MEDICINA DEL LAVORO

VACCINI A TUTTI.. ANCHE AI GUARITI DA COVID?

Da Dottnet.it

La piu’ grande campagna vaccinale di massa che abbia mai avuto corso in Italia, quella contro il covid, e’ alle porte e potra’ essere conclusa in autunno. Ma oltre alle imponenti misure logistiche e alle direttive su chi vaccinare nella prima fase, arriva ora il nodo dei positivi. Se, cioe’, coloro che hanno contratto il virus debbano o meno essere vaccinati. Un punto che gia’ divide gli esperti. Gli operatori sanitari saranno i primi ad esser vaccinati, seguiti dagli anziani. Ma chi ha avuto il covid cosa dovra’ fare? “Chi ha avuto il Covid – ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma – non deve vaccinarsi contro la malattia perché ha sviluppato anticorpi naturali, semmai dovrà controllare il livello di questi anticorpi. E quando questi dovessero scendere, si può riconsiderare una vaccinazione”.

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Ma su questa tesi non è d’accordo Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive del San Martino di Genova. “Bisognerebbe vaccinare sia chi non ha mai fatto l’infezione da SarsCoV-2 che chi l’ha già fatta”, sostiene Bassetti, secondo il quale bisognerebbe vaccinare “anche chi ha già gli anticorpi, perché non si sa per quanto tempo durino”. “Difficile dire ora, senza i dati delle sperimentazioni, se sia opportuno o meno vaccinare anche i guariti”, spiega all’Ansa Carlo Signorelli, ordinario di Igiene all’ Università di Parma e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Certo è che “non vaccinarli rischierebbe di complicare le cose invece che semplificarle”. Il problema, infatti, “è che per escluderli dalla vaccinazione bisogna identificarli e anche questo è un lavoro in più. Un lavoro, tra l’altro, per il quale abbiamo uno strumento, il test sierologico, che con il passare del tempo tende a non dare una risposta corretta. Abbiamo, infatti, test negativi a fronte di persone che sappiamo essere state positive”.

Capire se vaccinare o meno i guariti, comunque “è cruciale per la campagna vaccinale, perché in alcune zone la quota di chi ha avuto il Covid arriva fino al 40%. Se l’immunità acquisita dalla malattia non regge, rischiamo di lasciarli scoperti”. Ad oggi – dice Arcuri – un italiano su 36 e’ stato contagiato.  E sempre sul fronte vaccini arriva anche il doppio annuncio di Moderna che inizia i test sugli adolescenti tra i 12 e i 17 anni e rende noto che il vaccino avra’ una copertura di almeno tre mesi dopo la seconda dose. Novità anche per la sperimentazione condotta da AstraZeneca e Università di Oxford che si trasforma da ‘doppio cieco’ in ‘aperto’. Tutti i partecipanti potranno sapere se è stato somministrato loro il preparato sperimentale o un placebo.  Intanto alcuni gruppi di hacker stanno prendendo di mira le aziende coinvolte nella distribuzione dei vaccini e potrebbero prepararsi a colpire la ‘catena del freddo’ necessaria per far arrivare le dosi. Lo afferma la compagnia Ibm, secondo cui i criminali informatici stanno raccogliendo informazioni sugli aspetti logistici. L’attività di spionaggio, spiega Ibm, è condotta attraverso ‘una campagna globale di phishing’ in cui vengono inviate email a nome dell’azienda cinese Haier Biomedical specializzata nel trasporto di vaccini.

NUOVI CODICI INPS E QUARANTENA COVID: UN CASO DI ORDINARIO CAOS

Da Doctor33.it

Un allarme dalla Fimmg Basilicata dà spunto per parlare del caos esistente in Italia sui codici malattia del Covid. I medici non trovano nei portali Asl né gli esiti dei tamponi propedeutici alle certificazioni di ripresa delle attività, né le certificazioni di fine quarantena che i servizi di igiene Asl dovrebbero rilasciare. Non possono perciò emettere certificato di riammissione al lavoro se il datore lo chiede. Ma soprattutto si trovano spiazzati da una revisione Inps dei codici di malattia.

Cosa dice la legge – Il servizio di igiene Asl, che in base al decreto rilancio considera in malattia i lavoratori (pubblici o privati) positivi o contatti stretti di pazienti Covid, comunica con Pec al medico l’avvio di isolamento o quarantena. Il lavoratore è in malattia, per un periodo che non rientrerà nel computo totale dei giorni cui ha diritto da contratto. Al soggetto sintomatico indirizzato dal medico curante all’Asl e tamponato dalle unità speciali di continuità assistenziale sarà sempre l’Asl a effettuare la comunicazione. Solo se il tampone lo fa il medico le cose cambiano ed è il camice ad annotare l’esito online per il servizio di prevenzione Asl.
Isolamento e quarantena – Il 12 ottobre 2020 una circolare del ministero della salute ha meglio differenziato l’isolamento per il Covid dalla quarantena per il contatto stretto di un positivo. E ha disposto che i positivi asintomatici in isolamento possano rientrare al lavoro dopo 10 giorni in presenza di un test molecolare negativo. I positivi che sviluppano la malattia potranno uscire dall’isolamento al 10° giorno dalla comparsa dei sintomi a condizione che siano trascorsi almeno 3 giorni senza sintomi, e che il test molecolare in 10ma giornata sia risultato negativo. Se il test risultasse ripetutamente positivo, sarà possibile uscire dall’isolamento al 21° giorno a condizione che la sintomatologia sia assente (non si tiene conto della persistente anosmia o ageusia). I contatti stretti sono obbligati alla quarantena di 14 giorni dall’esposizione al caso positivo, che potrà essere ridotta a 10 giorni, consentendo il ritorno al lavoro se un test in decima giornata -molecolare o anche rapido- risultasse negativo.

