RISCHIO BIOLOGICO

COME GESTIRE UN CASO SOSPETTO DI COVID A SCUOLA

Come gestire a scuola un sospetto caso di contagio da Coronavirus? Che cosa devono sapere studenti e famiglie all’avvio di questo complicato anno scolastico? È tutto previsto nel Rapporto Covid-19 58/2020, stilato dall’Istituto Superiore di Sanità.

Se l’alunno a scuola ha la febbre oltre i 37,5 o sintomi compatibili con il Covid, l’operatore scolastico che ne viene a conoscenza deve avvisare il referente scolastico per il Covid-19, il quale chiamerà i genitori o i tutori legali dell’allievo. L’alunno sarà ospitato in una stanza isolata e assistito con le opportune precauzioni fino all’arrivo dei genitori, che dovranno portarlo a casa e contattare il pediatra o il medico per la valutazione clinica del caso.

Il medico, se sospetta si tratti di Coronavirus, dovrà richiedere al Servizio di Igiene e sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione il test diagnostico. Se il test risulterà positivo, verranno rintracciati i contatti e sanificati gli spazi scolastici frequentati dall’alunno. Per il rientro a scuola, bisognerà aspettare l’assenza di sintomi e i due tamponi negativi, a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.

Le persone che sono state a contatto con il soggetto positivo nelle 48 ore precedenti l’insorgenza dei sintomi saranno messe in quarantena per 14 giorni. Se invece il tampone sarà negativo, l’alunno resterà a casa fino alla guarigione e alla conferma negativa del secondo tampone.

Se la febbre oltre i 37,5 o i sintomi compatibili con il Covid-19 vengono riscontrati a casa, l’alunno dovrà restare nella sua abitazione ed i genitori dovranno informare il pediatra o medico di famiglia, oltre a comunicare alla scuola l’assenza per motivi di salute. Il medico, in caso di sospetto Covid, dovrà mettersi in contatto con il Servizio di Igiene e sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione e richiedere il test diagnostico. A seguito degli esiti del tampone, si procederà come nel caso precedente.

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Analoghe procedure sono previste per gli operatori scolastici con febbre superiore a 37,5 o sintomi riconducibili al Covid-19: dovranno tornare a casa se si trovano a scuola, o restare nel proprio domicilio se i sintomi compaiono in ambito domestico, comunicando l’assenza al personale scolastico e contattare il proprio medico di famiglia, che avvierà l’iter diagnostico.

Se un alunno o un operatore scolastico è un convivente con una persona positiva al virus, dovrà rispettare la quarantena di 14 giorni, mentre i suoi contatti stretti – come i compagni di classe – non dovranno andare in quarantena, a meno che non venga accertata la positività anche dello studente o dell’operatore scolastico.

Allo stesso modo, un alunno o operatore scolastico entrati in contratto con una persona che a sua volta è stata a contatto con un soggetto positivo non dovranno prendere nessuna precauzione, a meno che il contatto non risulti poi positivo.

La valutazione di prescrivere la quarantena sarà effettuata dal Servizio di Igiene e sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione, così come la chiusura della scuola, che – secondo il rapporto Iss – non dovrebbe essere determinata da un singolo caso, ma da un numero più elevato e dalla presenza di eventuali cluster e un’alta circolazione virale.

Oltre al personale scolastico, un ruolo determinante nella prevenzione del contagio è svolto dalle famiglie, chiamate in primo luogo a misurare la temperatura corporea del bambino o del ragazzo a casa ogni giorno prima dell’ingresso a scuola, e se questa è superiore a 37,5 gradi, a informare il pediatra o il medico di famiglia che, in caso di sospetto Covid, attiverà il Servizio di Igiene e sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione per la richiesta del tampone naso-faringeo.

Come previsto dal rapporto Iss, la Assl di Oristano ha individuato presso il Servizio di Igiene e sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione i propri referenti per l’ambito scolastico, i cui nominativi e recapiti sono stati comunicati – tramite la Direzione generale dell’Ufficio scolastico regionale per la Sardegna – a tutte le scuole del territorio.

