STRESS LAVORO CORRELATO

POSSIBILE BASE NEURALE NELLO STRESS LAVORO CORRELATO

 

ABSTRACT:Nonostante un numero crescente di relazioni sulle associazioni tra stress professionale cronico e cambiamenti strutturali e funzionali del cervello, i correlati neurali sottostanti dello stress professionale percepito non sono ancora chiari. Lo stress percepito riflette la misura in cui le situazioni vengono valutate come stressanti in un determinato momento della vita. Usando la spettroscopia nella sfera ad infrarossi, abbiamo studiato le associazioni tra lo stress professionale percepito e l’attività corticale sulle regioni frontotemporali bilaterali durante un test di fluidità verbale. Sono stati reclutati sessantotto partecipanti (17 uomini, 51 donne), dai 20 ai 62 anni. Lo stress professionale percepito è stato misurato utilizzando la versione cinese del questionario sul contenuto del lavoro e la versione cinese dell’inventario del burnout di Copenaghen. Abbiamo trovato associazioni statisticamente significative negative tra burnout occupazionale e attività corticale cerebrale sulla corteccia prefrontale fronto-polare e dorsolaterale durante la VFT (r = da -0,343 a -0,464). In conclusione, la nostra ricerca ha dimostrato una possibile base neurale dello stress professionale percepito che è distribuito attraverso la corteccia prefrontale.

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dalla rivista Nature.com

liberamente tradotto ed adattato da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

STUDIO SULLO STRESS LAVORO CORRELATO NEL SETTORE ODONTOIATRICO

ABSTACT
Introduzione I dentisti sono spesso esposti a fattori di stress professionali, che comprendono le reazioni empatiche  con pazienti che avvertono dolore, ansia e paura. Non sorprende che i dentisti siano quindi un gruppo lavorativo che sperimenta livelli particolarmente elevati di esaurimento professionale. Il presente studio fornisce il primo test empirico per stabilire se il burnout professionale è più elevato e il benessere generale è più basso, per i dentisti e gli studenti che hanno maggiori difficoltà a gestire le proprie emozioni (disregolazione delle emozioni) e individuare e interpretare segnali sociali dagli altri (difficoltà cognitive sociali ).

Materiali e metodi Novantasei professionisti (dentisti e odontoiatri) e 54 studenti di odontoiatria hanno completato tests per la misurazione della regolazione delle emozioni, della funzione cognitiva sociale del born out  professionale e  della misurazione del benessere.

Risultati Coerentemente con altri dati di letteratura , i tassi di burnout erano significativamente più elevati sia nei professionisti odontoiatri  che negli studenti, rispetto ai normali standard . È importante sottolineare che i risultati hanno anche identificato associazioni significative tra i tassi di esaurimento sia con la disregolazione delle emozioni, sia con una delle misure della funzione cognitiva sociale ovvero la disposizione empatica a provare disagio in risposta all’angoscia degli altri (angoscia personale). Anche la valutazione della disregolazione emotiva e del disagio personale era significativamente più alta per gli studenti di odontoiatria rispetto ai professionisti.

Conclusione Questi dati evidenziano l’importanza di essere in grado di gestire efficacemente le emozioni negative ed i fattori stressogeni  negli studi dentistici

liberamente tradotto ed adattato da dott Guerri

UN UFFICIO PERSONALE ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

Da repubblica.it

Manager della felicità con tanto di certificazione. Chief happiness officer (Cho) è Cecilia Masserini, dallo scorso settembre responsabile delle risorse umane di Biogen Italia, una delle prime aziende biotecnologiche al mondo che studia e sviluppa terapie con un approccio innovativo e pionieristico per malattie e patologie neurologiche autoimmuni e rare. Nata ad Aosta nel 1983, Masserini è tra i primi cinquanta manager titolati Cho in Italia, un corso legato alla Scienza della felicità e delle organizzazioni positive, rivolto a ruoli di hr o anche di amministratore delegato, che conferisce le competenze adatte a sviluppare e coltivare ambienti di lavoro con una buona qualità della vita e più liberi da stress.

Cecilia Masserini ha impostato i presupposti di questo suo indirizzo professionale fin dai tempi dell’università, con una laurea in Filosofia da 110 e lode alla Statale di Milano, e una tesi in Filosofia morale su ‘L’Eracle di Euripide e i sofisti: gli uomini e la relazione con la divinità’. “Quando mi sono iscritta all’università non avevo in mente una professione definita, durante il corso di laurea ho svolto lavori nella sfera green, con alcune cooperative dedicate alla sostenibilità ambientale. Ma lo studio del comportamento umano è stato sempre la mia passione assieme al lavoro di consapevolezza su di me”.

Ha iniziato con un impiego in Adecco come selezionatrice del personale per il settore industriale, ma per fare il salto alla gestione delle risorse umane intraprende un master in Human Resources presso la Business school del Sole24 Ore e consegue una certificazione di tre anni come counselor al Centro Berne di Milano. “Il master mi ha aperto un nuovo orizzonte. In azienda io porto la mia particolare visione delle cose, ma su questi temi in Biogen erano sensibili anche prima del mio arrivo. È nella cultura dell’azienda, in quella dell’amministratore delegato Giuseppe Banfi che ha portato avanti questi principi. Abbiamo cercato di mettere questa linea sempre più a sistema, con passi continui, in modo da strutturarla al meglio. L’anno scorso ci siamo guadagnati un’altra certificazione conferita dal Winning women institute, che guarda più parametri. Per esempio, da noi donne e uomini sono completamente paritari nella retribuzione”.

