RISCHIO BIOLOGICO

CLIMATIZZATORI SICURI CON SANIFICAZIONE E FILTRI

Da il sole24ore.it

Da una parte, le temperature che in questi giorni d’estate hanno iniziato ad arroventare le nostre città. Dall’altra, un dubbio, emerso da letture e interpretazioni, chiusi nel lockdown per il Covid-19: ma in questa estate sarà possibile accendere gli impianti di condizionamento o i sistemi di climatizzazione rischiano di essere un veicolo per il diffondersi del virus in ambienti chiusi?

Due concetti base

La risposta sta in una serie di concetti chiave, che vanno compresi. Primo: la sanificazione dei sistemi e la pulizia dei filtri (consigliata di recente anche da un documento di linee guida emanato dall’Istituto Superiore di Sanità) non è una pratica straordinaria cui dobbiamo ricorrere quest’anno, in via eccezionale, per scongiurare il rischio coronavirus. «Si tratta, al contrario, di una buona norma, che andrebbe praticata sempre – spiega Giuseppe Bonfante, esperto della Onleco, società di consulenza e servizi ingegneristici – che si sia reduci o meno da un periodo straordinario come quello vissuto la scorsa primavera. Anche perché gli interventi di pulizia professionale possono favorire una maggiore efficienza dell’impianto».

Secondo: occorre distinguere da impianto a impianto. Gli impianti di climatizzazione (specialmente quelli installati nelle nostre case, che lavorano con un’unità esterna e uno o più split interni) non sono in grado di introdurre in casa un virus presente all’esterno né di diffonderlo nell’ambiente o di concentrarlo, per il semplice motivo che i ventilatori esterni lavorano in sinergia con l’unità interna in modo ermetico: non c’è scambio d’aria, ma solo un gas refrigerante che corre tra le due unità. Ipotizziamo però che all’interno dell’appartamento ci sia una persona affetta dal virus. Anche in casa, in linea teorica, il virus potrebbe essere spostato dal movimento dell’aria, ma il medesimo principio vale anche per i ventilatori o le pale a soffitto.

I sistemi centralizzati

Una condizione che peggiora laddove i sistemi di climatizzazione siano centralizzati (è il caso di uffici, alberghi, ma anche mezzi di trasporto): si tratta di impianti che, in genere, prelevano l’aria da un ambiente e la trattano, trasferendola anche in un altro ambiente. Il virus, in questo caso, può spostarsi anche fra locali diversi. «Per diminuire il rischio e ridurre la carica virale dell’ambiente – spiega Alessandro Giuliani, di nrgzero – è possibile aumentare i ricambi orari di aria esterna. Tenendo conto che l’operazione può ovviamente incidere sui consumi energetici, visto che la macchina dovrà lavorare di più per riscaldare, raffrescare o umidificare l’aria. Per questo, per ciò che riguarda il comparto residenziale o gli uffici a ridotto afflusso di persone, ventilare e mantenere dei buoni standard di igiene, controllando l’assenza di persone infette, può essere sufficiente».

Esistono poi sistemi di sanificazione specifici, come filtri Hepa ad hoc o tecnologie che vanno dall’impiego di lampade UV alla ionizzazione e ozonizzazione degli spazi. Va detto che non esistono però studi specifici rispetto alla comprovata efficacia verso il coronavirus. «Più in generale, se dal solo Covid parliamo di qualità dell’aria indoor, oltre a inserire impianti di ventilazione meccanica controllata o naturale – prosegue Bonfante – è possibile anche ricorrere a sistemi capaci di misurare la presenza in uno spazio di inquinanti chimici, biologici e fisici e che avvertono chi è all’interno sulla necessità di ventilare».