I referenti scolastici Covid di ciascun istituto – anche queste figure individuate dal protocollo Iss – dovranno interfacciarsi con i referenti scolastici Assl ogni volta che ce ne fosse necessità. Tutti gli altri operatori scolastici non dovranno invece contattare la Assl per comunicazioni e informazioni relative al nuovo coronavirus, ma fare riferimento al proprio referente scolastico Covid.

TESTS COVID PER CHI PROVIENE DALLA FRANCIA

Firmata dal ministro Speranza l’ordinanza che   estende l’obbligo di test molecolare o antigenico ai cittadini provenienti da Parigi e dalle aree della Francia con significativa circolazione del virus: Alvernia-Rodano-Alpi, Corsica, Hauts-de-France, Île-de-France, Nuova Aquitania, Occitania, Provenza-Alpi-Costa azzurra.

QUANDO L’INFEZIONE DA COVID SI MANIFESTA DIVERSAMENTE

Da Avvenire.it

Del coronavirus, ogni giorno che passa, la scienza conosce qualcosa in più. È ben chiaro, per esempio, come il Covid – di per sé una malattia dai sintomi lievi nella stragrande maggioranza di chi ne viene contagiato – possa diventare pericoloso e addirittura letale per persone con patologie pregresse importanti, per gli immunodepressi, per i diabetici, per chi soffre di obesità, per anziani e grandi anziani: un organismo meno funzionale affronta con più difficoltà un’infezione, di qualsiasi natura essa sia.

Così come – fatta eccezione per qualche ipotesi “originale”, per esempio quella di un gruppo di studiosi francesi circa il fatto che la nicotina possa bloccare la penetrazione di Sars-Cov-2 nelle cellule dell’organismo – è ormai chiaro che anche i fumatori sono più esposti al rischio che il Covid abbia esiti più severi, e non solo perché il tabacco comporta una ridotta capacità polmonare: tra le varie motivazioni ricostruite in diverse ricerche sono emerse anche quelle igieniche, dato che l’atto del fumo implica che le dita e sigarette magari contaminate siano a contatto con le labbra, aumentando la possibilità di trasmissione del virus dalla mano direttamente in bocca.

Chi porta gli occhiali

Un filone ormai abbastanza ampio di studi, tuttavia, si sta concentrando anche sulle motivazioni per cui alcune fette di popolazione risulterebbero meno a rischio di contagio da Covid. Ricerche preliminari, in alcuni casi condotte su campioni poco rappresentativi. È il caso di quella pubblicata sulla rivista scientifica Jama in queste ore e condotta dagli esperti cinesi dell’Ospedale Suizhou Zengdu. Lo studio – che ha coinvolto 276 pazienti ricoverati nella provincia di Hubei – ha scoperto che solo il 6% dei partecipanti portava occhiali da vista per più di otto ore al giorno, tutti affetti da miopia o astigmatismo. Abbastanza pochi per convincere gli studiosi che chi indossa gli occhiali da vista potrebbe correre un rischio inferiore di contrarre il Covid-19. «Non abbiamo esaminato il motivo di questo collegamento – ha spiegato l’autore dell’articolo, Xiaolin Wang Wang – ma la nostra ipotesi è che l’uso di occhiali impedisca alle persone di toccarsi gli occhi, il che riduce le possibilità di contagio». Gli occhiali, inoltre, potrebbero anche fungere da barriera parziale o sostenere meglio i lembi della mascherina, riducendo le potenziali vie d’accesso al virus.

