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INAIL : MALATTIE PROFESSIONALI RESPIRATORIE

Le patologie respiratorie dei lavoratori possono essere direttamente o indirettamente correlate a fattori di rischio professionale di tipo fisico, chimico e biologico.

Immagine MalProf, Le malattie professionali dell'apparato respiratorio

Le broncopneumopatie che riconoscono fattori e cofattori eziologici professionali sono oggetto di attenzione sia per la loro frequenza sia perché spesso rappresentano un’importante causa di invalidità. Molte sostanze, inoltre, sono irritanti e/o allergizzanti per l’apparato respiratorio, che rappresenta la loro porta di ingresso. Le patologie che più frequentemente si presentano all’osservazione sono le pnemoconiosi, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), l’asma bronchiale, le alveoliti allergiche estrinseche e i tumori polmonari. Lo studio intende fornire una panoramica dei più recenti dati statistici in Italia sulle malattie professionali dell’apparato respiratorio, definendo ampiezza e distribuzione del fenomeno tra i vari settori lavorativi, per valutare i fattori di rischio ad esse connessi al fine di contribuire nelle scelte di prevenzione.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

INAIL MALATTIE PROFESSIONALI DELLA PELLE

La scheda sulle malattie della pelle segue il format della Collana Malprof che, dopo aver inquadrato il problema a livello internazionale (e specialmente europeo) e circostanziato la situazione italiana, analizza le differenze tra i settori economici o tra le professioni in termini di nessi di causa con le patologie considerate.

Immagine Malprof, Malattie della pelle: analisi per comparti economici e professioni dei lavoratori

Risultano più colpite le lavoratrici giovani, ma ciò dipende soprattutto dalla breve latenza di queste malattie e dalle professioni più a rischio, svolte principalmente dalle donne (infermiere, parrucchiere, estetiste, addette alle pulizie), che originano vari tipi di dermatiti da contatto. L’adozione dei principi basilari della prevenzione potrebbe arginare il fenomeno.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

APPLE WATCH E SALUTE

Le prossime versioni dell’Apple Watch potrebbero essere in grado di monitorare parametri come la pressione del sangue, i livelli di glucosio e persino il tasso alcolemico. Lo afferma il sito specializzato MacRumors, sulla base della rivelazione da parte della start up inglese Rockley Photonics, che ha sviluppato dei sensori specializzati in queste misure, di avere come cliente principale proprio la casa di Cupertino.     La tecnologia messa a punto da Rockley si basa su sensori di tipo ottico, che rilevano i livelli delle sostanze attraverso la pelle. L’azienda, che sta per essere quotata a New York, ha scritto nei documenti per la quotazione che “Apple è responsabile della maggior parte dei ricavi degli ultimi due anni”, in virtù di un accordo di fornitura e sviluppo che sarà attivo anche nei prossimi anni. 

La prossima generazione di sensori Rockley, ipotizza il sito, dovrebbe arrivare il prossimo anno, in concomitanza con il lancio dei modelli della serie 8 degli Apple Watch.

Da dottnet.it

RICHIAMO COVID PER I SANITARI IN AUTUNNO?

Da ilsole24ore

Vaccini: ipotesi richiami già in autunno per sanitari

L’Italia potrebbe vivere una campagna vaccinale senza soluzione di continuità. Se tra settembre e ottobre prossimi si raggiungerà l’agognata immunità di gregge con almeno il 70% degli italiani vaccinati (42 milioni) già da novembre potrebbero partire i richiami del vaccino per chi si è immunizzato per primo.
Tra fine gennaio e fine aprile di quest’anno hanno ricevuto infatti già una doppia dose di vaccino 6 milioni di italiani: innanzitutto gli oltre 2 milioni di sanitari, i primi in assoluto a ricevere il siero contro il Covid e per i quali c’è anche un obbligo a vaccinarsi, e poi circa 4 milioni di over 80 e fragili.

Quanto dura la copertura del vaccino?

Da loro potrebbe ripartire la nuova campagna vaccinale che viene considerata ormai scontata se il virus, come sembra, diventerà endemico. Meno scontato al momento è quando potrebbe scattare questa nuova immunizzazione di massa che potrebbe partire appunto privilegiando le fasce più a rischio: il tema è dibattuto a livello scientifico  ed è legato alla durata della copertura del vaccino su cui si aspettano ancora dati definitivi. I più cauti parlano di una copertura di circa 9 mesi che per queste prime categorie scadrebbe appunto in autunno, ma le difese potrebbero durare anche fino a un anno.

VACCINI PER GLI UNDER 60 ANNI E CON COMORBILITA’

Da ilsole24ore

Appena messi in sicurezza gli ultra 65enni, la campagna vaccinale si aprirà a tutte le classi di età, ha detto il commissario per l’emergenza Covid Francesco Figliuolo illustrando i prossimi passi dell’operazione. Ma anche nella nuova fase è prevista una corsia preferenziale per i vulnerabili: si tratta delle persone di età inferiore ai 60 anni con “comorbidità”, vale a dire la categoria prioritaria numero 4 del Piano nazionale vaccinale dopo l’elevata fragilità (categoria 1), le persone di età compresa tra 70 e 79 anni (categoria 2) e persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni. Fanno parte di questa platea le «persone affette da patologie o situazioni di compromissione immunologica che possono aumentare il rischio di sviluppare forme severe di Covid-19 seppur senza quella connotazione di gravità riportata per le persone fragili».