L’Inps – Fin qui i medici per porre in isolamento o quarantena -previa ordinanza Asl – pazienti positivi o contatti stretti hanno utilizzato il Codice V29 sulla base di circolari Inps, da usare anche per pazienti al rientro da paesi esteri con Covid; hanno altresì utilizzato il codice V07 per i pazienti immunodepressi, oncologici o effettuanti cure salvavita, da tenere lontani da ambiti lavorativi a rischio contagio Covid-19. Ma non in tutte le regioni i codici sono univoci. In Lombardia nei giorni scorsi, rispondendo ad un interpello ordinistico, il dirigente Inps Leonardo Sammartano ha chiarito che il codice V07 va usato non per i fragili ma per i positivi asintomatici, per i contatti stretti di positivi o di contatti di positivi, e per i soggetti rientranti da paesi indicati come a rischio dal Ministero degli Esteri, la cui tabella è aggiornata volta per volta. A chi sviluppa i sintomi vanno attribuiti invece i codici 480.3 per la polmonite da Covid e 079.82 per “infezione da coronavirus associata alla SARS”. Quanto ai lavoratori in condizioni di rischio, arriva un terzo codice, V15.A Bologna l’indirizzo Inps è quello di non usare il codice ma di far dettagliare la malattia al medico.



Regioni in tilt
 – Esemplifica il responsabile comunicazione Fimmg lucano Erasmo Bitetti che ai nuovi indirizzi sui codici «la Puglia si è adeguata, noi in Basilicata no. Preferiamo, in presenza di una disposizione del medico del lavoro, usare il codice diagnosi ICD della patologia prevalente del paziente (quella legata alla fragilità) e non più il codice V07 specificando che si tratta di “Patologia determinante inidoneità al lavoro secondo quanto disposto dal Medico tale con documento datato tot”. Per i codici V07, sia per il positivo in isolamento domiciliare sia per il contatto stretto in quarantena, i provvedimenti sono emessi in entrambi i casi dall’Asl all’interessato, al medico curante (che redige certificato Inps ed attestato per il datore di lavoro) e al sindaco.

Riepilogando – Il paziente positivo, sintomatico o asintomatico, rimane in isolamento 10 giorni e ne esce solo con l’esito negativo di un tampone molecolare sempre che sia senza sintomi; se il paziente positivo, pur asintomatico, non si negativizza resterà in isolamento non oltre il 21° giorno sempre che resti asintomatico. Il contatto stretto che ottenga un tampone, anche rapido, a 10 giorni dall’avvenuto contatto, se negativo è riammissibile al lavoro; se non ottiene il tampone esce comunque al 14° giorno. Se il contatto diventa positivo segue il percorso dei soggetti positivi.

Mauro Miserendino

Apparecchi di sollevamento persone e Ponti mobili sviluppabili

I ponti mobili sviluppabili rientrano tra le attrezzature di lavoro soggette al regime di verifica periodica previsto dall’art. 71 del decreto legislativo 81/08.

Immagine Apparecchi di sollevamento persone - Ponti mobili sviluppabilia

La pubblicazione illustra nel dettaglio le fasi tecniche della prima verifica periodica dei ponti mobili sviluppabili, così come indicate al d.m. 11 aprile 2011, e le modalità di compilazione della relativa scheda e del verbale di prima verifica al fine di fornire strumenti utili e riferimenti per uniformità di comportamento sia ai tecnici delle strutture territoriali dell’Istituto, soggetto titolare di questo adempimento, che a quelli dei soggetti abilitati.

Prodotto: Volume
Edizioni:Inail – 2020
Disponibilità: Si – Consultabile anche in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

SPRAY NASALE CONTRO IL COVID

Sono allo studio spray barriera contro il Covid 19. Anche ilsole24ore ha riportato la notizia in prima pagina nell edizione on line.

Di cosa si tratta? Di molecole neutre o naturali per la mucosa del naso ma che diventano una barriera ulteriore ed efficace al virus.

