RISCHIO BIOLOGICO

IDROSSICLOROCHINA E COVID: LE ULTIME SCOPERTE

Da il giornale

L’idrossiclorochina è un farmaco antimalarico salito alla ribalta dopo che il presidente americano Donald Trump aveva dichiarato in una conferenza stampa di prenderlo da due settimane a scopo profilattico contro il coronavirus. L’annuncio del tycoon creò un terremoto imponente, tra chi credeva alle parole dell’inquilino della Casa Bianca e chi lo criticava, accusandolo di proporre soluzioni pericolosissime per la salute dei cittadini. La rivista Lancet, prendendo come riferimento uno studio condotto su 96mila ammalati positivi al Sars-CoV-2, scrisse che il farmaco usato da Trump causerbbe un aumento del rischio di sviluppare malattie cardiache e morte improvvisa.

L’ultima scoperta

A distanza di qualche mese un report ha rimesso tutto in discussione. Uno studio osservazionale multicentrico coordinato dall’I.R.C.C.S. Neuromed, con la partecipazione di 33 centri ospedalieri italiani, ha mostrato come l’utilizzo dell’idrossiclorochina riduca del 30% il rischio di morte nei pazienti ospedalizzati per infezione da coronavirus.

Scendendo nel dettaglio, lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine, ed è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università di Pisa. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 3.451 pazienti ricoverati per COVID-19. Nella ricerca sono stati presi in esame vari parametri, tra cui le patologie pregresse, le terapie che seguivano prima di essere colpiti dall’infezione e le terapie intraprese in ospedale specificamente per il trattamento del COVID-19.

Tutte queste informazioni sono state confrontate con l’evoluzione e l’esito finale dell’infezione. Ebbene, è emerso che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto tale trattamento (a parità delle condizioni valutate). “Abbiamo potuto osservare – ha spiegato Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli – che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto questo trattamento”.

Come usare l’idrossiclorochina

L’idrossiclorochina non è certo il Santo Graal capace di sconfiggere una volta per tutte il nuovo coronavirus. Tuttavia il suo utilizzo, a dispetto di quanto alcuni sostenevano in un primo momento, ha mostrato segnali positivi. In particolare l’uso del farmaco si è rivelato particolarmente efficace in quei pazienti che, ricoverati, mostravano uno stato infiammatorio più evidente della norma.

Certo, saranno svolti altri studi e trial clinici per capire con esattezza il ruolo dell’idrossiclorochina e le sue modalità di somministrazione più adeguate. Intanto, però, la ricerca ha aggiunto un ulteriore tassello nella battaglia contro il virus. E in attesa di un vaccino non è roba da poco. Bisogna ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato uno stop all’uso dell’idrossiclorochina, facendo affidamento a uno studio osservazionale poi ritirato dagli autori della stessa ricerca. I nuovi dati suggeriscono un approccio differente.

Idrossiclorochina

Solitamente il farmaco antimalarico viene usato per curare l’artrite rematoide e il lupus erimateoso sistemico. In un futuro non troppo lontano potrebbe rappresentare anche un valido alleato nella sfida al Covid. “In attesa di un vaccino, identificare terapie efficaci contro il COVID-19 rappresenta una priorità assoluta – ha dichiarato Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – e siamo convinti che questa ricerca darà un contributo importante al dibattito internazionale sul ruolo dell’idrossiclorochina nella terapia dei pazienti ospedalizzati per coronavirus”.

COME DISTINGUERE UNA ANOSMIA DA COVID

Da il corriere della sera

La perdita dell’olfatto che può accompagnare il coronavirus è unica e diversa da quella vissuta da qualcuno con un «brutto» raffreddore

Caratteristiche peculiari

Lo dimostra una ricerca effettuata su 30 volontari da Carl Philpott dell’Università dell’East Anglia in Gran Bretagna. Le persone prese in esame erano così divise: 10 con Covid-19, 10 con un «brutto» raffreddore e 10 sane senza sintomi di raffreddore o influenza. La perdita dell’olfatto era molto più profonda nelle persone con Covid-19, cioè erano meno in grado di identificare gli odori. Di solito – è stato stimato – è una perdita improvvisa e grave e non si accompagna a naso chiuso o naso che colala maggior parte delle persone colpite da coronavirus può ancora respirare liberamente. «Sembra che ci siano davvero caratteristiche specifiche che distinguono il coronavirus dagli altri virus respiratori. Questo è molto importante perché significa che i test dell’olfatto e del gusto potrebbero essere utilizzati per separare pazienti con Covid-19 e persone con un raffreddore o influenza normali», scrivono gli autori dello studio.

