SANITA’

RISCHIO ANTIMONIO NELL ‘AMBIENTE

Da quanto tempo non si sentiva parlare di antimonio? Il suo simbolo chimico, Sb, deriva dal latino Stibium ed è un metallo che vanta gli utilizzi più svariati e grotteschi: da colorante per le decorazioni del palazzo di Nabucodonosor a pillole dagli effetti lassativi, da sostanza con effetti afrodisiaci a medicinale per trattare la febbre elevata. Potrebbe addirittura essere stato la causa, tra le varie ipotizzate, della morte di Wolfgang Amadeus Mozart.

Nonostante fin dall’antichità sia nota l’elevata tossicità, l’antimonio triosside viene ancora oggi ampiamente utilizzato e, da alcuni anni a questa parte, è tornato al centro dell’attenzione per la sua possibile cancerogenicità per gli esseri umani. La preoccupazione maggiore è data dal fatto che anche moltissimi oggetti di uso comune lo contengono, tra questi i giochi e i tappetini di plastica per i bambini, oltre ai ritardanti di fiamma utilizzati nella composizione dei materiali plastici, all’imballaggio usato per gli alimenti e al materiale a base di BPA (bisfenolo A), come le bottiglie dell’acqua minerale e delle bibite.

Proprio queste sono entrate nel novero delle leggende, di cui l’antimonio vanta un’antica tradizione, essendo utilizzato come catalizzatore per la polimerizzazione nella plastica.

Secondo un messaggio allarmistico di parecchi anni fa, ancora in circolazione e attribuito a Sheryl Crowe, star della scena musicale pop sopravvissuta a un cancro al seno, bere l’acqua contenuta nelle bottiglie di plastica dopo l’esposizione al sole provoca il cancro: “Se sei una di quelle persone che lascia la sua bottiglia di plastica in macchina durante i giorni caldi e bevi l’acqua dopo, quando torni in macchina, corri il rischio di ammalarti di cancro al seno! … Sheryl Crow ha detto, nel corso del programma di Ellen, che in questa maniera aveva contratto il cancro al seno. I medici hanno spiegato che il caldo fa sì che la plastica emetta tossine tossiche [sic!] che portano a contrarre il cancro al seno”.

Alcuni studi scientifici hanno da tempo dimostrato che le bottiglie in BPA rilasciano antimonio se esposte al sole, ma la cancerogenicità dell’antimonio presente negli alimenti non è ancora stata dimostrata.

Cosa dicono gli ultimi studi

Un recente studio condotto in Qatar e apparso su Environmental Monitoring and Assessment ha misurato la quantità di antimonio presente nelle bottiglie di plastica esposte al sole tra i 24 °C e i 50 °C. Le analisi sono state condotte su 66 marche di acqua in bottiglia: la concentrazione di antimonio variava dai 0.168 ai 2.263 μg/L a 24 °C e dai 0.240 ai 6.110 μg/L a 50 °C. Quindi, il rilascio di antimonio è maggiore all’aumentare della temperatura e, a 50 °C, supera il limite raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che è di 6.11 μg/L..

Uno studio analogo, pubblicato su Environmental Science and Pollution Researchè stato condotto in Cina giungendo a conclusioni sovrapponibili: la marca con minor quantità di antimonio nella plastica ha aumentato in maniera sensibile la concentrazione di Stibium nell’acqua dopo 24 ore di esposizione a temperature superiori ai 40° C. Per questo, conservare le bottiglie d’acqua a temperatura normale non rappresenta un rischio di contaminazione da antimonio.

“Come tutte le materie plastiche, i materiali e gli oggetti in PET (comprese le bottiglie) rientrano nel regolamento quadro sui materiali a contatto con gli alimenti 1935/2004 e in particolare nel regolamento (UE) 10/2011 sulle materie plastiche” dichiara a OggiScienza un portavoce dell’EFSA.

“In base a tale regolamento, il triossido di antimonio è autorizzato per la produzione di materie plastiche con un limite massimo di migrazione specifica (LMS), ovvero la quantità rilasciata, di 0,04 mg per kg di prodotto alimentare. Va notato che, conformemente a tale regolamento, gli ‘aiuti alla polimerizzazione’ non inclusi nell’elenco dell’Unione possono essere presenti negli strati plastici di materiali o oggetti di plastica”.

In arrivo una revisione della letteratura scientifica

Per quanto riguarda la valutazione della sicurezza del triossido di antimonio effettuata dall’EFSA, l’ultima è stata effettuata dal gruppo di esperti AFC (Food Additives, Flavourings, Processing Aids and Materials in Contact with Food) nel gennaio 2004. “La valutazione si è conclusa con una restrizione di 40 µg/kg di prodotto alimentare che è stato utilizzato per fissare il limite massimo di migrazione specifica. Tale restrizione consentirebbe di assegnare il 10% della DGA (dose quotidiana ammissibile) ai materiali destinati al contatto con gli alimenti” conclude EFSA.

Sulla cancerogenicità dell’antimonio triosside, la forma più pericolosa, è in corso dal 2017 un processo di revisione della letteratura e dei dati degli esperimenti condotti su animali da parte del National Toxicological Program (NTP) su indicazione del National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH).

Amy Wang, responsabile del progetto di valutazione dell’antimonio al NTP, spiega a OggiScienza che “il documento elaborato dal suo gruppo di ricerca basa il proprio razionale sulla potenziale diffusione a livello di esposizione occupazionale e su un database di esperimenti su animali per valutare la cancerogenicità dell’antimonio. Negli Stati Uniti, la fonte più importante per l’esposizione lavorativa all’antimonio la troviamo nella produzione di ritardanti di fiamma alogenati utilizzati nella gomma e nei tessili, nel processo di produzione dei materiali a base di PET, negli impianti di produzione chimica, nelle fonderie e impianti di lavorazione dei metalli. Inoltre, come additivo, nella lavorazione del vetro, nei pigmenti colorati, nei quadri, nella ceramica e nel cemento”.

L’esposizione quotidiana

Per quanto riguarda la tossicità dell’antimonio a livello alimentare, Wang precisa che “la forma di antimonio presente negli alimenti non è l’antimonio triosside. L’esposizione nell’ambito della vita quotidiana è legata all’inalazione di aria contaminata, dai fumi di impianti o alla presenza nella polvere all’interno delle case”.

Una valutazione in linea con quanto rileva l’OMS che, nel report Antimony on drinking water(2003) indicava come, a livello mondiale “i livelli di antimonio, misurati attraverso l’analisi del sangue e delle urine, sono diminuiti nel tempo. Tuttavia, livelli di antimonio nelle urine si riscontrano nelle fasce più povere e deprivate della popolazione, che lo assorbono soprattutto per inalazione, sia di aria ambientale che nelle case”.

