale insorgenza di disturbi muscoloscheletrici (DMS).

A questo proposito si ricorda che tra le più frequenti patologie collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa figurano “quelle inerenti all’apparato muscoloscheletrico” che si traducono spesso in “costi gravanti sui datori di lavoro, motivo per il quale una loro risoluzione o miglioramento giova sia alla salute dei lavoratori sia ai bilanci delle imprese”.

Generalmente i disturbi muscoloscheletrici “interessano la schiena, il collo, le spalle e gli arti superiori, ma possono anche colpire gli arti inferiori. Riguardano dolori o danni ad articolazioni e tessuti e coprono un’ampia gamma di disturbi. A seconda del livello di serietà, possono portare all’impossibilità a recarsi sul luogo di lavoro e necessitare di cure mediche. Nei casi cronici più gravi, possono addirittura portare alla disabilità e all’abbandono forzato del posto di lavoro”.

Queste patologie possono essere causate da una combinazione di elementi e tra quelli inerenti all’attività lavorativa e al suo svolgimento “ricadono in generale i seguenti:

  • l’assunzione di posture scorrette o statiche; ritmi intensi di lavoro;
  • il mantenimento prolungato della stessa posizione in piedi o seduta;
  • la movimentazione di carichi, specialmente quando si ruota o si piega la schiena; movimenti ripetitivi o che richiedono uno sforzo
  • vibrazioni, scarsa illuminazione o lavoro in ambienti freddi”.

Tuttavia sono i primi tre elementi che “hanno la possibilità di manifestarsi anche in modalità smart working, mentre gli altri rischi sono pertinenti maggiormente per i lavoratori in solitudine che spesso si trovano ad operare in ambienti con caratteristiche non favorevoli che aggravano la gravità del rischio”.

Smart working: posture scorrette e utilizzo delle attrezzature

Riguardo alle mansioni svolte in modalità smart working si chiarisce che “non sono gli strumenti informatici (computer, cellulare ecc.) a causare eventuali dolori, ma le posture scorrette con cui li si utilizza mantenute a lungo”.

Ad esempio – continua il documento – “l’assunzione di posizioni di lavoro scorrette, come il mantenimento del computer appoggiato sulle ginocchia, l’utilizzo di sedie non ergonomiche o addirittura del proprio divano in una postazione domestica, può generare con il passare del tempo severi danni all’apparato muscoloscheletrico.

Anche l’utilizzo dello smartphone in maniera non ottimale può generare conseguenze importanti, soprattutto nei casi in cui per digitare lo schermo vengono utilizzati prevalentemente i pollici impugnando lo strumento con entrambe le mani. Protraendo infatti nel tempo uno stesso movimento c’è il rischio di sovraccaricare alcuni tendini della mano. Il caso più tipico è quello della tenosinovite stenosante, più comunemente nota come ‘dito a scatto’”, una disfunzione dal decorso lento che “parte da un lieve dolore (che sovente colpisce il pollice, da cui il fenomeno del ‘pollice da smartphone’) fino talvolta a degenerare fino al blocco permanente del dito”.

L’utilizzo prolungato e in posizione scorretta di strumenti informatici (computer, cellulare, ecc.) “può generare ulteriori problemi”.

Ad esempio si indica che negli ultimi anni “si sono riscontrati notevoli miglioramenti della definizione fornita dagli schermi delle apparecchiature digitali, i quali pur portando notevoli benefici hanno tuttavia indotto gli utilizzatori a mantenere una prolungata esposizione per il proprio apparato visivo e posizioni sicuramente meno ergonomiche definite ‘a tartaruga’ cioè con la testa sporgente verso lo schermo con le evidenti conseguenze per il rachide a lungo termine”.

Inoltre le apparecchiature digitali, a seguito di una prolungata attività di digitalizzazione, “possono far emergere condizioni come la sindrome del tunnel carpale” che è dovuta alla “compressione del nervo mediano al suo passaggio all’interno del tunnel carpale, un canale delimitato dalle ossa del polso e da tessuto connettivale. La sofferenza del nervo si manifesta con dolore, formicolii e alterazioni della sensibilità delle dita, spesso di notte o al risveglio. Se trascurata, potrebbe portare alla difficoltà di esecuzione anche di semplici movimenti”.

