LEADERSHIP AL TEMPO DEL COVID 19

5 Marzo 2021

In questo periodo di pandemia stiamo assistendo con apprensione ai tentativi, più o meno ordinati e ponderati, dei nostri leader di contenere la diffusione dell’epidemia e gestire un’emergenza senza precedenti.


Non possiamo sapere con certezza quando questa crisi sanitaria finirà e neanche quali saranno le conseguenze che ne deriveranno, ma di una cosa possiamo essere certi: alcuni leader si saranno dimostrati più capaci di altri di fronteggiare la crisi e minimizzare i danni delle comunità cui appartengono.
E’ proprio nei periodi più duri che si evidenziano e si amplificano gli effetti devastanti della leadership inadeguata: incompetenza, arroganza, disonestà, indifferenza per la sofferenza degli altri, costituiscono, ancor più nei periodi di crisi, i detonatori di sconvolgimenti sociali ed economici.
I leader che si dimostreranno più capaci saranno coloro in grado di esprimere qualità come la competenza, l’umiltà, l’integrità, il coraggio ma anche, soprattutto, l’empatia e l’intelligenza emotiva.

Mai come oggi, in un periodo in cui l’intera popolazione mondiale è esposta in tutta la sua vulnerabilità alla paura e alla sofferenza, la guida di un Paese (e di qualsiasi altro gruppo organizzato) richiede ai leader di dare fiducia e rassicurazione, connettendo le persone nelle emozioni e nei valori.

1.I LEADER PIU’ CAPACI: COMPETENTI E EMPATICI
Tomas Chamorro-Premuzic, nel suo libro “Why do so many incompetent men become leaders (and how to fix it)” mette in evidenza come alcuni tratti del carattere quali l’egocentrismo, l’autocompiacimento, l’eccesso di confidenza nelle proprie capacità, siano stati spesso interpretati come espressione di una personalità forte e carismatica, anziché, come sarebbe corretto, essere considerati dei campanelli d’allarme di disturbi della personalità.
Addirittura in molti casi l’eccessiva confidenza viene confusa con la competenza.
Il risultato è che troviamo un surplus di incompetenti (e narcisisti) alla guida di organizzazioni, istituzioni e Paesi.
Questo fenomeno rischia di acuirsi e accentuarsi in periodi di crisi, quando la tentazione dell’”uomo forte al comando” sembra costituire la panacea di tutti i mali.
I leader narcisisti ed egocentrici generano nella collettività ansia, sfiducia e frustrazione provocando conseguenze devastanti non solo sul clima e sulla tenuta sociale ma anche sulla produttività.

E’ vero al contrario che una leadership positiva e benefica rappresenta una risorsa per le collettività e le organizzazioni, dando impulso alla motivazione e alla performance.
La self confidence, lo strenuo perseguimento del successo personale anche a scapito del bene collettivo devono essere messi da parte rispetto ad altri più importanti aspetti della leadership: esperienza e competenza professionale, intelligenza, umiltà, impegno, networking, integrità, empatia.

E’ la rivincita della competenza sull’improvvisazione, sulla superficialità e la banalità dell’apparire.
Ma la competenza e la professionalità da sole non bastano. In parallelo è altrettanto importante adottare un approccio più empatico, umano, all’occorrenza controcorrente, perché solo così saremo incoraggiati a coltivare il gusto per le novità, la prospettiva, le diversità, l’inclusione e soprattutto ci sentiremo motivati al perseguimento di obiettivi ambiziosi, anche a costo di sacrifici e rinunce.

Il leader vincente è colui o colei che guida il gruppo (sia esso un popolo o un team aziendale) al successo collettivo perché capace di intercettare, comprendere e dare voce a sentimenti, emozioni, stati d’animo delle persone e di mettere da parte il proprio interesse personale a favore del più ampio benessere della collettività.

L’intelligenza emotiva e l’empatia giocano un ruolo fondamentale in questo senso, e le donne, che più spesso degli uomini hanno una naturale propensione verso queste competenze, se avranno l’opportunità di accedere ai ruoli decisionali in misura più consistente di quanto avvenuto finora, potranno certamente dare un contributo importante e decisivo all’auspicata trasformazione culturale.

2. I BENEFICI DELLA GENEROSITA’

Le incertezze e i problemi determinati dall’emergenza in atto possono essere meglio affrontati se si innescano processi comunitari collaborativi e di condivisione, cooperativi e solidali.
Adam Grant nel suo libro “Give and Take” ci dimostra che la generosità può avere benefici tangibili per gli individui e le comunità cui appartengono, e che le persone di maggior successo sono proprio i Givers, ovvero coloro che sono capaci di agire a vantaggio degli altri, arricchendo la vita delle persone con cui interagiscono.