La conclusione a cui è giunto il NTP nel 2017 è la raccomandazione che questa sostanza, l’antimonio triossido, sia inserito nel Report on Carcinogens (RoC) come ‘ragionevolmente atteso cancerogenico per l’uomo’ (Reasonably Anticipated to Be A Human Carcinogen). La decisione finale dipenderà dalle valutazioni del Segretario americano del Dipartimento della Salute. “Noi” conclude Amy Wang “auspichiamo possa essere presa entro il 2019”.

da agorabox.it

 

L ‘ASMA RIDUCE LA PRODUTTIVITA’ NEI LUOGHI DI LAVORO

Un nuovo studio ha dimostrato che  le persone affette da asma bronchiale perdono circa un decimo delle loro ore di lavoro a causa dei sintomi della malattia. Questo è direttamente associato alla loro perdita di produttività e salute emotiva, spiegano i ricercatori.

Lo studio è stato pubblicato nell’ultimo numero del Journal of Asthma and Allergy ed è stato intitolato: “L’asma influisce sulla produttività sul posto di lavoro nei pazienti che presentano sintomi nonostante la terapia di base: un sondaggio multinazionale”.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’asma colpisce circa 235 milioni su tutta la popolazione mondiale e questo è uno dei primi studi che ha quantificato la quantità di ore lavorative perse a causa dei sintomi di questa malattia. Il team di ricercatori ha esaminato oltre 1.500 pazienti con sintomi di asma che vivono in sei paesi diversi. I partecipanti allo studio avevano più di 18 anni , era stato diagnosticato da un medico l’asma bronchiale e stavano assumendo un inalatore o farmaci preventivi per controllare i loro sintomi da lungo tempo. La loro asma è stata diagnosticata con l’aiuto del questionario 3 domande per l’asma del Royal College of Physicians. I partecipanti erano tutti impiegati in un’occupazione a tempo parziale o a tempo pieno.

Si è evidenziato che tre quarti di tutti i lavoratori con asma non raggiungevano  il loro pieno potenziale sul lavoro e che l’ assenteismo era correlato a sintomi ed esacerbazioni dell’asma. Questa perdita di piena produttività ha anche portato al declino del benessere emotivo, scrivono i ricercatori. Alcuni di loro hanno provato stress e imbarazzo, afferma lo studio.

I principali ricercatori, il dott. Kevin Gruffydd-Jones di Box Surgery, Wiltshire, Regno Unito, hanno affermato che questo studio ha coinvolto partecipanti provenienti da sei diversi paesi provenienti da Europa, Nord e Sud America e Asia, tra cui Regno Unito, Spagna, Germania, Brasile, Canada e Giappone. È stato sviluppato uno studio online basato su questionari in cui i partecipanti dovevano compilare un modulo di sondaggio online chiamato sondaggio “Produttività del lavoro e compromissione dell’attività – Problema di salute specifico” sviluppato da Research Now ® (Londra, Regno Unito). Il questionario ha tenuto conto del numero di ore lavorative perse a settimana, della perdita di produttività rispetto alla settimana passata. Ci sono state domande relative alla sensazione sulla condizione della malattia, nonché altri parametri emotivi associati all’asma e ai suoi sintomi. L’intero questionario ha richiesto circa 5 minuti per essere completato, dicono i ricercatori.

Il questionario è stato fornito a 2.055 partecipanti sottoposti a screening da aprile a settembre nel 2015 e sono state registrate le risposte di 1.598 pazienti sintomatici di asma. I risultati hanno rivelato che in media circa il 9,3% delle ore lavorative totali della settimana è stato perso dai pazienti con asma. Il numero minimo di ore perse è stato segnalato dal Regno Unito al 3,5 percento e il massimo è stato segnalato dal Brasile al 17,4 percento. Sia per i dipendenti part-time che per quelli a tempo pieno, ciò si traduce in una media di 5,4 ore di lavoro perse a settimana.

Il 74% dei lavoratori non ha raggiunto il pieno potenziale di lavoro che si è tradotto approssimativamente in tre quarti della popolazione con asma, affermano i ricercatori. Una riduzione della produttività è stata segnalata tra il 42% dei lavoratori, secondo i ricercatori che hanno analizzato i risultati dell’indagine. La produttività complessiva dei partecipanti è diminuita in media del 36 percento, a causa dei sintomi dell’asma. Una perdita minima di produttività è stata osservata nel Regno Unito al 21% mentre è stata in Brasile del 59%.

La maggior parte dei partecipanti ha riportato sforzi mentali e fisici, debolezza o affaticamento e bassi emotivi a causa delle loro condizioni. Il dott. Gruffydd-Jones ha dichiarato: “… ciò che ci ha colpito di più è stata la risposta emotiva all’asma sul posto di lavoro. Un numero significativo di pazienti si è sentito in colpa, vergogna e imbarazzo quando ha usato inalatori sul lavoro. ”I partecipanti hanno riferito di sentirsi inferiori ai loro colleghi e hanno riferito di sentirsi svantaggiati a causa dei loro sintomi e limitazioni. Circa due su tre partecipanti hanno ritenuto che il loro asma stesse influenzando negativamente la loro vita lavorativa.

I ricercatori hanno riferito che si è trattato solo di un sondaggio di una settimana in cui sono stati osservati effetti della malattia solo durante la settimana lavorativa. Inoltre, non sono stati effettuati confronti con il personale che non aveva l’asma. Tuttavia, i risultati sono significativamente importanti nell’approccio professionale nei pazienti con asma.

Gli autori scrivono in conclusione: “Le strategie per migliorare la vita dei pazienti possono includere l’educazione all’asma, l’ottimizzazione dei piani di gestione dell’asma e l’esecuzione di programmi di benessere sul posto di lavoro. I medici, i datori di lavoro e i consulenti della salute sul lavoro dovrebbero essere più consapevoli dell’impatto dei sintomi dell’asma sui dipendenti e lavorare insieme per aiutare a superare queste sfide. ”

Il dott. Gruffydd-Jones spiega che i medici, i datori di lavoro e il team di esperti della salute sul lavoro dovrebbero confrontarsi per comprendere l’impatto di questa condizione sulla vita lavorativa dei pazienti asmatici. Ha affermato: “I clinici devono chiedere ai pazienti l’impatto dell’asma sul loro lavoro e i datori di lavoro devono incoraggiare i propri lavoratori a cercare assistenza medica e fornire un ambiente” asmatico “. Ciò richiede non solo un adeguato controllo ambientale, ma anche un ambiente di lavoro che riduca al minimo l’imbarazzo, come consentire al personale di uscire dall’ambiente di lavoro immediato per usare i propri inalatori. ”

 

Da news-medical.net liberamente  tradotto da dott. Alessandro Guerri medico del lavoro