Smart working ed ergonomia: formazione e azioni di prevenzione

Il documento indica poi che per migliorare la prevenzione di questi problemi va dedicata massima importanza sia ai percorsi di informazione/formazione (quale “strumento per evidenziare i comportamenti e le posture corrette per i lavoratori”), sia alle “necessarie azioni di prevenzione che dovrebbero includere modifiche riguardanti:

  • gli spazi di lavoro, adeguandoli al fine di migliorare le posture lavorative;
  • le attrezzature, assicurando che siano ergonomiche e adatte ai compiti da svolgere;
  • un miglioramento della consapevolezza dei rischi, impartendo come già anticipato una formazione su buoni metodi di lavoro;
  • i compiti specifici dei lavoratori agili, cambiando metodi o strumenti di lavoro;
  • la gestione, invitando ad una pianificazione del lavoro in modo tale da evitare mansioni ripetitive o prolungate con posture scorrette, programmando pause, o pensando ad una eventuale rotazione delle funzioni fino ad una possibile riassegnazione del lavoro;
  • i fattori organizzativi, sviluppando una politica in materia di tutela dell’apparato muscoloscheletrico.

Infine si segnala che dal punto di vista ergonomico è importante ricordare sempre “quanto sia opportuno eseguire alcuni esercizi durante le pause”. Infatti come ormai dimostrato da tempo gli esercizi di ginnastica e di stretching consentono di “migliorare nettamente lo stato di salute”.

da unione artigiani province di milano : https://unioneartigiani.it/i-rischi-ergonomici-nel-lavoro-agile-posture-attrezzature-e-prevenzione/

SINTOMI DA BURN OUT NEL 70% DEI MEDICI LOMBARDI

da repubblica.

Indagine dell’Università Bicocca e di Anaao-Assomed: l’87,4% vede nella pandemia e nell’avvento della quarta ondata pandemica effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo.

Sono in prima linea da due anni, per curare e aiutare i loro pazienti non soltanto per malanni e problemi ordinari, ma anche per tutto quello che è connesso alla pandemia da Covid. E così anche loro, i medici, si sono ammalati. Ansia, depressione, stress: la pandemia ha influenzato lo stato psicologico del personale medico, e a dirlo questa volta è una indagine condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia. Un fenomeno, quello del burnout – recentemente riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come una sindrome in grado di influenzare lo stato di salute – che nei medici lombardi, una tra le categorie occupazionali maggiormente soggette a stress lavorativi cronici, è stato rilevato in misura significativa. A risentirne non è solamente lo stato di salute dei soggetti coinvolti nella ricerca, bensì anche le prestazioni lavorative, le quali risultano essere nient’altro che “camera dell’eco” del malessere psicofisico indagato.

LE SOSTANZE PERICOLOSE CHE POSSIAMO BERE DALLE BOTTIGLIE DI PET

da ilfattoquotidiano

Tra le varie tipologie di plastiche usate nella nostra quotidianità, quella impiegata per fabbricare bottiglie per acqua minerale, bevande analcoliche, succhi di frutta e latte – il polietilene tereftalato o PET – è da sempre considerata la più nobile. L’elevata trasparenza, la facilità di lavorazione nei cicli industriali, unite alla sua economicità, l’hanno reso il terzo tipo di polimero più impiegato al mondo per gli imballaggi monouso.

Eppure anche il PET, come tutte le altre plastiche, può essere fonte di sostanze chimiche pericolose per la salute umana che dalla bottiglia possono finire nel liquido alimentare che beviamo. Lo ha messo in evidenza, in uno studio pubblicato nelle scorse settimane sul Journal of Hazordous Materials, un gruppo di ricercatrici e ricercatori inglesi, statunitensi e italiani.

Passando in rassegna la letteratura scientifica specializzata, gli esperti hanno evidenziato che centocinquanta sostanze possono essere rilasciate dal contenitore nelle bevande. E, in diciotto casi, per alcune di esse sono stati rilevati livelli di contaminazione che eccedevano le soglie di sicurezza per la salute umana fissate a livello europeo.

Ci sono numerose variabili che aumentano il rischio di contaminazione: le condizioni di conservazione, l’esposizione alle alte temperature e alla luce solare (e ai raggi UV), il ricorso a bottiglie piccole e meno spesse. Anche la lodevole azione di riempire più volte la stessa bottiglia, che molti di noi possono aver fatto per ridurre lo spreco di plastica, può rivelarsi una scelta non sempre sicura.

Tra le sostanze indesiderate compaiono aldeide e formaldeide, entrambe secondo la IARC (l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Cancro) correlate ad alcune forme di tumore. A cui si aggiungono alcuni interferenti endocrini, la cui presenza è accidentale visto che non vengono impiegati nel processo di fabbricazione del PET. Tra questi i più tristemente famosi sono gli ftalati e il bisfenolo A, che causano serie conseguenze sul metabolismo, la fertilità, lo sviluppo sessuale e cerebrale. Anche l’antimonio, un metallo utilizzato nella produzione della plastica per le bottiglie e collegato a diverse patologie per l’essere umano, può essere ceduto dal contenitore alla bevanda. E, come evidenziano alcuni studi, i livelli di contaminazione di questo metallo possono essere maggiori in presenza di materiale riciclato: una soluzione a cui bisognerà ricorrere sempre di più nei prossimi anni in base a quanto stabilito nella direttiva europea SUP.

