RISCHIO BIOLOGICO

COVID: GUARITI E VACCINATI PROBABILITA’ DI REINFEZIONE

Da “il corriere.it”

Articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Ad oggi, in Italia, i guariti ufficiali dal Covid-19, ,cioè coloro a cui è stata diagnosticata la positività al virus e poi la sua scomparsa, superano il milione. Il 61% coinvolge la popolazione nell’età più produttiva (dai 20 ai 59 anni), il 26% dai 60 anni in su, il 13% dai 19 anni in giù. Il 51,5% femmine, il 48,5% maschi. Tutte queste persone possono essere considerate immuni
Calano gli anticorpi, ma resta la memoria

Numerosi studi ormai concordano: quando si contrae il Covid, il 93% dei contagiati produce gli anticorpi neutralizzanti (del Fante et al., Transfusion 2020) . La loro funzione è quella di impedire al virus di penetrare nelle cellule. Ciò succede tra i 6 e i 20 giorni dal contagio (Quan-Xin long, Nature Communication 2020) e il meccanismo è questo: dopo l’infezione si attivano i linfociti B che producono gli anticorpi IgM, IgG e IgA. Un loro sottoinsieme (IgG e IgA) è quello che poi riesce a rendere innocue le nuove particelle virali. Gli anticorpi neutralizzanti, a loro volta, si accompagnano all’attivazione delle cellule killer (linfociti T), specializzate nel riconoscere e nel distruggere il virus (Cassaniti et al., in preparation-confidential).

Tutta questa spiegazione è utile a capire perché, quando il Covid attacca, la risposta immunitaria è doppia (linfociti B e T). Una volta superata l’infezione, nelle settimane o nei mesi successivi, gli anticorpi calano: non c’è più il virus, non c’è più bisogno di loro. Nell’organismo però restano le cellule memoria, pronte a intervenire in caso di necessità. L’ipotesi che il calo di queste «difese» esponga quindi a un nuovo ricontagio viene smentita.

Le mutazioni osservate

Il parallelo che spesso viene fatto con l’influenza può essere fuorviante: in questo caso il fatto che ci riammaliamo non è dovuto al calo degli anticorpi, ma alla mutazione molto frequente del virus, e che il sistema immunitario non riconosce più le varianti mutate. Il Covid-19, anche se è un virus simile a quello dell’influenza, sembra avere un genoma più stabile e la risposta che genera il sistema immunitario è verso più frammenti delle proteine virali e non uno solo. Infatti le mutazioni osservate finora (e, forse, anche la nuova variante inglese, almeno fino a prova contraria) non sono associate a un cambio di severità della malattia.

(…) le mutazioni finora osservate finora (…) non sono associate a un cambio di severità della malattia.

Tutti gli studi finora dimostrano che si produce una risposta immunitaria che dura nel tempo. A quantificare con più precisione questo «tempo» c’è il recentissimo studio svolto in collaborazione tra il Policlinico San Matteo di Pavia e il Karolinska Institute di Stoccolma: le cellule memoria persistono per almeno 6-8 mesi dall’infezione (Sherina N . et al.). Considerando che la malattia è esplosa poco meno di un anno fa, questo è il tempo massimo di osservazione possibile ad oggi, ma potrebbe essere ben più lungo.

Tutti gli studi finora dimostrano che si produce una risposta immunitaria che dura nel tempo

Probabilità di ricontagio: 1,8%

Vuol dire che chi è guarito dall’infezione non si reinfetta più? No, perché in medicina il 100% non esiste, inoltre in questo caso siamo di fronte a una malattia troppo recente. Ma sappiamo almeno quante sono le probabilità di contagiarsi di nuovo? La risposta arriva dagli esiti preliminari dello studio appena ultimato dal dipartimento di Virologia del Policlinico San Matteo, insieme agli ospedali di Piacenza e Lecco, e che al momento è quello numericamente più corposo. Hanno osservato tutto il loro personale sanitario, verificato quanti operatori si sono ammalati durante la prima ondata e quanti si sono reinfettati nel corso della seconda. Su 9.610 operatori sottoposti al test sierologico a maggio sono risultati positivi in 1.460 (15,2%). Di questo gruppo, da giugno a oggi, si sono ricontagiati in 27 (1,8%), di cui 18 in modo asintomatico. Degli 8.150 risultati invece negativi al test si sono contagiati in 540 (6,6%).