In concreto ci sono poi le buone pratiche messe in atto per favorire la donna e la mamma. “Con un master che abbiamo lanciato on line, proponiamo di dimostrare che le competenze maturate nel ruolo di mamma potranno essere spese nel mondo del lavoro, e quelle acquisite lavorando forgiano un buon genitore. Ci preme costruire una sinergia tra i due aspetti. La donna, dopo la maternità, si può avvalere di un coach che l’accompagna durante il rientro in azienda. L’altro elemento su cui abbiamo investito sono i benefit in termini di permessi. Diamo fino a 15 giorni per la malattia del bambino. Penso ai manager che trattano con persone tanto diverse le une dalle altre. e quanto è importante che gli stili manageriali siano inclusivi di competenze professionali e umane”.

Fondata nel 1978 da Charles Weissman, Heinz Schaller, Kenneth Murray e dai premi Nobel Walter Gilbert e Phillip Sharp, Biogen coltiva una ricerca all’avanguardia su una serie di malattie come la sclerosi multipla, l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), l’atrofia muscolare spinale (Sma) e la paralisi sopranucleare progressiva (Psp).

Con un fatturato globale 2018 di 13,5 miliardi di dollari, l’azienda americana la cui sede centrale è negli Usa, a Cambridge, nel Massachussetts, conta 7.300 dipendenti, opera direttamente con proprie filiali in 39 Paesi e collabora con una rete di partner in 102 nazioni. In Italia dal 1997 e con un’affiliata indipendente dal 2011, si trova a Milano, con 140 addetti, il 50% nella sede centrale e il resto sparso sul territorio nazionale, sei su dieci sono donne, un dato che si ripete anche a livello di top management.

La ricerca scientifica è il cuore dell’attività Biogen: l’azienda vi investe circa il 20% del proprio fatturato annuo. Tramite il suo portfolio di biosimilari di farmaci biologici avanzati per la cura di importanti malattie, crea sostenibilità e aumenta le possibilità per i pazienti di accedere ai trattamenti e all’assistenza necessari. Ha messo a punto terapie innovative per il trattamento della sclerosi multipla e per l’atrofia muscolare spinale. “Ora stiamo lavorando per immettere sul mercato il farmaco per la cura dell’Alzhaimer. Sarebbe il primo”.

Il concetto di presa in carico dei dipendenti e l’analisi dei processi che permettano di mettere al centro il lavoratore, sono il fulcro della strategia della top manager. Che nel suo percorso di carriera è stata per poco più di due anni in Ingram Micro, il più grande distributore a livello mondiale di prodotti tecnologici, leader globale nella supply chain IT, occupandosi delle maestranze. Poi con Teva Italia, multinazionale farmaceutica israeliana, ad Assago, è passata a hr business partner, con un ruolo a 360 gradi di una unit, seguendo anche la parte legale, di budget, procedure di mobilità, per quattro anni, di cui due nella affiliata italiana e gli altri nell’head quarter europeo di Amsterdam, dove rispondeva al responsabile delle Risorse umane Europa. “Si disegnavano i processi, la cultura organizzativa, i valori dell’azienda, e io ero il tramite tra chi progettava e chi li doveva attuare, un impegno molto interessante che mi ha messo in contatto con persone di tutto il mondo. È stato un momento di grande trasformazione per me, l’occasione per rivedere i miei stili di comunicazione e di inclusione”.

Rientrata in Italia nel 2016 ha fatto un’altra esperienza in Vodafone, azienda diversa e più grande, con 16 mila dipendenti. Prima come hr business partner per una unit che si occupava di tecnologia, e poi promossa a ruolo di training manager per negozi e agenzie che per Vodafone erano il fulcro.

Tre anni dopo eccola in Biogen Italia, subito responsabile delle Risorse umane. Qui, nel nuovo modello di business, la sostenibilità dell’individuo coincide con quella dell’azienda. “A volte quando si parla di felicità si pensa a concetti astratti, invece ha precisamente a che vedere con il benessere della persona e della compagnia per cui lavora. Guardiamo i dati: aumenta la capacità di innovare del 300 per cento, le vendite del 37 per cento, la produttività del 31 per cento. Per curare il nostro business ci dobbiamo occupare di tutto ciò che gravita in questo ecosistema. Il tema dei feedback, per esempio, focalizzati sull’aspetto emotivo di chi li riceve e di chi li invia, sulla qualità della relazione: se c’è cura nei rapporti tra le persone c’è fiducia e la fiducia porta all’empowerment. Come manager dobbiamo essere costantemente attenti a ciò che facciamo, non siamo esseri perfetti, abbiamo margini di miglioramento, ma c’è la voglia di essere all’interno di questo percorso. Che del resto corrisponde alla nostra missione, la cura delle malattie rare. Per riuscire non possiamo non prenderci cura di noi, e poi forse ci auto selezioniamo in questo senso. Tutto ciò viene prima della competenza di chiunque; chi non sposa questi valori non può funzionare”.

Azioni positive nella vita quotidiana, investire sul benessere psicologico di ognuno. Con uno sguardo attento al contesto sociale, l’azienda ha attivato un servizio che permette ai dipendenti e alle loro famiglie di usufruire in maniera gratuita di un supporto psicologico, in termini confidenziali e anonimi per tutto il nucleo familiare. “La depressione, l’ansia, lo stress da lavoro coinvolgono un gran numero di individui; si stima che in Europa 84 milioni di cittadini soffrano di disagio mentale. L’idea è stata di partire dagli indici che ci dà l’Organizzazione mondiale della Sanità. L’Oms avvisa che nel 2020 la depressione sarà la seconda malattia con cui il mondo farà i conti e già oggi, solo in Europa, 40 milioni di lavoratori soffrono di ‘stress da lavoro correlato’.

