LA TERAPIA DOMICILIARE A CASA IN “PILLOLE”

13 Novembre 2020

Da il corriere.it

Sul corriere della sera é stato pubblicato questo articolo di Laura Cuppini , di cui noi riportiamo la parte più interessante, che fa il punto delle possibili terapie domiciliari per chi é malato di covid. Buona lettura..

Sintomatologia influenza e covid a confronto

“Monitoraggio dei parametri vitali

«Quanto più riusciremo a mantenere i malati a domicilio tanto minore sarà il sovraccarico su Pronto soccorso e presidi ospedalieri» ha affermato il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. La sfida è identificare le persone con sintomi tali da motivare il ricovero, che rappresentano solo il 5-8% del totale, conferma Emanuele Nicastri, infettivologo all’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. «È fondamentale lo stretto monitoraggio dei parametri vitali, in particolare la saturazione di ossigeno» spiega Nicastri. Ma come si curano i pazienti in isolamento domiciliare?

I farmaci che si sono rivelati efficaci nella cura di Covid sono tre: l’antivirale remdesivir (in commercio con il nome Veklury, dopo l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali, ma solo per uso ospedaliero), il corticosteroide desametasone e l’anticoagulante enoxaparina (eparina a basso peso molecolare). Gli ultimi due farmaci sono di fascia A, quindi possono essere prescritti dal medico di famiglia e assunti a domicilio. Ma la questione non è così semplice, anche perché ci sono rischi nei mix con altri medicinali di largo uso. Lo ha ricordato il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini: «I pazienti a domicilio, nelle fasi iniziali di Covid, non devono abusare di antibiotici e neanche combinare tachipirina e cortisone».

Paracetamolo solo con febbre o dolori

Per Emanuele Nicastri i pazienti in isolamento domiciliare dovrebbero prendere solo paracetamolo, con temperatura superiore a 38° o dolori ad articolazioni e muscoli. «Tutto il resto della terapia in questa fase non ha alcuna evidenza scientifica, anzi in alcuni casi è dannosa» rileva l’infettivologo, che consiglia di «non usare il cortisone nei primi 7 giorni di malattia, e in particolare in assenza di desaturazione, perché potrebbe ritardare o ridurre la nostra risposta immunitaria». L’idea di utilizzare cortisone ed eparina a domicilio per evitare l’aggravamento dei sintomi (e quindi la necessità di ricovero) viene però avanzata da alcuni medici. Come Salvatore Spagnolo, direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia del Policlinico di Monza. «Il coronavirus entra nei capillari polmonari e si riproduce nella loro parete interna chiamata endotelio — scrive in una nota il cardiochirurgo —, in questo modo determina una progressiva infiammazione dei polmoni e una trombosi del microcircolo. La somministrazione a domicilio dell’eparina e del cortisone potrebbe contrastare, fin dall’inizio, l’insorgenza dei processi infiammatori e trombotici».

Se la saturazione è inferiore a 94

Invita alla prudenza Francesco Scaglione, professore di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico all’Ospedale Niguarda. «La questione delle terapie per i pazienti domiciliati è all’attenzione degli esperti, anche qui in Lombardia. In questi mesi abbiamo visto che alcuni farmaci sono molto utili per le conseguenze che il virus determina, ma ancora oggi non abbiamo terapie specifiche per Covid. Facciamo però un passo indietro. Quando il virus arriva all’apice della moltiplicazione, può scomparire oppure indurre una disregolazione immunitaria, con conseguenze pesanti: infiammazione da citochine, edema polmonare, microembolia. Ebbene, tutti gli studi fatti sul cortisone (desametasone) mostrano che, se viene somministrato troppo precocemente, può peggiorare la malattia e addirittura aumentare la mortalità nei soggetti che non hanno bisogno di ossigeno. Ecco perché il criterio “principe” è quello della saturazione: un valore ottenibile con un semplice saturimetro, che tutti dovremmo avere in casa.

L’allerta deve scattare quanto la saturazione è inferiore a 94. L’eparina serve in presenza di polmonite e negli anziani allettati, che sono già di per sé a rischio di tromboembolismo».

Asintomatici e pazienti con fattori di rischio

Sugli asintomatici (tanti), il professor Scaglione non ha dubbi: «Non devono prendere assolutamente niente». Diverso il caso di soggetti a rischio di complicanze gravi, come gli ipertesi, che rappresentano la maggioranza delle vittime di Covid: «Per questi pazienti serve una sorveglianza più stretta da parte del medico, ma il marker da osservare è sempre la saturazione. Finché è possibile stare a casa, facciamolo ed evitiamo di correre in Pronto soccorso. Il parametro principale per decidere che è il momento di andare in ospedale è appunto una saturazione inferiore a 94, che non sale neppure con la somministrazione di ossigeno (che si può fare a domicilio)». Quest’ultimo punto aveva rappresentato un grosso problema tra marzo e aprile, per carenza di ossigeno e bombole. Oggi non siamo nella stessa situazione ma, in parallelo con l’aumento dei contagi, c’è una crescita nel fabbisogno di ossigeno a domicilio. «La situazione non è allarmante come durante la prima ondata — afferma Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi —, ma è opportuno muoversi per tempo. Non c’è ancora una carenza generalizzata, ma ci sono territori in maggiore sofferenza su cui occorre iniziare ad agire». ”

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