STRESS LAVORO CORRELATO

STRESS LAVORO CORRELATO E COVID NEI SANITARI

Da Inail.it

A marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato lo stato di pandemia da Corona virus disease (Covid-19) e l’Italia, ad oggi, risulta uno dei paesi maggiormente colpiti dal virus Sars-Cov2.

Tra le categorie professionali, gli operatori sanitari, in particolare, sono identificabili come i lavoratori a maggior rischio di esposizione al virus e il loro impegno in prima linea nella gestione dell’emergenza sanitaria comporta un crescente sovraccarico operativo ed emotivo.
La situazione di emergenza espone il personale sanitario a una serie di fattori di rischio specifici e legati alla cura del paziente contagiato, ma anche a cambiamenti sostanziali nel lavoro per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, relazionali e relativi alla sicurezza, che contribuiscono all’accrescimento di stress psico-fisico.

Il prolungarsi nel tempo dell’emergenza sanitaria può portare ad un aumento di pressione e paura e comportare una cronicizzazione dello stress legato al lavoro, che, se prolungato nel tempo e accompagnato da elevata intensità, può determinare un esaurimento delle risorse psicologiche e in alcuni casi favorire l’emergenza del burn-out.



È chiara e rilevante, pertanto, l’attualità del tema della tutela della salute degli operatori sanitari in relazione all’emergenza Covid-19, più nello specifico riguardo alla salute mentale.

Il Dipartimento di medicina epidemiologia e igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail e il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) hanno avviato una collaborazione, finalizzata a identificare gli strumenti metodologici utili a fornire supporto agli operatori sanitari nella gestione dello stress e del malessere crescente legato all’emergenza.

Oggetto dell’iniziativa congiunta è la promozione di una procedura nazionale che fornisca indicazioni utili all’attivazione, a livello locale, di task force di psicologi nelle strutture sanitarie. Lo scopo è promuovere lo sviluppo di servizi di supporto e sostegno psicologico e psicosociale da remoto in tutte le aziende sanitarie locali, fornendo indicazioni utili per lo sviluppo e strumenti operativi

Il target di riferimento dei servizi che saranno attivati sono tutti gli operatori sanitari che, a qualunque titolo, si trovano a fronteggiare l’emergenza e operano in contesti sanitari in cui può verificarsi un’esposizione al virus Sars-CoV-2.
Sono disponibili i documenti realizzati nell’ambito di tale iniziativa nazionale. Nello specifico è stato sviluppato un pieghevole dal titolo “Gestione dello stress e prevenzione del burn-out negli operatori sanitari nell’emergenza Covid-19” che illustra l’iniziativa promossa da Inail, in collaborazione con il Cnop, e riporta le indicazioni procedurali e gli strumenti utili per gli interventi sul territorio.

Tale documento è accompagnato da strumenti operativi destinati ai servizi di sostegno psicologico che saranno attivati nelle strutture sanitarie. In particolare:

The wellbeing and emotional resilience are key components of maintaining essential care services.
  1. un documento operativo che sintetizza i passaggi salienti di tale procedura;
  2. una scheda di triage psicologico, strumento utile per la conduzione dei colloqui psicologici e per il monitoraggio nel tempo;
  3. una guida di supporto alla compilazione della scheda di triage.

Per informazioni e contatti:supportopsicosociale.covid19@inail.it

PIEGHEVOLE

STRUMENTI OPERATIVI

VIDEO

CONTENUTI MULTIMEDIALI CORRELATI

LO STRESS RADDOPPIA IL RISCHIO DI INFARTO

Da dottnet.it

Lo rivela uno studio internazionale coordinato dalla Emory University di Atlanta pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA)

Se si soffre di malattie cardiache lo stress può raddoppiare il rischio di morte o infarto, secondo uno studio internazionale coordinato dalla Emory University di Atlanta pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA).  “Ci sono prove crescenti di un legame tra stress psicologico e rischio di malattia coronarica”, spiegano i ricercatori.   Tuttavia, “sebbene l’ischemia indotta da stress mentale sia stata riconosciuta come un fenomeno comune nei pazienti con malattia coronarica stabile, sono disponibili poche informazioni sul suo significato prognostico”.