La pulizia

Compreso il quadro, come si può pulire una macchina già installata in casa? Premesso che la pulizia principale dei climatizzatori andrebbe fatta a fine stagione (verso settembre-ottobre) e ripetuta a inizio estate, per evitare che polvere e sporco si incrostino sull’apparecchio durante l’inverno, l’operazione può essere fatta anche dal singolo proprietario di casa. Con l’interruttore elettrico dedicato o staccato, occorre innanzitutto controllare che griglie e i filtri siano puliti: le prime sono in genere supporti di plastica, che possono essere igienizzati con acqua calda e sapone. Per ciò che riguarda, invece, i filtri sono sovente lavabili e possono essere sostituiti con una cadenza almeno mensile.

Il motore esterno, se posizionato in un luogo raggiungibile, si può spazzolare (anche con l’aspirapolvere) e lavare con un panno umido e sapone. Ogni altro controllo, come quello del liquido refrigerante, va effettuato annualmente da un tecnico: più che altro è di nuovo per una questione di efficienza (ad esempio, per il rischio di eventuali perdite di pressione).

IL PARERE DELL ‘ESPERTO : MEGLIO USARE SEMPRE LA MASCHERINA SUL LAVORO

Sui luoghi di lavoro la mascherina va indossata sempre e non va considerata un’alternativa al distanziamento fisico. Lo sottolinea Francesco Violante, direttore dell’unità Medicina del lavoro del policlinico Sant’Orsola di Bologna e ordinario dell’Alma Mater, che oggi ne ha parlato durante una commissione del Consiglio comunale. “In questo momento nella nostra area la circolazione del virus è fortemente ridotta rispetto ai mesi scorsi, questo però- avverte l’esperto- non deve far dimenticare che le precauzioni che devono essere mantenute vanno rispettate rigorosamente”.

I nuovi focolai, come quello visto alla Bartolini, “sono il frutto del fatto che a causa anche della bassa circolazione del virus- continua Violante- le persone dimenticano che il virus c’è ancora e che va mantenuta la protezione, cioè la mascherina sul viso durante l’attività lavorativa”. E’ chiaro che d’estate fa caldo ma “è un disagio che invito tutti ad accettare“, afferma Violante, perché quando ci si trova in mezzo a colleghi e fruitori di un servizio “si pone il tema della necessità di proteggere tutti”.

Violante fa il paragone con la cintura di sicurezza: “Nella maggior parte delle situazioni in cui ci troviamo in auto è totalmente inutile, perchè facciamo il nostro percorso e arriviamo senza aver fatto incidenti, ma non potremo mai sapere quando la cintura ci servirà”. Con la mascherina “funziona allo stessa maniera, nel 90% o più dei contatti che avrò durante una giornata di lavoro sarà tecnicamente inutile, ma non posso sapere quando mi servirà e per questo devo tenerla addosso in ogni momento”. E se ci si chiede se la mascherina è alternativa al distanziamento, “la risposta è no. E’ il mezzo di protezione individuale più importante che si aggiunge al distanziamento”, afferma l’esperto.

Certo, “se la distanza è molto grande, dieci o 15 metri e se sono all’aperto- continua il direttore della Medicina del lavoro- la possibilità che una particella virale mi raggiunga è virtualmente nulla, ma se mi trovo in un ambiente chiuso con diverse persone, il puro e semplice distanziamento fa bene, non è che non serva, però dev’essere supplementato dall’utilizzo della mascherina”.

C’e’ anche un tema di carattere pratico, aggiunge Violante: “Se fossimo tutti seduti alla nostra scrivania e non ci muovessimo mai, mantenendo sempre un’ampia distanza dalle persone più vicine, potremmo anche pensare che la mascherina non è così necessaria, ma la vita lavorativa è diversa” perché “mi alzo, parlo con i colleghi, vado a chiedere un’informazione”. Insomma la famosa distanza minima di un metro “è una misura che negli ambienti di lavoro non può essere garantita in modo assoluto”, avverte Violante, dunque “la mascherina va comunque tenuta”.

