RISCHIO BIOLOGICO

SPRAY NASALE CONTRO IL COVID

Sono allo studio spray barriera contro il Covid 19. Anche ilsole24ore ha riportato la notizia in prima pagina nell edizione on line.

Di cosa si tratta? Di molecole neutre o naturali per la mucosa del naso ma che diventano una barriera ulteriore ed efficace al virus.

Riportiamo qui l’abstract da

Biorxiv.org

I patogeni aerodispersi presentano rischi elevati in termini di contagio e di trasmissione all’interno delle vie respiratorie, in particolare nella nucosa nasale. Sebbene la conoscenza della trasmissione per via aerea sia nota da tempo, poco si é fatto in termini di intervento adeguato in grado di proteggere l’individuo, o addirittura prevenire un’ulteriore diffusione. Questo studio si concentra su un preparato  nasale con la capacità di combattere tali problemi, in particolar modo  sul virus SARS-CoV-2. È stato preparato un prodotto in  formulazione spray contenente polisaccaridi noti per le loro proprietà mucoadesive e caratterizzato per i loro modelli meccanici, spray e proprietà antivirali. È stata dimostrata la capacità di barriera di due polimeri: gellano e λcarragenina. Inoltre, i sistemi spray hanno dimostrato capacità antivirali molto potenti, con conseguente inibizione completa del virus sia per la profilassi che per la prevenzione della diffusione. Infine, è stato proposto un meccanismo per spiegare e dimostrare il primo dispositivo completamente preventivo, mirato a proteggere il rivestimento delle vie respiratorie superiori.

Si tratta ovviamente di uno studio seppur promettente.

Cosa può accadere quindi in caso di entrata del virus? Questa “patina” riesce a inglobare le particelle, per poi farle eliminare soffiandosi il naso, oltre a catturare l’invisibile nemico che quindi può essere assorbito meno nel corpo, con conseguente limitazione della carica virale.

Al momento, come detto, siamo ancora in fase sperimentale. Ma il grande vantaggio di una soluzione di questo tipo, che potrebbe diventare una sorta di “supporto” tascabile per il controllo della diffusione dell’infezione, consiste nella possibilità di aumentare la protezione quando si rimane a lungo in ambienti chiusi, come ad esempio nelle aule scolastiche o nei lunghi viaggi in aereo.

Sempre in questa direzione un prodotto frutto di uno studio italiano che utilizza prodotti naturali ma segue lo stesso meccanismo barriera.  Riportiamo quanto pubblicato su brescia oggi in merito al prodotto.

.. Un aiuto può arrivare anche da uno dei polifenoli dell’olio d’oliva del Garda e dalle ciclodestrine, forse è bene prenderlo in considerazione. Alle molecole naturali come aiuto nel contrasto alla diffusione di agenti virali, il genetista bresciano Matteo Bertelli stava già lavorando da tempo insieme con la sua equipe nel laboratorio di ricerca a San Felice del Benaco, seppur all’interno di uno studio sulle malattie genetiche rare. I LABORATORI di Ebtna-Lab si erano focalizzati sull’endocitosi virale mediata da zattere lipidiche nell’ambito di una malattia rara legata al colesterolo. Nel frattempo, studi della comunità scientifica avevano evidenziato che il Coronavirus entra nelle nostre cellule attraverso il famoso recettore Ace2 localizzato proprio nelle zattere lipidiche. «Per questo ho deciso di trovare, tra le molecole naturali, quelle che potessero impedire l’ingresso del virus agendo sul meccanismo dell’endocitosi lipid-raft mediata», spiega il genetista bresciano. E ci è riuscito.

È nato così Endovir Stop, un integratore alimentare spray a base di ciclodestrine e polifenoli in grado di ridurre il rischio di contrarre infezioni delle alte vie respiratorie di tipo virale, compreso il Sars-Cov-2. «Endovir Stop non è la soluzione definitiva al Coronavirus – tiene a precisare il dottor Bertelli – ma tutti questi aiuti, insieme, possono fermarne efficacemente la diffusione». Bertelli non è il primo a studiare le molecole naturali a contrasto del Coronavirus: il primo gruppo di studio in Italia è stato quello dell’Università Tor Vergata e della Sapienza di Roma conElena Campione sulla lattoferrina, poi il gruppo spagnolo di Saragozza ha dimostrato come la quercetina possa prevenire l’infezione virale. «Lo studio delle molecole naturali dovrebbe essere ripreso dalla comunità scientifica perché può aiutare nella prevenzione di molte malattie», aggiunge Bertelli. La formulazione «è seguita da sperimentazioni coordinate dai professori Giampietro Farronato e Gianluca Martino Tartaglia della Statale di Milano, ed eseguite dal professor Mahmut Çerkez Ergoren alla Near East University di Nicosia – specifica Bertelli -. Nei giorni scorsi siamo stati premiati dalla Società europea di biotecnologie come miglior prodotto anti Covid-19. Noi siamo pronti, speriamo di poter commercializzare Endovir Stop già entro la fine di questo mese».