Gli allergici

Anche gli allergici sembrerebbero essere più protetti dalle forme più gravi di Covid-19. È quanto emerso da uno studio italiano, stavolta, coordinato da Enrico Scala dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) di Roma e Riccardo Asero della Clinica San Carlo di Paderno Dugnano (Milano) e condotto su un campione di più di 500 pazienti ricoverati tra marzo e aprile scorso nei principali ospedali del Nord Italia (l’articolo è stato pubblicato su Allergy, la rivista scientifica dell’Accademia europea di allergologia e immunologia). Il lavoro ha dimostrato che, tra questi pazienti, i soggetti allergici sviluppano una forma meno grave di malattia (in 7 casi su 10, per l’esattezza, contro i 3 su 10 di quelli non allergici). Le ragioni in questo caso sono un po’ più complesse: nei casi più gravi l’infezione da Sars-CoV-2 scatena quella che in termini scientifici viene definita “tempesta citochinica Th1”, cui fa seguito una auto-aggressione del sistema immunitario che porta a un distress respiratorio acuto (Ards) e a una insufficienza multiorgano, il cui risultato finale è la morte. Ebbene, i pazienti allergici sono invece geneticamente predisposti a generare una risposta immuno-mediata di tipo differente: Th2. Questa risposta non implica l’espressione delle principali citochine coinvolte nell’Ards.

Il gruppo sanguigno

Ancora: correrebbero meno rischi di contrarre il Covid anche le persone con il gruppo sanguigno 0. È quanto dimostrano i risultati preliminari di uno studio della società di test genetici 23andMe, che ha confermato quanto verificato sul campo anche da molti medici di Wuhan. Ad aprile, i ricercatori hanno iniziato a fare dei test per aiutare gli scienziati a comprendere meglio come la genetica possa influire sullo sviluppo della pandemia: i primi risultati hanno indicato che chi ha sangue di tipo 0 ha tra il 9 e il 18% in meno di probabilità di risultare positivo al Covid-19 rispetto agli altri gruppi sanguigni. Una percentuale che sale tra il 13 e il 26%nel caso dei soggetti più esposti al coronavirus, come gli operatori sanitar

PURIFICATORE D ‘ARIA INDOSSABILE LG

Da 01health

LG ha iniziato a mostrare al pubblico le novità di quest’anno del suo stand virtuale di IFA 2020, edizione dell’evento di Berlino che si tiene esclusivamente online, a partire dal nuovo PuriCare Wearable Air Purifier, prodotto che ha a che fare, come sottolinea il nome, con la purificazione dell’aria, e che presenta più di un contenuto tecnologico.

Del resto, oltre che in quelli della tecnologia e dell’elettronica di consumo, Lg è tra le aziende leader globali anche nelle soluzioni per la climatizzazione e la purificazione dell’aria. La marca sudcoreana ha potuto quindi abbinare il know-how e l’esperienza maturata in questi diversi ambiti, per lanciare il nuovo prodotto.

O meglio: al momento solo per annunciarlo, perché l’Lg PuriCare Wearable Air Purifier, ha specificato l’azienda, sarà disponibile a partire dal quarto trimestre in mercati selezionati (non è stato specificato quali).

Lg PuriCare Wearable Air Purifier

Perché Lg ha pensato di progettare un tale prodotto indossabile? È la stessa azienda a chiarirlo: con il PuriCare Wearable Air Purifier Lg intende proporre una propria soluzione al problema della scarsa qualità di alcune mascherine fai-da-te e della difficoltà di reperimento delle maschere usa e getta. La soluzione di Lg, sottolinea il produttore, impiega due filtri H13 HEPA simili a quelli utilizzati nei prodotti Lg progettati per la purificazione dell’aria domestica.

Inoltre, il purificatore d’aria indossabile di Lg dispone di un doppio ventilatore e di un sensore respiratorio brevettato che rileva il ciclo e il volume del respiro di chi lo indossa e regola di conseguenza il doppio ventilatore a tre velocità. Le ventole accelerano automaticamente per assistere l’aspirazione dell’aria e rallentano per ridurre la resistenza durante l’espirazione e rendere la respirazione più fluida.

Lg PuriCare Wearable Air Purifier

Lg PuriCare Wearable è progettato ergonomicamente per adattarsi in maniera versatile alla forma del viso e per ridurre al minimo le perdite d’aria intorno al naso e al mento: il suo design permette di essere indossato comodamente per diverse ore consecutive, assicura l’azienda produttrice. L’efficiente e leggera batteria da 820 mAh garantisce fino a otto ore di funzionamento in modalità bassa e due ore in modalità alta.