Fare test a casa

Un altro segno caratteristico del Covid sembra essere, insieme alla perdita dell’olfatto, quella del gusto: anche in questo caso le differenze tra la «normale» perdita di gusto dovuta a congestione nasale e il sintomo del coronavirus paiono essere abbastanza marcate: in particolare, i pazienti affetti da coronavirus con perdita del gusto non sono davvero in grado di distinguere tra amaro o dolceGli esperti sospettano che questo sia dovuto al fatto che il virus pandemico colpisce le cellule nervose direttamente coinvolte con l’olfatto e la sensazione del gusto. Gli autori della ricerca esortano chiunque abbia questi sintomi ad auto isolarsi e sottoporsi a un tampone. Anche i membri della famiglia dovrebbero isolarsi per prevenire una possibile diffusione. «Chi sospetta un contagio potrebbe anche – continuano gli scienziati – fare da solo test dell’olfatto e del gusto a casa usando prodotti come caffè, aglio, arance o limoni e zucchero»

I sensi dell’olfatto e del gusto ritornano normali entro poche settimane nella maggior parte delle persone che si riprendono dal coronavirus.

Il sintomo in più della metà dei positivi

I principali sintomi del coronavirus sono: febbre sopra i 37,5 gradi, tosse secca continua e affaticamento. Raffreddore, o meglio, congestione nasale classica non è comune nel Covid-19, come invece paiono la perdita di gusto e olfatto. Uno studio pubblicato su Nature, che haanalizzato i disturbi riportati dai pazienti nel Regno Unito, ha calcolato che 6 positivi su 10 hanno sofferto di perdita dell’olfatto, in alcuni casi associata ad alterazione del gusto (disgeusia); ma sono stati descritti casi di anosmia anche come unico segnale di positività al coronavirus. Un altro studio, italiano, condotto «sul campo» dall’Università Statale di Milano e coordinato da Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, ci dice che in realtà questi disturbi possono rappresentare campanelli di allarme dell’infezione in arrivo, perché molto spesso vengono riportati già nella fase precoce della malattia e colpiscono soprattutto giovani e donne. E il problema è tutt’altro che raro: colpirebbe un paziente su tre.

INAIL: FOCUS SULL’ USO DI OZONO

Il presente documento ha la finalità di fornire le evidenze tecnico – scientifiche ad oggi disponibili sull’ozono nel contesto epidemico COVID-19

Focus on: utilizzo professionale dell’ozono anche in riferimento a COVID-19

A tale scopo riporta lo stato dell’arte con particolare riferimento a: status regolatorio, valutazioni disponibili a livello nazionale e internazionale, informazioni sui pericoli e rischi connessi all’uso dell’ozono, informazioni sulla tossicità e l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente, efficacia della sostanza come virucida, sicurezza d’uso e precauzioni da adottare nella generazione in situ di ozono nel campo della prevenzione e controllo del SARS-CoV-2. Tratta inoltre le diverse applicazioni dell’ozono, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque. Il documento, sulla base delle evidenze scientifiche, esamina inoltre l’efficacia terapeutica dell’ozonoterapia valutandone la sicurezza d’uso, le criticità e gli sviluppi in divenire. L’elaborato non prende in esame l’esposizione all’ozono quale prodotto involontario da irraggiamento UV dell’atmosfera né di sistemi per la purificazione dell’aria. Il documento inoltre non prende in esame altre sostanze generate in situ ad azione disinfettante o comunque sanitizzanti o altri processi in uso nel contesto epidemico COVID-19 e pertanto non consente una esaustiva valutazione del rapporto costo/beneficio rispetto agli altri sistemi disponibili.