    Lo studio ha cercato di colmare questa lacuna valutando oltre 900 pazienti arruolati in due ricerche condotte tra il 2011 e il 2016 e seguendoli per circa 5 anni. Tutti avevano precedenti problemi cardiaci, ma una parte di essi presentava anche un’alta sensibilità allo stress mentale: quando sottoposti a pressione psicologica andavano incontro a ischemia, cioè un insufficiente apporto di sangue e ossigeno al cuore. La ricerca ha mostrato che questi pazienti, rispetto a quelli senza ischemia da stress, presentavano un rischio di due volte e mezzo più alto di andare incontro a infarto o morte nel periodo dello studio e due volte più alto di essere ricoverate per scompenso cardiaco. Il rischio è risultato essere più alto per gli uomini che per le donne e particolarmente accentuato per chi aveva avuto in precedenza un infarto o soffriva di scompenso cardiaco o diabete.

    I ricercatori chiariscono che “servono ulteriori ricerche per valutare se l’ischemia da stress mentale abbia un valore clinico”, ma questo fattore dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti con problemi cardiaci, “dato che è suscettibile di interventi medici e sullo stile di vita, come l’esercizio aerobico, la formazione per la gestione dello stress, fino all’assunzione di farmaci antidepressivi, beta-bloccanti e antianginosi”.

STRESS E RISCHI CARDIOVASCOLARE:UN NUOVO STUDIO

Da dottnet.it

Un nuovo studio conferma che lo stress fa male alla salute: quando è troppo aumenta il rischio di ammalarsi di pressione alta e problemi cardiovascolari. Lo rivela una ricerca sulla rivista Hypertension, la prima a valutare l’impatto dello stress su persone inizialmente sane. Lo studio è stato condotto da Kosuke Inoue, epidemiologo all’Università di Kyoto in Giappone. Gli ormoni dello stress norepinefrina, epinephrina, dopamina e cortisolo aumentano quando siamo colpiti da eventi stressanti legati ad esempio al lavoro, ai rapporti con gli altri, ai soldi. I quattro ormoni, infatti, rispondono ai livelli di stress percepiti, aumentando quando lo stress sale.  In questo studio gli ormoni dello stress sono stati misurati con il test delle urine in 412 adulti di età 48-87 anni. È emerso che su un periodo medio di 6 anni e mezzo ogni qualvolta che le concentrazioni dei 4 ormoni dello stress raddoppiano, il rischio di sviluppare pressione alta cresce del 21-31%. Inoltre, è emerso che durante un periodo medio di oltre 11 anni c’è un aumento del 90% del rischio di eventi cardiovascolari ogni volta che la concentrazione di cortisolo raddoppia. Lo studio conferma che lo stress è un fattore di rischio chiave per lo sviluppo di ipertensione e eventi cardiovascolari, conclude Inoue. 

NUOVI STANDARD ISO 45003 PER I RISCHI PSICOSOCIALI

Fonte: AIFOS

image

NUOVO STANDARD ISO 45003 PER LA GESTIONE DEI RISCHI PSICOSOCIALI

La nuova norma fornisce linee guida per la gestione all’interno di un SGSL basato sulla ISO 45001

Il gruppo tecnico ISO 283 ha annunciato la pubblicazione della nuova norma ISO 45003:2021, denominata  “Gestione della salute e sicurezza sul lavoro – Salute psicologica e sicurezza sul lavoro – Linee guida per la gestione dei rischi psicosociali”. Lo standard fornisce raccomandazioni alle organizzazioni su come prevenire le malattie psicologiche lavoro correlate nei lavoratori, specificando le modalità per identificare le condizioni, le circostanze e le richieste del posto di lavoro che hanno il potenziale per influenzare la salute psicologica e il benessere dei lavoratori; fornendo linee guida per identificare i principali fattori di rischio e valutarli per determinare quali cambiamenti sono necessari per migliorare l’ambiente di lavoro; e dettagliando come identificare e controllare i pericoli legati al lavoro e gestire il rischio psicosociale all’interno di un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.