Riportiamo qui l’abstract da

Biorxiv.org

I patogeni aerodispersi presentano rischi elevati in termini di contagio e di trasmissione all’interno delle vie respiratorie, in particolare nella nucosa nasale. Sebbene la conoscenza della trasmissione per via aerea sia nota da tempo, poco si é fatto in termini di intervento adeguato in grado di proteggere l’individuo, o addirittura prevenire un’ulteriore diffusione. Questo studio si concentra su un preparato  nasale con la capacità di combattere tali problemi, in particolar modo  sul virus SARS-CoV-2. È stato preparato un prodotto in  formulazione spray contenente polisaccaridi noti per le loro proprietà mucoadesive e caratterizzato per i loro modelli meccanici, spray e proprietà antivirali. È stata dimostrata la capacità di barriera di due polimeri: gellano e λcarragenina. Inoltre, i sistemi spray hanno dimostrato capacità antivirali molto potenti, con conseguente inibizione completa del virus sia per la profilassi che per la prevenzione della diffusione. Infine, è stato proposto un meccanismo per spiegare e dimostrare il primo dispositivo completamente preventivo, mirato a proteggere il rivestimento delle vie respiratorie superiori.

Si tratta ovviamente di uno studio seppur promettente.

Cosa può accadere quindi in caso di entrata del virus? Questa “patina” riesce a inglobare le particelle, per poi farle eliminare soffiandosi il naso, oltre a catturare l’invisibile nemico che quindi può essere assorbito meno nel corpo, con conseguente limitazione della carica virale.

Al momento, come detto, siamo ancora in fase sperimentale. Ma il grande vantaggio di una soluzione di questo tipo, che potrebbe diventare una sorta di “supporto” tascabile per il controllo della diffusione dell’infezione, consiste nella possibilità di aumentare la protezione quando si rimane a lungo in ambienti chiusi, come ad esempio nelle aule scolastiche o nei lunghi viaggi in aereo.

Sempre in questa direzione un prodotto frutto di uno studio italiano che utilizza prodotti naturali ma segue lo stesso meccanismo barriera.  Riportiamo quanto pubblicato su brescia oggi in merito al prodotto.

.. Un aiuto può arrivare anche da uno dei polifenoli dell’olio d’oliva del Garda e dalle ciclodestrine, forse è bene prenderlo in considerazione. Alle molecole naturali come aiuto nel contrasto alla diffusione di agenti virali, il genetista bresciano Matteo Bertelli stava già lavorando da tempo insieme con la sua equipe nel laboratorio di ricerca a San Felice del Benaco, seppur all’interno di uno studio sulle malattie genetiche rare. I LABORATORI di Ebtna-Lab si erano focalizzati sull’endocitosi virale mediata da zattere lipidiche nell’ambito di una malattia rara legata al colesterolo. Nel frattempo, studi della comunità scientifica avevano evidenziato che il Coronavirus entra nelle nostre cellule attraverso il famoso recettore Ace2 localizzato proprio nelle zattere lipidiche. «Per questo ho deciso di trovare, tra le molecole naturali, quelle che potessero impedire l’ingresso del virus agendo sul meccanismo dell’endocitosi lipid-raft mediata», spiega il genetista bresciano. E ci è riuscito.

È nato così Endovir Stop, un integratore alimentare spray a base di ciclodestrine e polifenoli in grado di ridurre il rischio di contrarre infezioni delle alte vie respiratorie di tipo virale, compreso il Sars-Cov-2. «Endovir Stop non è la soluzione definitiva al Coronavirus – tiene a precisare il dottor Bertelli – ma tutti questi aiuti, insieme, possono fermarne efficacemente la diffusione». Bertelli non è il primo a studiare le molecole naturali a contrasto del Coronavirus: il primo gruppo di studio in Italia è stato quello dell’Università Tor Vergata e della Sapienza di Roma conElena Campione sulla lattoferrina, poi il gruppo spagnolo di Saragozza ha dimostrato come la quercetina possa prevenire l’infezione virale. «Lo studio delle molecole naturali dovrebbe essere ripreso dalla comunità scientifica perché può aiutare nella prevenzione di molte malattie», aggiunge Bertelli. La formulazione «è seguita da sperimentazioni coordinate dai professori Giampietro Farronato e Gianluca Martino Tartaglia della Statale di Milano, ed eseguite dal professor Mahmut Çerkez Ergoren alla Near East University di Nicosia – specifica Bertelli -. Nei giorni scorsi siamo stati premiati dalla Società europea di biotecnologie come miglior prodotto anti Covid-19. Noi siamo pronti, speriamo di poter commercializzare Endovir Stop già entro la fine di questo mese».