Il purificatore d’aria indossabile di Lg è anche dotato di una custodia che aiuta a mantenerne la corretta igiene tra un utilizzo e l’altro. Dotata di luci a LED UV che permettono di eliminare i germi dannosi, la custodia serve anche a caricare l’unità e inviare una notifica all’app mobile LG ThinQ, disponibile per Android e iOS, quando i filtri devono essere sostituiti per poter sempre contare sulle massime prestazioni.

TEMPORANEO STOP AL VACCINO ASTRA ZENECA

L’azienda farmaceutica AstraZeneca, che collabora con l’Università di Oxford, sospende la sperimentazione del vaccino anti-Covid per una reazione avversa che ha sviluppato un volontario in Gran Bretagna. Lo annuncia la società, sottolineando che lo stop è “un’azione di routine che si adotta durante i test nel caso ci si trovi davanti a una reazione inspiegata”. Questo, afferma AstraZeneca, per “assicurare l’integrità del processo dei test”.

IL VACCINO RUSSO SPUTNIK FUNZIONA SECONDO LANCET

04 settembre 2020

Da rainews

Il vaccino russo Sputnik anti-Covid produce anticorpi. Lo rivela la rivista  Lancet che ha pubblicato i primi dati. Secondo quanto riportato dal gruppo di Denis Logunov, dell’Istituto nazionale di ricerca epidemiologica Gamaleya di Mosca, il vaccino avrebbe prodotto una risposta immunitaria in tutti i 76 volontari, adulti sani tra i 18 e 60 anni, coinvolti nelle fasi 1 e 2 della sperimentazione.   I risultati, riferiti a due studi condotti tra il 18 giugno e 3 agosto, mostrano che il 100% dei partecipanti ha sviluppato anticorpi contro il virus SarsCov2, senza avere gravi effetti collaterali.   A novembre parte la produzione fuori dalla Russia Il vaccino Sputnik V sarà prodotto da novembre anche fuori dai confini russi. Lo ha dichiarato il capo del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif) Kirill Dmitriyev, durante un incontro con la stampa. Dichiarazione riportata da Interfax.     “Abbiamo accordi con l’India, il Brasile e molti altri Paesi, perché siamo veramente concentrati sulla possibilità di esportare questo vaccino, prodotto al di fuori della Russia, sui mercati esteri già a novembre”. Una produzione ha aggiunto Dmitriyev “grazie alla meravigliosa tecnologia sviluppata dal Gamaleya Institute”.   “Le capacità della Russia di produrre lo Sputnik V sono completamente focalizzate sul mercato russo, pertanto, l’Rdif e gli esperti russi stanno negoziando con diversi Paesi per lanciare la produzione del vaccino all’estero” ha detto Dmitriyev, secondo il quale c’è una grande domanda per il vaccino all’estero. Circa 30-40, ha detto il capo del Fondo russo per gli investimenti, i paesi che sarebbero interessati all’acquisto del vaccino. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Coronavirus-Lancet-il-vaccino-russo-produce-anticorpi-8f77abcb-d7c3-410c-8d7a-ba2d7e310984.html

INAIL: COME GESTIRE UN FOCOLAIO A SCUOLA

Da Inail

Il presente rapporto è destinato alle istituzioni scolastiche e dei servizi educativi dell’infanzia nonché ai Dipartimenti di Prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale e a tutti coloro che potrebbero essere coinvolti nella risposta a livello di salute pubblica ai possibili casi e focolai di Covid-19 in ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia.