È applicabile alle organizzazioni di tutte le dimensioni e in tutti i settori, per lo sviluppo, l’implementazione, il mantenimento e il miglioramento continuo di luoghi di lavoro sani e sicuri.

Secondo la ISO 45003:2021:

  • I rischi psicosociali sono sempre più riconosciuti come sfide importanti per la salute, la sicurezza e il benessere sul lavoro.
  • I rischi psicosociali riguardano il modo in cui è organizzato il lavoro, i fattori sociali sul lavoro e gli aspetti dell’ambiente di lavoro, le attrezzature e le attività pericolose. I rischi psicosociali possono essere presenti in tutte le organizzazioni e settori e da tutti i tipi di attività lavorative, attrezzature e accordi di lavoro.
  • I rischi psicosociali possono verificarsi in combinazione tra loro e possono influenzare ed essere influenzati da altri pericoli. Il rischio psicosociale si riferisce al potenziale di questi tipi di pericoli di causare diversi tipi di risultati sulla salute, la sicurezza e il benessere individuali e sulle prestazioni e la sostenibilità organizzative.
  • È importante che i rischi psicosociali siano gestiti in modo coerente con altri rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, attraverso un sistema di gestione e integrati nei più ampi processi aziendali dell’organizzazione.
  • Sebbene numerosi fattori possano determinare la natura e la gravità degli esiti dei rischi psicosociali, le organizzazioni hanno un ruolo significativo da svolgere nell’eliminazione dei pericoli o nella riduzione al minimo dei rischi. Sia l’organizzazione che i lavoratori hanno una responsabilità condivisa per il mantenimento e il miglioramento della salute, della sicurezza e del benessere sul lavoro.
  • Per l’organizzazione, l’impatto dei rischi psicosociali include l’aumento dei costi dovuti all’assenza dal lavoro, il turnover, la riduzione della qualità del prodotto o del servizio, il reclutamento e la formazione, le indagini e le controversie sul luogo di lavoro, nonché i danni alla reputazione dell’organizzazione.
  • Una gestione efficace del rischio psicosociale può portare a benefici come un migliore coinvolgimento dei lavoratori, una maggiore produttività, una maggiore innovazione e sostenibilità organizzativa.

Per le organizzazioni, l’impatto dei rischi psicosociali comporta l’aumento dei costi dovuti all’assenza dal lavoro, la ridotta capacità di lavorare in modo efficace e l’aumento del turnover del personale, nonché è possibile causa di danno reputazionale all’organizzazione. Una gestione efficace può eliminare o mitigare questi rischi e portare a benefici come un maggiore coinvolgimento, una maggiore produttività e resilienza e sostenibilità organizzative.

La nuova norma ISO 45003:2021 è acquistabile per il momento solo in lingua inglese all’indirizzo: https://www.iso.org/standard/64283.html

LAVORARE TROPPO FA MALE AL CUORE E NON SOLO.

E se a dirlo sono l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo), non è un monito da prendere alla leggera. Ma qual è il limite da tenere d’occhio? Lavorare 55 ore o più a settimana – si legge in una meta-analisi pubblicata oggi su ‘Environment International’ – aumenta il rischio ictus del 35% e di morire d’infarto del 17% rispetto a chi si limita a 35-40 ore di lavoro a settimana.

In quella che è la prima analisi globale della perdita di vita e salute associata al lavoro, gli esperti stimano che nel 2016 ben 398 mila persone siano morte per ictus e 347 mila per una cardiopatia dopo aver accumulato almeno 55 ore a settimana di lavoro. Tra il 2000 e il 2016 il numero di morti per malattie cardiache legate a orari di lavoro prolungati è aumentato del 42%, e quello di ictus del 19%.

Un rischio particolarmente insidioso per gli uomini (72% dei decessi riguarda i maschi), le persone che vivono nell’area del Pacifico occidentale e nel Sud-Est asiatico e i lavoratori di mezza età o anziani. La maggior parte dei decessi registrati dai ricercatori riguardavano infatti persone tra i 60 e i 79 anni che avevano lavorato almeno 55 ore a settimana tra i 45 e i 74 anni.