TAMPONI NEGLI STUDI MEDICI :LE LINEE GUIDA ISS

 

Da Dottnet.it

Esporre un avviso all’ingresso dello studio con chiare istruzioni sulle modalità di accesso, stabilendo rigorosi percorsi di entrata, di attesa e di uscita e specificando giorni e orari in cui si prevede l’esecuzione del test antigenico rapido. Esclusivamente previo appuntamento; in un locale dedicato, con una buona aereazione e che non sia di passaggio; preferibilmente al termine dell’attività ordinaria, per evitare il contatto tra soggetti con possibile infezione da SarsCov2 e chi accede allo studio per altri motivi; sanificare le superfici tra un prelievo e l’altro; evitare ogni forma di assembramento dei pazienti.  Sono queste alcune delle principali raccomandazioni contenute nella Nota tecnica “Esecuzione dei test diagnostici negli studi dei Pediatri di Libera Scelta e dei Medici di Medicina Generale” (clicca qui per scaricare il documento), realizzata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) in collaborazione con il Ministero della salute, la Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici) e l’Inail, online da oggi sul sito dell’Iss.

Abbiamo voluto contribuire fattivamente alla sicurezza degli operatori sanitari e dei cittadini con un documento agile e operativo che possa rispondere ai dubbi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta chiamati a contribuire fattivamente in questo momento di grande richiesta di test diagnostici”, dichiara Paolo D’Ancona, ricercatore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss. “Siamo da tempo all’interno dei Gruppi di Lavoro con l’Istituto Superiore di Sanità. Una collaborazione fattiva, che in questo 2020, funestato dalla pandemia di Covid si è fatta sempre più intensa e proficua, con incontri a cadenza settimanale – spiega il Segretario della Fnomceo, Roberto Monaco -. Questo Documento è l’occasione per apportare il nostro contributo professionale. Ad esso si affiancheranno due video-tutorial sulle modalità per effettuare i tamponi, negli adulti e nei bambini”. Il documento include diversi temi, dalle misure generali di prevenzione e controllo dell’infezione – dall’igiene delle mani alla pulizia e disinfezione degli strumenti e degli ambienti, passando per la gestione dei rifiuti e l’organizzazione delle modalità di accesso allo studio medico – alla spiegazione delle procedure per l’esecuzione dei test rapidi antigenici che, analogamente a quelli molecolari, valutano direttamente la presenza del virus nel campione clinico.

A differenza dei test molecolari, però, i test antigenici rilevano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico (RNA), ma tramite le sue proteine (antigeni). Il risultato dei test rapidi antigenici può essere direttamente visibile a occhio nudo o letto mediante uno strumento analizzatore compatto e trasportabile. Proprio per tali caratteristiche questo tipo di test può essere eseguito in uno studio medico o in aree dedicate senza la necessità di essere effettuato in un laboratorio.  Il tampone deve essere processato nel più breve tempo possibile, generalmente entro un’ora dal prelievo. Il risultato si ottiene in 15-30 minuti. Il test può risultare negativo se la concentrazione degli antigeni è inferiore al limite di rilevamento del test come ad esempio nella fase tardiva dell’infezione o risultare falsamente positivo per problemi di specificità, e per tale motivo, il test antigenico rapido positivo può necessitare di conferma mediante test molecolare.

Negli studi pediatrici, qualche raccomandazione in più: separare gli accessi riservati ai bilanci di salute e alle attività vaccinali dagli accessi per l’esecuzione del test diagnostico per SARS-CoV-2; raccomandare che l’accesso ai locali dello studio sia consentito ad un solo accompagnatore per bambino e che l’accompagnatore sia in buona salute; prevedere un percorso prioritario per l’esecuzione del test a bambini immunodepressi o con patologie pregresse e, sotto i 6 anni, a quelli che frequentano la comunità infantile; prevedere un approccio differente nella procedura di prelievo in relazione all’età e alla compliance del bambino, prevedendo il supporto del personale infermieristico.

VACCINO COVID :COME AVVERRA’ LA VACCINAZIONE IN ITALIA

Da Doctor33.it

Gli italiani avranno la possibilità di vaccinarsi contro il coronavirus. E la priorità sarà data agli operatori sanitari, ai dipendenti degli ospedali e agli anziani ospiti delle case di riposo. Tanto si evince dalla comunicazione del Commissario all’Emergenza Covid Domenico Arcuri inviata alle regioni il 17 novembre scorso. Nella nota si chiede alle giunte una “Raccolta di informazioni per il piano di fattibilità della prima fase di somministrazione del vaccino Covid-19”. Nell’ambito dell’Advanced Purchase Agreement, iniziativa dell’Unione europea per l’acquisto del più ampio portafoglio possibile di vaccini, Pfizer Biontech arriverebbe prima, a fine gennaio, quando – afferma il documento commissariale – è prevista la consegna dei primi 3,4 milioni di dosi destinate a 1,7 milioni di italiani, da inoculare in due fasi: prima somministrazione e richiamo.