Lo stesso vale per le occasioni in cui si parla in ambienti collettivi, come le aule istituzionali. “L’esigenza di farmi sentire fa sì che io usi un tono di voce più forte del normale e quindi l’emissione di aria dei polmoni è maggiore”, spiega l’esperto, anche se “capisco ci siano problemi importanti”. Non vedendo le labbra di chi parla, ad esempio, “chi ha difficoltà uditive percepisce meno le parole- segnala Violante- e questo richiede una diversa sonorizzazione degli ambienti collettivi per tenere conto delle necessità delle persone, tante, che hanno un disturbo dell’udito”. E’ un tema che si pone anche a scuola, in particolare per le fasce d’età in cui i bambini imparano a leggere, sottolinea Violante, perché “guardare le labbra della maestra é un elemento importante per apprendere una lingua”: non a caso, “ci sono esperti che stanno studiando questi temi”.

Il Covid-19 “non dà segni di voler scomparire”, quindi “le protezioni dovranno accompagnarci per i prossimi mesi, è un tema a cui dobbiamo rassegnarci”.

Dal quotidiano la Repubblica.it

VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE E COVID19

Da Dottnet.it

Nei pazienti Covid, le probabilità di morte sono più basse del 17% per chi è stato di recente vaccinato contro l’influenza. E’ quanto evidenzia uno studio pubblicato sul server di prestampa medRxiv e condotto su 92.000 pazienti con infezione da Sars-Cov-2. Lo studio che ha visto uniti i ricercatori dello Swiss Tropical and Public Health Institute, dell’Università di Basilea e di quella di San Paolo del Brasile, ha incluso persone con un’età media di 59 anni, il 37% ha avuto bisogno di cure intensive e il 23% è stato sottoposto a ventilazione meccanica, circa il 47% dei pazienti è deceduto. Circa il 66% aveva già malattie cardiovascolari, il 55% aveva diabete mellito, l’11% era obeso e il 12% aveva una malattia renale. Circa un terzo di questi pazienti, per lo più tra gli over 60 anni, aveva ricevuto un vaccino trivalente durante l’ultima campagna per la vaccinazione antinfluenzale, da poco conclusa nell’emisfero opposto al nostro. Si è così osservato che i pazienti che hanno ricevuto un recente vaccino antinfluenzale avevano in media una probabilità inferiore dell’8% di venir ricoverati in terapia intensiva, una probabilità inferiore del 13% di aver bisogno di ventilazione meccanica e una probabilità di morte più bassa del 17%. Questo effetto non si verificava in chi era stato vaccinato solo nelle stagioni precedenti.

L’effetto protettivo del vaccino contro l’influenza potrebbe esser collegato a diversi meccanismi e quello più probabile è un cambiamento indotto nell’immunità innata. Le cellule della memoria immunologica possono essere attivate da antigeni naturali o artificiali e, una volta attivate, difenderanno il corpo da più agenti patogeni, compresi quelli non interessati dal vaccino. “In questo momento – concludono i ricercatori – è consigliabile la promozione su vasta scala dei vaccini antinfluenzali, specialmente nelle popolazioni ad alto rischio di grave infezione da SARS-CoV-2″.

INFORMATORI MEDICO SCIENTIFICI E FASE 2COVID

Da aboutpharma

Informazione medico-scientifica

Uno dei nodi più intricati della fase due riguarda l’attività di informa­zione scientifica, al centro del di­battito tra industria e parti socia­li. Tanto che lo scorso 13 maggio, Farmindustria e le organizzazioni sindacali Filctem, Cgil-Femca, Cisl Uiltec hanno diffuso una nota con­giunta, in cui sollecitano Governo ed enti locali a garantire un quadro uniforme della ripresa delle attività di informazione diretta.

Gli attori coinvolti – si legge nella nota– hanno condiviso che l’infor­mazione medico scientifica, coe­rentemente con il diritto/dovere di informazione che spetta alle impre­se farmaceutiche, riveste un ruolo fondamentale per tutti gli operatori sanitari e per la salute della popo­lazione, oltre che per l’occupazione di elevata qualità, che unisce com­petenze tecniche e relazionali.