“Noi passiamo 8, 10 ore in ufficio e le varie forme di malessere hanno impatto sulla produttività. L’azienda ha un valore sociale e il suo sistema deve prendersene cura. Lo stesso discorso vale sul versante legale. Biogen affronta anche i disagi che nascono dalle separazioni, dalla ricerca di casa, i problemi del mutuo, le classiche preoccupazioni nel ciclo della vita. Per noi è importante dare strumenti che possano garantire la serenità dei dipendenti”.

Anche all’esterno Biogen con Cecilia Masserini sta investendo su più fronti. A partire da una collaborazione importante con Dynamo Camp, in Toscana, a San Mauro Pistoiese. È il primo laboratorio di terapia ricreativa per bambini malati in Italia, per periodi vacanza e divertimento con assistenza specifica. “Prima erano normali donazioni, poi la nostra organizzazione invece di prendere degli spazi in un hotel per le nostre riunioni di ciclo, ha deciso di andare a Dynamo camp, e di dare in beneficenza i soldi risparmiati”. L’evoluzione di questo rapporto è stata favorire le esperienze dei dipendenti all’interno della onlus e l’azienda ha regalato dieci giorni di volontariato. L’anno prossimo promuoverà un training per i suoi manager sulla gestione della diversità, inclusione e comunicazione non violenta.

Per Cecilia Masserini, uno dei driver è il viaggio. “Mia madre Maria Antonietta Russo, faceva l’assistente di volo, mio padre Francesco l’insegnante di Lettere. Fin da piccola con una sorella e un fratello di undici e dieci anni più grandi di me, dalla chiusura delle scuole fino a settembre, facevamo una lunga vacanza in un posto del mondo che poteva essere la Thailandia, Tokio, l’Argentina: nel mio dna c’è questa modalità di immergersi in culture diverse, nel confronto continuo ci sono un po’ cresciuta. Il viaggio è ancora oggi per me una necessità. L’ultimo l’ho fatto in Botswana, subito dopo ho agganciato la Namibia, prima ero stata in Israele, che avevo la curiosità di conoscere”.

La prossima spedizione, di solito in questo mese di dicembre, sarà diversa. “Ho deciso di fare il volontariato al Dynamo camp. Una settimana di terapia ricreativa dedicata a bambini con gravi patologie, sette giorni in cui si possono scordare della loro malattia, coinvolti in una serie di attività che li fanno pensare a un gioco. È una struttura che permette a questi bambini di fare gratis esperienze incredibili. Con la sedia a rotelle, in piscina, il circo, laboratori di pittura. Un concetto molto vicino a quello del ‘Fun’da noi introdotto in azienda. Per lavorare bene occorre attivare anche i bisogni primari che portano a più creatività. L’idea è: prendi con leggerezza e divertimento tutto quello che ti circonda, il lavoro o la malattia”.

Per accedere si deve passare per una selezione e una formazione di quattro giorni perché prima di stare con i bambini in situazioni che possono essere anche molto difficili. occorre testare il livello di energia, e seguire un corso sulla gestione della diversità, “estremamente toccante”. “Nei miei tre anni di counseling ho imparato che la gestione del diverso è costante. Significa capire i bisogni di chi ci sta accanto e includere questa diversità per un’evoluzione comune. In azienda è un valore aggiunto. Scelsi di fare tirocinio all’ospedale Niguarda e alla fine c’era un percorso per chi usciva dall’unità spinale che doveva rimettersi sui binari della vita quotidiana”.

Cecilia Masserini, che vive a Milano, vicino a San Siro, si dichiara felice. “Direi di sì, lo capisco dalla voglia che ho la mattina di portare avanti la giornata. E mi addormento con la stessa energia. Ho delle persone a cui voglio molto bene e su cui posso contare, mia sorella con i suoi quattro figli, il primo di venti anni, una bella rete di amici, sorelle acquisite, una famiglia allargata. Così le cose della vita acquistano un senso. Non si ha la sensazione di andare a vuoto, ma di sentirsi nutriti, sapere che ogni cosa fatta può avere un impatto. Sono stata più piena e appagata dal momento in cui ho capito qual è il contributo che posso dare; mi viene bene, sono contenta di farlo e vedo un ecosistema che si attiva intorno. Mi rattristano, invece, i danni causati dall’uomo, frutto di una mancata cura. Spesso sono le organizzazioni private che arrivano dove altri non riescono. La maternità, le malattie non sarebbero il perimetro dell’azienda, ma quelli che hanno un minimo di visione capiscono che se non lo fa qualcun altro, tocca a loro. È ovvio che un’azienda che si muove così è illuminata: è il tema della responsabilità sociale. Il profitto per il profitto non può essere il fine ultimo, altrimenti siamo destinati ad implodere”.

WORK ENGAGEMENT E LAVORO

La definizione del work engagement

La prima definizione del work engagement risale al 1990, quando William A. Kahn, oggi professore di Organizational Behavior alla Questrom School of Business dell’Università di Boston, la definì quale “harnessing of organization members’ selves to their work roles” (letteralmente “imbrigliamento dei membri di un’organizzazione nel proprio ruolo lavorativo”).Il work engagement rappresenta la propensione dei lavoratori a essere pienamente presenti nell’organizzazione, la disponibilità degli individui ad agire in modo da seguire gli interessi dell’organizzazione sentendosi attratti, dediti ed entusiasti del proprio lavoro.Si tratta, secondo la definizione ufficiale, di uno stato mentale positivo e di soddisfazione nei confronti del proprio lavoro caratterizzato da tre dimensioni – vigore, dedizione e immersione – che coinvolgono rispettivamente la sfera fisica, motivazionale e cognitiva [9].