Prodotto: Volume
Edizioni: Iss – Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

INAIL: PULIZIA E SANIFICAZIONI NELLE SCUOLE

Prodotto editoriale realizzato a supporto dei Datori di Lavoro delle scuole di ogni genere e grado al fine di poter organizzare e gestire la salubrità dei locali scolastici attraverso una adeguata e consapevole organizzazione della pulizia, disinfezione e sanificazione in tempi di normale gestione e di pandemia.

immagine 	Gestione delle operazioni di pulizia, disinfezione e sanificazione nelle strutture scolastiche

La pubblicazione è costituita da una parte generale in cui si riprendono obblighi legislative o indicazioni di norme o linee guida sull’argomento con particolare riferimento alle definizioni di pulizia, disinfezione e sanificazione, ma anche sui dispositivi medici e dispositivi di protezioni individuale, su informazione e formazione, su detersivi, detergenti e disinfettanti e attrezzature per la pulizia e da una parte più specifica in cui si entra nel dettaglio delle sostanze e attrezzature/materiali da utilizzare e una frequenza indicativa delle operazioni che ogni Datore di Lavoro dovrà adattare alla propria organizzazione e realtà scolastica. La parte specifica è poi meglio esplicitata nelle allegate schede distinte per ambiente scolastico (aule, servizi igienici, uffici, palestre e spogliatoi, aree esterne, eccetera).

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

MEDICO COMPETENTE E CLASSI RIDOTTE:LE REGOLE PER TORNARE A SCUOLA

Da il sole 24ore

Un numero verde attivo dal 24 agosto. Tavoli nazionali e territoriali per monitorare la situazione scuola per scuola. Un medico competente per ogni istituto e accordi con gli psicologi per il sostegno a docenti e studenti. Sono alcuni delle soluzioni messe nero su bianco dalla ministra Lucia Azzolina per consentire il rientro in classe a settembre di oltre 8 milioni di alunni. Tra le novità delle ultime ore l’impegno di ridurre le classi pollaio e ad assicurare la continuità didattica sui posti di sostegno. In calce al testo anche la firma dei sindacati che hanno apprezzato gli ultimi impegni della titolare dell’Istruzione su risorse e personale.

Il documento di 12 pagine sottoscritto dalla ministra e dai sindacati indica le principali regole da seguire per la riapertura. Tra le novità dell’ultim’ora spiccano due promesse aggiunte nella parte finale dell’intesa, quella più politica: l’impegno a lavorare per reperire ulteriori risorse con «investimenti che consentano di intervenire sul fenomeno del
sovraffollamento delle classi e a una revisione ragionata dei parametri del Dpr 81/2009», la volontà di «garantire anche in sede di reclutamento, la necessaria continuità didattica, con particolare attenzione all’insegnamento di sostegno».

Per il resto il documento ricalca le anticipazioni dei giorni scorsi. A cominciare dalla presenza, a partire dal 24 agosto, di un help desk per le scuole (al numero verde 800903080) attivo dal lunedì al sabato, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00. Confermati poi il tavolo nazionale di monitoraggio tra ministero e sindacati e quelli attivati presso ogni Ufficio scolastico territoriale.

Decisiva per evitare l’esplosione di tanti piccoli cluster sarà, a livello centrale, la collaborazione con il ministero della Salute e, in ambito periferico, tra le scuole e i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Prima dell’inizio dell’anno scolastico quando bisognerà organizzare i test sierologici su 2 milioni di prof e personale scolastico (da svolgersi su base volontaria, a titolo gratuito e presso strutture mediche di base) e soprattutto dopo quando bisognerà individuare eventuali casi di positività al Covid-19 e tracciare tutti i contatti. Ma su questo si aspetta un’ordinanza ad hoc del ministro della Salute, Roberto Speranza.

Sempre nell’ottica di prevenire eventuali focolai il documento pone l’accento sulla centralità del medico competente. Ce ne potrà essere uno in ogni scuola o in una rete di scuole. Per dare supporto psicologico a docenti e studenti in arrivo c’è poi un accordo tra il ministero dell’Istruzione e il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi per rafforzare gli sportelli di ascolto negli istituti oppure attivare forme di aiuto in presenza o a distanza.

Ricalcando quanto già previsto dalle linee guida emanate il mese scorso il protocollo si sofferma sulla riorganizzazione degli spazi interni alle scuole. Con ingressi e uscite differenziate (e se possibili scaglionate), obbligo di rispettare il distanziamento di un metro sia nelle classi che nei corridoi, nelle mense e nelle sale professori e pulizia accurata delle classi e dei bagni (dove le finestre andranno mantenute aperte il più possibile per assicurare la ventilazione).