Informazione da remoto

Nell’attuale contesto emergenziale – continua la nota – le imprese del farmaco stanno garantendo la con­tinuità dell’informazione scientifi­ca adottando modalità di confronto da remoto, secondo le disposizioni impartite dalle autorità istituziona­li di livello nazionale e locale. Modalità di lavoro che, anche se in questo momento storico risulta il principale canale di interfaccia con gli operatori sanitari, le parti con­dividono non porsi in alternativa all’attività di informazione scienti­fica diretta, quanto piuttosto come eventuale strumento complementa­re e quindi integrativo della stessa.

Verso un ritorno all’informazione diretta

In vista di una quanto più prossima ripresa delle attività di informazio­ne scientifica diretta – prosegue la nota – si registrano, inoltre, provve­dimenti non coordinati a livello lo­cale sia sotto il profilo delle moda­lità di svolgimento dell’attività e sia riguardo alle indicazioni temporali, per un ritorno sicuro e graduale alla normalità. Pertanto – conclude il documento – le parti, avviando un percorso di confronto continuo per monitorare gli sviluppi sul tema sollecitano an­che attraverso incontri dedicati, che Governo ed enti locali possano:

  • garantire, specie nella fase emergenziale, approcci omoge­nei nei contesti regionali, per fa­cilitare lo svolgimento da remoto dell’attività di informazione me­dico scientifica;
  • avere un quadro possibilmen­te uniforme o comunque ben definito, sulla base di parametri scientifici, della ripresa delle at­tività di informazione medico scientifica diretta
  • definire, in maniera uniforme, le misure a carattere temporaneo di prevenzione e per lo svolgi­mento dell’attività diretta, quali condizioni per la massima tutela e sicurezza dei lavoratori, medici e pazienti

VISITA INAIL PER LAVORATORI ” FRAGILI”

Fermo restando quanto previsto per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio, l’art. 83 d.l. 34 del 19 maggio 2020 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti al rischio, in ragione dell’età, della condizione da immunodepressione e di una pregressa infezione da Covid-19 ovvero da altre patologie che determinano particolari situazioni di fragilità del lavoratore”. È quanto sottolinea l’Inail sul proprio sito.

“L’attività di sorveglianza sanitaria eccezionale – ricorda l’Istituto – si sostanzia in una visita medica sui lavoratori inquadrabili come “fragili” ovvero sui lavoratori che, per condizioni derivanti da immunodeficienze da malattie croniche, da patologie oncologiche con immunodepressione anche correlata a terapie salvavita in corso o da più co-morbilità, valutate anche in relazione dell’età,  ritengano di rientrare in tale condizione di fragilità”.L’Inail specifica poi che “per i datori di lavoro che non sono tenuti, ai sensi dell’art. 18, co. 1 lett. a), d.lgs. 81/2008, alla nomina di un medico competente, fermo restando la possibilità di nominarne uno per la durata dello stato di emergenza, la sorveglianza eccezionale può essere richiesta ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con i propri medici del lavoro”.

Una volta inoltrata la richiesta dal datore di lavoro o da un suo delegato, viene individuato il medico della sede territoriale più vicina al domicilio del lavoratore.

All’esito della visita medica per sorveglianza sanitaria eccezionale, è espresso un “parere conclusivo riferito esclusivamente alla possibilità per il lavoratore di riprendere l’attività lavorativa in presenza nonché alle eventuali misure preventive aggiuntive o alle modalità organizzative atte a garantire il contenimento del contagio”.
Successivamente all’invio del parere conclusivo, il datore di lavoro riceve una comunicazione con l’avviso di emissione della relativa fattura in esenzione da iva per il pagamento della prestazione effettuata. In attesa dell’emanazione di un decreto interministeriale per la definizione della tariffa, l’Inail ha stabilito in via provvisoria l’importo di € 50,85.