ECG IN 30 SECONDI

UN ECG IN 30 SECONDI

Con  Smartheart  è possibile eseguire un ecg in soli 30 secondi  una minima parte del tempo richiesto per L esecuzione di un ecg nella maniera tradizionale . Il nuovo strumento non richiede neanche particolari training professionali e permette di eseguire facilmente un tracciato

man

GESTIRE GLI ECG

L’accesso , la registrazione , L analisi del tracciato possono avvenire in pochi secondi in modo sicuro è comodo

computer

Esiste ovviamente anche la possibilità di ricevere una diagnosi non automatica grazie a sistemi di telemedicina.

keyboard
smartheart

INNOVAZIONE IN CARDIOLOGIA E MEDICINA DEL LAVORO

Si tratta quindi di  una sofisticata evoluzione della tecnologia informatica applicata alla cardiologia . L’innovazione continua permetterà di monitorare in maniera sempre più diffusa e precisa pazienti con patologie cardiologiche. Questa strumentazione è inoltre potenzialmente utile per un utilizzo nell ambito delle attività di prevenzione nella medicina del lavoro è come sofisticato strumento nella gestione delle emergenze anche in specifici luoghi di lavoro ( grandi imprese, cantieri complessi, centri commerciali, stazioni aeroporti )

RISCHIO STROKE SE L’ORARIO DI LAVORO È PROLUNGATO

Da nurse24.it

Sull American Hert Journal di giugno 2019  è stato pubblicato un articolo che mette in relazione l’orario di lavoro prolungato (più di 10 ore al giorno) con un aumentato rischio di stroke.

Alla base di questo report c’è l’assunto che il Long Working Hours (LHW), cioè l’attività lavorativa che supera le 10 ore al giorno condotta per almeno 50 giorni all’anno, sia un potenziale fattore di rischio per lo stroke.

Sono stati condotti altri studi sulla relazione diretta o indiretta delle condizioni di lavoro sull’aumento del rischio di stroke, aritmie cardiache o coagulopatie in soggetti in LWH e viene sottolineato che turni irregolari, lavoro notturno e lavori particolarmente stressanti (fisicamente e mentalmente) non sono condizioni lavorative salutari.

TUTTA LA MICROPLASTICA DELLA NOSTRA TAVOLA

Da il sole24ore

NEW YORK – Sono nel cibo che mangiamo, in ciò che beviamo e persino nell’aria che respiriamo. Le microplastiche – particelle minuscole più piccole di cinque millimetri – contaminano l’ambiente che ci circonda. La loro diffusione continua ad aumentare nonostante gli sforzi dei governi, delle organizzazioni per la tutela dell’ambiente e del cambiamento degli stili di vita. Uno studio dell’Università di Newcastle, in Australia, che ha messo assieme i risultati di 52 ricerche preesistenti sulle stime di ingestione della plastica nel mondo, sostiene che ogni essere umano ingerisce in media 1.769 particelle di microplastica a settimana semplicemente bevendo acqua. Vale a dire: cinque grammi di microplastiche finiscono nei nostri organismi ogni sette giorni. Tradotto equivale al peso di una carta di credito.

Negli Usa record di microplastiche
Gli Stati Uniti, la patria del consumismo, dove al supermercato quando acquisti qualcosa ti danno gratis non una ma due buste di plastica, sono più a rischio dell’Europa. I sacchetti e le cannucce di plastica sono i principali imputati. Microplastiche oltre all’acqua sono state ritrovate nella birra, nel sale, nel pesce, nello zucchero, nell’alcool e nel miele. Per calcolare quanto spesso una persona mangi questi alimenti sono state prese in considerazioni le raccomandazioni del Dipartimento all’Agricoltura Usa. Stando a questi dati le microplastiche nel cibo sono in media nel 15% delle calorie ingerite da ogni individuo.
Un altro studio del 2018 sostiene che negli Stati Uniti, in ragione del maggiore inquinamento da plastica, sono stati riscontrati il doppio delle microplastiche nell’acqua di rubinetto rispetto a Europa, India o in Indonesia, pari a 90.000 particelle all’anno. Che vanno ad aggiungersi alle bevande ingerite dagli americani con le bottiglie in plastica: da 74mila a 121mila particelle di microplastica dalle bevande in bottiglia oltre, appunto, alle 90mila particelle ingerite con l’acqua del rubinetto.

La plastica che viene dal mare
Le microplastiche entrano nella catena alimentare attraverso i fiumi, i mari e gli oceani. Vengono ingerite dai pesci e finiscono nella catena alimentare.
Dopo l’acqua di rubinetto e le bevande in bottiglia, i crostacei sarebbero la seconda maggiore fonte di ingestione di microplastiche nell’organismo, secondo la ricerca dell’università australiana. Questo perché gamberi, aragoste, scampi, astici e mazzancolle “vengono mangiati tutti, compreso il loro apparato digerente, dopo una vita trascorsa in acque marine inquinate”, ha spiegato Kieran Cox l’autore della ricerca, secondo cui le conclusioni sono sottostimate e i livelli di ingestione di microplastiche sarebbero in realtà più elevati. Ma le micro particelle diffuse nell’ambitente derivano da tante altre fonti, incluse le fibre tessili artificiali come nylon e poliestere, le microsfere di alcuni dentifrici, e grandi pezzi di plastica che gradualmente si riducono e vengono dispersi in parti sempre più piccole in mare, nell’irrigazione e nell’alimentazione animale, sino a finire sulle nostre tavole.

Quali rischi per la salute umana?
Tra gli scienziati non c’è concordanza sui danni che le microplastiche possono causare nell’organismo umano nel lungo termine. La ricerca dell’Università di Newcastle è stata commissionata dal Wwf per il suo report “No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestione from Nature to People”. Secondo uno studio del King’s College di Londra datato 2017 l’effetto cumulativo dell’ingestione delle microplastiche nel tempo può essere dannoso. I diversi tipi di plastica hanno proprietà tossiche differenti: alcuni tipi di plastica possono contenere elementi tossici come la clorina, altre possono lasciare tracce di piombo nell’ambiente. Nel tempo queste tossine possono avere un impatto sul sistema immunitario. L’oceanografo inglese Richard Lampitt, non coinvolto nella ricerca australiana, intervistato da Cnn ha sottolineato la difficoltà a valutare l’impatto dell’ingestione delle microplastiche senza comprendere tutti i rischi correlati alla salute umana. “C’è molta incertezza sull’impatto della plastica sulla salute”, ha detto il ricercatore auspicando nuovi studi sui danni a lungo termine nell’organismo umano.

Nel 2050 produzione triplicata
È evidente che la risposta deve arrivare dalle politiche dei governi, delle organizzazioni internazionali e delle aziende per limitare la produzione e il consumo di plastica a livello mondiale e promuovere il riciclo corretto. Ogni anno nel mondo si producono 330milioni di tonnellate metriche di plastica. Almeno 8 tonnellate di plastica finiscono nel mare. Non è immune il Mediterraneo, anche se i mari più inquinati sono in Asia come ha raccontato il velista Giovanni Soldini durante una recente regata da Hong Kong a Londra, nella quale uno dei tre timoni della sua veloce barca a vela è stato danneggiato da rifiuti dell’Oceano Indiano.