Non solo: gli orari prolungati di lavoro sono responsabili di un terzo delle malattie collegate al lavoro. E oggi? Il fenomeno di quanti lavorano in modo eccessivo è in aumento e riguarda circa il 9% del totale della popolazione mondiale.

Inoltre la pandemia del Covid-19 ha acceso i riflettori sulla gestione del tempo di lavoro e ha accelerato una serie di processi che potrebbero ulteriormente prolungare la giornata lavorativa.

“La pandemia ha considerevolmente cambiato il modo in cui molte persone lavorano – ha sottolineato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Il telelavoro è diventato la norma in numerosi settori di attività, facendo spesso ‘scomparire’ i confini tra casa e lavoro. D’altronde numerose aziende sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività per risparmiare soldi e le persone che continuano a lavorare finiscono per avere un orario di lavoro prolungato”.

Però attenzione: “Nessun lavoro vale un rischio di ictus o di malattia cardiaca. I Governi, i datori di lavoro e i lavoratori devono collaborare per mettere a punto dei limiti che proteggano la salute dei lavoratori” stessi, ha detto il Dg dell’Oms.

Da fortunehealth

SMART WORKING: LAVORARE DA UNA SPIAGGIA

Lavorare dalla spiaggia, e vacanzeggiare durante le pause. In questo periodo di lockdown e smartworking compulsivo, in cui i viaggi sono un miraggio ma andare all’estero è consentito in un gran numero di nazioni, si sta facendo largo l’idea di trasferirsi in posti esotici, ben lontani dalle città e dalle sue regole. 

Aruba è stata la prima a lanciare l’idea offrendo ai visitatori la possibilità di rimanere fino a tre mesi per lavorare sulle sue spiagge di sabbia bianca. Poi sono arrivate le Maldive, con uffici da sogno fronte mare e pacchetti Workation con personal assistant disponibile h 24 e wifi. Dubai ha rilanciato con dei visti di lavoro a distanza che consentono alle persone di vivere nell’Emirato per un anno intero. Il nuovo programma consente agli ospiti a lungo termine anche di fare cose che solo i residenti potevano fare prima d’ora, come aprire un conto in banca e iscrivere i propri figli alle scuole locali. 

Smartworking dalla spiaggia: ecco come il sogno può diventare realtà

Barbados ha ideato un «timbro di benvenuto» che consente ai turisti di trascorrere 12 mesi in paradiso, lavorando a distanza. E anche Antigua e Barbuda cercano di attirare nomadi digitali offrendo un visto speciale di 2 anni, con accesso alle 365 spiagge dell’ex colonia britannica.

Altra idilliaca isola che si è aggiunta alla lista dei paradisi che corteggiano gli smartworker con fonti di reddito straniere, offrendo la libertà di lavorare da qualsiasi luogo, è Curacao, al largo della costa del Venezuela. Qui la temperatura tutto l’anno è di circa 28 gradi e la connettività 4G è ampiamente disponibile: il visto è di sei mesi, con possibilità di proroga di altri sei. 

Da La Stampa

LAVORO AGILE: STUDIO LONGITUDINALE DELL’ INAIL

La diffusione del lavoro agile ha avuto un notevole incremento con l’avvento della pandemia, configurandosi anche come un’efficace misura di contenimento del contagio.

Immagine L’esperienza di lavoro agile, gli impatti sul benessere e le condizioni di lavoro: i risultati del caso studio longitudinale condotto in Inail

Questo contributo illustra i risultati del caso studio condotto dal Dipartimento di Medicina, Epidemiologia e Igiene del Lavoro ed Ambientale (Dimeila) all’interno del “Progetto pilota lavoro agile in Inail”, promosso nel 2019 dalla Direzione centrale risorse umane (Dcru). Tali risultati offrono spunti di riflessione in questo momento di grande cambiamento al fine di identificare le opportunità ed eventuali limiti dell’applicazione del lavoro agile, nell’ottica della tutela della salute e del benessere dei lavoratori.


Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

icona facebook
icona twitter

COVID E SALUTE MENTALE

Stimato un aumento di almeno il 30% dei pazienti presi in carico dal Ssn. Mancano personale e strutture.

Da ilsole24ore

Ce lo hanno promesso gli esperti: per l’infezione da Covid la svolta arriverà con la vaccinazione di massa ed è a quella che tra mille stop&go il mondo guarda. Ma c’è una pandemia ancor più subdola e per la quale il vaccino pare ancora più complicato da trovare: sono i disturbi psichici e psichiatrici, schizzati in alto proprio per il dilagare del coronavirus. Uno tsunami mondiale, che in un’Italia pesantemente sguarnita sul fronte dei servizi e dei finanziamenti si sta rivelando drammatico.

A spiegarlo è Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf) e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano: «La pandemia ha creato uno stress senza precedenti sui servizi di Psichiatria, con un aumento enorme delle richieste di prestazioni volte a fronteggiare le conseguenze psichiatriche del Covid. Ma è più appropriato parlare di sindemia: un mix tra pericolo clinico e sociale fatto di malattia, di paura del contagio, della cosiddetta Covid fatigue, di lutti, di crisi socioeconomica. E dell’emersione di una profonda solitudine, soprattutto tra gli anziani».

I numeri e le stime si sprecano: al dato di 830mila pazienti in cura presso i Dipartimenti di salute mentale (Dsm) fotografato in era pre Covid (ed è appena l’1,6% della popolazione presa in carico, a fronte di un’utenza attesa del 5%), si calcola di dover aggiungere oggi almeno un +30% e nel complesso la sindemia porterà con sé un milione di nuovi casi di disagio mentale.

Ad alto rischio – spiega ancora Mencacci – sono soprattutto le donne, i giovani e gli anziani: le prime perché più predisposte alla depressione e più toccate dalle ripercussioni sociali e lavorative, i secondi che hanno visto modificarsi la vita di relazione e subiscono isolamento e perdita del lavoro, gli anziani perché più fragili davanti al virus, alla depressione e alla solitudine. Ma più in generale l’intera popolazione è scossa dall’incertezza che scombina l’attività principale del cervello: quella previsionale, basata sulle esperienze e sull’algoritmo che per vivere costruiamo nella nostra testa. Poiché siamo animali sociali, abitudinari e programmati come specie a dare risposte molto capaci in emergenza, l’adattamento a questa situazione, prolungato a tempo indefinito, provoca uno svuotamento emotivo

LEADERSHIP AL TEMPO DEL COVID 19

In questo periodo di pandemia stiamo assistendo con apprensione ai tentativi, più o meno ordinati e ponderati, dei nostri leader di contenere la diffusione dell’epidemia e gestire un’emergenza senza precedenti.


Non possiamo sapere con certezza quando questa crisi sanitaria finirà e neanche quali saranno le conseguenze che ne deriveranno, ma di una cosa possiamo essere certi: alcuni leader si saranno dimostrati più capaci di altri di fronteggiare la crisi e minimizzare i danni delle comunità cui appartengono.
E’ proprio nei periodi più duri che si evidenziano e si amplificano gli effetti devastanti della leadership inadeguata: incompetenza, arroganza, disonestà, indifferenza per la sofferenza degli altri, costituiscono, ancor più nei periodi di crisi, i detonatori di sconvolgimenti sociali ed economici.
I leader che si dimostreranno più capaci saranno coloro in grado di esprimere qualità come la competenza, l’umiltà, l’integrità, il coraggio ma anche, soprattutto, l’empatia e l’intelligenza emotiva.

Mai come oggi, in un periodo in cui l’intera popolazione mondiale è esposta in tutta la sua vulnerabilità alla paura e alla sofferenza, la guida di un Paese (e di qualsiasi altro gruppo organizzato) richiede ai leader di dare fiducia e rassicurazione, connettendo le persone nelle emozioni e nei valori.