La protezione naturale è più elevata

Le informazioni che ci arrivano da questo studio sono principalmente tre. La prima è che, vista la differenza altamente significativa dal punto di vista statistico nei contagi tra i due gruppi, il rischio di infezione per chi non è entrato in contatto con il Covid è circa del 350% superiore rispetto a chi l’ha già contratto. La seconda dimostra che la falla è scattata durante le vacanze estive, poiché all’interno dello stesso contesto protetto (e dove tutti erano stati sottoposti a controlli), l’infezione si è riscontrata al rientro dalle ferie o in contesti familiari, creando di conseguenza qualche focolaio nell’ospedale. La terza è la più importante: la protezione naturale di un guarito è più elevata di quella garantita dai vaccini che stanno uscendo. La loro efficacia massima dichiarata è intorno al 95%. Tradotto: se mi sono già ammalato ho l’1,8% di probabilità di ricontagiarmi, con il vaccino il 5%. Va detto che nessuna vaccinazione di massa dà una copertura totale, per esempio quella contro il morbillo arriva al 98%, quelle influenzali vanno dal 70 all’80%, proprio a causa delle mutazioni più frequenti.

Vaccinare i guariti per ultimi

Questi studi supportano, dunque, l’ipotesi di vaccinare per ultimi i guariti, che aumentano di giorno in giorno. Nel frattempo chi si è ammalato e poi è guarito può muoversi in una zona rossa senza rischiare una multa, esibendone la certificazione? La domanda non è banale. Al momento non c’è una definizione univoca di «guarito». Il bollettino di oggi, che li calcola in circa 1,3 milioni di persone, include sia chi si è negativizzato, sia chi è stato dimesso dall’ospedale (dunque è clinicamente guarito, ma potrebbe essere per un breve periodo ancora positivo e contagioso). Invece la circolare del ministero della Salute del 12 ottobre aggiorna le indicazioni su durata e termine dell’isolamento che riguarda i casi di infezione documentata. In questo caso «guarito» vuol dire potenzialmente non più contagioso. Per gli asintomatici dopo 10 giorni dalla comparsa della positività; i sintomatici dopo 10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi; per entrambi serve il test negativo. I casi positivi a lungo termine possono invece uscire dopo una settimana senza sintomi (eccezion fatta per gusto e olfatto), ad almeno 21 giorni dalla loro comparsa. In nessuno dei casi la guarigione è equiparata all’immunità.

Al momento non c’è una definizione univoca di guarito

Più libertà per guariti e vaccinati?

Gli studi del Policlinico San Matteo possono essere un passo importante – se confermati anche su un campione di popolazione generale – per considerare la possibilità per i «guariti», e tutti quelli che via via si vaccinano, di andare per esempio all’estero per lavoro senza essere sottoposti poi a quarantena, o di spostarsi da una regione all’altra anche per motivi personali, senza rischiare una multa? Consentirebbe al sistema di iniziare a ripartire, senza attendere la cosiddetta immunità di gregge. La via più semplice potrebbe essere quella di esibire la certificazione del test di positività e negatività o dell’avvenuta vaccinazione. Fermo restando, anche per loro, l’obbligo inderogabile di osservare in pubblico le regole di protezione e distanziamento. Per evitare il caos e perché siamo sempre in terra incognita. Per fare questo ci vuole ovviamente una norma e avrebbe senso cominciare a pensarci subito.

TLB courtesy: 20/05/2020 – Ansa|

Nei prossimi mesi (se non settimane) sappiamo già che ci saranno altre strette

Nei prossimi mesi (se non settimane) sappiamo già che ci saranno altre strette: se si considerassero margini per questa fetta di popolazione, il peso sarebbe almeno in parte attenuato. Sarebbe inoltre uno stimolo per le Regioni a darsi da fare nell’organizzazione efficiente delle vaccinazioni, e un incentivo a prenotarsi per gli scettici. Un tema che ancora nessun Paese sta affrontando; non solo, alcuni nemmeno contano il numero dei «guariti». La Francia su 2,3 milioni di contagiati da febbraio a oggi ne dichiara guariti 180 mila, perché conta solo i dimessi dagli ospedali. La Spagna ha smesso di contarli dal 18 maggio. I numeri della Gran Bretagna non sono disponibili. La Germania li calcola in base a un algoritmo del Koch Institut, che stima «il numero dei casi risolti considerando le informazioni sull’insorgenza della malattia e sulle dimissioni degli ospedali. Il 19 dicembre erano 1,1 milioni.