La plastica nei mari italiani
Il Consiglio nazionale delle ricerche stima che ogni chilometro quadrato di mare in Italia contenga fino a 10 chilogrammi di plastica. Nel Tirreno settentrionale, attorno a Sardegna, Sicilia e Puglia il Cnr stima almeno due chili di plastica in superficie. Il 79% di questa plastica finisce nelle discariche e in tutti gli ambienti naturali, il 12% viene incenerito e solo il 9% riciclato. Nonostante le politiche virtuose di tanti paesi per limitare o eliminare, ad esempio, come è in Europa, le buste di plastica, la produzione di plastica è aumentata dal 2000 del 4% l’anno. Le stime al 2050 parlano di una produzione più che triplicata rispetto ai valori attuali: senza cambiamenti radicali di politiche e se l’andamento della produzione proseguirà nella maniera attuale la plastica potrebbe raggiungere i 34 miliardi di tonnellate di cui almeno 12 tonnellate l’anno di rifiuti sparsi in tutti gli ambienti. Pensateci la prossima volta che gettate un pezzo di plastica per strada.

__________________________________________

TECO MILANO :

Quando si parla di sicurezza sul lavoro, ambiente, medicina del lavoro e formazione Teco Milano srl è il riferimento giusto per chi cerca un partner adatto.

info@tecomilano.it      Telefono 02 48958304

 

MEDICO COMPETENTE E PRIVACY : IL PARERE DEL MINISTERO DEL LAVORO

Il datore di lavoro e l’amministratore del sistema non posso accedere ai dati sensibili.

Da dottnet.it

Solo il medico competente può accedere alle informazioni delle cartelle sanitarie e di rischio, contenute in un data base aziendale. Invece è interdetta la consultazione sia al datore di lavoro che all’amministratore del sistema. Lo stabilisce il Ministero del Lavoro con la risposta all’interpello numero4 del 28 maggio 2019 (clicca qui per scaricare il testo completo).

Sulla questione molto delicata in tema di privacy, è arrivata la riposta da parte del Dicastero a un interrogativo posto dalla Fnomceo: “È giustificata la richiesta al Medico Competente di inserire dati sanitari in un data base aziendale complesso? Non sarebbe più opportuno limitare l’inserimento al giudizio di idoneità ed alle limitazioni, lasciando ad altri files, nelleuniche disponibilità del Medico, i dati più personali? È lecito che l’Amministrazione di sistema sia lo stesso Datore di lavoro od un lavoratore dipendente dallo stesso individuato?”

Con la risposta all’interpello numero 4 del 28 maggio 2019, il Ministero del Lavoro chiarisce che è consentito l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati ma bisogna adottare “soluzioni concordate” tra datore di lavoro e medico competente per quanto riguarda la custodia dei dati relativi alle cartelle sanitarie e di rischio contenute in un data base aziendale.

Gli accordi raggiunti devono rispondere a una regola: alle informazioni può accedere solo il medico competente, né il datore di lavoro, né l’amministratore di sistema. Solo in questo modo si opera nel rispetto del segreto professionale e nella tutela della privacy dei lavoratori.

Nell’argomentare la risposta, la Commissione del Ministerodel Lavoro ricostruisce il il quadro normativo che ruota attorno ai dati sanitari, alla tutela della privacy e al rispetto del segreto professionale negli ambienti di lavoro.

I due punti chiave sono gli articoli 25 e 53 del decreto legislativo numero 81 del 9 aprile 2008, Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, il primo sugli obblighi del professionista sanitario e il secondo sulla tenuta della documentazione, con le modifiche che sono state apportate nel tempo.

Gli obblighi del medico competente

Il medico competente istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria. Tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente.

L’articolo 53, invece, stabilisce che è consentito l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la memorizzazione di qualunque tipo di documentazione prevista, che però deve essere custodita nel rispetto della privacy degli interessati.

Dalla combinazione dei due riferimenti normativi ne deriva che è possibile conservare i dati in un data base aziendale ma, per rispettare il segreto professionale e tutelare la privacy dei lavoratori, è necessario che solo il medico competente vi abbia accesso.

SMARTWATCH MEDICINA E SALUTE

Da 01health.it

Il recente sblocco della funzione ECG sugli Apple Watch Series 4 ha riportato d’attualità un tema sul quale a breve si giocherà la partita nel mondo smartwatch.

Risultati immagini per smartwatch apple ecg pinterest

Consolidata l’utenza di base, ora la grande sfida è elevare l’applicazione dei wearable alla medicina. Rendere cioè le funzioni di un dispositivo affidabili in fase di analisi clinica.

Una scommessa sulla quale da qualche tempo punta apertamente anche Fitbit. Come tutti gli altri al di fuori di Apple, al momento ancora in svantaggio. La sfida però, è appena iniziata e non c’è ancora niente di deciso. «Sempre più spesso i wearable vengono utilizzati anche in ambito sanitario, per ora come strumenti in grado di modificare gli stili di vita in meglio – osserva Lorena Landini, country marketing manager di Fitbit  -. Per questa ragione ne auspichiamo l’impiego in un percorso assistenziale e di prevenzione

Risultati immagini per smartwatch salute sanità

Negli ultimi anni in effetti, sotto questo punto di vista la tecnologia ha compiuto passi importanti. Praticamente tutti gli smartwatch di ultima generazione son dotati di alcuni sensori, come il Vo2 max per misurare la saturazione dell’ossigeno nel sangue, per la cui attivazione manca solo il via libera delle autorità sanitarie.

«Nel frattempo, il nostro focus si concentra sulla prevenzione – riprende Landini -. Se si conduce uno stile di vita sano, si possono evitare problemi di salute cronici come l’obesità, le condizioni che aumentano rischio di incorrere in diabete, malattie cardiovascolari».

Attualmente, rispetto a quelli prettamente medici, i dispositivi consumer come gli smartwatch hanno nel percepito del paziente un effetto differente. Più curati sotto il profilo estetico e lontani dalle forme di uno strumento di cura, risultano meno stressanti.

Risultati immagini per smartwatch salute sanità

Inoltre, possono essere utilizzati per un periodo anche lungo senza essere legati direttamente a una patologia specifica. «Grazie al gran numero di informazioni fornite dall’app, qualsiasi utente potrà individuare nuove tendenze in grado di aiutarlo a gestire al meglio la propria salute e il proprio benessere. Insieme ai dati infatti, offriamo consigli e guide personalizzate che coinvolgono l’utente e lo incentivano ad assumere uno stile di vita sano.