Nessuna novità per ora sul fronte mascherine. Il testo ribadisce l’obbligatorietà per il personale scolastico e per gli accompagnatori degli alunni (massimo uno per volta). Per gli studenti dai 6 anni in su (al di sotto non va portata) l’ultima parola spetta al Comitato tecnico-scientifico (Cts) del ministero della Salute che è chiamato a pronunciarsi nell’ultima settimana di agosto. Alla vigilia della riapertura.

In un posto sul suo profilo Facebook la ministra Azzolina giudica l’intesa «un accordo importante che contiene le misure da adottare per garantire la tutela della salute di studentesse, studenti e personale, ma anche impegni che guardano al futuro e al miglioramento della scuola come il contrasto delle classi cosiddette “pollaio”, una battaglia che porto avanti da tempo e che rappresenta per me una priorità». Definendo «particolarmente importante» l’help desk per le scuole: «È la dimostrazione – dice – che non vogliamo lasciarle sole. Che saremo al loro fianco in ogni momento supportandole in caso di difficoltà, così come abbiamo già fatto durante gli esami di Stato».

.”

PROTOCOLLO DI SICUREZZA (clicca qui)

COVID GEO 19SOFTWARE E KIT DIAGNOSTICO

Monitoraggio anti Covid per aziende con software e kit diagnostico ...

Covid geo è un sistema che associa la tecnologia digitale alle tecniche di diagnosi rapida multiscreening sul Covid19. Il sistema è ovviamente interessante anche se per certi versi, a mio parere, non di facile gestione per quanto riguarda le leggi di privacy e  la compliance dei lavoratori . Tuttavia è una sicura arma da poter valutare in specifiche realtà lavorative o in caso di grave pandemia .

Riportiamo l’articolo tratto da 01health.it

Il monitoraggio è la soluzione ideale per gestire la nuova normalità a cui ci stiamo lentamente abituando, e in quest’ottica nasce Covid Geo, un sistema costituito dalla combinazione di un software e di un kit diagnostico che consentono di monitorare efficacemente intere aziende e comunità basandosi su una pianificazione di test pungidito ripetuta nel tempo e tenuta sotto controllo da un software che consente di monitorare le condizioni di salute dei singoli soggetti, anche tramite dispositivi elettronici portatili.

Technogenetics ha messo a punto una soluzione per il monitoraggio di realtà produttive, educative, sociali, per prevenire il contagio da Covid-19 permettendo un ritorno al lavoro ed alle attività quotidiane sicuro ed efficiente per i propri dipendenti ed appartenenti alla comunità.

Covid Geo è stato ideato da un raggruppamento di aziende fortemente innovative (di cui Technogenetics è la promotrice) ed è validata da un Comitato Tecnico Scientifico composto da illustri personalità in ambito scientifico (ne fanno parte, ad esempio, Maria Chiara Carrozza, Luigi Nicolais e altri studiosi e scienziati).

Covid Geo si basa su tre step. Prima di tutto screening e diagnosi: il test sierologico pungidito per il personale. Sicuro e non invasivo, fornisce un’indicazione in tempi rapidi (8-15min). Il test verrà ripetuto nel tempo (ogni 2/10 giorni) seguendo una programmazione che permette di individuare focolai sul nascere.

In secondo luogo il monitoraggio: grazie ad una web app facile da usare l’azienda è in grado di monitorare il test plan dei propri lavoratori avendo sempre sotto controllo la situazione. La registrazione e il controllo continuo tramite report dello stato di salute e le dichiarazioni sono sempre conformi alle policy GDPR in materia di trattamento dei dati personali dei dipendenti.

E infine, la geo-sorveglianza: i dipendenti vengono forniti di dispositivi (braccialetti) che consentono di monitorare i parametri biologici (temperatura, battiti, saturazione dell’ossigeno) e avvertono il lavoratore in caso di pericolo (rilevatore di prossimità).

Per il back to work sicuro ed efficiente è essenziale affidarsi a test sicuri e certificati. I test sierologici rapidi, così come i test con prelievo venoso, sono riconosciuti dalla Food & Drug Administration come validi per l’individuazione degli anticorpi di Covid-19; la soluzione di Technogenetics ha ottenuto inoltre la marcatura CE, necessaria per la commercializzazione ed una forte convalida da studi clinici ripetuti in Italia e Svizzera.