COVID : DISPARITÀ NELLE REGOLE DI COMPORTO, MALATTIA, QUARANTENA, POSITIVITA’

Da ilsole24ore

ARTICOLO Di P. DUI

I rapporti tra la disciplina della malattia Covid e quella del calcolo del periodo di comporto continuano a evidenziare lacune legislative, soprattutto in termini di un auspicato intervento normativo e/o amministrativo volto a correggere le evidenti disparità di trattamento tra i lavoratori, peraltro emerse già dai primi interventi emergenziali, che risalgono a marzo di quest’anno (si veda anche Il Sole 24 Ore del Lunedì del 24 agosto scorso).

Resta la discrasia nella disciplina del calcolo del periodo di conservazione del posto (comporto) che, sorprendentemente, esclude dal computo la quarantena fiduciaria e altre situazioni di rischio ben individuate (che non determinano malattia) includendo, invece, la malattia Covid e le possibili successive ricadute per esiti legati all’infezione contratta in passato, sulla base di una verificabile imputazione clinica alla malattia originaria.

La conservazione del posto

La disciplina della conservazione del posto di lavoro, con il divieto di licenziamento per il cosiddetto periodo di comporto, deriva dalla previsione dell’articolo 2110 del Codice civile e impedisce il licenziamento entro il termine stabilito dal contratto collettivo di riferimento, diversamente articolato nelle specifiche disposizioni settoriali e/o di comparto, potendo oscillare da periodi di 180 giorni a periodi molto più lunghi. Il calcolo è effettuato, generalmente, sulla base dei giorni di assenza per l’inabilità al lavoro derivante dalla malattia, come certificati dal medico curante, con specifici criteri di computo, disciplinati analiticamente dalla prassi amministrativa (Inps).

La tutela per la quarantena

La normativa speciale vigente stabilisce che i periodi trascorsi in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva disposti per gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva, e per coloro che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità:

sono equiparati alla malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla «normativa di riferimento»; il richiamo è da intendersi alla disciplina sia delle prestazioni previdenziali, sia delle diverse prestazioni economiche, anche integrative, previste dalla contrattazione collettiva e da ogni altra norma operante sul piano del rapporto di lavoro;

sono esclusi dal computo del periodo di comporto.

La tutela per i lavoratori fragili

Questa disciplina è stata integrata anche su fronti affini. Infatti:

i lavoratori dipendenti pubblici e privati con disabilità grave secondo l’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992, possono assentarsi dal servizio;

i lavoratori dipendenti pubblici e privati, che hanno una certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, in base all’articolo 3, comma 1, della legge 104/1992, possono assentarsi dal servizio.

Queste assenze dal lavoro sono equiparate, dal punto di vista giuridico ed economico, al ricovero ospedaliero o alla quarantena obbligatoria e non sono computabili ai fini del comporto, almeno per buona parte del 2020.

In effetti, secondo quanto esposto, la copertura Covid-19 opera per delle misure di contenimento, riferite alle fattispecie sopra elencate, il cui fattore comune è dato, come visto, dall’equiparazione alla malattia e dall’esclusione dal comporto.

Meno tutelati i potenziali Covid

In buona sostanza, le coperture di esclusione dal calcolo del comporto non operano per il contagio Covid-19, ma per l’esposizione a rischio di contagio, sulla base di situazioni selettive in funzione preventiva del rischio di contrazione della malattia e del connesso pericolo di vita.

Si badi bene: nessuno dei casi citati riguarda lavoratori costretti ad assentarsi dal posto di lavoro per aver contratto il Covid. Al contrario, la finalità della norma è quella di garantire una tutela economica ai soggetti che, pur non essendo malati, vengono costretti a casa da un provvedimento della Pubblica Autorità o a causa dell’elevato rischio alla vita e all’integrità fisica che correrebbero in caso di infezione. Resta ferma, però, la disparità di trattamento, che non trova alcuna giustificazione.

Le assenze e il relativo trattamento

1- La quarantena
Equiparazione alla malattia (ma fuori dal comporto)Le persone per le quali l’autorità competente abbia disposto l’obbligo di quarantena sono poste in isolamento fiduciario dall’azienda sanitaria territoriale. I periodi di assenza dal lavoro per quarantena fiduciaria sono considerati come malattia e non sono computabili ai fini del comporto. Lo ha disposto il decreto Cura Italia (articolo 26 del Dl 18/2020, in vigore dal 17 marzo), lo ha ribadito il decreto Rilancio (articolo 74 del Dl 34/2020, in vigore dal 19 maggio), e, infine, il decreto agosto (articolo 26 del Dl 104/20, in vigore dal 15 agosto).