Pfizer, che ha appena annunciato la conclusione della fase 3 di sperimentazione con efficacia al 94% (crescita di anticorpi specie negli anziani over 65), fornirà il vaccino direttamente al punto di somministrazione in borse di conservazione contenenti massimo 5 scatole da 195 fiale (975 dosi a scatola). Per 15 giorni dalla consegna le scatole possono restare nelle borse di conservazione del fornitore; nelle celle frigorifere a una media di -75°C possono essere tenute 6 mesi. Le regioni sono chiamate da Arcuri ad individuare le strutture individuate come punti di consegna e capaci di conservare i vaccini alle condizioni sopra citate. Si tratta di ospedali che dovranno essere in grado di vaccinare minimo 2 mila persone in 15 giorni e fare da “hub” per la consegna di vaccini alle Rsa e ad altri centri vaccinali. Ogni ospedale-punto di consegna dovrà indicare il numero del personale complessivo operante, quello del personale sanitario e sociosanitario in grado di raggiungere la struttura in massimo un’ora, dei congelatori idonei di cui dispone e dei volumi complessivi da essi offerti. Le residenze per anziani dovranno indicare il numero di personale e di ospiti e dovranno poter essere raggiungibili entro un’ora da ospedali che abbiano in dotazione il vaccino. Quest’ultimo andrà usato al massimo entro 6 ore dall’estrazione dalle borse o dalla cella di conservazione. In una fase successiva si passerà a somministrare i vaccini ai cittadini a partire dai fragili, quindi dagli anziani.
Va detto che ancora né Ema in Europa né Fda negli Stati Uniti hanno approvato in commercio i vaccini, ed è normale perché tutti e tre i prodotti nel mirino dell’Ue – ci sono pure i vaccini di Janssen-Moderna e di Oxford-Irbm-AstraZeneca – stanno per ultimare le fasi di sperimentazione. Peraltro, il primo lotto del vaccino Pfizer si troverà davanti popolazioni strategiche da vaccinare e per questo ne è prevista la distribuzione tramite hub ospedalieri, cosa che non dovrebbe avvenire per i lotti successivi che dovrebbero essere somministrati con i canali tradizionali (inclusi i drive-through).


Difficilmente il vaccino sarà obbligatorio, il Tar Lazio ha da poco bocciato la disposizione della Regione che imponeva l’antinfluenzale. Se l’immunizzazione funziona, sarà però vantaggioso sia nel tornare al lavoro in presenza sia nei contatti tra pazienti e ambulatori, specie ospedalieri, tanto più se i mancati vaccini rendessero vana la possibilità di liberarsi del virus.

INFERMIERI I PIÙ COLPITI DA COVID

Da Dottnet.it

Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti

Tra gli operatori sanitari sono in particolare gli infermieri ad avere una maggiore prevalenza di infezione da Sars-CoV-2. A dirlo è una ricerca della Rutgers University, pubblicata sulla rivista Bmc Infectious Diseases, che ha analizzato quanto accaduto nella prima fase della pandemia Covid-19.  Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti. Tra tutti i partecipanti allo studio, oltre il 7% degli operatori sanitari è risultato positivo al nuovo coronavirus rispetto ai tassi molto più bassi di test positivi che invece venivano dagli altri operatori ospedalieri non sanitari. Chi ha riferito di prendersi cura di cinque o più pazienti con Covid-19 (sia sospetto, sia confermato), e coloro che hanno trascorso una percentuale maggiore del loro tempo nelle stanze dei pazienti, avevano maggiori probabilità di risultare positivi all’infezione. Dei 40 operatori sanitari infetti, più della metà (25) erano infermieri. I lavoratori delle unità di terapia intensiva hanno avuto i tassi di infezioni più bassi tra gli operatori sanitari. Secondo gli studiosi, questo potrebbe essere dovuto dall’uso più coerente dei dispositivi di protezione individuale.

fonte: Bmc Infectious Diseases

I VACCINI SARS2-COV PRONTI AL VIA

Ormai stiamo entrando in una fase dove parlare di vaccinazione di covid non é più solo una speranza lontana. In queste prossime settimane le informazioni relative ai nuovi vaccini ed alle problematiche correlate alla somministrazione di ognuno di essi occuperà a cadenza regolare giornali e media. Dobbiamo abituarci.  Molti vaccini  sono già in fase avanzata di sperimentazione, quindi nella fase 3, altri sono in fase più sperimentale.

Ecco i vaccini ormai pronti al via:
Il virus inattivato scelto da Sinovac (Cina), la via dell’RNA da Pfizer e Moderna (Usa), gli adenovirus che trasportano antigeni da AstraZeneca (Uk), Sputnik (Russia), Cansino (Cina), Johnson & Johnson (Usa), la proteina Spike da Novavax (Usa) e Sanofi (Francia). Speriamo di essere giunti ad un nuovo inizio per tutti noi. Intanto é già pronto un piano vaccini.

Tra le priorità del governo c’è quella di “somministrare il vaccino anti-Covid direttamente nelle strutture ospedaliere e, tramite unità mobili, nei presidi residenziali per anziani”. E’ quanto si legge nel Piano per i vaccini contro il coronavirus che il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha inviato ai presidenti delle Regioni e ai ministri della Salute e degli Affari Regionali. La somministrazione su larga scala avverrà attraverso i drive-in.

Nel rincorrersi delle notizie, che provoca non pochi su e giù alle quotazioni dei titoli in borsa, è facile dar ascolto più a slogan e ad altisonanti annunci mediatici che alle questioni davvero rilevanti per il futuro della pandemia. Ecco allora alcuni punti di attenzione, per evidenziare analogie e differenze tra quelli che al momento sembrano i primi vaccini pronti ad arrivare sul mercato: Bnt162b (Pfizer-Biontech) e mRna1273 (Moderna).