 

INFORTUNIO O MALATTIA COVID 19 : INAIL E ASSICURAZIONI DUE MONDI DIVERSI

Da ilsole24ore

Alcune categorie di operatori sanitari – i medici di medicina generale e i farmacisti su tutti – contestano il fatto di non godere di adeguate tutele risarcitorie nel caso abbiano contratto il Covid-19 in occasione della loro attività professionale. Lamentano, in particolare, di esser discriminati rispetto ad altri professionisti della sanità che, esposti a un rischio di contagio sostanzialmente analogo, operano con regolare contratto all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata e beneficiano, proprio per questo, degli indennizzi previsti dall’Inail in caso di morte o di invalidità permanente.

Cosa prevedono le polizze sanitarie

Il reclamo sembra poi estendersi fino a riguardare l’operatività delle polizze private infortuni che ciascun professionista ha personalmente stipulato: polizze che, in linea di principio, non coprono – almeno secondo gli assicuratori – il rischio Covid. Il problema nasce dal fatto che durante l’emergenza il legislatore è intervenuto ponendo espressamente a carico dell’Inail la tutela dei lavoratori colpiti dall’infezione da coronavirus in occasione di lavoro. La norma in questione è l’articolo 42 del decreto 18/2020 (convertito nella legge 27/2020) che tratta il coronavirus come un vero e proprio infortunio e non invece come malattia. In seguito a tale disposizione, si è posto l’interrogativo su se l’equiparazione normativa del Covid-19 a un infortunio costituisca una regola generale – applicabile anche al campo delle polizze private – oppure esprima un principio speciale, proprio della normativa emergenziale e valido soltanto in ambito Inail. Il dubbio, che ha ricadute operative molto rilevanti, ha alimentato un acceso dibattito. Alcuni punti fermi meritano di essere ricordate:

Cinque cose da sapere su infortuni e malattie

1. in campo assicurativo si definiscono infortuni gli «eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna che provocano lesioni corporali oggettivamente constatabili». Il che evoca, intuitivamente, l’idea di danni alla salute di carattere traumatico, a seguito di episodi violenti, provocati da forze esterne e ad immediata o rapida consumazione temporale;

2. diversa è invece la definizione di malattia, che si caratterizza per esser conseguenza di determinate cause patogene interne, ad azione spesso lenta e comunque progressiva;

3. l’idea di equiparare un’infezione come il Covid-19 all’infortunio non costituisce una novità in ambito Inail. Come indicato dallo stesso istituto in alcune sue circolari, la scelta di «stressare» il concetto di infortunio sino a estenderlo a fenomeni di contagio da virus, risponde a scelte di sostegno sociale e ad esigenze di maggior protezione del lavoratore, specie al cospetto di taluni vuoti di tutela di cui anche la Consulta, già negli anni Ottanta, si era occupata. Ed è in quest’ottica che il coronavirus è stato fatto rientrare apertamente tra gli infortuni indennizzabili dall’Inail.

4. non altrettanto può dirsi per le polizze private infortuni. Al contrario, il perimetro di copertura di quelle polizze – rimesso alla libera determinazione di ciascun assicuratore, in assenza di obblighi di legge – è da sempre stato circoscritto a ciò che nel linguaggio comune si intende per infortunio, inteso come evento traumatico e non certo come malattia infettiva. Se si considera che anche l’influenza o il morbillo sono un’infezione, non vi è dubbio che le assicurazioni private le abbiano trattate come malattie (infettive) e non certo come infortuni. Sembrano qui mancare, peraltro, quei requisiti di «violenza» ed esternalità, trattandosi di fenomeni la cui propagazione sintomatica dipende anche dalla reazione immunitaria individuale;

5. la copertura delle malattie infettive è del resto propria delle polizze malattia, mentre nelle polizze infortuni le infezioni sono talvolta oggetto di garanzia solo in ipotesi particolari, di solito quando si tratta di infezioni contratte a seguito di veri e propri infortuni. Il Covid-19 non sembra, dunque, tipicamente riconducibile entro il normale ambito di copertura dell’assicurazione infortuni.