Risultati immagini per smartwatch salute sanità

Il tempo delle certificazioni non è ancora maturo

Per ora però si resta ancorati a misurazioni di base, per quanto credibili, da considerare puramente indicative sotto il profilo clinico. Le funzioni più diffuse  consentono di registrare alcuni paramenti quali il battito cardiaco in movimento e a riposo, il monitoraggio del sonno e del consumo di calorie. «Stime in grado di fornire indicazioni utili a conoscersi meglio e prendere decisioni più informate– precisa Landini -. Indossando uno smartwatch o un tracker per tutto l’arco delle 24 ore si ha la possibilità di raccogliere una mole di dati completa e nel lungo periodo offrire  una analisi dello stato dell’utilizzatore molto più dettagliata».

Risultati immagini per smartwatch salute sanità

Certamente, non esiste ancora un dispositivo consumer in grado di sostituire strumenti medici o scientifici. Le potenzialità non mancano e non è da escludere come diversi wearable, non solo Fitbit, siano già in grado di assolvere il compito. Le necessarie certificazioni però sono conseguenza anche di studi di una certa durata e da questo punto di vista l’evoluzione del settore si scontra apertamente con i tempi tecnici.

Risultati immagini per smartwatch salute

«Strada facendo, i dati raccolti saranno sempre più affidabili e potranno essere integrati e utilizzati in un piano medico, affiancandosi a esami medici e terapie, potendo offrire un monitoraggio continuo e costante nel quotidiano, laddove sarebbe complesso essere monitorati da dispositivi medici con continuità».

 

L’impegno non manca

I primi risultati non sono poi così lontani come potrebbe sembrare. Se lo smartwatch Apple ha bruciato la concorrenza sul fronte ECG, i rivali non stanno a guardare. La stesa Fitbit è una delle nove aziende partecipanti al programma pilota FDA per la pre-certificazione di software digitali come dispositivi medici, e già collabora con diverse aziende in ambito sanitario, come United Healthcare, BlueCross Blue Shield, Dexcom, One Drop e Diplomat.

«Abbiamo preso parte a 675 studi di ricerca, dieci volte più di qualsiasi altro brand di dispositivi indossabili, e siamo registrati a ClinicalTrials, uno dei maggiori database di studi clinici al mondo fornito dalla Biblioteca Nazionale di Medicina degli Stati Uniti».

Un impegno sostenuto anche in Italia. Tra i principali progetti seguiti, l’azienda sta contribuendo alla realizzazione di uno studio della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore sulla bradicardia post-partum, con la fornitura di trenta tracker Alta HR utili amonitorare la frequenza cardiaca dei pazienti. Una conferma, neppure tanto indiretta, di un’affidabilità crescente nelle misurazioni. Anche perché ogni giorno che passa, aumentano i dati disponibili su cui lavorare. Sono ormai milioni gli utenti quotidianamente pronti ad alimentare il database.

Risultati immagini per smartwatch salute

«Possiamo considerare già significativi i passi avanti compiuti di recente. Oggi lavoriamo con oltre 1.600 imprese nel settore sanitario in tutto il mondo e contribuiamo attivamente a cento piani sanitari per conseguire obiettivi in ambito salute».

Un altro fronte importante, anche se meno visibile per l’utente finale è quello delle applicazioni.  La scelta di offrire un SDK aperto e di integrare i dati Fitbit in ricerche mediche tramite API pubbliche, aprono scenari molto interessanti. «Gli istituti medici possono utilizzare i dati delle attività registrate dai nostri dispositivi e metterli insieme a i propri. Nella fattispecie è l’ente medico che realizza app per i nostri smartwatch ed è lui a certificarle, non noi».

Risultati immagini per smartwatch

Inoltre, tornando negli USA, i recenti modelli Inspire e Inspire HR, sono parte di Fitbit Health Solution, progetti salutistici per aziende private ed enti pubblici aderenti al programma sanitario nazionale americano. Il modello HR, dotato di cardiofrequenzimetro ottico posto a contatto col polso se indossato giorno e notte fornisce un indice cardiovascolare, il Punteggio di stato di forma, sintomo e cartina di tornasole del proprio livello confrontato con persone simili per età e genere.

Risultati immagini per smartwatch salute

A tutt’oggi quindi, resta ancora prematuro associare uno smartwatch a uno strumento medico. D’altra parte, probabilmente neppure i progettisti più ambiziosi e lungimiranti avrebbero osato pensare a un’evoluzione in questa direzione. Eppure, la realtà sta dimostrando non solo quanto sia possibile, ma anche quanto possa rivelarsi vantaggiosa, sotto ogni punto di vista. «La tecnologia e la richiesta del mercato pubblico e privato si stanno indirizzando sempre di più verso quella direzione – conclude Landini -. Il futuro è più vicino di quanto possiamo aspettarci».

________________

TECO MILANO :

QUANDO SI PARLA DI SICUREZZA SUL LAVORO, AMBIENTE, MEDICINA DEL LAVORO E FORMAZIONE TECO MILANO SRL È IL RIFERIMENTO GIUSTO PER CHI CERCA UN PARTNER ADATTO.

INFO@TECOMILANO.IT      TELEFONO 02 48958304

SANITÀ DIGITALE TUTTI I SEGRETI DELLA CRESCITA

da sanitadigitale.it

Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità – Nel 2018 la spesa per la sanità digitale cresce del 7%, raggiungendo un valore di 1,39 miliardi di euro e rafforzando il trend di crescita iniziato l’anno precedente, quando l’aumento era stato del 2%.

Risultati immagini per sanita' digitale

Le strutture sanitarie sostengono la quota più rilevante della spesa, con investimenti pari a 970 milioni di euro (+9% rispetto al 2017), seguite dalle Regioni con 330 milioni di euro (+3%), dai Medici di Medicina Generale (MMG) con 75,5 milioni (+4%), pari in media a 1.606 euro per medico e dal Ministero per la Salute con 16,9 milioni di euro (contro i 16,7 milioni nel 2017). I sistemi dipartimentali e la Cartella Clinica Elettronica (CCE) sono gli ambiti di innovazione digitale che raccolgono i budget più elevati, rispettivamente 97 e 50 milioni di euro, e sono considerati prioritari dalle strutture sanitarie (indicati rispettivamente dal 50% e dal 58% delle aziende), mentre inizia a prendere piede l’Intelligenza Artificiale, con circa 7 milioni di euro di risorse stanziate e il 20% dei Direttori sanitari che la ritiene rilevante.