Il meccanismo di funzionamento a mRna

Le due soluzioni vaccinali funzionano di fatto allo stesso modo. Il vaccino contiene le informazioni genetiche (sotto forma di rna messaggero) affinché i ribosomi delle nostre cellule possano produrre la proteina spike del coronavirus Sars-Cov-2. Questa proteina – che coincide con quella attraverso cui il virus si aggancia alle cellule bersaglio – una volta in circolo stimola una risposta immunitaria, portando il corpo a generare anticorpi neutralizzanti e cellule T, proprio come se fossimo stati attaccati dal vero virus.

Questo meccanismo è diverso rispetto ai vaccini più tradizionali, in cui la proteina spike viene iniettata direttamente, ed è una grossa novità dal punto di vista dell’approccio all’immunizzazione che accomuna le due formulazioni. Entrambe, peraltro, richiedono una doppia iniezione, a qualche settimana di distanza: 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna.

L’annuncio (solo) mediatico

Si tratta di un altro punto decisivo, valido per tutte e due. A oggi non abbiamo a disposizione alcuno studio scientifico sulla fase 3 (ossia quella finale) della sperimentazione, ma solo una comunicazione ai media basata “sull’analisi dei dati preliminari. Anche se non c’è motivo di credere che le informazioni siano false, è importante distinguere la fase mediatica dell’annuncio da quella scientifica, che passa per il vaglio della comunità degli scienziati, per la peer review e per rigorose valutazioni sulla validità degli studi e dei risultati.

Si ritiene comunque probabile che i paper scientifici arrivino a breve, entro qualche settimana. E in questo contesto i pochi giorni di distanza tra i due annunci mediatici (fatti sempre di lunedì, peraltro) potrebbero non essere affatto indicativi di chi completerà l’iter per primo.

Quasi un 5% di scarto

Sembra quasi una gara al rialzo. La settimana scorsa Pfizer-Biontech aveva annunciato un’efficacia del proprio vaccino nel prevenire il Covid-19 poco superiore al 90%. Poi è arrivata la Russia sbandierando un 92%. E infine Moderna ha dichiarato un’efficacia del 94,5%.

Questi numeri meritano due considerazioni. Anzitutto, sono tutti molto più grandi di quanto si sperasse. Già un’efficacia al 50% sarebbe stata ritenuta un buon risultato, ed essere nell’ordine del 90%-95% significherebbe un traguardo eccezionale. Non è chiaro, però, quanto queste percentuali siano destinate a essere confermate, sporattutto se si guarda alla cifra delle unità. Trattandosi di numeri sperimentali ancora relativamente piccoli, in cui un solo caso di differenza sposterebbe i valori in modo significativo, non è difficile credere che la valutazione di efficacia possa variare come minimo di qualche percento, e inoltre bisognerà valutare eventuali oscillazioni in funzione della fascia d’età. Dunque la differenza di efficacia del 5% per ora non è significativa né indicativa.

94/164 e 95/151

Affinché la sperimentazione di fase 3 possa dirsi conclusa, occorre raggiungere una prestabilita soglia nel numero di persone che hanno contratto il Covid-19 tra i partecipanti allo studio (nel gruppo dei vaccinati o in quello di controllo, a cui è stato somministrato un placebo). Per il vaccino Pfizer-Biontech si è parlato di 94 casi su un totale di 164 da raggiungere, mentre Moderna per la propria sperimentazione ne ha annunciati 95 (di cui 90 nel gruppo di controllo), ma con una soglia fissata a 151. La differenza nel traguardo dipende dal numero di partecipanti coinvolti, che sono 43mila nel primo studio e 30mila nel secondo.

Covid vaccino Teco milano

In entrambi i casi le proiezioni lasciano immaginare che serva ancora qualche settimana per arrivare alla conclusione dell’indagine, ma è impossibile al momento essere più precisi. Curiosamente, peraltro, le due sperimentazioni sono iniziate nello stesso giorno, il 27 luglio scorso.

Temperatura e tempi di conservazione

Come abbiamo già raccontato in altre occasioni, le modalità di conservazione del vaccino sono decisive per la gestione logistica delle dosi, e possono fare la differenza tra l’una e l’altra formulazione. Da quanto sappiamo al momento, il vaccino Pfizer-Biontech ha bisogno di temperature basse e dell’ordine dei -75°C (o comunque tra i -70°C e i -80°C). Solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere portato in un normale frigorifero: a una temperatura di 4°C, infatti, può resistere per 5 giorni.

La formulazione di Moderna, invece, può essere conservata ad appena -20°C (dunque parrebbe avere un importante vantaggio competitivo) per un massimo di 6 mesi di stoccaggio. Poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a un massimo di 30 giorni (non più un massimo di 7 giorni, come si stimava), e a temperatura ambiente per una ulteriore mezza giornata. Si tratta di informazioni non ancora definitive e certificate, ma la differenza tra i -75°C e i -20°C potrebbe rivelarsi un punto fondamentale.

Quando saranno disponibili?