2 – Lavoratori fragili e a rischio
Smart working dal 16 ottobre

I lavoratori pubblici o privati con disabilità grave certificata o ai quali sia stata certificata una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche e delle relative terapie salvavita:Fino al 15 ottobre 2020 sono tenuti a casa su disposizione del medico curante, che deve riportare, sul certificato, gli estremi della certificazione del possesso dei requisiti della legge 104/1992. Fino al 15 ottobre 2020 i periodi di assenza dal lavoro sono equiparati al ricovero ospedaliero, ai fini economici. Sul comporto, fa fede quanto previsto dal Ccnl applicato sull’esclusione o meno dei periodi di ricovero dal computo. Dal 16 ottobre al 31 dicembre 2020 devono svolgere la prestazione in smart working e hanno diritto alla normale retribuzione

3 – I lavoratori colpiti dal covid
Trattamento comune della malattia I lavoratori malati di Covid-19 o asintomatici risultati positivi al tampone sono messi in malattia dal medico curante. A questi lavoratori si applica il trattamento economico previsto per la malattia e il computo del periodo di assenza ai fini del calcolo del comporto, come per qualsiasi altra malattia.

TESTS COVID IN LABORATORIO E SANITÀ PUBBLICA

Ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità
Nota tecnica ad interim. Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica.
Aggiornata al 23 ottobre 2020.

iii, 10 p.

Il documento fornisce le indicazioni ad interim per la diagnostica di SARS-CoV-2 e i criteri di scelta dei test disponibili a seconda dei diversi contesti per un loro uso razionale e sostenibile in termini di risorse.

Ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità
Interim Technical note. Laboratory testing for SARS-CoV-2 and their use in public health.
Updated on October 23, 2020.

iii, 10 p.

This document provides current interim guidance on the correct, rational and sustainable use of SARS-CoV-2 diagnostics and the ongoing criteria for choosing the right available test in each context.

Da Iss

 Pubblicato il 04/11/2020

COME PREVENIRE L’INQUINAMENTO INDOOR DA COVID

Da Le Scienze

Mantenere il giusto grado di umidità e un adeguato ricambio d’aria evita la propagazione del virus negli ambienti al chiuso, specialmente dove il rischio è più alto, come ospedali e studi medici. Lo conferma uno studio internazionale condotto, tra gli altri, da ricercatori Cnr-Isac e pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health

È risaputo che il Sars-Cov-2 non si trasmette solo per contatto diretto, ma può diffondersi attraverso l’aria tramite “droplet”, le goccioline di saliva nebulizzata. “Sebbene il virus, di per sè, abbia dimensioni dell’ordine di un centinaio di nanometri (il diametro di un capello è di 50.000-180.000 nanometri), è verificato che una persona infetta, attraverso la respirazione, la vocalizzazione, la tosse, gli starnuti, può emettere un aerosol contenente potenzialmente il SARS-CoV-2”, spiega Francesca Costabile, ricercatrice dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac).

Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health da Cnr-Isac, in collaborazione con il tedesco Leibniz Institute for Tropospheric Research, il CSIR-National Physical Laboratory indiano e il 2B Technologies- Boulder (USA), suggerisce opportune strategie di prevenzione e mitigazione del rischio di trasmissione aerea del virus. “Oltre che in composizione, le particelle di tali aerosol variano notevolmente in dimensioni, da meno di 1.000 nanometri, il diametro delle polveri sottili, a valori superiori ai 5.000 nanometri, dimensione delle tipiche droplets respiratorie”, prosegue Costabile.

“La relazione fra dose inalata e infettività per il SARS-CoV-2 dipende fortemente dalle dimensioni: la capacità di penetrazione nel tratto respiratorio basso, di traslocazione sistemica in tutto il corpo umano e di attacco a organi bersaglio particolarmente vulnerabili, primo fra tutti il cervello”.Il rischio, insomma, varia drasticamente con le dimensioni di tali particelle di aerosol.

“Ispirandoci al principio di precauzionalità, l’obiettivo principale del lavoro è stato riconoscere, sulla base di dati già pubblicati, l’esistenza di un rischio dovuto alla possibile trasmissione airborne del SARS-CoV-2 in particolari ambienti indoor. E quindi proporre linee guida semplici e chiare a ospedali, studi medici, locali pubblici e altri ambienti simili”, avverte la ricercatrice Cnr-Isac.

“Robusti risultati di laboratorio dimostrano come la trasmissione del virus, in ambienti privi di radiazione solare, sia favorita da condizioni secche e fredde. Su tale base – all’interno di ambienti chiusi con luce solare diretta fredda, secca e con ventilazione insufficiente – raccomandiamo innanzitutto: di mantenere un’adeguata umidificazione dell’aria interna (nel range 40-60%), soprattutto laddove ci si trovi in condizioni di temperature sotto i 20° C, l’utilizzo di purificatori d’aria, di un’adeguata ventilazione meccanica anche nei periodi invernali e la misura della concentrazione del biossido di carbonio (CO2) in aria, da mantenere sotto le 1000 ppm. Sconsigliamo, infine, l’utilizzo di nebulizzatori in alcune procedure mediche e di tipologie di disinfettanti per le pulizie come quelli al perossido di idrogeno. In assenza di queste precauzioni il rischio potrebbe permanere pur indossando la mascherina chirurgica”.