NUOVO TEST COVID 19 CON IGM QUALITATIVE.

DiaSorin annuncia il lancio del nuovo test Liaison Sars-CoV-2 IgM, marcato CE e reso disponibile negli Stati Uniti attraverso la notifica di validazione presentata alla Food and Drug Administration (Fda), alla quale conseguirà la richiesta di autorizzazione all’uso di emergenza. Il test è basato sulla tecnologia di immunodiagnostica Clia per l’identificazione qualitativa degli anticorpi specifici IgM sviluppati in risposta al SarsS-CoV-2 in campioni di siero o plasma umano e risponde alla necessità di identificare la presenza degli anticorpi IgM nelle persone infettate dal Sars-CoV-2, permettendo, inoltre, di distinguere se queste abbiano sviluppato l’infezione più o meno recentemente. Il test sierologico ha, inoltre, lo scopo di “supportare l’identificazione di individui con una risposta immunitaria adattiva al Sars-CoV-2 e di analizzare la risposta immunitaria dei pazienti affetti da Coronavirus”, afferma Diasorin. Il test sarà disponibile sulle oltre 5.000 piattaforme Liaison Xl già installate nel mondo.

MASCHERINE E DISAGIO TERMICO

LA PREVENZIONE DEL DISAGIO TERMICO CAUSATO DAI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE DELLE VIE RESPIRATORIE