TAMPONI NEGLI STUDI MEDICI :LE LINEE GUIDA ISS

 

Da Dottnet.it

Esporre un avviso all’ingresso dello studio con chiare istruzioni sulle modalità di accesso, stabilendo rigorosi percorsi di entrata, di attesa e di uscita e specificando giorni e orari in cui si prevede l’esecuzione del test antigenico rapido. Esclusivamente previo appuntamento; in un locale dedicato, con una buona aereazione e che non sia di passaggio; preferibilmente al termine dell’attività ordinaria, per evitare il contatto tra soggetti con possibile infezione da SarsCov2 e chi accede allo studio per altri motivi; sanificare le superfici tra un prelievo e l’altro; evitare ogni forma di assembramento dei pazienti.  Sono queste alcune delle principali raccomandazioni contenute nella Nota tecnica “Esecuzione dei test diagnostici negli studi dei Pediatri di Libera Scelta e dei Medici di Medicina Generale” (clicca qui per scaricare il documento), realizzata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) in collaborazione con il Ministero della salute, la Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici) e l’Inail, online da oggi sul sito dell’Iss.

Abbiamo voluto contribuire fattivamente alla sicurezza degli operatori sanitari e dei cittadini con un documento agile e operativo che possa rispondere ai dubbi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta chiamati a contribuire fattivamente in questo momento di grande richiesta di test diagnostici”, dichiara Paolo D’Ancona, ricercatore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss. “Siamo da tempo all’interno dei Gruppi di Lavoro con l’Istituto Superiore di Sanità. Una collaborazione fattiva, che in questo 2020, funestato dalla pandemia di Covid si è fatta sempre più intensa e proficua, con incontri a cadenza settimanale – spiega il Segretario della Fnomceo, Roberto Monaco -. Questo Documento è l’occasione per apportare il nostro contributo professionale. Ad esso si affiancheranno due video-tutorial sulle modalità per effettuare i tamponi, negli adulti e nei bambini”. Il documento include diversi temi, dalle misure generali di prevenzione e controllo dell’infezione – dall’igiene delle mani alla pulizia e disinfezione degli strumenti e degli ambienti, passando per la gestione dei rifiuti e l’organizzazione delle modalità di accesso allo studio medico – alla spiegazione delle procedure per l’esecuzione dei test rapidi antigenici che, analogamente a quelli molecolari, valutano direttamente la presenza del virus nel campione clinico.

A differenza dei test molecolari, però, i test antigenici rilevano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico (RNA), ma tramite le sue proteine (antigeni). Il risultato dei test rapidi antigenici può essere direttamente visibile a occhio nudo o letto mediante uno strumento analizzatore compatto e trasportabile. Proprio per tali caratteristiche questo tipo di test può essere eseguito in uno studio medico o in aree dedicate senza la necessità di essere effettuato in un laboratorio.  Il tampone deve essere processato nel più breve tempo possibile, generalmente entro un’ora dal prelievo. Il risultato si ottiene in 15-30 minuti. Il test può risultare negativo se la concentrazione degli antigeni è inferiore al limite di rilevamento del test come ad esempio nella fase tardiva dell’infezione o risultare falsamente positivo per problemi di specificità, e per tale motivo, il test antigenico rapido positivo può necessitare di conferma mediante test molecolare.

Negli studi pediatrici, qualche raccomandazione in più: separare gli accessi riservati ai bilanci di salute e alle attività vaccinali dagli accessi per l’esecuzione del test diagnostico per SARS-CoV-2; raccomandare che l’accesso ai locali dello studio sia consentito ad un solo accompagnatore per bambino e che l’accompagnatore sia in buona salute; prevedere un percorso prioritario per l’esecuzione del test a bambini immunodepressi o con patologie pregresse e, sotto i 6 anni, a quelli che frequentano la comunità infantile; prevedere un approccio differente nella procedura di prelievo in relazione all’età e alla compliance del bambino, prevedendo il supporto del personale infermieristico.

VACCINO COVID :COME AVVERRA’ LA VACCINAZIONE IN ITALIA

Da Doctor33.it

Gli italiani avranno la possibilità di vaccinarsi contro il coronavirus. E la priorità sarà data agli operatori sanitari, ai dipendenti degli ospedali e agli anziani ospiti delle case di riposo. Tanto si evince dalla comunicazione del Commissario all’Emergenza Covid Domenico Arcuri inviata alle regioni il 17 novembre scorso. Nella nota si chiede alle giunte una “Raccolta di informazioni per il piano di fattibilità della prima fase di somministrazione del vaccino Covid-19”. Nell’ambito dell’Advanced Purchase Agreement, iniziativa dell’Unione europea per l’acquisto del più ampio portafoglio possibile di vaccini, Pfizer Biontech arriverebbe prima, a fine gennaio, quando – afferma il documento commissariale – è prevista la consegna dei primi 3,4 milioni di dosi destinate a 1,7 milioni di italiani, da inoculare in due fasi: prima somministrazione e richiamo.