Questo il quadro della situazione e queste le ragioni per cui i lavoratori colpiti dal Covid-19 possono essere indennizzati dall’Inail a titolo di infortunio, mentre i medici di medicina generale e gli altri operatori della sanità non coperti dall’Inail che abbiano stipulato polizze private infortuni si sentono oggi normalmente rifiutare le loro richieste di risarcimento per il medesimo titolo. Non è del resto semplice ipotizzare che una polizza privata, stipulata e quotata per un rischio diverso dalle malattie infettive, possa oggi esser forzata per ricomprendere il Covid.

Le regole da applicare

Il ruolo di sostegno socio economico riconosciuto al comparto assicurativo privato sarà certamente enfatizzato nei prossimi mesi, durante i quali potrà esser presa in considerazione l’idea di ampliare l’ambito di protezione delle polizze della salute in caso di Covid. Ma ciò non potrebbe che valere per il futuro, dal momento che per tutti i contratti privati già in essere dovranno essere applicate le regole di copertura stabilite al momento della stipula, indipendentemente da quanto il legislatore possa aver stabilito per il ben diverso contesto Inail.

QUANDO I DPI ERANO A FORMA DI BECCO

Da National Geografic

Durante la peste europea del XVII secolo, i medici indossavano maschere con il becco, guanti in pelle e lunghi cappotti, nel tentativo di respingere la malattia. Il loro look iconico e minaccioso, così come ritratto in questa incisione del 1656 di un medico Romano, è riconoscibile ancora oggi.
FOTOGRAFIA DI ARTEFACT, ALAMY

Un tempo la peste era una delle malattie più temute al mondo. Una malattia in grado di spazzare via centinaia di milioni di persone in una pandemia globale apparentemente inarrestabile che affliggeva le sue vittime con dolorosi linfonodi ingrossati, pelle annerita, e altri macabri sintomi.

Nell’Europa del XVII secolo i medici che si prendevano cura delle vittime indossavano un abito che da allora ha assunto connotazioni sinistre: si vestivano dalla testa ai piedi e indossavano una maschera con un lungo becco d’uccello. La ragione dietro a queste maschere anti-peste a becco era dovuta all’errata convinzione sulla reale natura della malattia.

Durante quel periodo di focolai di peste bubbonica – una pandemia che si ripresentò in Europa per diversi secoli – le città agguantate dalla malattia assumevano medici per la peste che praticavano a residenti ricchi e poveri quella che loro facevano passare per “medicina”. Questi esperti di scienza prescrivevano quelle che erano ritenute invenzioni protettive e antidoti alla peste, erano testimoni dei desideri dei malati e svolgevano le autopsie sui cadaveri – e alcuni facevano tutto questo indossando delle maschere con il becco.

A Charles de Lorme, un medico della peste che curò i reali del XVII secolo, viene ...
A Charles de Lorme, un medico della peste che curò i reali del XVII secolo, viene spesso attribuita questa uniforme.
FOTOGRAFIA DI THE PICTURE ART COLLECTION, ALAMY

Questo “costume” è solitamente attribuito a Charles de Lorme, un medico che riuscì a curare molti reali europei durante il XVII secolo, inclusi re Luigi XIII e Gastone di Francia, figlio di Maria de’ Medici. Lui descrisse un abbigliamento composto da un cappotto ricoperto di cera profumata, calzoni alla zuava legati agli stivali, una camicia infilata nei pantaloni, e cappello e guanti in pelle di capra. I medici della peste portavano anche una verga che permetteva loro di colpire (o allontanare) gli appestati.

L’abbigliamento del capo era particolarmente insolito: i medici della peste dovevano infatti indossare occhiali, spiegava de Lorme, e una maschera con un naso “lungo una ventina di centimetri, a forma di becco, pieno di profumo e con due soli buchi – uno per lato accanto alla rispettiva narice – ma che era sufficiente a respirare, e che portava insieme all’aria l’effluvio delle erbe contenute lungo il becco”.