1.I LEADER PIU’ CAPACI: COMPETENTI E EMPATICI
Tomas Chamorro-Premuzic, nel suo libro “Why do so many incompetent men become leaders (and how to fix it)” mette in evidenza come alcuni tratti del carattere quali l’egocentrismo, l’autocompiacimento, l’eccesso di confidenza nelle proprie capacità, siano stati spesso interpretati come espressione di una personalità forte e carismatica, anziché, come sarebbe corretto, essere considerati dei campanelli d’allarme di disturbi della personalità.
Addirittura in molti casi l’eccessiva confidenza viene confusa con la competenza.
Il risultato è che troviamo un surplus di incompetenti (e narcisisti) alla guida di organizzazioni, istituzioni e Paesi.
Questo fenomeno rischia di acuirsi e accentuarsi in periodi di crisi, quando la tentazione dell’”uomo forte al comando” sembra costituire la panacea di tutti i mali.
I leader narcisisti ed egocentrici generano nella collettività ansia, sfiducia e frustrazione provocando conseguenze devastanti non solo sul clima e sulla tenuta sociale ma anche sulla produttività.

E’ vero al contrario che una leadership positiva e benefica rappresenta una risorsa per le collettività e le organizzazioni, dando impulso alla motivazione e alla performance.
La self confidence, lo strenuo perseguimento del successo personale anche a scapito del bene collettivo devono essere messi da parte rispetto ad altri più importanti aspetti della leadership: esperienza e competenza professionale, intelligenza, umiltà, impegno, networking, integrità, empatia.

E’ la rivincita della competenza sull’improvvisazione, sulla superficialità e la banalità dell’apparire.
Ma la competenza e la professionalità da sole non bastano. In parallelo è altrettanto importante adottare un approccio più empatico, umano, all’occorrenza controcorrente, perché solo così saremo incoraggiati a coltivare il gusto per le novità, la prospettiva, le diversità, l’inclusione e soprattutto ci sentiremo motivati al perseguimento di obiettivi ambiziosi, anche a costo di sacrifici e rinunce.

Il leader vincente è colui o colei che guida il gruppo (sia esso un popolo o un team aziendale) al successo collettivo perché capace di intercettare, comprendere e dare voce a sentimenti, emozioni, stati d’animo delle persone e di mettere da parte il proprio interesse personale a favore del più ampio benessere della collettività.

L’intelligenza emotiva e l’empatia giocano un ruolo fondamentale in questo senso, e le donne, che più spesso degli uomini hanno una naturale propensione verso queste competenze, se avranno l’opportunità di accedere ai ruoli decisionali in misura più consistente di quanto avvenuto finora, potranno certamente dare un contributo importante e decisivo all’auspicata trasformazione culturale.

2. I BENEFICI DELLA GENEROSITA’

Le incertezze e i problemi determinati dall’emergenza in atto possono essere meglio affrontati se si innescano processi comunitari collaborativi e di condivisione, cooperativi e solidali.
Adam Grant nel suo libro “Give and Take” ci dimostra che la generosità può avere benefici tangibili per gli individui e le comunità cui appartengono, e che le persone di maggior successo sono proprio i Givers, ovvero coloro che sono capaci di agire a vantaggio degli altri, arricchendo la vita delle persone con cui interagiscono.

I Givers, spiega Grant, sono coloro che preferiscono dare più che prendere, sono generosi nel condividere tempo, energie, conoscenze, capacità, idee e connessioni con altre persone.
Hanno la propensione ad agire per il bene altrui e un forte senso di responsabilità verso chi li circonda. Amano dare il proprio contributo senza pretendere nulla in cambio, sono capaci di anteporre il bene del gruppo al proprio interesse.
Adottano uno stile di comunicazione pacato e partecipativo (Powerless) e nel dialogo utilizzano di solito la prima persona plurale (noi, nostro…).

Al contrario i Takers antepongono sempre il proprio interesse, prendendo più di quanto danno e drenando risorse ed energie dagli altri.
Sempre concentrati su se stessi, hanno un approccio ipercompetitivo, si sentono superiori agli altri, tendono a sopravvalutare il proprio contributo e a sottovalutare quello degli altri.
I loro valori di riferimento sono la ricchezza economica, il potere, la prevaricazione sull’avversario in logica win-lose.
Rappresentano un costo e un grave rischio per la coesione sociale.