Immagine correlata

Gli strumenti digitali entrano anche nella quotidianità dei medici, che li utilizzano per comunicare con i propri pazienti: l’85% dei Medici di Medicina Generale e l’81% dei medici specialisti utilizza la mail per inviare comunicazioni ai pazienti, mentre WhatsApp è usato dal 64% dei primi e dal 57% dei secondi per fissare o spostare appuntamenti e per condividere documenti o informazioni cliniche. Meno di un cittadino su cinque, invece, usa la mail o WhatsApp per comunicare col proprio medico, solo il 23% prenota online una visita specialistica e appena il 19% effettua il pagamento sul web. Pur limitato, l’accesso ai servizi digitali dei cittadini è aumentato significativamente nell’ultimo anno (nel 2018 l’11% prenotava online e il 7% pagava usando Internet) e nella fascia 35-44 anni registra valori elevati (45% e 27%). Oltre quattro cittadini su dieci (41%) usano App di coaching o dispositivi wearable per tenere sotto controllo la propria salute e migliorare il proprio stile di vita e lo smart watch, in particolare, è lo strumento che ha registrato l’incremento più significativo (dall’8% a circa un cittadino su tre).

Risultati immagini per sanita' digitale

Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, presentata questa mattina a Milano al convegno “Connected Care: il cittadino al centro dell’esperienza digitale”.

“La crescita della spesa per l’innovazione digitale in Sanità è un segnale confortante che conferma il ruolo strategico del digitale per innovare i processi del sistema sanitario – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Il digitale sta modificando tutte le fasi della presa in carico del paziente, dalla prevenzione alla cura, fino al post-ricovero, attraverso strumenti come la Cartella Clinica Elettronica, la Telemedicina, l’Intelligenza Artificiale e le Terapie Digitali. Ma per sfruttarne appieno le opportunità bisogna ripensare l’organizzazione e la governance del sistema, sviluppare le competenze del personale e rivedere la relazione fra operatori e pazienti in modo da mettere il cittadino al centro dei processi di prevenzione e cura e consentire un migliore e più rapido accesso alle informazioni e ai servizi sanitari”.

Cittadini sempre più digitali

L’uso di Internet e degli strumenti digitali fra i cittadini italiani per reperire informazioni e accedere ai servizi sanitari è in aumento rispetto alla scorsa edizione della ricerca, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, ma il canale fisico è ancora quello privilegiato dalla maggior parte della popolazione. Lo rivela il sondaggio condotto dall’Osservatorio in collaborazione con Doxapharma su un campione di mille cittadini statisticamente rappresentativo della popolazione italiana. Fra i cittadini che non soffrono di malattie croniche o problemi di salute di lunga durata, oltre un terzo cerca sul web informazioni generiche sulla salute, come malattie, sintomi e cure (38%) e su corretti stili di vita e alimentazione (37%), il 15% si informa sui vaccini (il 25% fra le donne 25-44enni). Queste percentuali si riducono all’aumentare dell’età del campione, ma anche fra gli over 65 più di uno su quattro (27%) cerca informazioni online. I canali più utilizzati dai cittadini sani sono i siti web istituzionali (52%), seguiti dai portali dedicati alla medicina e alla salute (30% in media), mentre App, blog e social network sono ritenuti meno affidabili e sono usati prevalentemente per informarsi sui corretti stili di vita e sull’alimentazione (23%).

Risultati immagini per sanita' digitale

Le App e i wearable stanno ormai entrando nella quotidianità dei cittadini, con il 41% che utilizza una applicazione di coaching o un dispositivo indossabile per il monitoraggio dello stile di vita. Tra i giovani sotto i 35 anni sono ancora più diffuse (55%), mentre l’uso diminuisce oltre i 55 anni (29%). Lo strumento più presente è lo smart watch, utilizzato da un cittadino su tre, con un vero e proprio boom rispetto all’8% registrato nel 2018. Tuttavia, ben il 75% dei cittadini che usa le App non invia né comunica al proprio medico i dati raccolti, che rimangono quindi spesso inutilizzati.

“Nel caso in cui i cittadini non possano rivolgersi a un medico per ricevere consigli su prevenzione e stili di vita in base a dati raccolti, potrebbe giocare un ruolo fondamentale un coach virtuale in grado di fornire in modo proattivo, e sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, consigli su come migliorare i propri comportamenti sulla base dei parametri monitorati, come l’alimentazione e gli allenamenti – afferma Emanuele Lettieri, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Ad oggi questa opportunità desta, tuttavia, un moderato livello di interesse da parte dei cittadini, così come la chat con un assistente virtuale o un assistente vocale (es. Amazon Alexa o Google Home) per chiedere informazioni sulla salute e sullo stile di vita, probabilmente perché ancora poco note e dai benefici difficilmente valutabili per la maggior parte dei cittadini”.

Anche i medici hanno sempre maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali, che impiegano per comunicare o condividere informazioni e documenti con i pazienti. Secondo il sondaggio condotto su un campione di 602 MMG e su 1.720 medici specialisti, la mail è il canale più usato (rispettivamente 85% e 81%), seguito da WhatsApp (64% e 57%) e dagli SMS (65% e 40%). Aumenta l’utilizzo da parte dei cittadini: il 19% usa la mail (+4% rispetto al 2018), il 17% WhatsApp (+5%) e il 15% gli SMS (+2%). La maggior parte dei cittadini (52%) usa la App di messaggistica per chiedere al medico di fissare o spostare una visita e nel 47% dei casi per comunicare lo stato di salute.

Immagine correlata

Circa la metà del campione trova online informazioni sui medici (51%) e su strutture e prestazioni sanitarie (44%), ma se si analizza l’accesso ai servizi sanitari i cittadini appaiono molto meno digitali: solo il 23% ha prenotato online le prestazioni (21% tramite sito web e 2% tramite App) e il 19% le ha pagate via web (15% tramite sito e 4% tramite App), con punte però del 45% e del 27% fra i 35-44enni. Si tratta di tassi di utilizzo ancora limitati, ma in forte crescita rispetto all’11% delle prenotazioni via web e al 7% dei pagamenti online emersi nel 2018. La farmacia gioca un ruolo ancora marginale nell’ambito delle prenotazioni (9%) e dei pagamenti di visite o esami (10%), mentre la maggior parte della popolazione preferisce ancora recarsi di persona presso la struttura sanitaria (rispettivamente 53% e 78%). Chi non ha utilizzato i canali digitali dichiara che preferisce il contatto fisico personale (67%) o ammette di non essere capace di utilizzarli (19%). Il canale personale risulta molto rilevante anche nella scelta dello specialista a cui affidarsi: i cittadini considerano il parere del MMG come fondamentale nella scelta del medico specialista (il 43% lo indica come canale molto rilevante), seguito dal parere di parenti e amici. Le informazioni trovate sui siti istituzionali sono ritenute per nulla rilevanti dal 25% dei cittadini, così come le opinioni e recensioni su siti web (28%).