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Fornire un supporto operativo per la gestione dei casi di bambini con segni/sintomi Covid-19 correlati e per la preparazione, il monitoraggio e la risposta a potenziali focolai da Covid-19 collegati all’ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia, adottando modalità basate su evidenze e/o buone pratiche di sanità pubblica, razionali, condivise e coerenti sul territorio nazionale, evitando così frammentazione e disomogeneità.
A questo documento saranno correlati elementi/iniziative di tipo informativo/comunicativo/formativo rivolti a vari target e strumenti di indagine volti a fronteggiare la mancanza di evidenze scientifiche e la relativa difficoltà di stimare il reale ruolo che possono avere le attività in presenza nelle scuole nella trasmissione di SARS-CoV-2.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

LA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE RIDUCE IL RISCHIO COVID 19

Da ilsole24ore

Proteggersi dall’influenza. Sembra essere questa la parola d’ordine per la sanità pubblica mentre circola il virus Sars-CoV-2. E non solo per ridurre il rischio di co-circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezione, oltre che sulla salute del singolo.

Indicazioni positive dagli studi

Le prime evidenze scientifiche, quantunque non definitive, sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi correlati alla malattia.

Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri -. Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».

In termini generali, tra le evidenze più significative occorre sicuramente citare quanto emerge da una ricerca condotta alla Mayo Clinic su oltre 137.000 persone sottoposte ad esami per sospetta infezione da Sars-CoV-2 e valutate anche sotto il profilo della prevenzione vaccinale generale.

Vaccini: vaccino influenzale

Si riduce il tasso di infezione

«Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate – segnala Remuzzi -. Ovviamente questi dati vanno confermati e soprattutto occorre comprendere i meccanismi immunologici che possono spiegare queste situazioni, ma si tratta di informazioni di grande interesse, considerando che, parlando di chi è si è vaccinato negli ultimi due anni rispetto ai non vaccinati, il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».

I vaccini, insomma, potrebbero avere un ruolo significativo nei rischi di ammalarsi di Covid-19 e anche sul percorso della malattia. In questo senso, proprio le informazioni sull’influenza appaiono estremamente interessanti. Partendo dalla stessa analisi, infatti, si vede che la riduzione percentuale del rischio d’infezione da Sars-CoV-2 in chi si è sottoposto a vaccinazione nell’ultimo anno è del 26% negli over-65 e si attesta al 15% considerando ogni età, per scendere rispettivamente al 19 e 8% in chi si è protetto durante gli ultimi due anni.

Migliore risposta al Covid-19

«Inoltre, essere vaccinati per l’influenza potrebbe favorire una miglior risposta a Covid-19: lo fa pensare uno studio condotto in Brasile su più di 92.000 persone con infezione confermata da Sars-CoV-2 – riprende Remuzzi -. Chi si era vaccinato recentemente aveva un rischio ridotto dell’8% di finire in terapie intensiva e del 18% di necessitare di trattamento di assistenza respiratoria invasiva, rispetto ai non vaccinati. Non si possono trarre conclusioni definitive, ma comunque questi dati sono di grande interesse». Tra le ipotesi che potrebbero spiegare la situazione c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su The Lancet che dimostra come i virus influenzali potrebbero facilitare l’ingresso di Sars-CoV-2 nell’apparato respiratorio, attraverso una maggior “espressione” dei recettori Ace-2, punto d’aggancio per le “spikes” (ovvero le punte d’attacco) di Sars-CoV-2. Ma siamo solo all’inizio dei processi di conoscenza. Il tempo dirà quanto e come gli “altri” vaccini ci aiuteranno contro Covid-19.

COVID 19 E TRASMISSIONE INFEZIONE IN AEREO

Da il corriere della sera

Una giovane sudcoreana si è infettata in aereo con il virus Sars-Cov-2 «molto probabilmente» dopo aver utilizzato lo stesso bagno di un altro passeggero positivo. A raccontarlo sono gli esperti del Soonchunhyang University College of Medicine di Seoul in un articolo pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, a cura dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti. La 28enne era tra i 299 sudcoreani evacuati da Milano Malpensa il 30 marzo scorso, nel bel mezzo della pandemia.