Tali linee guida hanno il fine di ridurre il rischio di trasmissione per via aerea, per esempio in ospedali e case di cura, poiché sono ancora poche le nazioni come Canada, Belgio e Svizzera, che abbiano adottato strategie contro il rischio potenziale della trasmissione airborne del SARS-CoV-2, grazie anche al supporto degli scienziati. “Riteniamo che sia proprio questo uno dei compiti più importanti per la ricerca, in questo particolare momento”, conclude Costabile. “Il nostro studio rappresenta uno dei risultati della linea di ricerca delineata all’interno del Cnr-Isac con la creazione di working groups tematici dedicati al Covid-19 nel periodo del lockdown”.

LINEE GUIDA AIFA TERAPIA COVID

Da Dottnet.it

L’Agenzia ha pubblicato un ampio documento sui farmaci da utilizzare in ambito domiciliare e ospedaliero per i pazienti con Covid

AIFA ha pubblicato le linee guida aggiornate (clicca qui per scaricare il documento completo) sui  farmaci da utilizzare in merito ai trattamenti destinati ai pazienti COVID-19 nel setting ospedaliero e domiciliare definendo lo standard di cura alla luce delle attuali evidenze di letteratura. Le raccomandazioni tengono conto dell’evoluzione delle conoscenze acquisite e riflettono le indicazioni contenute in dettaglio nelle schede informative sui farmaci. In particolare, nel contesto ospedaliero, viene chiarito come l’attuale standard di cura sia rappresentato dall’utilizzo di corticosteroidi ed eparina. Nel contesto domiciliare le raccomandazioni individuano specifiche condizioni cliniche in cui questi farmaci possono essere utilizzati.



Farmaci da usare per i pazienti a domicilio

ORMAI SEMAFORO VERDE DELL ‘EMA PER I VACCINI

Il via libera dell’Ema al vaccino di Pfizer atteso entro il 29 dicembre, quello di Moderna entro il 12 gennaio. Fino a 202 milioni di dosi. Si parte dai  medici, dagli anziani, poi i lavoratori essenziali.

Le prime dosi delle 202 milioni complessive che potrebbero arrivare in Italia il prossimo anno sono attese «tra il 23 e il 26 gennaio» e saranno distribuite in 300 ospedali (15-20 per ogni Regione). Serviranno per vaccinare medici e infermieri, ospiti e operatori delle Rsa. Poi si partirà dai «grandi vecchi» (gli over 80) e successivamente con gli altri anziani divisi per «scaglioni» in base all’età – 60-70 anni e poi le altre fasce della popolazione attiva. (da il sole24 ore)

VACCINI A TUTTI.. ANCHE AI GUARITI DA COVID?

Da Dottnet.it

La piu’ grande campagna vaccinale di massa che abbia mai avuto corso in Italia, quella contro il covid, e’ alle porte e potra’ essere conclusa in autunno. Ma oltre alle imponenti misure logistiche e alle direttive su chi vaccinare nella prima fase, arriva ora il nodo dei positivi. Se, cioe’, coloro che hanno contratto il virus debbano o meno essere vaccinati. Un punto che gia’ divide gli esperti. Gli operatori sanitari saranno i primi ad esser vaccinati, seguiti dagli anziani. Ma chi ha avuto il covid cosa dovra’ fare? “Chi ha avuto il Covid – ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma – non deve vaccinarsi contro la malattia perché ha sviluppato anticorpi naturali, semmai dovrà controllare il livello di questi anticorpi. E quando questi dovessero scendere, si può riconsiderare una vaccinazione”.

injecting injection vaccine vaccination medicine flu man doctor insulin health drug influenza concept – stock image

Ma su questa tesi non è d’accordo Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive del San Martino di Genova. “Bisognerebbe vaccinare sia chi non ha mai fatto l’infezione da SarsCoV-2 che chi l’ha già fatta”, sostiene Bassetti, secondo il quale bisognerebbe vaccinare “anche chi ha già gli anticorpi, perché non si sa per quanto tempo durino”. “Difficile dire ora, senza i dati delle sperimentazioni, se sia opportuno o meno vaccinare anche i guariti”, spiega all’Ansa Carlo Signorelli, ordinario di Igiene all’ Università di Parma e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Certo è che “non vaccinarli rischierebbe di complicare le cose invece che semplificarle”. Il problema, infatti, “è che per escluderli dalla vaccinazione bisogna identificarli e anche questo è un lavoro in più. Un lavoro, tra l’altro, per il quale abbiamo uno strumento, il test sierologico, che con il passare del tempo tende a non dare una risposta corretta. Abbiamo, infatti, test negativi a fronte di persone che sappiamo essere state positive”.