Risultati immagini per sanita' digitale

“Il digitale sta cambiando i tradizionali punti di contatto della Sanità, introducendone di nuovi, come siti web, App e chatbot – afferma Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Le nuove tecnologie devono essere impiegate per riprogettare l’esperienza degli utenti affinché possano accedere più facilmente e velocemente a informazioni e servizi secondo modelli di cura innovativi e sostenibili. Sarà importante da questo punto di vista superare barriere e diffidenze, riconoscendo la specificità dei diversi profili di cittadini e sapendo progettare percorsi differenziati in grado di superare il potenziale “digital divide”, che rischierebbe di escludere proprio quelle fasce di popolazione che hanno maggiore bisogno di sostegno”.

Risultati immagini per sanita' digitale

L’Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale è un ambito ancora marginale in termini di investimenti (7 milioni di euro) e di interesse dei direttori sanitari (il 20% lo ritiene prioritario), ma sta prendendo piede. Le strutture sanitarie hanno adottato applicazioni di AI, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di prime sperimentazioni, soprattutto basate sull’elaborazione delle immagini per effettuare attività di supporto alla decisione diagnostica (presenti nel 40% delle aziende del campione) e del testo libero (24%). Sono queste ultime le applicazioni che i medici specialisti utilizzano maggiormente (30% e 26%) e che CIO e Direttori ritengono avranno un maggior impatto sul settore sanitario nei prossimi cinque anni. Allo stesso tempo i medici specialisti indicano l’elaborazione delle immagini come l’applicazione di AI più utile nel supporto della propria pratica clinica (36%) e l’ambito più promettente nel prossimo quinquennio (28%).

Risultati immagini per sanita' digitale intelligenza

Secondo i Direttori, i medici specialisti, i dirigenti infermieristici e i MMG, le principali difficoltà legate allo sviluppo di soluzioni di AI sono le limitate risorse economiche disponibili e l’alta complessità nell’implementare questi progetti. Gli operatori sanitari, tuttavia, non sembrano essere spaventati che l’AI possa sostituirli, anzi, vedono in questi sistemi dei potenti alleati capaci di migliorare l’efficienza dei processi clinici (49% dei medici specialisti, 66% dei dirigenti infermieristici e 46% dei MMG), ridurre la probabilità di effettuare errori clinici (48%, 50% e 50%) e aumentare l’efficacia delle cure in termini di precisione e personalizzazione (43%, 45% e 52%).

“L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in alcuni sistemi informativi ospedalieri in Italia ha una buona presenza, in particolare per l’elaborazione delle immagini, ma oggi iniziano a esserci sperimentazioni significative anche nell’interpretazione del linguaggio naturale, scritto e parlato – afferma Paolo Locatelli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. È importante sottolineare che l’applicazione di Intelligenza Artificiale in Sanità richiede, però, che le informazioni da elaborare siano raccolte in digitale, e quindi la presenza di Cartelle Cliniche Elettroniche e sistemi aziendali di gestione delle immagini diagnostiche è un prerequisito”.

Le terapie digitali

Uno dei nuovi trend nell’ambito della sanità digitale è rappresentato dalle terapie digitali, soluzioni tecnologiche (principalmente app) che devono essere clinicamente certificate e autorizzate dagli enti regolatori e che aiutano i pazienti nell’assunzione di un farmaco (di solito prescritte dal medico in combinazione a un farmaco o in sua sostituzione). Le soluzioni più interessanti secondo i Direttori e i medici sono quelle che supportano il paziente nel monitoraggio dell’aderenza alla terapia, considerate molto interessanti dal 47% dei Direttori, dal 45% dei medici specialisti, dal 63% dei dirigenti infermieristici e dal 49% dei MMG), mentre risultano meno interessanti quelle che propongono un intervento medico. Le App per il monitoraggio dell’aderenza rappresentano anche l’ambito che avrà un maggior impatto nei prossimi cinque anni. Il principale ostacolo che impedisce la diffusione di queste tecnologie in Italia è la scarsa conoscenza della validità clinica, seguita dalla difficoltà a comprendere le opportunità offerte e dall’assenza di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

La telemedicina

Immagine correlata

La telemedicina può giocare un ruolo fondamentale nell’integrazione fra ospedale e territorio e nelle nuove forme di aggregazione delle cure primarie. Anche quest’anno però la spesa in innovazione digitale delle strutture sanitarie si è concentrata soprattutto nel supporto digitale dei processi ospedalieri, con una minore attenzione all’integrazione ospedale-territorio. Nel 2019 si registra una sostanziale stabilità in termini di diffusione rispetto a quanto rilevato in passato, con i servizi che coinvolgono il paziente come la Telesalute – i sistemi e i servizi che collegano i pazienti con i medici per assistere nella diagnosi, monitoraggio, gestione, responsabilizzazione degli stessi – e Teleassistenza – un sistema socioassistenziale per la presa in carico della persona anziana o fragile a domicilio, tramite la gestione di allarmi, di attivazione dei servizi di emergenza, di chiamate di supporto da parte di un centro servizi – presenti solo con progetti pilota (rispettivamente nel 27% e 22% delle aziende).

Immagine correlata

La scarsa diffusione si rispecchia nell’utilizzo di tali servizi da parte degli operatori sanitari che operano nelle strutture sanitarie, che dichiarano di utilizzare principalmente soluzioni in fase di sperimentazione. Da sottolineare, tuttavia, un elevato livello di interesse all’utilizzo, con oltre la metà che vorrebbe usufruirne. Allo stesso modo, anche tra i MMG la Telemedicina fatica a diffondersi, con solo il 4% del campione che utilizza soluzioni di Teleassistenza e il 3% di Televisita e Telesalute. Più alta, invece, la diffusione di servizi di Telerefertazione, in particolare in alcune attività diagnostiche di primo livello quali ad esempio la spirometria (21%) e l’elettrocardiografia (19%).

Immagine correlata

Il processo di procurement è sentito dalle aziende sanitarie come un processo critico soprattutto per la sua struttura rigida (barriera espressa dal 41% dei Direttori Amministrativi), legata a una complessa normativa di riferimento (24%). La barriera più sentita è però rappresentata dalla mancata conoscenza degli strumenti con cui comprare tecnologie digitali (47%) che impedisce, quindi, di accedere anche a forme innovative di procurement che potrebbero facilitare sia l’azienda sanitaria sia il fornitore nel portare avanti un progetto di innovazione.

________________

TECO MILANO :

QUANDO SI PARLA DI SICUREZZA SUL LAVORO, AMBIENTE, MEDICINA DEL LAVORO E FORMAZIONE TECO MILANO SRL È IL RIFERIMENTO GIUSTO PER CHI CERCA UN PARTNER ADATTO.

INFO@TECOMILANO.IT      TELEFONO 02 48958304

LIMITE MASSIMO DI PARTECIPANTI AGLI EVENTI FORMATIVI

Sicurezza sul lavoro: i corsi di aggiornamento possono ospitare massimo 35 partecipanti, per convegni e seminari non ci sono vincoli. Lo stabilisce la risposta all’interpello numero 3 del 2019 del Ministero del Lavoro.