Per il vaccino di Moderna, se tutto filerà liscio, si prevede che l’uscita dal territorio statunitense delle prime dosi non accadrà nel 2020, mentre nel Nord America già entro dicembre saranno sfornati i primi 20 milioni di dosi. Al momento non ci sono date certe, ma c’è la promessa di arrivare entro fine 2021 a produrre tra 500 milioni e 1 miliardo di dosi. Leggermente diversi, ma non così lontani, i numeri di Pfizer-Biontech: 1,3 miliardi di dosi prodotte entro il prossimo anno, ma già i primi 50 milioni entro questo dicembre.

In entrambi i casi, e come peraltro già sta accadendo anche per altri candidati, la sperimentazione procede di pari passo con la produzione, in modo da mettersi avanti con i lavori per il momento dell’eventuale (e sperata) approvazione.

Capacità eradicante e sicurezza a confronto

Su questi due aspetti c’è ancora molta incertezza per entrambe le formulazioni. Sulla sicurezza al momento non sono state segnalate particolari criticità, a parte qualche effetto collaterale come stanchezza, dolori, eritema nell’area dell’iniezione, mal di testa e altri sintomi minori.

Restano invece aperte due importanti partite, probabilmente decisive per il prosieguo dell’emergenza sanitaria. Non è ancora chiaro, infatti, se i vaccini proteggano solo dallo sviluppo della malattia Covid-19 vera e propria o se tengano del tutto il virus fuori dal corpo. In quest’ultimo caso potrebbero scongiurare la trasmissione del virus da persona a persona e quindi portare più facilmente verso la fine della pandemia, mentre nel caso si possa comunque essere contagiosi la situazione sarebbe meno rosea. L’altro elemento è relativo alla durata della protezione: fa molta differenza, infatti, se gli anticorpi sviluppati sono permanenti, di lunga durata oppure destinati a scomparire nel giro di pochi mesi.

Un po’ di geopolitica vaccinale

Interessante che le prime due grandi aziende ad annunciare il vaccino siano entrambe statunitensi. Moderna è in un certo senso la più statunitense di tutte, perché non collabora con un’azienda europea come fa Pfizer coordinandosi con Biontech. Ma soprattutto è interessante notare che non si tratta di successi da attribuire solo al settore privato. Entrambe le imprese, infatti, fanno parte dell’operazione nordamericana Warp Speed, e per esempio Moderna ha ricevuto 2,4 miliardi di finanziamento del governo statunitense e ha condiviso la fase di sviluppo con il National Institutes of Health. La sola Biontech, poi, ha ricevuto 375 milioni di euro di finanziamento dal ministero tedesco per la ricerca.

Dal punto di vista del prezzo finale, il vaccino Moderna dovrebbe costare intorno ai 25 euro, comprensivi di un margine di profitto. Pfizer-Biontech, invece, dovrebbe assestarsi appena sotto i 20 dollari, e al momento si parla di 19,50. Sia Pfizer sia Moderna chiederanno l’approvazione per l’uso in emergenza alla Food and Drug Administration statunitense, e si avvarranno della rolling review per accorciare i tempi dell’approvazione all’Agenzia europea del farmaco.

Ma dove sono tutti gli altri?

Al di là del già citato vaccino russo, per il quale le informazioni sono frammentarie e confuse, per gli altri vaccini in fase 3 di sperimentazione la situazione potrebbe non essere così diversa dai due più chiacchierati. In diversi casi, non ultimo quello AstraZeneca/Oxford, ci si aspetta la conclusione della sperimentazione nel giro di poche settimane, dunque l’effettiva autorizzazione e immissione in commercio potrebbe non essere molto distante nel tempo rispetto a Moderna e Pfizer-Biontech.

L’annuncio mediatico ha in qualche modo rotto gli indugi e creato grande scompiglio, ma sarebbe sbagliato cantare vittoria prima di essere davvero arrivati al traguardo. Le alternative in fase avanzata di studio, peraltro, includono tecniche vaccinali più tradizionali come quella proteica, che potrebbero rappresentare un’alternativa complementare rispetto alle soluzioni a mRna, e magari più semplice da gestire dal punto di vista logistico. Tra i vaccini potenzialmente in arrivo a breve ci sono per esempio quelli di AstraZeneca/Oxford, Sinovac, Janssen, Cansino, Butantan, Novavax ed Elea Phoenix. Ed è ancora presto però per tirare conclusioni, fino a che non si avranno sotto mano le pubblicazioni scientifiche con tutti i dettagli

 

LA VALUTAZIONE DELLA TEMPERATURA CON TERMOMETRI AD INFRAROSSI

Da Inail.it

Il documento fornisce indicazioni sulle corrette procedure di utilizzo dei termometri infrarossi senza contatto, utilizzati per il controllo della temperatura corporea nella fase di accesso a luoghi pubblici e privati.

La gestione dell’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 ha reso indispensabile l’adozione di misure di carattere sia generale sia specifico per fronteggiare la diffusione epidemica.

Per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio, con uno specifico Protocollo dedicato agli ambienti di lavoro, è stata prevista tra le misure di prevenzione la possibilità di controllare la temperatura corporea per il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro. Misura che punta a garantire anche la salubrità dell’ambiente di lavoro.