I dispositivi o apparecchi di protezione delle vie respiratorie (APVR) sono progettati per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose come polveri, fibre, fumi, vapori, gas, microrganismi e particolati che possono essere presenti nell’ambiente di lavoro e provocare patologie a carico delle vie respiratorie. Un’eccessiva esposizione a sostanze pericolose può causare danni significativi alla salute. I dati INAIL (INAIL, 2019) mostrano che nel 2019 le malattie professionali a carico dell’apparato respiratorio occupano il quarto posto per le denunce protocollate (2809), facendo registrare un trend in aumento rispetto al 2018 (2613).
Si ricorre all’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (ovvero ai dispositivi di protezione individuale, DPI) quando non è possibile applicare mezzi di protezione collettiva (art.75 del D.Lgs. 81/2008) ovvero misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare l’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose.
La scelta del corretto dispositivo dovrebbe avvenire solo dopo il completamento della valutazione dei rischi e dovrebbe tener conto di diversi fattori. Secondo la UNI EN 529:2006, infatti, accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo. Tra questi sono inclusi fattori ergonomici come, ad esempio, l’aspetto termico.
Al punto D.5 si pone l’attenzione sull’affaticamento termico che potrebbe causare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie in zone come la testa, dovuto ad un effetto barriera rispetto agli scambi termici e che potrebbe determinare un discomfort per il lavoratore che lo indossa.
Questo fattore diventa più evidente in presenza di condizioni microclimatiche sfavorevoli e di attività lavorative più intense, e rappresenta un problema di interesse igienistico emergente alla luce dei cambiamenti climatici in corso e delle ondate di calore sempre più intense e frequenti. (WMO 2015).
Il discomfort dovuto all’accumulo di calore percepito sul viso, o sulla parte di esso coperto dal facciale è uno dei motivi di intolleranza per chi indossa il dispositivo (Roberge et al, 2012a; Laird et al. 2002; Radonovich et al. 2009). Tener conto di questo aspetto vuol dire ridurre i fattori di non accettabilità del dispositivo ed evitare che il lavoratore decida arbitrariamente di rimuoverlo e/o di non utilizzarlo o di utilizzarlo in maniera inappropriata
Nell’ambito della letteratura scientifica internazionale alcuni studi hanno evidenziato che il dispositivo di protezione delle vie respiratorie può avere un impatto sulla temperatura del viso o sulla parte di esso coperto dal facciale (Roberge et al. 2012a; Roberge et al. 2012b; Du Bois et al. 1990; Del Ferraro et al., 2017; Del Ferraro et al. 2020) ed un effetto molto minore sulla temperatura interna (Roberge et al. 2012b). Altri studi hanno cercato di correlare il giudizio soggettivo associato al discomfort con la temperatura superficiale del viso sotto la maschera quando il lavoratore indossa ed utilizza un tale dispositivo (Nielsen et al. 1987, Du Bois et al. 1990). I risultati ottenuti mostrano che il lavoratore percepisce come calde, e quindi non confortevoli, temperature della pelle del viso sotto la maschera superiori ai 34,5°C (Du Bois et al. 1990).
Un altro fattore che può aumentare la sensazione di discomfort durante l’utilizzo del dispositivo è il cambiamento del modo di respirare. In condizioni di riposo la maggior parte degli adulti ha una respirazione nasale (inspirazione ed espirazione attraverso il naso).
Con l’intensificarsi dell’attività fisica può accadere che la respirazione da nasale diventi oronasale. Questo cambiamento incide sulle due componenti degli scambi di calore legati alla respirazione (per evaporazione, Eres e convezione, Cres): la respirazione oro-nasale, infatti, prevede una maggiore dispersione del calore verso l’ambiente rispetto alla respirazione nasale. L’aria espirata rimane bloccata dal facciale e si percepisce maggiormente il calore a seguito dell’aumentata presenza di vapore acqueo.
Infine non va dimenticato il fattore psicologico, che può avere un impatto indiretto sul carico termico associato all’uso del dispositivo di protezione delle vie respiratorie. L’uso del dispositivo può causare una sensazione di claustrofobia. Alcuni soggetti affetti da disturbi di ansia mostrano un disturbo d’ansia “respiratorio”, caratterizzato da un’attività respiratoria intensa durante un attacco di panico che è probabilmente legata ad un falso allarme di soffocamento proveniente dal Sistema Nervoso Centrale (Roberge et al. 2012a; Freire et al., 2010) e sono molto sensibili agli aumenti dei livelli di CO2 nell’organismo.
La risposta abituale all’insorgenza di un attacco di panico o di una reazione claustrofobica, indipendentemente dall’evento scatenante, è una risposta simpaticomimetica provocata dal rilascio di neurotrasmettitori (ad es. catecolamine come l’adrenalina e la noradrenalina). Tale rilascio causa un aumento dell’attività metabolica che si manifesta con un’elevata frequenza cardiaca e respiratoria, palpitazioni, pressione sanguigna elevata, ecc. Una sensazione di calore associata a questi eventi può essere dovuta all’aumento dello sforzo respiratorio dovuto ad una maggiore resistenza respiratoria percepita del dispositivo, oppure all’aumento della sudorazione nel microambiente del facciale dovuto allo stress psicologico che potrebbe aumentare la temperatura di quella zona del viso.
Una delle strategie che può essere messa in atto per alleviare l’impatto dell’uso del dispositivo delle vie respiratorie è il raffreddamento del viso, che risulta essere una delle più efficaci, insieme ad una attenta programmazione di pause di recupero e reidratazione durante il lavoro.
Prima della pandemia l’uso dei dispositivi delle vie respiratorie era previsto per un numero limitato di attività professionali. La recente emergenza sanitaria da COVID 19 ha reso obbligatorio o consigliato l’uso dei DPI (maschere) nella maggior parte degli ambienti di lavoro al chiuso o all’aperto.
È da evidenziare che attività lavorative che in assenza di DPI non presentano particolari criticità di natura ergonomica o termica possono diventare critiche sotto tale aspetto, soprattutto per soggetti particolarmente sensibili.
È pertanto indispensabile che l’introduzione di tali dispositivi negli ambienti di lavoro sia sempre accompagnata da un’attenta valutazione dell’accettazione e delle potenziali ricadute sulle condizioni ergonomiche dell’attività lavorativa svolta, prendendo in esame:
  • l’adattabilità dei DPI alle caratteristiche fisiche e alle condizioni individuali di tutte le lavoratrici e lavoratori, con particolare riferimento ai soggetti sensibili;
  • il comfort termico del DPI, in considerazione della durata dell’impiego e del contesto d’uso.
Si raccomanda l’istituzione di procedure ad hoc relative all’impiego del DPI che prevedano tra l’altro:
  • graduale adattamento all’impiego del DPI in relazione alla tipologia di attività svolta
  • effettuazione di specifiche pause durante il lavoro per la rimozione del DPI e la reidratazione;
  • individuazione di adeguate aree di riposo al fresco ove togliere il DPI e rinfrescare il viso;
Un elenco non esaustivo di soggetti particolarmente sensibili per cui potrebbe essere richiesto di istituire procedure ad hoc relative all’uso del DPI delle vie respiratorie è di seguito riportato:
  • Gravidanza
  • Ipertensione e malattie cardiovascolari
  • Disturbi della coagulazione
  • Patologie neurologiche o assunzione di psicofarmaci
  • Disturbi della tiroide
  • Malattie respiratorie croniche
  • Claustrofobia o attacchi di panico.