Capire se vaccinare o meno i guariti, comunque “è cruciale per la campagna vaccinale, perché in alcune zone la quota di chi ha avuto il Covid arriva fino al 40%. Se l’immunità acquisita dalla malattia non regge, rischiamo di lasciarli scoperti”. Ad oggi – dice Arcuri – un italiano su 36 e’ stato contagiato.  E sempre sul fronte vaccini arriva anche il doppio annuncio di Moderna che inizia i test sugli adolescenti tra i 12 e i 17 anni e rende noto che il vaccino avra’ una copertura di almeno tre mesi dopo la seconda dose. Novità anche per la sperimentazione condotta da AstraZeneca e Università di Oxford che si trasforma da ‘doppio cieco’ in ‘aperto’. Tutti i partecipanti potranno sapere se è stato somministrato loro il preparato sperimentale o un placebo.  Intanto alcuni gruppi di hacker stanno prendendo di mira le aziende coinvolte nella distribuzione dei vaccini e potrebbero prepararsi a colpire la ‘catena del freddo’ necessaria per far arrivare le dosi. Lo afferma la compagnia Ibm, secondo cui i criminali informatici stanno raccogliendo informazioni sugli aspetti logistici. L’attività di spionaggio, spiega Ibm, è condotta attraverso ‘una campagna globale di phishing’ in cui vengono inviate email a nome dell’azienda cinese Haier Biomedical specializzata nel trasporto di vaccini.

NUOVI CODICI INPS E QUARANTENA COVID: UN CASO DI ORDINARIO CAOS

Da Doctor33.it

Un allarme dalla Fimmg Basilicata dà spunto per parlare del caos esistente in Italia sui codici malattia del Covid. I medici non trovano nei portali Asl né gli esiti dei tamponi propedeutici alle certificazioni di ripresa delle attività, né le certificazioni di fine quarantena che i servizi di igiene Asl dovrebbero rilasciare. Non possono perciò emettere certificato di riammissione al lavoro se il datore lo chiede. Ma soprattutto si trovano spiazzati da una revisione Inps dei codici di malattia.

Cosa dice la legge – Il servizio di igiene Asl, che in base al decreto rilancio considera in malattia i lavoratori (pubblici o privati) positivi o contatti stretti di pazienti Covid, comunica con Pec al medico l’avvio di isolamento o quarantena. Il lavoratore è in malattia, per un periodo che non rientrerà nel computo totale dei giorni cui ha diritto da contratto. Al soggetto sintomatico indirizzato dal medico curante all’Asl e tamponato dalle unità speciali di continuità assistenziale sarà sempre l’Asl a effettuare la comunicazione. Solo se il tampone lo fa il medico le cose cambiano ed è il camice ad annotare l’esito online per il servizio di prevenzione Asl.
Isolamento e quarantena – Il 12 ottobre 2020 una circolare del ministero della salute ha meglio differenziato l’isolamento per il Covid dalla quarantena per il contatto stretto di un positivo. E ha disposto che i positivi asintomatici in isolamento possano rientrare al lavoro dopo 10 giorni in presenza di un test molecolare negativo. I positivi che sviluppano la malattia potranno uscire dall’isolamento al 10° giorno dalla comparsa dei sintomi a condizione che siano trascorsi almeno 3 giorni senza sintomi, e che il test molecolare in 10ma giornata sia risultato negativo. Se il test risultasse ripetutamente positivo, sarà possibile uscire dall’isolamento al 21° giorno a condizione che la sintomatologia sia assente (non si tiene conto della persistente anosmia o ageusia). I contatti stretti sono obbligati alla quarantena di 14 giorni dall’esposizione al caso positivo, che potrà essere ridotta a 10 giorni, consentendo il ritorno al lavoro se un test in decima giornata -molecolare o anche rapido- risultasse negativo.