Il vigore rappresenta l’energia fisica e mentale con cui un lavoratore assolve i propri compiti lavorativi, anche di fronte alle difficoltà e allo stress; la dedizione indica il coinvolgimento in prima persona del lavoratore nel suo lavoro, un atteggiamento che consente di operare con passione ed interesse per raggiungere gli obiettivi senza mire o calcoli personalistici; l’immersione costituisce la capacità del lavoratore di concentrarsi e di essere completamente assorbito dal lavoro, fattore importante per assolvere i propri compiti senza perdita di tempo e senza distrazione, tanto da percepire la giornata come breve e rapida.Tuttavia, l’eccessivo carico lavorativo può generare in persone con scarsa resilienza un atteggiamento compulsivo avverso al lavoro definito workaholism o work addiction, letteralmente “intossicazione da lavoro”, una forma di dipendenza dal lavoro, associata a sintomi negativi di ossessione e di subordinazione dell’autostima alle aspettative riposte nel lavoro [1].

Come si valuta il work engagement?

Il livello di engagement di un lavoratore può essere evidenziato mediante questionari soggettivi. Il più diffuso è l'”Utrecht work engagement scale” (UWES), che indaga le tre componenti del work engagement su citate (vigore, dedizione e immersione).

Oltre alla versione completa del 2002 [9], che consta di 17 domande a risposta chiusa, graduata da 0 (mai) a 6 (sempre, ogni giorno) e il cui manuale è liberamente accessibile online [6] sono disponibili versioni più brevi, di nove e di sole tre domande a risposta multipla [7, 10]. In ciascuna delle diverse versioni, il punteggio medio di ciascuna delle sub-scale dell’UWES si calcola sommando i punti di ciascuna delle risposte alle domande della scala in questione, e dividendo il valore ottenuto per il numero delle domande. Una procedura simile si segue per il punteggio totale. Quindi, UWES dà luogo a tre sub-scale e a un punteggio totale, ciascuno dei quali varia da 0 a 6. Più alto è il punteggio, maggiore l’engagement del lavoratore.In medicina del lavoro sono utilizzate soprattutto le versioni brevi, a nove o addirittura a tre domande. Esse consentono di calcolare molto rapidamente i livelli di engagement non solo dei singoli lavoratori, ma anche dei gruppi omogenei di lavoratori o dell’azienda nel suo insieme.I valori ottenuti possono essere confrontati con i valori di riferimento, riportati dal manuale citato [6]. Una procedura alternativa è quella di studiare la distribuzione dei valori del test all’interno dell’azienda e assegnare il giudizio “engagement molto alto” ai punteggi superiori al 95° percentile, “alto” tra 75° e 95° percentile, e così assegnando i giudizi “medio”, “basso”, “molto basso” ai quartili inferiori.

da insic

STUDIO SULLO STRESS LAVORO CORRELATO ALLE POSTE

Ritmi e carichi di lavoro intensi, margini scarsi di autonomia e partecipazione, pressioni per il perseguimento degli obiettivi, presenza di problemi per la salute psicologica (tensione, stress, ansia), disturbi oculistici e muscolo-scheletrici. E’ il ‘quadro’ sulla vita ‘lavorativa’ dei consulenti di Poste Italiane che emerge dalla ricerca ‘Le condizioni di lavoro e di salute dei consulenti delle poste: i risultati dell’indagine tramite questionario‘, a cura di Inca, Slc Cgil, Fondazione Di Vittorio e presentata  a Roma nella sede dell’Inail.

L’analisi si basa sui dati provenienti da questionari somministrati ai consulenti di Poste Italiane che, secondo fonti sindacali, spiegano gli autori del Rapporto, si stiamo siano 8.100 lavoratori, a cui si aggiungono circa 3.300 direttori che svolgono anche attività di consulenza. Il questionario dedicato ai consulenti postali è stato diffuso a partire da aprile 2019 e l’analisi verte sui primi 1.098 questionari compilati al 15 settembre 2019. Il campione intercettato dall’indagine si caratterizza per un’alta presenza femminile, un’età medio-alta e un’anzianità lavorativa di lungo periodo, con una presenza maggiore nelle aree centro settentrionali del Paese. La situazione occupazione è caratterizzata dalla quasi totale prevalenza del tempo indeterminato full-time.

E, come emerge dalla ricerca, tra i consulenti postali intervistati, 349 hanno subito infortuni sul lavoro (il 33% di quanti hanno risposto alla domanda e il 31,8% del campione) e in 260 casi l’infortunio ha avuto un seguito nel riconoscimento da parte dell’Inail (il 74,5% dei casi). Quasi del tutto assenti risultano, invece, i casi di malattie professionali denunciate (1%) e, conseguentemente, i casi di riconoscimento (0,4%).

I questionari sono stati compilati da 326 maschi (29%) e 682 femmine (67,7%), mentre il 10,3% dei rispondenti non specifica il genere. La netta prevalenza femminile caratterizza una platea che sul piano anagrafico risulta in gran parte di età superiore ai 50 anni (60,5%). Tra i maschi, le fasce dai 31 ai 40 anni e quelle degli over 60 risultano più significative che tra le femmine (18% a fronte del 14,7% per quanto riguarda i più giovani e il 17,3% a fronte del 13,8% tra i più anziani).