Per ridurre i rischi, gli studiosi raccomandano di intervenire sul design, prestando particolare attenzione a etichette e inchiostri, che sono spesso fonte di sostanze chimiche; accertarsi che le condizioni di conservazione siano ottimali; introdurre sistemi di “super pulizia” per la plastica proveniente dal riciclo. Bisognerebbe infine adottare sistemi di raccolta specifici per queste tipologie di contenitori, come i sistemi di deposito cauzionale adottati già da diversi anni in molte nazioni europee. Un sistema che dovrebbe vedere la luce anche in Italia, dando seguito a un emendamento approvato nel Decreto Semplificazioni e che ancora non è stato tradotto in realtà dai ministeri competenti.

È tuttavia evidente che per ridurre al minimo il rischio derivante da questa roulette chimica possiamo sempre scegliere di bere l’acqua di rubinetto: un’alternativa alla portata di tutti e quasi ovunque sicura nel nostro Paese.

IL CONTRIBUTO DEI LAVORATORI ALLA PREVENZIONE DEI DMS

da eu-osha

La partecipazione attiva dei lavoratori è fondamentale per individuare e risolvere i rischi dei disturbi muscolo-scheletrici (DMS).Il seguente articolo dell’EU-OSHA dà un’idea di come i lavoratori possono contribuire e propone alcuni esempi di partecipazione dei lavoratori finalizzati alla prevenzione dei DMS. Sono indicato i fattori di successo e i principi guida della partecipazione . Vi sono inoltre indicazioni e consigli di buone pratiche per le piccole imprese.

Dieci studi di casi approfonditi evidenziano una partecipazione efficace in vari settori. Esempi ne sono la partecipazione dei lavoratori alla concezione di una falegnameria sicura ed ergonomica e la formazione di personale alberghiero come coordinatori della prevenzione.

Qui l’articolo e la sintesi de La partecipazione dei lavoratori alla prevenzione dei rischi muscolo-scheletrici sul lavoro e 10 studi di casi

Maggiori informazioni: Spunti di conversazione per le discussioni sul luogo di lavoro sui disturbi muscolo-scheletrici. Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Scheda informativa: Mappatura del corpo e dei pericoli

Articolo OSHwiki: Realizzare un’ergonomia partecipativa

CORSO INAIL: MONITORAGGIO BIOLOGICO PER ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI

Il corso vuole rispondere all’esigenza di aggiornamento e supporto di datori di lavoro e aziende sanitarie in materia di sviluppo e validazione di metodi per il monitoraggio biologico dell’esposizione ad agenti di rischio, acquisizione di dati biologici correlabili con dati ambientali, epidemiologici e clinici, individuazione di valori di riferimento per l’esposizione occupazionale.

Il monitoraggio biologico (MB) è lo strumento d’elezione per conoscere realmente le dosi di sostanze pericolose a cui un lavoratore è stato esposto, soprattutto nel caso di sostanze assorbibili attraverso la pelle, in caso di uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, per valutare esposizioni pregresse in caso di incidente, per il registro dell’esposizione a cancerogeni. Per questo è utilizzato da molti datori di lavoro e aziende sanitarie, pur se in carenza di indicazioni normative.
Il Laboratorio rischio agenti chimici ha nei suoi obiettivi istituzionali lo sviluppo e validazione di metodi per il monitoraggio biologico dell’esposizione ad agenti di rischio, l’acquisizione di dati biologici correlabili con dati ambientali, epidemiologici e clinici, e l’individuazione di valori di riferimento per l’esposizione occupazionale. La diffusione di queste informazioni risponde all’esigenza di aggiornamento e supporto di datori di lavoro e aziende sanitarie.

Numero minimo di partecipanti 10
Numero massimo di partecipanti 30

Destinatari
Medici (tutte le discipline), tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, assistenti sanitari, chimici, biologi, fisici

Data scadenza iscrizione
10 maggio 2022


Calendario
25 maggio 2022, 08.30 – 17.00 + verifica finale

Modalità di iscrizione
L’iscrizione può essere effettuata contattando la segreteria organizzativa:
tel. 06.94181575, email: r.dml.corsi@inail.itm.catelli@inail.it

Crediti
Sono stati richiesti crediti ECM per medici (tutte le discipline), tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, assistenti sanitari, chimici, biologi, fisici

Codice edizione
[AC_2022]

Data Inizio

25/05/2022

Durata

7 ore di didattica più verifica finale

Costo iscrizione

175.0 €

Luogo

Inail – P.le G. Pastore, n. 6 – 00144 Roma

PROGRAMMA DEL CORSO