L’Inps – Fin qui i medici per porre in isolamento o quarantena -previa ordinanza Asl – pazienti positivi o contatti stretti hanno utilizzato il Codice V29 sulla base di circolari Inps, da usare anche per pazienti al rientro da paesi esteri con Covid; hanno altresì utilizzato il codice V07 per i pazienti immunodepressi, oncologici o effettuanti cure salvavita, da tenere lontani da ambiti lavorativi a rischio contagio Covid-19. Ma non in tutte le regioni i codici sono univoci. In Lombardia nei giorni scorsi, rispondendo ad un interpello ordinistico, il dirigente Inps Leonardo Sammartano ha chiarito che il codice V07 va usato non per i fragili ma per i positivi asintomatici, per i contatti stretti di positivi o di contatti di positivi, e per i soggetti rientranti da paesi indicati come a rischio dal Ministero degli Esteri, la cui tabella è aggiornata volta per volta. A chi sviluppa i sintomi vanno attribuiti invece i codici 480.3 per la polmonite da Covid e 079.82 per “infezione da coronavirus associata alla SARS”. Quanto ai lavoratori in condizioni di rischio, arriva un terzo codice, V15.A Bologna l’indirizzo Inps è quello di non usare il codice ma di far dettagliare la malattia al medico.



Regioni in tilt
 – Esemplifica il responsabile comunicazione Fimmg lucano Erasmo Bitetti che ai nuovi indirizzi sui codici «la Puglia si è adeguata, noi in Basilicata no. Preferiamo, in presenza di una disposizione del medico del lavoro, usare il codice diagnosi ICD della patologia prevalente del paziente (quella legata alla fragilità) e non più il codice V07 specificando che si tratta di “Patologia determinante inidoneità al lavoro secondo quanto disposto dal Medico tale con documento datato tot”. Per i codici V07, sia per il positivo in isolamento domiciliare sia per il contatto stretto in quarantena, i provvedimenti sono emessi in entrambi i casi dall’Asl all’interessato, al medico curante (che redige certificato Inps ed attestato per il datore di lavoro) e al sindaco.

Riepilogando – Il paziente positivo, sintomatico o asintomatico, rimane in isolamento 10 giorni e ne esce solo con l’esito negativo di un tampone molecolare sempre che sia senza sintomi; se il paziente positivo, pur asintomatico, non si negativizza resterà in isolamento non oltre il 21° giorno sempre che resti asintomatico. Il contatto stretto che ottenga un tampone, anche rapido, a 10 giorni dall’avvenuto contatto, se negativo è riammissibile al lavoro; se non ottiene il tampone esce comunque al 14° giorno. Se il contatto diventa positivo segue il percorso dei soggetti positivi.

Mauro Miserendino

COME RIDURRE IL RISCHIO COVID IN MENSA CON UN SIMULATORE

Da 01health

Dassault Systèmes ha annunciato che GEA, tra i principali fornitori dell’industria di processo alimentare e di una vasta gamma di altre industrie di processo al mondo, ha utilizzato le applicazioni Simulia, basate sulla piattaforma 3DExperience, per simulare il flusso d’aria all’interno delle mense aziendali di Oelde, in Germania, chiusa da marzo 2020 a causa della pandemia da Covid-19, e per capire meglio in che modo riaprire in sicurezza la struttura per i 1.900 dipendenti.

Consapevole che il coronavirus possa diffondersi attraverso le goccioline nell’aria, nel contesto dell’iniziativa “Ritorno al lavoro” intrapresa dall’azienda con l’obiettivo di riaprire completamente tutti i siti, GEA ha voluto esaminare la diffusione per via aerea delle particelle all’interno della mensa aziendale e visualizzare diversi scenari di sicurezza. La società ha quindi lavorato con Dassault Systèmes per costruire un gemello virtuale 3D della mensa, con parametri che includevano persone positive al virus che tossivano e starnutivano, per simulare il comportamento del flusso di particelle all’interno dello spazio. GEA è stata in grado in questo modo di sperimentare realmente come il virus possa diffondersi nell’aria e contaminare superfici come piatti, vassoi e tavoli. Il gemello virtuale ha anche rivelato aree inaspettate di alta concentrazione del virus.

GEA sta ora utilizzando i risultati della simulazione per identificare e implementare una strategia di gestione del rischio che risulti efficace nel rendere lo spazio della mensa più sicuro.  Ciò include una serie di modifiche, tra cui quelle delle entrate, delle uscite e della disposizione dei posti a sedere, la separazione della cucina della mensa dall’area di ristorazione, la modifica del sistema di ventilazione e l’adozione di ulteriori misure di sicurezza a tutela del personale di cucina.

GEA prevede di condividere con i dipendenti i video che mostrano i risultati della simulazione della diffusione di Covid-19 nelle mense, in modo da comunicare internamente in modo chiaro perché e come sono state adottate le nuove misure e quale ruolo ha giocato la tecnologia in questa strategia.