 

Conclusioni

I dispositivi di protezione delle vie respiratorie sono introdotti per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose che possono essere presenti nei luoghi di lavoro, quando non è possibile ricorrere ad altri metodi tecnici, organizzativi e procedurali efficaci ai fini della protezione. La scelta del corretto dispositivo dovrebbe avvenire solo a seguito di un’attenta valutazione dei rischi. Accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo, tra cui i fattori ergonomici, termici.

 

L’utilizzo del dispositivo può determinare un accumulo di calore percepito sul viso, o sulla parte di esso coperto dal facciale, che può causare disagi di varia natura, e può comportare l’insorgenza di stress termico in relazione alla tipologia di attività svolta, all’ambiente termico e alle condizioni individuali della lavoratrice o del lavoratore.

 

E’ importante tener presente che attività lavorative generalmente non considerate critiche sotto il profilo microclimatico possono diventare tali se è richiesto l’impiego protratto e continuativo di DPI delle vie respiratorie, soprattutto in ambienti indoor privi di condizionamento adeguato, in caso di ondate di calore o in presenza di condizioni di suscettibilità individuale.

 

E’ indispensabile che l’impiego dei DPI delle vie respiratorie sia sempre accompagnato da una idonea formazione volta al corretto impiego degli stessi ed a migliorarne l’accettabilità e l’adattabilità alle condizioni individuali di ciascun lavoratore.

 

Si richiama infine quanto espresso dall’OMS (WHO, 2020) in merito agli aspetti di criticità legati all’impiego di DPI facciali per la popolazione generale, che è sempre opportuno siano tenuti sotto stretto controllo negli ambienti di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi:

Potenziale rischio di auto-contaminazione a seguito della manipolazione della mascherina e successivo contatto delle mani contaminate con viso ed occhi;

  • Potenziale rischio di auto-contaminazione se non si provvede alla sostituzione di maschere inumidite o sporche;
  • Emicrania o difficoltà di respirazione in relazione alle caratteristiche individuali;
  • Sviluppo di lesioni cutanee o dermatiti o peggioramento di patologie dermatologiche;
  • Difficoltà di comunicazione verbale chiara, soprattutto per attività al pubblico;
  • Disagio termico, anche in relazione alle caratteristiche di suscettibilità individuale;
  • Difficoltà di comprensione della comunicazione verbale per persone con problemi uditivi per impossibilità di leggere il movimento delle labbra, anche in relazione alle caratteristiche acustiche dell’ambiente.
A cura di:
Vincenzo Molinaro, Tiziana Falcone, Simona Del Ferraro
INAIL Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale Laboratorio di Ergonomia e Fisiologia
Iole Pinto
Azienda Usl Toscana Sud-Est – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici
Francesco Picciolo
Dipartimento di Scienze della Terra, Fisiche e Naturali Università degli Studi di Siena