Pfizer, che ha appena annunciato la conclusione della fase 3 di sperimentazione con efficacia al 94% (crescita di anticorpi specie negli anziani over 65), fornirà il vaccino direttamente al punto di somministrazione in borse di conservazione contenenti massimo 5 scatole da 195 fiale (975 dosi a scatola). Per 15 giorni dalla consegna le scatole possono restare nelle borse di conservazione del fornitore; nelle celle frigorifere a una media di -75°C possono essere tenute 6 mesi. Le regioni sono chiamate da Arcuri ad individuare le strutture individuate come punti di consegna e capaci di conservare i vaccini alle condizioni sopra citate. Si tratta di ospedali che dovranno essere in grado di vaccinare minimo 2 mila persone in 15 giorni e fare da “hub” per la consegna di vaccini alle Rsa e ad altri centri vaccinali. Ogni ospedale-punto di consegna dovrà indicare il numero del personale complessivo operante, quello del personale sanitario e sociosanitario in grado di raggiungere la struttura in massimo un’ora, dei congelatori idonei di cui dispone e dei volumi complessivi da essi offerti. Le residenze per anziani dovranno indicare il numero di personale e di ospiti e dovranno poter essere raggiungibili entro un’ora da ospedali che abbiano in dotazione il vaccino. Quest’ultimo andrà usato al massimo entro 6 ore dall’estrazione dalle borse o dalla cella di conservazione. In una fase successiva si passerà a somministrare i vaccini ai cittadini a partire dai fragili, quindi dagli anziani.
Va detto che ancora né Ema in Europa né Fda negli Stati Uniti hanno approvato in commercio i vaccini, ed è normale perché tutti e tre i prodotti nel mirino dell’Ue – ci sono pure i vaccini di Janssen-Moderna e di Oxford-Irbm-AstraZeneca – stanno per ultimare le fasi di sperimentazione. Peraltro, il primo lotto del vaccino Pfizer si troverà davanti popolazioni strategiche da vaccinare e per questo ne è prevista la distribuzione tramite hub ospedalieri, cosa che non dovrebbe avvenire per i lotti successivi che dovrebbero essere somministrati con i canali tradizionali (inclusi i drive-through).


Difficilmente il vaccino sarà obbligatorio, il Tar Lazio ha da poco bocciato la disposizione della Regione che imponeva l’antinfluenzale. Se l’immunizzazione funziona, sarà però vantaggioso sia nel tornare al lavoro in presenza sia nei contatti tra pazienti e ambulatori, specie ospedalieri, tanto più se i mancati vaccini rendessero vana la possibilità di liberarsi del virus.

INFERMIERI I PIÙ COLPITI DA COVID

Da Dottnet.it

Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti

Tra gli operatori sanitari sono in particolare gli infermieri ad avere una maggiore prevalenza di infezione da Sars-CoV-2. A dirlo è una ricerca della Rutgers University, pubblicata sulla rivista Bmc Infectious Diseases, che ha analizzato quanto accaduto nella prima fase della pandemia Covid-19.  Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti. Tra tutti i partecipanti allo studio, oltre il 7% degli operatori sanitari è risultato positivo al nuovo coronavirus rispetto ai tassi molto più bassi di test positivi che invece venivano dagli altri operatori ospedalieri non sanitari. Chi ha riferito di prendersi cura di cinque o più pazienti con Covid-19 (sia sospetto, sia confermato), e coloro che hanno trascorso una percentuale maggiore del loro tempo nelle stanze dei pazienti, avevano maggiori probabilità di risultare positivi all’infezione. Dei 40 operatori sanitari infetti, più della metà (25) erano infermieri. I lavoratori delle unità di terapia intensiva hanno avuto i tassi di infezioni più bassi tra gli operatori sanitari. Secondo gli studiosi, questo potrebbe essere dovuto dall’uso più coerente dei dispositivi di protezione individuale.

fonte: Bmc Infectious Diseases

I VACCINI SARS2-COV PRONTI AL VIA

Ormai stiamo entrando in una fase dove parlare di vaccinazione di covid non é più solo una speranza lontana. In queste prossime settimane le informazioni relative ai nuovi vaccini ed alle problematiche correlate alla somministrazione di ognuno di essi occuperà a cadenza regolare giornali e media. Dobbiamo abituarci.  Molti vaccini  sono già in fase avanzata di sperimentazione, quindi nella fase 3, altri sono in fase più sperimentale.

Ecco i vaccini ormai pronti al via:
Il virus inattivato scelto da Sinovac (Cina), la via dell’RNA da Pfizer e Moderna (Usa), gli adenovirus che trasportano antigeni da AstraZeneca (Uk), Sputnik (Russia), Cansino (Cina), Johnson & Johnson (Usa), la proteina Spike da Novavax (Usa) e Sanofi (Francia). Speriamo di essere giunti ad un nuovo inizio per tutti noi. Intanto é già pronto un piano vaccini.

Tra le priorità del governo c’è quella di “somministrare il vaccino anti-Covid direttamente nelle strutture ospedaliere e, tramite unità mobili, nei presidi residenziali per anziani”. E’ quanto si legge nel Piano per i vaccini contro il coronavirus che il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha inviato ai presidenti delle Regioni e ai ministri della Salute e degli Affari Regionali. La somministrazione su larga scala avverrà attraverso i drive-in.