Il documento fornisce indicazioni operative per la misurazione della temperatura corporea, il corretto metodo di utilizzo dello strumento e le possibili fonti di errore.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

MODIFICATO IL TU 81/08 SUGLI AGENTI BIOLOGICI

Da Puntosicuro.it

Ecco le ultime modifiche del Tu81/08 relative al titolo sugli agenti biologici.

Nel Titolo X (Esposizioni ad agenti biologici) del D.Lgs. 81/2008 si indica (art. 268) che gli agenti biologici possono essere ripartiti nei seguenti gruppi a seconda del rischio di infezione:

  • agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
  • agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche

 

Inoltre l’art. 274 (Misure specifiche per strutture sanitarie e veterinarie) indica che il datore di lavoro, nelle strutture sanitarie e veterinarie, “in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell’organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta”. E sottolinea che nelle strutture di isolamento “che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 2, 3 o 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono scelte tra quelle indicate nell’allegato XLVII in funzione delle modalità di trasmissione dell’agente biologico”.

 

Anche l’art. 275 (Misure specifiche per i laboratori e gli stabulari) indica che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVI, punto 6, nei laboratori comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, didattici o diagnostici, e nei locali destinati ad animali da laboratorio deliberatamente contaminati con tali agenti, il datore di lavoro adotta idonee misure di contenimento in conformità all’allegato XLVII”.

Ad esempio il datore di lavoro assicura che l’uso di agenti biologici sia eseguito “in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 3”.

 

Infine l’art. 276 (Misure specifiche per i processi industriali) riporta che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVII, punto 6, nei processi industriali comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4, il datore di lavoro adotta misure opportunamente scelte tra quelle elencate nell’allegato XLVIII, tenendo anche conto dei criteri di cui all’articolo 275”.

Ricordiamo anche che la Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020 ha modificato l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo.

 

Le modifiche del decreto-legge n. 149 del 9 novembre 2020

Come indicato in premessa il Decreto-Legge 9 novembre 2020 n. 149 modifica, con l’articolo 17, il Testo Unico indicando che “gli allegati XLVII e XLVIII di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono sostituiti” da due nuovi allegati.

 

Riprendiamo, a titolo esemplificativo, il contenuto del nuovo allegato XLVII (Indicazioni su misure e livelli di contenimento).

 

Si indica che “le misure previste nel presente allegato devono essere applicate secondo la natura delle attività, la valutazione del rischio per i lavoratori e la natura dell’agente biologico in questione”. E nella tabella, «raccomandato» significa “che le misure dovrebbero essere applicate in linea di principio, a meno che i risultati della valutazione del rischio non indichino il contrario”.

 

Questa è la tabella:

 

 

Segnaliamo, infine, che nel nuovo Allegato XLVIII (Contenimento per processi industriali) si indica che:

  • Agenti biologici del gruppo 1: per le attività con agenti biologici del gruppo 1, compresi i vaccini vivi attenuati, devono essere rispettati i principi in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
  • Agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4: può essere opportuno selezionare e combinare le prescrizioni di contenimento delle diverse categorie indicate nella tabella in base ad una valutazione del rischio connesso ad un particolare processo o a una sua parte”.

Rimandiamo all’articolo 17 del Decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149 e alla lettura completa delle due tabelle corrispondenti che riportano le varie misure di contenimento da adottare.

 

 

Tiziano Menduto

 

LA TERAPIA DOMICILIARE A CASA IN “PILLOLE”

Da il corriere.it

Sul corriere della sera é stato pubblicato questo articolo di Laura Cuppini , di cui noi riportiamo la parte più interessante, che fa il punto delle possibili terapie domiciliari per chi é malato di covid. Buona lettura..

Sintomatologia influenza e covid a confronto

“Monitoraggio dei parametri vitali

«Quanto più riusciremo a mantenere i malati a domicilio tanto minore sarà il sovraccarico su Pronto soccorso e presidi ospedalieri» ha affermato il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. La sfida è identificare le persone con sintomi tali da motivare il ricovero, che rappresentano solo il 5-8% del totale, conferma Emanuele Nicastri, infettivologo all’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. «È fondamentale lo stretto monitoraggio dei parametri vitali, in particolare la saturazione di ossigeno» spiega Nicastri. Ma come si curano i pazienti in isolamento domiciliare?

I farmaci che si sono rivelati efficaci nella cura di Covid sono tre: l’antivirale remdesivir (in commercio con il nome Veklury, dopo l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali, ma solo per uso ospedaliero), il corticosteroide desametasone e l’anticoagulante enoxaparina (eparina a basso peso molecolare). Gli ultimi due farmaci sono di fascia A, quindi possono essere prescritti dal medico di famiglia e assunti a domicilio. Ma la questione non è così semplice, anche perché ci sono rischi nei mix con altri medicinali di largo uso. Lo ha ricordato il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini: «I pazienti a domicilio, nelle fasi iniziali di Covid, non devono abusare di antibiotici e neanche combinare tachipirina e cortisone».