I Matchers, che rappresentano la maggior parte (circa il 60%) della popolazione, cercano l’equilibrio tra dare e avere, sono disponibili ad aiutare gli altri se ne possono ottenere dei vantaggi, fondano le relazioni su scambi di favori alla pari e proteggono se stessi con la reciprocità.
Hanno un approccio positivo e costruttivo nella relazione con gli altri, governato dal principio del fairplay. Ma, cercando sempre e comunque di ottenere un beneficio in cambio del loro aiuto, sono meno efficaci dei Givers a generare effetti benefici su chi li circonda.

Nelle culture governate dai valori dei takers la regola è quella di ottenere il più possibile dagli altri contribuendo il meno possibile. Si aiutano gli altri solo quando si è convinti che i benefici personali superino i costi e si ha paura, aiutando gli altri, di essere considerati deboli.
L’inevitabile effetto di questo approccio è di ingenerare competizione e conflitto interno scoraggiando comportamenti di aiuto e contributo reciproci.

Nelle “culture del matching”, la norma è di aiutare coloro che ci aiutano, mantenendo un costante equilibrio tra dare e avere. Sebbene le culture dominate dai valori dei matchers beneficino di un ambiente maggiormente collaborativo rispetto a quelle in cui a prevalere sono i principi guida dei takers, costituiscono ambienti ancora poco efficienti per la collaborazione, la condivisione e lo sviluppo di nuove idee e conoscenze che nascono dalla cross-fertilization.

I Giver hanno più spiccate capacità di interazione proficua con gli altri e sono capaci di creare un ambiente più aperto, solidale, improntato alla fiducia e all’armonia.
Nelle culture improntate al giving, le persone aiutano spontaneamente gli altri senza aspettarsi nulla in cambio.
Questo comportamento di sostegno e supporto facilita l’efficacia delle comunità organizzate da diversi punti di vista:

  • migliora la coesione e il coordinamento del gruppo
  • crea un ambiente più favorevole al rispetto delle regole, perché le persone avvertono che le loro esigenze sono realmente la massima priorità
  • favorisce la circolazione e lo scambio di idee, il trasferimento di know how e di competenze.

Numerosi studi hanno dimostrato che la gentilezza migliora il benessere fisico ed emotivo non solo di chi la riceve ma anche di chi la agisce, alza i livelli di energia, oltre a rafforzare il senso di lealtà nei confronti del gruppo di appartenenza e a favorire il gioco di squadra.

3. IN CONCLUSIONE

Le sfide che ci pone il futuro sono molteplici e ardue. Nulla sarà come prima e dobbiamo essere pronti ad abbracciare nuovi modelli di riferimento.  
A cominciare ad esempio da un atteggiamento più aperto e fiducioso verso le tecnologie digitali, che si sono rivelate preziose per mitigare gli effetti negativi dell’isolamento e dell’inattività e favorire la tenuta del tessuto sociale ed economico.
Imprescindibile appare in questo scenario la radicale trasformazione dei modelli di guida e comando delle nazioni e delle organizzazioni, che sia improntata a empatia, gentilezza, generosità, solidarietà, disponibilità ad ascoltare e aiutare gli altri.
Saper ascoltare e “sentire” le persone, entrare in sintonia con loro, riconoscere le emozioni e prendere decisioni finalizzate a massimizzare il bene comune: queste sono le doti che i leader dovranno dimostrare per consentirci di ricostruire una società più giusta e più equa.
Chiudo citando Einstein che nel 1955 scriveva:

“Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le proprie sconfitte e i propri errori alla crisi, violenta il proprio talento e mostra maggior interesse per i problemi piuttosto che per le soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande difetto delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel trovare soluzioni.” (Albert Einstein)

Da weplusnetwork.com

Sullo stesso argomento:

https://www.ilsole24ore.com/art/leadership-infinita-tempi-covid-pandemia-e-un-occasione-crescita-ADWEoF4