Nel rincorrersi delle notizie, che provoca non pochi su e giù alle quotazioni dei titoli in borsa, è facile dar ascolto più a slogan e ad altisonanti annunci mediatici che alle questioni davvero rilevanti per il futuro della pandemia. Ecco allora alcuni punti di attenzione, per evidenziare analogie e differenze tra quelli che al momento sembrano i primi vaccini pronti ad arrivare sul mercato: Bnt162b (Pfizer-Biontech) e mRna1273 (Moderna).

Il meccanismo di funzionamento a mRna

Le due soluzioni vaccinali funzionano di fatto allo stesso modo. Il vaccino contiene le informazioni genetiche (sotto forma di rna messaggero) affinché i ribosomi delle nostre cellule possano produrre la proteina spike del coronavirus Sars-Cov-2. Questa proteina – che coincide con quella attraverso cui il virus si aggancia alle cellule bersaglio – una volta in circolo stimola una risposta immunitaria, portando il corpo a generare anticorpi neutralizzanti e cellule T, proprio come se fossimo stati attaccati dal vero virus.

Questo meccanismo è diverso rispetto ai vaccini più tradizionali, in cui la proteina spike viene iniettata direttamente, ed è una grossa novità dal punto di vista dell’approccio all’immunizzazione che accomuna le due formulazioni. Entrambe, peraltro, richiedono una doppia iniezione, a qualche settimana di distanza: 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna.

L’annuncio (solo) mediatico

Si tratta di un altro punto decisivo, valido per tutte e due. A oggi non abbiamo a disposizione alcuno studio scientifico sulla fase 3 (ossia quella finale) della sperimentazione, ma solo una comunicazione ai media basata “sull’analisi dei dati preliminari. Anche se non c’è motivo di credere che le informazioni siano false, è importante distinguere la fase mediatica dell’annuncio da quella scientifica, che passa per il vaglio della comunità degli scienziati, per la peer review e per rigorose valutazioni sulla validità degli studi e dei risultati.

Si ritiene comunque probabile che i paper scientifici arrivino a breve, entro qualche settimana. E in questo contesto i pochi giorni di distanza tra i due annunci mediatici (fatti sempre di lunedì, peraltro) potrebbero non essere affatto indicativi di chi completerà l’iter per primo.

Quasi un 5% di scarto

Sembra quasi una gara al rialzo. La settimana scorsa Pfizer-Biontech aveva annunciato un’efficacia del proprio vaccino nel prevenire il Covid-19 poco superiore al 90%. Poi è arrivata la Russia sbandierando un 92%. E infine Moderna ha dichiarato un’efficacia del 94,5%.

Questi numeri meritano due considerazioni. Anzitutto, sono tutti molto più grandi di quanto si sperasse. Già un’efficacia al 50% sarebbe stata ritenuta un buon risultato, ed essere nell’ordine del 90%-95% significherebbe un traguardo eccezionale. Non è chiaro, però, quanto queste percentuali siano destinate a essere confermate, sporattutto se si guarda alla cifra delle unità. Trattandosi di numeri sperimentali ancora relativamente piccoli, in cui un solo caso di differenza sposterebbe i valori in modo significativo, non è difficile credere che la valutazione di efficacia possa variare come minimo di qualche percento, e inoltre bisognerà valutare eventuali oscillazioni in funzione della fascia d’età. Dunque la differenza di efficacia del 5% per ora non è significativa né indicativa.

94/164 e 95/151

Affinché la sperimentazione di fase 3 possa dirsi conclusa, occorre raggiungere una prestabilita soglia nel numero di persone che hanno contratto il Covid-19 tra i partecipanti allo studio (nel gruppo dei vaccinati o in quello di controllo, a cui è stato somministrato un placebo). Per il vaccino Pfizer-Biontech si è parlato di 94 casi su un totale di 164 da raggiungere, mentre Moderna per la propria sperimentazione ne ha annunciati 95 (di cui 90 nel gruppo di controllo), ma con una soglia fissata a 151. La differenza nel traguardo dipende dal numero di partecipanti coinvolti, che sono 43mila nel primo studio e 30mila nel secondo.

Covid vaccino Teco milano

In entrambi i casi le proiezioni lasciano immaginare che serva ancora qualche settimana per arrivare alla conclusione dell’indagine, ma è impossibile al momento essere più precisi. Curiosamente, peraltro, le due sperimentazioni sono iniziate nello stesso giorno, il 27 luglio scorso.

Temperatura e tempi di conservazione

Come abbiamo già raccontato in altre occasioni, le modalità di conservazione del vaccino sono decisive per la gestione logistica delle dosi, e possono fare la differenza tra l’una e l’altra formulazione. Da quanto sappiamo al momento, il vaccino Pfizer-Biontech ha bisogno di temperature basse e dell’ordine dei -75°C (o comunque tra i -70°C e i -80°C). Solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere portato in un normale frigorifero: a una temperatura di 4°C, infatti, può resistere per 5 giorni.