Paracetamolo solo con febbre o dolori

Per Emanuele Nicastri i pazienti in isolamento domiciliare dovrebbero prendere solo paracetamolo, con temperatura superiore a 38° o dolori ad articolazioni e muscoli. «Tutto il resto della terapia in questa fase non ha alcuna evidenza scientifica, anzi in alcuni casi è dannosa» rileva l’infettivologo, che consiglia di «non usare il cortisone nei primi 7 giorni di malattia, e in particolare in assenza di desaturazione, perché potrebbe ritardare o ridurre la nostra risposta immunitaria». L’idea di utilizzare cortisone ed eparina a domicilio per evitare l’aggravamento dei sintomi (e quindi la necessità di ricovero) viene però avanzata da alcuni medici. Come Salvatore Spagnolo, direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia del Policlinico di Monza. «Il coronavirus entra nei capillari polmonari e si riproduce nella loro parete interna chiamata endotelio — scrive in una nota il cardiochirurgo —, in questo modo determina una progressiva infiammazione dei polmoni e una trombosi del microcircolo. La somministrazione a domicilio dell’eparina e del cortisone potrebbe contrastare, fin dall’inizio, l’insorgenza dei processi infiammatori e trombotici».

Se la saturazione è inferiore a 94

Invita alla prudenza Francesco Scaglione, professore di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico all’Ospedale Niguarda. «La questione delle terapie per i pazienti domiciliati è all’attenzione degli esperti, anche qui in Lombardia. In questi mesi abbiamo visto che alcuni farmaci sono molto utili per le conseguenze che il virus determina, ma ancora oggi non abbiamo terapie specifiche per Covid. Facciamo però un passo indietro. Quando il virus arriva all’apice della moltiplicazione, può scomparire oppure indurre una disregolazione immunitaria, con conseguenze pesanti: infiammazione da citochine, edema polmonare, microembolia. Ebbene, tutti gli studi fatti sul cortisone (desametasone) mostrano che, se viene somministrato troppo precocemente, può peggiorare la malattia e addirittura aumentare la mortalità nei soggetti che non hanno bisogno di ossigeno. Ecco perché il criterio “principe” è quello della saturazione: un valore ottenibile con un semplice saturimetro, che tutti dovremmo avere in casa.

L’allerta deve scattare quanto la saturazione è inferiore a 94. L’eparina serve in presenza di polmonite e negli anziani allettati, che sono già di per sé a rischio di tromboembolismo».

Asintomatici e pazienti con fattori di rischio

Sugli asintomatici (tanti), il professor Scaglione non ha dubbi: «Non devono prendere assolutamente niente». Diverso il caso di soggetti a rischio di complicanze gravi, come gli ipertesi, che rappresentano la maggioranza delle vittime di Covid: «Per questi pazienti serve una sorveglianza più stretta da parte del medico, ma il marker da osservare è sempre la saturazione. Finché è possibile stare a casa, facciamolo ed evitiamo di correre in Pronto soccorso. Il parametro principale per decidere che è il momento di andare in ospedale è appunto una saturazione inferiore a 94, che non sale neppure con la somministrazione di ossigeno (che si può fare a domicilio)». Quest’ultimo punto aveva rappresentato un grosso problema tra marzo e aprile, per carenza di ossigeno e bombole. Oggi non siamo nella stessa situazione ma, in parallelo con l’aumento dei contagi, c’è una crescita nel fabbisogno di ossigeno a domicilio. «La situazione non è allarmante come durante la prima ondata — afferma Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi —, ma è opportuno muoversi per tempo. Non c’è ancora una carenza generalizzata, ma ci sono territori in maggiore sofferenza su cui occorre iniziare ad agire». ”

ANTICORPI MONOCLONALI CONTRO IL COVID

Dal sito sifoweb.it

La Food and Drug Adrministration autorizza l’uso del farmaco sperimentale bamlanivimab, anticorpo monoclonale per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità.

Bamlanivimab è un anticorpo monoclonale IgG1 neutralizzante che si lega al dominio di legame del recettore della proteina spike della SARS-CoV-2. E’ autorizzato per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità, in pazienti dai 12 anni che sono ad alto rischio di progredire verso una forma più grave e/o di essere ricoverati in ospedale. Diversamente, non sono stati dimostrati benefici per i pazienti ospedalizzati con COVID-19 che richiedono ossigeno ad alto flusso o ventilazione meccanica, per i quali, quindi, non è autorizzato il trattamento.

La decisione dell’FDA si basa sui risultati preliminari dello studio di fase II BLAZE-1 (studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo) che hanno dimostrato come il bamlanivimab, somministrato per singola infusione endovenosa entro 10 giorni dall’insorgenza della sintomotologia, porti ad una riduzione della carica virale, dei tassi dei sintomi e di ospedalizzazione.

Nell’ambito dello studio clinico, sono stati arruolati 465 adulti non ospedalizzati con sintomi COVID-19 da lievi a moderati. Di questi pazienti, 101 hanno ricevuto una dose di bamlanivimab di 700 milligrammi, 107 hanno ricevuto una dose di 2.800 milligrammi, 101 hanno ricevuto una dose di 7.000 milligrammi e 156 hanno ricevuto un placebo entro tre giorni dall’ottenimento del campione clinico per il primo test virale SARS-CoV-2 positivo.