I Givers, spiega Grant, sono coloro che preferiscono dare più che prendere, sono generosi nel condividere tempo, energie, conoscenze, capacità, idee e connessioni con altre persone.
Hanno la propensione ad agire per il bene altrui e un forte senso di responsabilità verso chi li circonda. Amano dare il proprio contributo senza pretendere nulla in cambio, sono capaci di anteporre il bene del gruppo al proprio interesse.
Adottano uno stile di comunicazione pacato e partecipativo (Powerless) e nel dialogo utilizzano di solito la prima persona plurale (noi, nostro…).

Al contrario i Takers antepongono sempre il proprio interesse, prendendo più di quanto danno e drenando risorse ed energie dagli altri.
Sempre concentrati su se stessi, hanno un approccio ipercompetitivo, si sentono superiori agli altri, tendono a sopravvalutare il proprio contributo e a sottovalutare quello degli altri.
I loro valori di riferimento sono la ricchezza economica, il potere, la prevaricazione sull’avversario in logica win-lose.
Rappresentano un costo e un grave rischio per la coesione sociale.

I Matchers, che rappresentano la maggior parte (circa il 60%) della popolazione, cercano l’equilibrio tra dare e avere, sono disponibili ad aiutare gli altri se ne possono ottenere dei vantaggi, fondano le relazioni su scambi di favori alla pari e proteggono se stessi con la reciprocità.
Hanno un approccio positivo e costruttivo nella relazione con gli altri, governato dal principio del fairplay. Ma, cercando sempre e comunque di ottenere un beneficio in cambio del loro aiuto, sono meno efficaci dei Givers a generare effetti benefici su chi li circonda.

Nelle culture governate dai valori dei takers la regola è quella di ottenere il più possibile dagli altri contribuendo il meno possibile. Si aiutano gli altri solo quando si è convinti che i benefici personali superino i costi e si ha paura, aiutando gli altri, di essere considerati deboli.
L’inevitabile effetto di questo approccio è di ingenerare competizione e conflitto interno scoraggiando comportamenti di aiuto e contributo reciproci.

Nelle “culture del matching”, la norma è di aiutare coloro che ci aiutano, mantenendo un costante equilibrio tra dare e avere. Sebbene le culture dominate dai valori dei matchers beneficino di un ambiente maggiormente collaborativo rispetto a quelle in cui a prevalere sono i principi guida dei takers, costituiscono ambienti ancora poco efficienti per la collaborazione, la condivisione e lo sviluppo di nuove idee e conoscenze che nascono dalla cross-fertilization.

I Giver hanno più spiccate capacità di interazione proficua con gli altri e sono capaci di creare un ambiente più aperto, solidale, improntato alla fiducia e all’armonia.
Nelle culture improntate al giving, le persone aiutano spontaneamente gli altri senza aspettarsi nulla in cambio.
Questo comportamento di sostegno e supporto facilita l’efficacia delle comunità organizzate da diversi punti di vista:

  • migliora la coesione e il coordinamento del gruppo
  • crea un ambiente più favorevole al rispetto delle regole, perché le persone avvertono che le loro esigenze sono realmente la massima priorità
  • favorisce la circolazione e lo scambio di idee, il trasferimento di know how e di competenze.

Numerosi studi hanno dimostrato che la gentilezza migliora il benessere fisico ed emotivo non solo di chi la riceve ma anche di chi la agisce, alza i livelli di energia, oltre a rafforzare il senso di lealtà nei confronti del gruppo di appartenenza e a favorire il gioco di squadra.

3. IN CONCLUSIONE

Le sfide che ci pone il futuro sono molteplici e ardue. Nulla sarà come prima e dobbiamo essere pronti ad abbracciare nuovi modelli di riferimento.  
A cominciare ad esempio da un atteggiamento più aperto e fiducioso verso le tecnologie digitali, che si sono rivelate preziose per mitigare gli effetti negativi dell’isolamento e dell’inattività e favorire la tenuta del tessuto sociale ed economico.
Imprescindibile appare in questo scenario la radicale trasformazione dei modelli di guida e comando delle nazioni e delle organizzazioni, che sia improntata a empatia, gentilezza, generosità, solidarietà, disponibilità ad ascoltare e aiutare gli altri.
Saper ascoltare e “sentire” le persone, entrare in sintonia con loro, riconoscere le emozioni e prendere decisioni finalizzate a massimizzare il bene comune: queste sono le doti che i leader dovranno dimostrare per consentirci di ricostruire una società più giusta e più equa.
Chiudo citando Einstein che nel 1955 scriveva:

“Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le proprie sconfitte e i propri errori alla crisi, violenta il proprio talento e mostra maggior interesse per i problemi piuttosto che per le soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande difetto delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel trovare soluzioni.” (Albert Einstein)

Da weplusnetwork.com

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