Coerentemente all’età rilevata, in media elevata, anche l’anzianità lavorativa è concentrata nelle fasce più avanzate, di lungo periodo. Il 62,7% dei rispondenti, infatti, ha più di 20 anni di esperienza. La quasi totalità degli intervistati svolge il proprio lavoro con un contratto di subordinazione a tempo indeterminato (99,7%), solo lo 0,4% è stato assunto a tempo determinato e lo 0,3% con un contratto di apprendistato. Il regime orario più diffuso è il full-time (98,4%), con una media oraria settimanale di 38,2 e giornaliera di 6,5 ore. Si tratta di medie superiori a quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Il dato è particolarmente significativo se si pensa che il 25% degli intervistati lavora più di 40 ore a settimana e più di 7 ore al giorno.

Gli aspetti ritenuti problematici rispetto alle proprie condizioni di lavoro indicati dagli intervistati riguardano in primo luogo la carenza di personale (77,3%), seguito da un ambiente fisico poco adeguato (60%). Risultano molto diffusi, anche se meno dei precedenti, anche la carenza di strumenti e materiali di lavoro (56,7%) e la difficoltà a conciliare la vita lavorativa con la vita privata e famigliare (43,5%).

Dall’indagine emerge chiaramente quanto i ritmi di lavoro costituiscano un problemasul quale gli intervistati hanno scarse possibilità di azione. Il 53,5% dei lavoratori e delle lavoratrici afferma di non poter mai scegliere o cambiare i metodi di lavoro. Il 26,5% afferma di non poter gestire le pause o i turni in base alle proprie esigenze e il 44,8% afferma di poterlo fare qualche volta. Nel caso dei consulenti postali, il principale elemento caratterizzante le condizioni di lavoro è la pressione dovuta a forme specifiche di eterodirezione, sia dirette che indirette. Su 1.024 rispondenti, 844 affermano di aver subito ‘pressioni’ (82,4%) durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Mentre con riferimento allo strumento di valutazione, oltre il 60% dei rispondenti (1.037) afferma che si tratta di un dispositivo per nulla o pochissimo costruttivo.

Secondo l’indagine, complessivamente, 497 tra intervistati e intervistate dichiarano di aver subito violenza nell’ultimo anno e si tratta del 47,2% dei 1.052 che hanno risposto alla domanda. Nella gran parte dei casi si è trattato di sola violenza verbale (488) a cui si aggiungono i più rari casi di violenza fisica(12).

La gerarchia aziendale è un fattore decisivo nel determinare i casi di violenza. La metà dei rispondenti interessati, infatti, riconduce l’atto a un superiore (50,7%), mentre poco più di un caso su tre adduce la responsabilità ai clienti (38,5%). Meno diffuse, infine, le occasioni che hanno visto l’atto di violenza mosso da colleghi (9,2%) o da rapinatori (1,7%). Si deve comunque tenere conto del fatto che nel corso della propria carriera il 21,4% degli intervistati e delle intervistate è stato vittima di rapina.

Alle difficoltà psicologiche dovute a violenza e pressioni, devono aggiungersi quelle derivanti dalle condizioni ergonomiche di svolgimento del lavoro. Nel 59,5% dei casi le postazioni sono considerate non adeguatamente comode, nel 57,6% poco pratiche; nel 53,7% con un microclima inadeguato, troppo distanti dalle stampanti e fotocopiatrici (50,5%) e poco pulite (50,2%). Per la maggior parte dei rispondenti, comunque, risultano adeguatamente sicure (60,1%); adeguatamente illuminate (72,7%) e con una risoluzione del monitor abbastanza adeguata (66%).

Ma la percezione dei consulenti sulle condizioni della propria salute risultano abbastanza positive. In media il giudizio espresso è di 3,5 su una scala da 1 a 5, senza particolari differenze tra maschi e femmine e con un progressivo deterioramento all’avanzare dell’età. Questo non significa che il lavoro non incida sulle condizioni di salute dei lavoratori e delle lavoratrici. Al contrario, ad affermare l’impatto negativo delle condizioni di lavoro su quelle di salute sono il 58,9% di quanti hanno risposto alla domanda (1.016). L’incidenza cresce tra le donne (63,2%) e nelle fasce di età più avanzate con valori intorno al 60% dai 40 anni in su che crescono nella fascia 51-60 al 65,7%.

Una quota significativa di intervistati dichiara assumere farmaci un maniera costante e regolare (41,3%). I 436 intervistati che affermano di ricorrere regolarmente all’utilizzo di farmaci hanno indicato, in totale, 502 tra medicinali e principi attivi che sono stati riclassificati dai medici del gruppo di ricerca. I farmaci più diffusi sono quelli cardiologici (32,9%), assunti regolarmente dal 41,6% degli intervistati. Seguono i farmaci per l’assunzione di ormoni (20,7%) e, terzi per diffusione, gli psicofarmaci (14,7%), assunti regolarmente dal 18,6% degli intervistati. Con riferimento agli psicofarmaci è opportuno notare che 34 dei 64 rispondenti in terapia è sottoposta a ritmi molto intensi di lavoro.

Sulla distribuzione pesa, ovviamente, l’elevata incidenza di intervistati in fasce di età avanzate, tra i quali l’utilizzo di farmaci è anche più diffuso. L’incidenza dei farmaci cardiologici diminuisce tra gli intervistati di fasce di età inferiori ai 51 anni, dove invece emerge il ricorso a psicofarmaci e a farmaci a base di ormoni. Mediamente, i consulenti postali intervistati soffrono di 2,7 patologie ciascuno. Le patologie più diffuse sono quelle oculistiche (che interessano il 58,2% del campione) e quelle muscolo scheletriche(40,8%). Confrontando le diverse patologie per la loro presenza attuale e pregressa, emerge come i problemi alla vista e quelli muscolo-scheletrici siano quelli più strutturali, con una forte incidenza sia nel passato che nel presente.