Coronavirus, così una donna è stata infettata nel bagno dell'aereo partito da Milano durante il lockdown

Un Boeing 747 di Korean Air a Seul (foto di Leonard Berberi / Corriere)

La mascherina

I risultati fanno sostenere come la ragazza — che racconta di aver sempre indossato la mascherina per tutta la durata del volo, tranne che durante i pasti e l’utilizzo dei servizi igienici — potrebbe essere stata infettata proprio nella toilette. A rafforzare la tesi dei ricercatori, che comunque mantengono un margine d’incertezza, è il fatto che la 28enne ha raccontato di essere rimasta chiusa in casa in Italia (da sola) nelle tre settimane precedenti il volo e di non aver utilizzato i mezzi di trasporto pubblici per raggiungere l’aeroporto.

Il volo

Gli studiosi hanno preso in esame il volo di rimpatrio organizzato dal governo sudcoreano operato con un Boeing 747. Una tratta — viene scritto nella ricerca — dove i funzionari dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie del Paese asiatico hanno «seguito le procedure rigide di controllo delle infezioni»: al loro arrivo al Terminal 2 di Malpensa i 310 passeggeri prenotati sono stati controllati e intervistati. Quindi è stata misurata la loro temperatura corporea prima dell’imbarco: 11 dei viaggiatori sono stati tenuti a terra perché presentavano i sintomi del coronavirus. Gli altri 299 — la maggior parte con mascherine filtranti N95 — sono stati fatti salire in aereo rispettando la distanza sociale di 2 metri al pre-imbarco. Dopo 11 ore di volo i viaggiatori sono stati sbarcati e mandati in una struttura governativa dove hanno trascorso la quarantena «separati gli uni dagli altri».

La quarantena

Durante le due settimane lo staff medico ha controllato i viaggiatori (età mediana 30 anni, il 44,1% di sesso maschile) due volte al giorno rilevando la temperatura corporea ed eventuali sintomi tipici del coronavirus. Tutti i passeggeri — spiega lo studio — «sono stati testati con la tecnica della reazione a catena della polimerasi inversa» il primo giorno della quarantena (2 aprile) e l’ultimo (15 aprile): già nel primo esame 6 di loro sono risultati positivi. Nel secondo, alla fine delle due settimane, aveva il Covid-19 soltanto la 28enne. La donna aveva usato lo stesso bagno di un viaggiatore (uno dei sei positivi al primo giorno della quarantena) asintomatico seduto tre file davanti ma con in mezzo i servizi igienici. Non avendo avuto contatti in Italia secondo gli esperti «è altamente probabile che l’infezione sia avvenuta in volo, in contatto indiretto con il soggetto».

L’analisi

«Questo studio rappresenterebbe la prima potenziale prova della possibilità che Sars-Cov-2 possa essere trasmesso in aereo». Gli autori aggiungono che «saranno necessari ulteriori studi per comprendere questo tipo di meccaniche epidemiologiche, ma in ogni caso consigliamo di mantenere sempre l’uso della mascherina in ambienti chiusi e una corretta igiene delle mani». In realtà i ricercatori non considerano altri fattori che potrebbero aver contribuito al contagio. Il soggetto asintomatico, per esempio, potrebbe aver toccato le superfici del sedile della 28enne durante la camminata per distendere le gambe: il contagio, insomma, potrebbe non essere avvenuto in bagno. E ancora: dal momento che altri 4 soggetti — tra i 6 positivi — sedevano alcune file dietro la giovane non si può escludere che sia stato uno di loro a rilasciare goccioline passeggiando in corridoio.

Pericolo basso

Il rischio di contagio per via aerea resta bassissimo in volo, come già scritto più volte dal Corriere (leggi qui). In una ricerca del Massachusetts Institute of Technology il professore di statistica Arnold Barnett ha calcolato che la probabilità di contrarre il coronavirus a bordo è una su 4.300, cioè 0,023%. A ridurre il pericolo è in particolare l’aria — dall’alto verso il basso, ricambiata ogni 2-3 minuti e purificata con filtri Hepa che catturano il 99,97% delle particelle in circolazione —. Mantenendo poi il posto centrale vuoto in una fila di tre poltrone il rischio scende a una probabilità su 7.700, lo 0,013%, nei voli di durata breve e media e a patto che tutti indossino la mascherina.

lberberi@corriere.it