 

 Sicurezza sul lavoro: il limite massimo di partecipanti per gli eventi formativi

Sicurezza sul lavoro: i corsi di aggiornamento possono ospitare un numero massimo di 35 partecipanti, mentre per convegni e seminari non ci sono vincoli, a patto che sia previsto un registro delle presenze. Lo stabilisce la risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019 della Commissione in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro.

Immagine correlata

Su aggiornamento e regole da rispettare per gli eventi formativi in materia di sicurezza sul lavoro si concentrano spesso una serie di dubbi. Già in passato, infatti, il Ministero ha chiarito gli standard a cui bisogna attenersi perché un evento formativo possa essere considerato valido per l’aggiornamento del Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione, RSPP, e dell’Addetto al Servizio di Protezione e Prevenzione, ASPP.

PDF - 261.4 Kb
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019
Interpello ai sensi dell’articolo 12, d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni. Quesito in materia di salute e sicurezza del lavoro – aggiornamento per coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori – numero massimo di partecipanti a convegni o seminari validi ai fini dell’aggiornamento. Seduta della Commissione del 20 marzo 2019.
Immagine correlata

Questa volta il quesito riguarda il numero massimo di partecipanti da rispettare per corsi, convegni o seminari di aggiornamento destinati a Coordinatori per la Sicurezza. La richiesta di chiarimento arriva al Ministero del Lavoro dalla Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza.

Il dubbio nasce dall’interpretazione di diversi punti dell’Accordo in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano del 7 luglio 2016.

La Federazione sottolinea due passaggi del documento:

Risultati immagini per EVENTI FORMATIVI

  • al punto 9.1 si legge che “l’aggiornamento può essere svolto anche attraverso la partecipazione a convegni o seminari, in tal caso è richiesta la tenuta del registro presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza l’iniziativa e non vi è alcun vincolo sul numero massimo di partecipanti”;
  • mentre nella Tabella riassuntiva inserita nell’Allegato V si legge che nei corsi di aggiornamento per la figura di Coordinatore per la sicurezza possono essere presenti un numero massimo di 35 partecipanti.

Sicurezza sul lavoro: il chiarimento del Ministero del Lavoro sul limite massimo di partecipanti negli eventi di formazione

Nella risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019, la Commissione in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro premette che nel punto 12.8 viene stabilito che “in tutti i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fatti salvi quelli nei quali vengono stabiliti criteri specifici relativi al numero dei partecipanti, è possibile ammettere un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35 unità.

Nel formulare il chiarimento, il Ministero del Lavoro ammette entrambe le possibilità, alternative e non in contraddizione tra loro. Nel documento si legge:

La Commissione, pertanto, sulla base del combinato disposto dei sopra citati punti 9.1 e 12.8 del menzionato Accordo del 7 luglio 2016, ritiene che l’aggiornamento dei coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori, possa essere svolto sia mediante la partecipazione a “corsi” di formazione ai quali possono essere presenti un numero massimo di 35 unità, sia attraverso la partecipazione a “convegni o seminari” senza vincoli sul numero massimo di partecipanti, purché venga prevista la “tenuta del registro di presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza l’iniziativa” .

Dopo circa due mesi, la Commissione degli interpelli del Ministero del Lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro torna a fornire chiarimenti sui requisiti a cui gli eventi formativi devono rispondere perché siano validi ai fini dell’aggiornamento.

Nella risposta all’interpello numero 1 del 31 gennaio 2019, si chiariva, infatti, che lo stesso evento di formazione di sicurezza sul lavoro non può essere valido per l’aggiornamento di qualifiche diverse né può essere classificato allo stesso tempo come convegno o seminario e corso di aggiornamento.

Tornando nuovamente sull’argomento, il Ministero sottolinea ancora una volta la differenza tra le due tipologie di eventi formativi e tra le regole che ne derivano.

Da: https://www.informazionefiscale.it/

________________

TECO MILANO :

QUANDO SI PARLA DI SICUREZZA SUL LAVORO, AMBIENTE, MEDICINA DEL LAVORO E FORMAZIONE TECO MILANO SRL È IL RIFERIMENTO GIUSTO PER CHI CERCA UN PARTNER ADATTO.

INFO@TECOMILANO.IT      TELEFONO 02 48958304

TURNI IRREGOLARI INVECCHIANO IL CERVELLO

Da La Repubblica

Risultati immagini per LAVORO TURNI

TURNI di lavoro irregolari, magari con orari estremi, si sa possono essere fonte di stress. Ora uno studio francese, pubblicato sul Journal of occupational medicine, rivela che chi è sottoposto a turnazioni che impongono un’alterazione del naturale ritmo sonno-veglia, invecchia più velocemente.  Il lavoro sui turni infatti disorganizzerebbe il ritmo circadiano – l’orologio interno del corpo – nello stesso modo in cui agisce il jet lag, ed era già stato associato ad un più elevato rischio di problemi cardiaci e alcuni generi di tumore.
Lo rivela uno studio francese, pubblicato sul Journal of occupational medicine. Il declino in persone che prestano servizio in orari ‘irregolari’ da almeno 10 anni equivale a sei anni e mezzo di invecchiamento naturale
La ricerca è stata condotta su un campione di 3.000 persone. In particolare, il livello di declino cognitivo riscontrato in persone che lavoravano su turni irregolari da almeno dieci anni era equivalente a sei anni e mezzo di invecchiamento naturale. Tuttavia l’esatto meccanismo con cui questo succede non è ancora stato compreso: una teoria punta il dito contro l’eccessiva produzione di ormoni dello stress, che causerebbero la distruzione o il malfunzionamento di alcune strutture neuronali.

Immagine correlata

Coloro che lavorano di notte, poi, sarebbero più vulnerabili ai deficit di vitamina D, a causa della ridotta esposizione alla luce diurna, deficit che è stato associato da alcuni studi a un calo delle capacità cerebrali. La situazione tuttavia non sarebbe irreversibile: tornare al lavoro a orari regolari migliorerebbe le facoltà cognitive, anche se il tempo di recupero non è certo breve; per tornare alla normalità servirebbero infatti almeno cinque anni.

Risultati immagini per LAVORO TURNI

Nell’ambito di questo studio parte dei partecipanti sono stati seguiti in tre differenti fasi: nel 1996, 2001 e 2006. Un quinto di queste persone avevano turni che variavano fra la mattina, i pomeriggi e la notte.

____________________________

TECO MILANO :

QUANDO SI PARLA DI SICUREZZA SUL LAVORO, AMBIENTE, MEDICINA DEL LAVORO E FORMAZIONE TECO MILANO SRL È IL RIFERIMENTO GIUSTO PER CHI CERCA UN PARTNER ADATTO.

INFO@TECOMILANO.IT      TELEFONO 02 48958304