Tali condizioni sono associate a livelli elevati di assenteismo per malattia. Nonostante le assenze incidano sulla premialità, infatti, solo il 44,4% degli intervistati ha dichiarato di non essersi mai assentato per ragioni di salute nell’ultimo anno. Il 35,5 lo ha fatto per qualche giorno, il 12% per più di una settimana e l’8,1% per più di un mese.

In media gli intervistati hanno specificato 2,8 zone interessate da dolori persistenti ciascuno. Più nel dettaglio, si osserva come per la gran parte dei casi dichiarati il dolore persistente investa la cervicale (60% dei casi) e la fascia lombo-sacrale (48,3%). Risultano meno diffusi i disturbi alle altre fasce della colonna e agli arti superiori. Le patologie di tipo oculistico sono molto diffuse tra i rispondenti e caratterizzate da una forte persistenza nel lungo periodo. Tra i 450 intervistati e intervistate che affermano di soffrire di patologie oculistiche, 402 lamentano disturbi visivi specifici, mentre 48 non specificano l’esistenza di alcun disturbo.

Da adn Kronos

IL LAVORO NOTTURNO AUMENTA IL RISCHIO CANCRO

Il cancro al polmone è la principale causa di decessi per cancro in tutto il mondo, per questo studi inerenti alla prevenzione oncologica sono particolarmente attivi in questo settore. Il campo della prevenzione oncologica è governato da numerosissimi fattori legati ad abitudini e stile di vita, che risultano difficili da analizzare.

Una recente indagine pubblicata su Cell Metabolism il 28 Luglio 2016, realizzata dai biologi del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha messo in luce la correlazione tra un lavoro che prevede turni notturni ed il rischio di carcinogenesi; il rischio di sviluppare certe malattie in seguito a turni notturni è un sorvegliato speciale da tempo, tanto che già nel 2010 il rischio di tumore correlato a ciò appariva nella sezione ‘possibile-2A’ (probabile cancerogeno per l’uomo) nella lista IARC (International Agency for Research on Cancer).

Ma perchè un infermiere o un operaio che svolgono turni notturni sono più soggetti al cancro?

Chiaramente avrete già sentito parlare di ritmo circadiano, una sorta di orologio intrinseco al nostro organismo che comporta oscillazioni bio-umorali, regolato dalla luce. Questo particolare orologio ha funzioni molto importanti tra cui la regolazione del sonno-veglia, la secrezione ormonale, le variazioni di temperatura corporea e la regolazione del metabolismo cellulare, che comprende la divisione e di conseguenza anche la proliferazione delle neoformazioni.

L’orologio circadiano negli esseri umani si trova nel nucleo soprachiasmatico del cervello (Sistema Nervoso Centrale) e dalla retina riceve informazioni riguardanti i livelli di luce; il SNC elabora queste informazioni e le trasmette alle cellule del corpo tramite ormoni e altre molecole. Un lavoro che comporta turni notturni altera il ritmo circadiano e un’alterazione di questo fa sì che i tumori diventino più aggressivi e crescano più rapidamente.

I ricercatori del MIT hanno condotto il loro esperimento sul modello animale murino (topi) ed hanno osservato l’importanza di due geni, presenti anche nell’uomo, che fungono da soppressori tumorali. Se l’orologio che detta il ritmo circadiano non funziona correttamente (in presenza di troppa o in assenza di luce) questi due geni risultano alterati e non possono svolgere il loro ruolo contro i tumori.

Questi due geni sono Bmal1 e Per2, codificano per proteine il cui livello oscilla durante il corso della giornata in correlazione al ritmo circadiano; quando il normale ciclo buio/luce viene interrotto le oscillazioni proteiche spariscono.

Lo scopo dell’esperimento è stato quello di correlare l’alterazione di questi geni e il cancro in topi programmati per sviluppare il cancro al polmone. Nella prima serie di esperimenti un gruppo di topi è stato esposto ad un ciclo buio/luce regolare di 12h/12h, mentre il secondo gruppo è stato esposto ogni 2 giorni ad un ulteriore periodo di luce di 8 h; questa situazione era volta ad emulare i turni notturni a cui si sottopongono gli esseri umani. Nella seconda serie di esperimenti i topi sono stati sottoposti ad un normale ciclo buio/luce ma sono stati ‘spenti’ i geni Bmal1 e Per2, regolatori del ritmo circadiano. Sia nei topi sottoposti a cicli buio/luce anormali, sia nei topi con i geni silenziati si è ottenuta una più rapida crescita dei tumori. E’ stato in questo modo dimostrato che sia un’alterazione fisiologica (ore buio/luce sfasate), sia una mutazione nei geni chiave che controllano l’orologio circadiano diminuiscono la sopravvivenza, portando ad una maggiore crescita e progressione del tumore al polmone. Un’ulteriore prova dell’importanza di questi geni e del ritmo circadiano proviene dall’analisi di campioni di tumore del polmone umano, nei quali si riscontrano dei bassi livelli dei due geni sopracitati e di altri geni importanti nella regolazione dell’orologio circadiano.