Anche se i medici della peste in tutta Europa indossavano questo abbigliamento, il look era così iconico in Italia che “il medico della peste” divenne un simbolo della commedia dell’arte italiana e delle celebrazioni del carnevale – tanto è vero che è un costume popolare ancora oggi

PROGETTO HEAT SHIELD CALDO E MASCHERINE

Da Insalute.it

Come integrare l’uso di dispositivi di protezione individuale e la gestione degli effetti negativi del caldo sull’uomo, questo il tema dello studio coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Cnr di Firenze e pubblicato su “Science of the Total Environment”. Una efficace misura di contenimento dello stress da caldo è un sistema di allerta personalizzato integrato con consigli comportamentali,basato su caratteristiche ambientali, fisiche, attività svolta, vestiario e dispositivi di protezione indossati. Alla realizzazione di un primo strumento ha partecipato anche il Cnr-Ibe nell’ambito del progetto Heat-Shield e ulteriori implementazioni sono previste nel progetto nazionale Worklimate

 

Roma, 9 luglio 2020 – Uno studio, coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibe) e pubblicato recentemente come “Discussion” sulla rivista Science of the Total Environment, ha analizzato l’interazione tra alcune misure per contrastare la diffusione del Covid-19 e la gestione dello stress da caldo.

“La popolazione per contrastare la diffusione del virus deve usare mascherine e guanti in plastica o lattice, soprattutto se impegnata in particolari attività lavorative dove non è possibile garantire il distanziamento sociale – dichiara Marco Morabito del Cnr-Ibe – Questi dispositivi non sono nati per un utilizzo massivo e prolungato all’aperto in particolare all’esposizione dei raggi solari e non sono testati dal punto di vista microclimatico e del potenziale impatto sulla percezione del disagio termico”.

In questo lavoro sono discusse le varie complicanze dal punto di vista microclimatico legate all’uso di questi dispositivi in condizioni di caldo. Per contrastare la diffusione del Covid-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle ultime linee guida raccomanda l’uso delle mascherine tra la popolazione e recenti ricerche scientifiche dimostrano che il loro utilizzo in pubblico rappresenta la misura più efficace per contrastare la trasmissione del virus Sars-Cov-2, è necessario quindi individuare misure e strumenti per riuscire a convivere con tali dispositivi dovendo contemporaneamente gestire l’emergenza caldo.

Il sistema di allerta da caldo personalizzato per i lavoratori, è uno strumento già disponibile online sulla piattaforma del progetto Heat-Shield, che permette,sulla base delle caratteristiche fisiche, del tipo di attività, del vestiario indossato e dell’ambiente di esposizione, di prevedere un rischio da caldo ‘individuale’, integrato con suggerimenti per contrastare la situazione, come idratazione e pause di lavoro. Si tratta di informazioni utili per salvaguardare la salute dei lavoratori e assicurare la produttività di diverse aree professionali”, spiega Morabito.

Una versione più avanzata del dispositivo sarà realizzata nell’ambito di Worklimate, un progetto italiano iniziato il 15 giugno, coordinato dal Cnr e finanziato da Inail, in cui, attraverso l’analisi di casi studio in vari ambiti occupazionali, di questionari somministrati a lavoratori e attività epidemiologiche, sarà migliorato il sistema di allerta da caldo personalizzato, sia con una migliore risoluzione spaziale e temporale sia tenendo in considerazione l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e di misure igieniche come le cosiddette “mascherine di comunità”, ovvero quelle monouso o lavabili, realizzate con materiali idonei a fornire un’adeguata barriera per naso e bocca.

MICOTOSSINE IN AMBITO AGRO-ZOOTECNICO

Da Inail.it

Contaminazione da micotossine in ambito agro-zootecnico

L’opuscolo è il prodotto finale di una manifestazione d’interesse voluta da Inail, Direzione regionale Campania, e il Dipartimento di medicina veterinaria e produzioni animali dell’Università di Napoli, Federico II.

Immagine Contaminazione da micotossine in ambito agro-zootecnico

I micromiceti e le micotossine (metaboliti fungini tossici), sono contaminanti naturali rinvenibili frequentemente nei prodotti dell’agricoltura. Essi possono costituire un’importante causa o concausa determinante l’insorgenza o la progressione di patologie respiratorie (sindrome da polveri organiche tossiche, effetti irritativi, tosse, asma, bronchiti croniche, neoplasie). I soggetti maggiormente esposti sono tutti i lavoratori che a vario titolo maneggiano i prodotti di origine agricola anche provenienti, attraverso mezzi di trasporto, da vari paesi del mondo.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it