Principalmente si è assistito al cambiamento della carica virale dal basale all’undicesimo giorno per il bamlanivimab rispetto al placebo, con eliminazione del virus nella maggior parte dei pazienti, compresi quelli che hanno ricevuto il placebo. Inoltre, nel 3% dei pazienti trattati con bamlanivimab si è verificata una riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, rispetto al 10% dei pazienti trattati con placebo. Gli effetti sulla carica virale e sulla riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, nonché sulla sicurezza, sono stati sovrapponibili nei pazienti che hanno ricevuto una qualsiasi delle tre dosi di bamlanivimab.

Bamlanivimab Teco milano

Per ulteriori informazioni:
Bamlanivimab EUA Letter of Authorization
Frequently Asked Questions on the Emergency Use Authorization for Bamlanivimab
Emergency Use Authorization: Therapeutics
Coronavirus Disease (COVID-19)

 

Fonte: www.fda.gov

TAMPONE RAPIDO O MOLECOLARE:LE LINEE GUIDA

Da dott33.it

Il tampone molecolare va fatto sempre per un caso sospetto che presenti dei sintomi così come per chiunque abbia un ricovero programmato in ospedale o in Rsa. Mentre il test rapido antigenico è la prima scelta nel caso di chi ha pochi sintomi e non ha avuto contatti con positivi. A chiarire quali test fare a seconda dei diversi contesti, così da permettere «un uso razionale e sostenibile delle risorse» è il documento “Test di laboratorio per Sars-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”, realizzato da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità. Alla luce della necessità di garantire risultati in tempi compatibili con le esigenze di salute pubblica «è fondamentale una scelta appropriata tra i test disponibili», si legge nel testo. Sebbene i test molecolari siano quelli di riferimento per sensibilità e specificità, infatti, «in molte circostanze si può ricorrere ai test antigenici rapidi che, oltre essere meno laboriosi e costosi, possono fornire i risultati in meno di mezz’ora e sono eseguibili anche in modo delocalizzato e consentono se c’è link epidemiologico di accelerare le misure previste». In ogni caso, proseguono gli esperti, «rimane essenziale la rapidità di diagnosi nei soggetti con sospetto clinico o sintomatici e dei contatti per controllare il focolaio». Il documento precisa caso per caso quale tipo di test prescrivere per portare avanti «un’attività di sorveglianza che sia sostenibile», ovvero che permetta di evitare dispendi inutili di tempo e di sforzi da parte di cittadini e operatori sanitari.

Per i contatti stretti di casi positivi ci sono due corsie: tampone molecolare se si frequentano regolarmente soggetti fragili a rischio complicanze e test antigenico, in caso contrario. Il tampone molecolare, naturalmente, resta lo standard per la conferma di guarigione di chi è in isolamento perché è stato trovato positivo. Mentre il test rapido antigenico è indicato per gli screening di comunità, ovvero per la ricerca di possibili positivi in grandi gruppi di persone, così come per asintomatici che effettuano il test su base volontaria in quanto loro richiesto per motivi di lavoro o di viaggio. In caso di positività, serve la conferma del tampone e scatta l’isolamento della persona interessata, oltre alla quarantena per i contatti stretti. I test antigenici rapidi salivari «sono attualmente in fase di sperimentazione ma andranno considerati come alternativa ai test antigenici rapidi su tampone oro-naso faringeo o nasali se le validazioni e le esperienze pilota oggi in corso in Italia, daranno risultati che ne indicano un uso anche nella routine di sanità pubblica. Si sottolinea – avverte l’Iss – che i sistemi di raccolta della saliva tipo “salivette” non appaiono al momento adeguati, per modalità di svolgimento, per i soggetti non collaboranti a causa del rischio di ingestione del dispositivo di raccolta».
«È un momento di sovraccarico di richieste dei test sia per fini clinici che di sanità pubblica, quindi è importante indicare l’uso dei test molecolari per le situazioni in cui la certezza della diagnosi prevale sulla tempestività per difendere le situazioni a maggiore fragilità mentre si apre all’uso dei test rapidi laddove un intervento di controllo precoce può ottenere una riduzione della trasmissione». Lo spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità (Iss), a corredo dell’approfondimento pubblicato dall’Iss sul documento. A segnalare la forte richiesta dei tamponi ai medici di medicina generale è, ad esempio, l’Ats di Milano. «Una forte sofferenza nella possibilità di prenotare ed eseguire in tempi adeguati il tampone per la ricerca dell’Rna virale, nonostante i laboratori abbiano raddoppiato la produzione nell’ultimo mese». Succede nel capoluogo lombardo dove il sistema dei tamponi è in crisi, schiacciato dai numeri dei contagi in impennata da giorni. L’Ats chiede la collaborazione dei camici chiami bianchi, chiedendo di «spiegare agli assistiti che per il momento è opportuno sospendere l’esecuzione del tampone per i contatti stretti». Oltre allo stop ai tamponi per i contatti stretti nel decimo giorno di quarantena, serve «dare priorità a tamponi per casi sospetti», e ancora «evitare nel modo più assoluto che il paziente si rechi negli ambulatori ad accesso diretto, anche se con impegnativa. L’accesso diretto è infatti riservato ai soli casi sospetti segnalati in ambiente scolastico, e il mancato rispetto di questa indicazione è la principale causa delle code nei punti prelievi».