Articolo tratto da”il Dolomiti “di  Giorgia Tosoni

Fonti:

http://www.cell.com/cell-metabolism/fulltext/S1550-4131(16)30312-6

http://www.infermieristicamente.it/articolo/6781/nuovo-studio-rivela-le-cause-dell-incremento-di-cancro-nei-lavoratori-a-turni/

STRESS E ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Lo stress lavoro correlato  colpisce l’83 percento dei dipendenti, ma molte aziende non lo considerano un problema di salute. Considerando l’importanza degli effetti fisici e mentali, ben documentati in letteratura , è necessario fare di più  e più presto per affrontare il problema dello stress. Innanzitutto, è importante comprenderne le cause e gli effetti sui lavoratori, successivamente le aziende possono iniziare a trovare e implementare soluzioni migliori. Questa è una crisi sanitaria nazionale che deve essere affrontata per il benessere dei dipendenti, ma è anche un modo per aumentare la produttività e i margini di profitto, quindi affrontare lo stress è una vittoria per tutti. Nonostante ciò, solo il cinque percento delle imprese sta facendo qualsiasi cosa per combattere lo stress dei dipendenti.

Le maggiori cause di stress
Il 74% dei lavoratori è stressato dalla propria situazione finanziaria, il che significa che dovrebbe essere una priorità per i datori di lavoro. I fattori di stress finanziari possono essere facilmente corretti offrendo un aumento di stipendio, bonus extra, incentivi o un aumento delle ferie retribuite. Tuttavia, i lavoratori dovrebbero anche essere istruiti su prestiti finanziari, ad esempio dove trovare crediti personali in sofferenza e come pagare i debiti insoluti.

Le persone sperimentano anche affaticamento e mal di testa quando sono oberati di lavoro.  Ma lo stress fa calare il rendimento e quindi il lavoratore deve lavorare di più per ottenere lo stesso risultato il che provoca ancora più stress. La razionalizzazione e l’outsourcing delle operazioni quotidiane possono facilitare questo carico di lavoro. Oltre a ciò, lo stress è principalmente causato da relazioni personali e genitori. I datori di lavoro non dovrebbero avere paura di offrire supporto anche in queste aree. Porre semplicemente le domande giuste e consentire al personale di parlare dei propri problemi personali in un ambiente confortevole può fare la differenza nel mondo, in termini di come essi vedono il loro posto di lavoro e si sentono supportati.

Effetti fisici dello stress
Troppo stress può essere profondamente dannoso per la salute di una persona. I livelli di energia diminuiranno, il sonno diventa più difficile, le abitudini alimentari peggiorano, il cuore batte più rapidamente e la malattia diventa più frequente. Dal punto di vista sia dell’impiegato che del loro capo, nessuno di questi sintomi è una buona notizia. Come risultato di questi sintomi fisici, è probabile che un individuo altamente stressato si agiti più facilmente, abbia un desiderio sessuale ridotto, eviti gli altri e sperimenti un declino dell’autostima percepita. Tutto ciò avrà un impatto sulle relazioni di quella persona. Mantenere connessioni felici con altri esseri umani è così essenziale per il benessere e lo stress, pertanto, deve essere affrontato.

Rimedi efficaci
Affrontare lo stress dovrebbe far parte della routine quotidiana di ogni persona. Una delle cure più efficaci è l’esercizio, che rilascia endorfine e riduce la tensione nei muscoli. Per molti, mezz’ora al giorno è sufficiente per far fronte a un sovraccarico di stress. Le pause regolari possono anche aiutare alcuni lavoratori  a gestire il lavoro quando è pesante. Queste pause dovrebbero essere dedicate esclusivamente al relax per staccare temporaneamente la mente dai problemi di lavoro. Che si tratti di meditare, giocare ai videogiochi o trascorrere del tempo con la famiglia, offrire ai dipendenti  queste pause  per perseguire le proprie passioni è  ad esempio un buon rimedio per ridurre il livello di stress.

Ci sono molti problemi di salute che possono verificarsi sul posto di lavoro, ma lo stress è forse il più diffuso. Nonostante ciò, pochissime aziende si stanno impegnando per combattere questa epidemia. Dati gli effetti molto reali e dannosi che lo stress può avere sulla salute fisica e sul benessere mentale, imparare ad affrontarlo è importante per la felicità. Creando lavoratori felici in grado di gestire in modo più efficace carichi di lavoro pesanti è anche un modo garantito per aumentare la produttività.

Da ohsonline.com

Liberamente tradotto e adattato  da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

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STRESS E INSONNIA NEMICI DEL CUORE

Il troppo stress, abbinato a poche ore di sonno e all’ipertensione, aumenta il rischio di morte per cause cardiovascolari. I consigli per recuperare uno stile di vita salutare

Poco sonno e troppo lavoro mettono a rischio il cuore

Tanto stress in ufficio, poco sonnoa casa e un’ipertensione già presente. Il mix, una volta servito, pone a rischio la nostra salute, in particolare quella cardiovascolare (i decessi per questa ragione sono la prima causa di morte nel mondo occidentale). Chi si porta dietro tutti e tre quelli che, anche singolarmente, possono essere considerati dei fattori di rischio, convive infatti con una probabilità quasi tre volte più alta di morire per cause imputabili alle precarie condizioni del cuore e delle arterie. A preoccupare non deve essere una giornata particolarmente stressante, al termine della quale può essere difficile assopirsi. Ma il persistere nel tempo di condizioni lavorative insoddisfacenti e stressanti, a maggiore ragione se vissute da una persona già alle prese con valori di pressione sanguigna troppo elevati.