VACCINO PFIZER IN 300 PUNTI

Trecento punti per la distribuzione del vaccino anti-Covid in tutta Italia e l’avvio di un bando per l’acquisto di oltre 100 milioni di siringhe per la somministrazione del siero.

L’Italia si prepara alla grande campagna di vaccinazione contro il virus SarsCov2, una delle più grandi che siano mai state messe in atto, come l’ha definita il ministro della Salute Roberto Speranza, mentre il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli bolla come “assolutamente false” le affermazioni secondo cui il Paese “non si sta organizzando”.

Sul fronte della logistica, nei 300 i punti su tutto il territorio nazionale saranno distribuite le prime 3,4 milioni di dosi del vaccino della Pfizer che dalla fine di gennaio dovrebbero consentire di vaccinare 1,7 milioni di italiani. L’elenco è stato inviato da tutte le regioni al Commissario per l’Emergenza Domenico Arcuri in queste ore e comprende sia le strutture ospedaliere in grado di conservare e somministrare il vaccino sia le Rsa, che verranno servite attraverso le unità mobili. Nella lettera inviata alle Regioni con la quale Arcuri chiedeva ai presidenti di fornire l’elenco delle strutture idonee alla distribuzione e alla somministrazione, il Commissario indica che si potrebbe prevedere in questa prima fase di somministrare il vaccino direttamente nelle strutture ospedaliere e, tramite unità mobili, nei presidi residenziali per anziani. A consegnare il vaccino nei 300 punti individuati sarà direttamente la Pfizer, “per garantirne la sua integrità”.

Ogni presidio ospedaliero individuato, si legge ancora nella lettera, “dovrà essere in condizione di vaccinare almeno 2mila persone (o più persone ma con multipli di mille) in 15 giorni”.  Per gli altri vaccini in arrivo destinati a tutte le altre categorie di cittadini , si dice ancora nella lettera di Arcuri alle Regioni, “saranno previste modalità differenti di somministrazione, in linea con la ordinaria gestione vaccinale, attraverso una campagna su larga scala” utilizzando anche i drive in o, ma sono ancora ipotesi, anche palazzetti, fiere e palestre, “a partire dalle persone con un elevato livello di fragilità”. Al via anche il bando per l’acquisto di oltre 100 milioni di siringhe: le aziende avranno 15 giorni di tempo dalla pubblicazione della richiesta per presentare le offerte e a quel punto ci sarà la selezione.  Intanto, diventa sempre più ampio il portafoglio di vaccini anti-Covid di cui l’Europa si sta dotando.

La presidente della commissione europea Ursula von der Leyen ha infatti annunciato che il 25 novembre sarà approvato un nuovo contratto con l’azienda Usa Moderna, il cui candidato vaccino potrebbe ricevere l’approvazione da parte dell’ente regolatorio per i farmaci statunitense Fda l’11 dicembre. Se ci sarà l’approvazione, ha affermato il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani Giuseppe Ippolito, “dal giorno successivo, e cioè dal 12 dicembre, potrà essere avviata la macchina per il piano di vaccinazione in Usa”. Il contratto tra Bruxelles e Moderna prevede la fornitura fino a 160 milioni di dosi del vaccino. Si tratta del sesto contratto per la fornitura di vaccini in Europa, dopo quelli con le aziende AstraZeneca (per 400 mln di dosi), Sanofi-Gsk (300 mln), Johnson & Johnson (fino a 400 mln), BioNTech-Pfizer (fino a 300 mln) e CureVac (fino a 405 mln). L’Europa sta lavorando anche ad un settimo contratto. “Stiamo costruendo uno dei più completi portafogli di vaccini per il Covid-19 al mondo”, ha detto von der Leyen.

Ma, a livello mondiale, la corsa ai vaccini si fa sempre più serrata.  L’ultimo annuncio riguarda il vaccino russo Sputnik V che, ha reso noto l’istituto di ricerca Gamaleya, ha un’efficacia “superiore al 95%”. Sul fronte italiano, fa significativi passi avanti il vaccino made in Italy dell’azienda biotech ReiThera in collaborazione con l’Istituto Spallanzani: è ben tollerato e induce risposta immunitaria nei soggetti sani di età compresa tra i 18 e i 55 anni. La Fase 1 avanza ora nei soggetti di età compresa tra i 65 e gli 85 anni. L’arruolamento dei volontari più anziani sta procedendo e l’azienda prevede di comunicare entro la fine dell’anno i primi risultati dello studio.