MASCHERINA FFP3 CON APP QUALITÀ DEL FILTRAGGIO

Da Ilsole24ore

La indossi ed è subito effetto Bane, il cattivo del terzo capitolo del Batman di Christopher Nolan. Narvalo Urban Mask, è il primo prodotto della startup milanese Narvalo, incubata al Polihub. Tecnicamente è una mascherina protettiva FFP3, sigla che certifica il massimo livello di protezione per questo tipo di prodotti. E’ nata per essere bella esteticamente, progettata per proteggere dall’inquinamento, le polveri e i pollini e pronta per essere connessa allo smartphone per fornire una analisi della qualità dell’aria.

L’emergenza del Covid-19 e quindi i virus e i batteri hanno reso questi prodotti popolari e essenziali per girare all’aperto durante il lockdown. La mascherina è dotata di una valvola intelligente ad espirazione facilitata che ottimizzando il deflusso di aria impedisce l’accumulo di calore e di umidità. Filtra il 99,9% degli agenti inquinanti oltre a virus, batteri, polveri ed odori, grazie allo strato in carbone attivo. Allo stesso tempo, la confezione di Narvalo Urban Mask prevede un tappo “anti-Covid” che, se applicato, blocca la fuoriuscita di goccioline anche durante l’espirazione.

A partire dal 10 luglio arriverà la app con cui si interfaccia la mascherina per monitorare la qualità dell’aria e che ti dice quanto sei protetto da agenti inquinanti ecc. Per la fine dell’anno è inoltre previsto il rilascio della versione “Active” della maschera, con una valvola elettronica dotata di una ventola di estrazione intelligente e di sensoristica a bordo.
A questo punto l’effetto Bane è davvero assicurato. Il prezzo? 89 euro ma se fate il pre-order dal sito c’è uno sconto del 30%.

VENTILAZIONE E CLIMATIZZAZIONE : RAPPORTO ISS E COVID19

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L’adeguamento alle condizioni contingenti per contrastare la diffusione dell’epidemia di SARS-CoV-2 e per garantire una buona qualità dell’aria degli ambienti indoor necessita di appropriate risposte per il contenimento del rischio di trasmissione del virus. In questo ambito, nel documento presentato verranno descritti i principali componenti dei sistemi di ventilazione e di climatizzazione che possono favorire la movimentazione dell’aria in ambienti indoor all’interno di strutture comunitarie non sanitarie e di ambienti domestici e verranno altresì fornite raccomandazioni operative per la gestione di questi impianti.
Autori del documento: Gruppo di Lavoro ISS Ambiente-Rifiuti COVID-19

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IL RUOLO DEL MEDICO COMPETENTE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Nella gestione della Pandemia da CoViD-19 la Medicina del Lavoro assume un ruolo di grande responsabilità. Il presente testo spazia seguendo un percorso che va da un nuovo approccio all’ organizzazione del lavoro, alle procedure ed iniziative per il contenimento del contagio, descrivendo le misure organizzative e di prevenzione e protezione, l’informazione e formazione, la sorveglianza sanitaria, la gestione dei casi sospetti e confermati. La trattazione poi definisce il lavoratore fragile in base a norme e letteratura e specifica lo stato dell’arte sui test sierologici tra letteratura scientifica ed indicazioni regionali. Viene poi trattato il ruolo del medico competente come figura a metà tra consulente globale e disability manager. Infine viene trattata la collaborazione tra organo di vigilanza, medico competente e medico di medicina generale. Il testo, centralizzato sul ruolo del medico competente, si rivolge per i contenuti a pieno titolo a tutti gli attori della prevenzione.

Disponibile in edizione cartacea ed e-BOOK

Edizioni EPC