IPERTENSIONE, STRESS E POCO RIPOSO

La sintesi di alcune evidenze già note è racchiusa in uno studio pubblicato sulle colonne dell’European Journal of Preventive Cardiology: il primo a combinare gli effetti di un elevato stress correlato al lavoro, i tassi di insonnia e la mortalità per cause cardiovascolari. Punto di partenza comune ai 1.959 lavoratori coinvolti, di età compresa tra 25 e 65 anni, era l’ipertensione: fattore di rischio con cui convive un terzo dei lavoratori, che può (peraltro) ingenerarsi o essere accentuato da una condizione lavorativa non ottimale. L’aumento della pressione sanguigna può accrescere le probabilità di essere colpiti da un evento cardio o cerebrovascolare: con infarti e ictus riconosciuti come i più spesso fatali. Ma a fare la differenza, più dell’ipertensione, è la somma tra condizioni lavorative molto stressanti e riduzione del tempo e della qualità del riposo. La combinazione s’è rivelata in grado di aumentare di oltre due volte il rischio di morire per un evento cardiovascolare nell’anno e mezzo di osservazione portata avanti dagli autori della ricerca.

LO STRESS FA DANNI SE DURA TROPPO

Le due componenti, già note come fattore di rischio cardiovascolare, rischiano dunque di fare la differenza se messe assieme, in persone già alle prese con l’ipertensione. A pagare il prezzo più alto, come precisato da Karl-Heinz Ladwig, responsabile del centro di ricerca per la salute ambientale dell’Università di Monaco di Baviera, «sono soprattutto i dipendenti di grado inferiore, gravati da importanti carichi di lavoro imposti da un responsabile che concede loro poca autonomia». Vivere una simile situazione equivale a essere in trappola. «Perché, seppure si conoscano i rischi per la salute, non si hanno strumenti per venirne fuori». Meno che uno: la scelta di un nuovo posto di lavoro, non sempre possibile però. Nel mentre, allora, converrebbe ricordarsi che «il sonno è un momento di ricreazione e un potente strumento per recuperare le energie». Il messaggio è rivolto «a chi vive una simile situazione per diversi anni, con una progressiva perdita di energia e di ristoro».

COME RECUPERARE IL SONNO?

Lo scarso riposo, secondo gli esperti, è quello caratterizzato dalla difficoltà nell’addormentarsie dai frequenti risvegli«Questo è uno dei problemi che si registrano con maggiore frequenza nelle persone stressate – prosegue l’esperto – C’è chi si sveglia durante la notte e poi fatica a riprendere sonno, sopraffatto dai pensieri per gli impegni del giorno dopo». Come fare allora a riposare di più? Suddividendo innanzittutto le ore della giornata, per alternare le ore di sonno a quelle di veglia. Importante è anche rilassarsi – a livello fisico e mentale – in avvicinamento alle ore di riposo. Nei casi più difficili può essere utile anche ridurre le ore di sonno per qualche giorno, in modo da poter avvertire la stanchezza e poter poi allungare i periodi di riposo. Oppure forzarsi per rimanere svegli in modo passivo: evitando cioè di portare la mente sulle questioni che provocano ansia.

IMPARARE A RILASSARSI

Fin qui una terapia «sintomatica», considerando che per risolvere il problema alla radice occorrerebbe azzerare (o quanto meno ridurre) lo stress. Se cambiare lavoro non è possibile, qualche stratagemma è comunque attuabile: iniziando la giornata con un’attività rilassantedella durata di cinque o dieci minuti, incrementando le relazioni sociali e prestando maggiore attenzione agli stili di vita (dieta, attività fisica, no ai consumi di alcol e sigarette) e anche ai più piccoli campanelli d’allarme. Il nostro cuore (e non solo) ci ringrazierà.

Articolo tratto da fondazioneveronesi.it

CANE E GATTO IN UFFICIO CONTRO LO STRESS

Non è la prima ricerca che giunge a questo risultato: gli animali domestici sul luogo di lavoro fanno bene ai dipendenti. Volete migliorare la qualità della vostra giornata lavorativa (o quella dei vostri dipendenti)? Portate gli animali in ufficio, in particolare il vostro cane. Fino ad alcuni anni fa era impensabile ipotizzare un ufficio abitato da cani e gatti, ma oggi sta diventando un’usanza sempre più comune. A ragione. Ecco i risultati della ricerca promossa da Mars Italia.

Animali in ufficio per lavorare meglio

La ricerca è stata condotta dal Banfield Pet Hospital di Mars (rete di cliniche veterinarie), in occasione della settimana del ‘Take your pet to work’.  Ed è giunta alla conclusione che un animale domestico rende la giornata lavorativa più piacevole e proficua. In generale, la presenza di un pet infatti riduce lo stress,favorisce il benessere, aumenta la serenità.

Se questi benefici vengono trasposti sul luogo di lavoro, ne conseguono migliori prestazioni e produttività. In particolare, la ricerca riscontra miglioramento dell’umore (anche del 93%!). Riduzione dello stress (sempre del 93%). Miglior equilibrio tra  lavoro e vita privata (91%). Maggiore attaccamento all’azienda (91%). Diminuzione del senso di colpa nel lasciare a casa il proprio pet mentre si è sul posto di lavoro (91%).

Uffici pet-friendly dunque, per rendere più gradevole la permanenza dentro essi. Una strategia che già molte aziende stanno adottando. Google incoraggia gli umani a portare il loro cane. Amazon conta oltre 2.000 dipendenti che hanno registrato il loro cane nella sede di Seattle. Dove ad attenderli trovano biscotti, fontanelle d’acqua, guinzagli, e persino un’area cani dove possono stare sciolti in tutta sicurezza. I millennials, generazione che per scelta rimanda di molto l’idea di un figlio, spesso scelgono di prendere un cane.

Ecco che dopo il child-care, il pet-care è la nuova frontiera del rendere felice il lavoratore. Anche considerato quanto costa un dog sitter o un asilo per cani quotidiano. Cani felici, lavoratori felici, aziende funzionanti: cosa volere di più?