La formulazione di Moderna, invece, può essere conservata ad appena -20°C (dunque parrebbe avere un importante vantaggio competitivo) per un massimo di 6 mesi di stoccaggio. Poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a un massimo di 30 giorni (non più un massimo di 7 giorni, come si stimava), e a temperatura ambiente per una ulteriore mezza giornata. Si tratta di informazioni non ancora definitive e certificate, ma la differenza tra i -75°C e i -20°C potrebbe rivelarsi un punto fondamentale.

Quando saranno disponibili?

Per il vaccino di Moderna, se tutto filerà liscio, si prevede che l’uscita dal territorio statunitense delle prime dosi non accadrà nel 2020, mentre nel Nord America già entro dicembre saranno sfornati i primi 20 milioni di dosi. Al momento non ci sono date certe, ma c’è la promessa di arrivare entro fine 2021 a produrre tra 500 milioni e 1 miliardo di dosi. Leggermente diversi, ma non così lontani, i numeri di Pfizer-Biontech: 1,3 miliardi di dosi prodotte entro il prossimo anno, ma già i primi 50 milioni entro questo dicembre.

In entrambi i casi, e come peraltro già sta accadendo anche per altri candidati, la sperimentazione procede di pari passo con la produzione, in modo da mettersi avanti con i lavori per il momento dell’eventuale (e sperata) approvazione.

Capacità eradicante e sicurezza a confronto

Su questi due aspetti c’è ancora molta incertezza per entrambe le formulazioni. Sulla sicurezza al momento non sono state segnalate particolari criticità, a parte qualche effetto collaterale come stanchezza, dolori, eritema nell’area dell’iniezione, mal di testa e altri sintomi minori.

Restano invece aperte due importanti partite, probabilmente decisive per il prosieguo dell’emergenza sanitaria. Non è ancora chiaro, infatti, se i vaccini proteggano solo dallo sviluppo della malattia Covid-19 vera e propria o se tengano del tutto il virus fuori dal corpo. In quest’ultimo caso potrebbero scongiurare la trasmissione del virus da persona a persona e quindi portare più facilmente verso la fine della pandemia, mentre nel caso si possa comunque essere contagiosi la situazione sarebbe meno rosea. L’altro elemento è relativo alla durata della protezione: fa molta differenza, infatti, se gli anticorpi sviluppati sono permanenti, di lunga durata oppure destinati a scomparire nel giro di pochi mesi.

Un po’ di geopolitica vaccinale

Interessante che le prime due grandi aziende ad annunciare il vaccino siano entrambe statunitensi. Moderna è in un certo senso la più statunitense di tutte, perché non collabora con un’azienda europea come fa Pfizer coordinandosi con Biontech. Ma soprattutto è interessante notare che non si tratta di successi da attribuire solo al settore privato. Entrambe le imprese, infatti, fanno parte dell’operazione nordamericana Warp Speed, e per esempio Moderna ha ricevuto 2,4 miliardi di finanziamento del governo statunitense e ha condiviso la fase di sviluppo con il National Institutes of Health. La sola Biontech, poi, ha ricevuto 375 milioni di euro di finanziamento dal ministero tedesco per la ricerca.

Dal punto di vista del prezzo finale, il vaccino Moderna dovrebbe costare intorno ai 25 euro, comprensivi di un margine di profitto. Pfizer-Biontech, invece, dovrebbe assestarsi appena sotto i 20 dollari, e al momento si parla di 19,50. Sia Pfizer sia Moderna chiederanno l’approvazione per l’uso in emergenza alla Food and Drug Administration statunitense, e si avvarranno della rolling review per accorciare i tempi dell’approvazione all’Agenzia europea del farmaco.

Ma dove sono tutti gli altri?

Al di là del già citato vaccino russo, per il quale le informazioni sono frammentarie e confuse, per gli altri vaccini in fase 3 di sperimentazione la situazione potrebbe non essere così diversa dai due più chiacchierati. In diversi casi, non ultimo quello AstraZeneca/Oxford, ci si aspetta la conclusione della sperimentazione nel giro di poche settimane, dunque l’effettiva autorizzazione e immissione in commercio potrebbe non essere molto distante nel tempo rispetto a Moderna e Pfizer-Biontech.

L’annuncio mediatico ha in qualche modo rotto gli indugi e creato grande scompiglio, ma sarebbe sbagliato cantare vittoria prima di essere davvero arrivati al traguardo. Le alternative in fase avanzata di studio, peraltro, includono tecniche vaccinali più tradizionali come quella proteica, che potrebbero rappresentare un’alternativa complementare rispetto alle soluzioni a mRna, e magari più semplice da gestire dal punto di vista logistico. Tra i vaccini potenzialmente in arrivo a breve ci sono per esempio quelli di AstraZeneca/Oxford, Sinovac, Janssen, Cansino, Butantan, Novavax ed Elea Phoenix. Ed è ancora presto però per tirare conclusioni, fino a che non si avranno sotto mano le pubblicazioni scientifiche con tutti i dettagli

 

SICUREZZA SUL LAVORO PER COLF E BADANTI

È più probabile rimanere vittima di un incidente domestico piuttosto che di uno stradale: l’Istat nel 2018 ha quantificato in 3,2 milioni gli infortuni nelle case. Le categorie più colpite sono donne, anziani, bambini. Per ogni fascia d’età è poi possibile osservare l’incidenza di chi ha subito incidenti sulla popolazione di riferimento: l’incidenza media è del 13,4 per mille, ma cresce notevolmente tra le fasce più anziane (21,3 per mille tra i 75 e i 79 anni e 34,3 per mille tra gli over 80). Circa 300mila bambini, spesso sotto i cinque anni, sono vittima di incidenti in casa.

E i lavoratori domestici non ne sono immuni: l’Inail nel 2019 ha calcolato che ogni 10mila lavoratori domestici, si sono verificati 58,1 infortuni a colf e 38,2 a badanti. Più di 4.500 gli incidenti totali denunciati.

Questi e altri dati, elaborati dall’Osservatorio nazionale DOMINA con la collaborazione della Fondazione Moressa, saranno pubblicati a gennaio nel “Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico”.

Corrente elettrica, gas e scale tra i rischi principali. Le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori – attraverso EBINCOLF, l’Ente bilaterale nazionale del comparto – hanno individuato i fattori di rischio per l’incolumità dei lavoratori e da anni insistono con programmi di informazione e formazione, per minimizzarli. Ecco i principali rischi elencati nei Quaderni dell’Ente: pulizia e igiene della casa, corrente elettrica, utilizzo di scale e sgabelli, uso del gas, movimentazione e sollevamento di carichi. La tutela della salute e della sicurezza sono alcuni degli elementi chiave anche per favorire la crescita e la professionalizzazione del settore.

Sicurezza ai tempi della pandemia. Ad aggravare la situazione sicurezza, la pandemia in corso. Il lavoro domestico, riconosciuto “essenziale” dal governo, è altamente esposto a rischi: le relazioni interpersonali necessarie tra badante e anziano o tra baby-sitter e bambino, per esempio, non possono assicurare il distanziamento previsto per cercare di evitare il contagio. Diventano indispensabili, allora, informazioni corrette, dispositivi di protezione e procedure di sanificazione degli ambienti e degli oggetti all’interno delle case.

“Nella prima fase dell’emergenza, le associazioni datoriali hanno avuto un ruolo fondamentale nel tentare di colmare il vuoto informativo in cui le famiglie si erano ritrovate”, ricorda Lorenzo Gasparrini, segretario generale di DOMINA (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico). “La nostra organizzazione già all’inizio di marzo ha pubblicato un vademecum per famiglie e lavoratori sui comportamenti da tenere durante l’epidemia. E anche nella seconda fase continua a supportare migliaia di famiglie, affinché riescano a garantire condizioni di sicurezza per i lavoratori e per le persone assistite”.

Sicurezza e lavoro nero. La mancanza di sicurezza è spesso associata al lavoro irregolare che nel settore, secondo le stime DOMINA, supera il 57%: i controlli dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel corso del 2019, hanno accertato pratiche irregolari nel 58,4% dei casi controllati (in diminuzione rispetto al 2015, quando superavano il 72%) e lavoro nero nel 24% dei casi. Leonardo Alestra, direttore generale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico, afferma: “L’assioma lavoro irregolare – lavoro insicuro è ampiamente confermato nell’ambito del lavoro domestico, laddove gli infortuni sono all’ordine del giorno, sebbene non balzino frequentemente agli onori della cronaca”.

Da politicamentecorretto.com

 

RENATUNS: LA SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA DEI TUMORI NASO SINUSALI

Da Inail.it

I tumori maligni naso-sinusali (TuNS) sono tumori rari ma con una rilevante frazione di casi in popolazioni lavorative esposte a specifici agenti causali.

Immagine ReNaTuNS sorveglianza epidemiologica dei tumori naso-sinusali - Manuale operativo

In attuazione del d.lgs. 81/2008, presso l’Inail è attivo il Registro Nazionale dei Tumori Naso-Sinusali (ReNaTuNS), per la stima dell’incidenza dei casi di TuNS in Italia e la raccolta di informazioni sulla loro eziologia, con un ruolo centrale delle regioni e province autonome, attraverso i Centri Operativi Regionali (COR), nell’identificazione dei casi e nella definizione delle esposizioni. L’aggiornamento del precedente manuale operativo per l’implementazione del ReNaTuNS si è reso necessario in quanto una rilevante parte di territorio nazionale a oggi non dispone del registro e la capacità di analisi epidemiologica dei dati aggregati e la dimensione degli approfondimenti di ricerca a partire dai dati nazionali è ancora limitata. È auspicabile che grazie a questo strumento fondamentale, la ricerca attiva dei casi di TuNS e l’analisi dell’esposizione diventino un’attività sistematica e coordinata, in modo da garantire la prevenzione della malattia, la tutela dei diritti dei soggetti ammalati e dei loro familiari e la corretta gestione delle risorse di sanità pubblica.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it