Le patologie

L’elenco delle patologie (150) è inserito nella tabella 3 delle Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-Covid. Si tratta di undici aree: malattie respiratorie, cardiocircolatorie, neurologiche, diabete/ altre endocrinopatie, Hiv, insufficienza renale, ipertensione arteriosa, malattie autoimmuni, malattie epatiche, cerebrovascolari e malattie oncologiche. Nel piano la platea è formata da persone con meno di 60 anni. Ma annunciando che «a brevissimo» saranno aperte le prenotazioni per chi ha «comorbidità legate ai codici di esenzione» Figliuolo ha fatto riferimento solo alla categoria fino ai 55 anni. Intanto, però, alcune Regioni sono già partite seguendo criteri diversi.

CODICE ESENZIONEDESCRIZIONE
014.303SINDROME DA DIPENDENZA DA ALCOOL
014.304DIPENDENZA DA DROGHE
017.345EPILESSIE
038.332MORBO DI PARKINSON
051SOGGETTI NATI CON CONDIZIONI DI GRAVI DEFICIT FISICI, SENSORIALI E NEUROPSICHICI
005.307.1ANORESSIA NERVOSA
005.307.51BULIMIA
011.290.0DEMENZA SENILE, NON COMPLICATA
011.290.1DEMENZA PRESENILE
011.290.2DEMENZA SENILE CON ASPETTI DELIRANTI O DEPRESSIVI
011.290.4DEMENZA ARTERIOSCLEROTICA
011.291.1SINDROME AMNESICA DA ALCOOL
011.294.0SINDROME AMNESICA
029.331.0MALATTIA DI ALZHEIMER
038.333.0ALTRE MALATTIE DEGENERATIVE DEI NUCLEI DELLA BASE
038.333.1TREMORE ESSENZIALE ED ALTRE FORME SPECIFICATE DI TREMORE
038.333.5ALTRE FORME DI COREA
044.295.0PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO SEMPLICE
044.295.1PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO DISORGANIZZATO
044.295.2PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO CATATONICO
ESENZIONEDESCRIZIONE
044.295.3PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO PARANOIDE
044.295.5SCHIZOFRENIA LATENTE
044.295.6SCHIZOFRENIA RESIDUALE
044.295.7PSICOSI SCHIZOFRENICA TIPO SCHIZOAFFETTIVO
044.295.8ALTRI TIPI SPECIFICATI DI SCHIZOFRENIA
044.296.0MANIA, EPISODIO SINGOLO
044.296.1MANIA, EPISODIO RICORRENTE
044.296.2DEPRESSIONE MAGGIORE, EPISODIO SINGOLO
044.296.3DEPRESSIONE MAGGIORE, EPISODIO RICORRENTE
044.296.4SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO MANIACALE
044.296.5SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO DEPRESSIVO
044.296.6SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO MISTO
044.296.7SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, NON SPECIFICATA
044.296.8PSICOSI MANIACO-DEPRESSIVA, ALTRA E NON SPECIFICATA
044.297.0STATO PARANOIDE SEMPLICE
044.297.1PARANOIA
044.297.2PARAFRENIA
044.297.3SINDROME PARANOIDE A DUE
044.297.8ALTRI STATI PARANOIDI SPECIFICATI
044.298.0PSICOSI DI TIPO DEPRESSIVO
011.290.4DEMENZA ARTERIOSCLEROTICA
011.290.1DEMENZA PRESENILE
011.290.2DEMENZA SENILE CON ASPETTI DELIRANTI O DEPRESSIVI
011.290.0DEMENZA SENILE, NON COMPLICATA
044.296.3DEPRESSIONE MAGGIORE, EPISODIO RICORRENTE
044.296.2DEPRESSIONE MAGGIORE, EPISODIO SINGOLO
059.694.0DERMATITE ERPETIFORME
012.253.5DIABETE INSIPIDO
013.250DIABETE MELLITO
014.304DIPENDENZA DA DROGHE
0A02.V45.0DISPOSITIVO CARDIACO POSTCHIRURGICO
0A02.V45.0DISPOSITIVO CARDIACO POSTCHIRURGICO IN SITU
0A02.426DISTURBI DELLA CONDUZIONE
0A02.429.4DISTURBI FUNZIONALI CONSEGUENTI A CHIRURGIA CARDIACA
044.299.0DISTURBO AUTISTICO
0C02.444EMBOLIA E TROMBOSI ARTERIOSE
0C02.453EMBOLIA E TROMBOSI DI ALTRE VENE
009.555ENTERITE REGIONALE
016.070.54EPATITE C CRONICA SENZA MENZIONE DI COMA EPATICO
016.571.4EPATITE CRONICA
016.070.33EPATITE VIRALE B CRONICA, SENZA MENZIONE DI COMA EPATICO, CON EPATITE DELTA
016.070.32EPATITE VIRALE B CRONICA, SENZA MENZIONE DI COMA EPATICO, SENZA MENZIONE DI EPATITE DELTA
016.070.9EPATITE VIRALE NON SPECIFICATA SENZA MENZIONE DI COMA EPATICO
017.345EPILESSIE
0C02.447.0FISTOLA ARTEROVENOSA ACQUISITA
061.582.4GLOMERULONEFRITE CRONICA CON LESIONI DI GLOMERULONEFRITE RAPIDAMENTE PROGRESSIVA
061.582.2GLOMERULONEFRITE CRONICA CON LESIONI DI GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA
061.582.1GLOMERULONEFRITE CRONICA CON LESIONI DI GLOMERULONEFRITE MEMBRANOSA (COMPRESA LA GLOMERULOSCLEROSI FOCALE)
035.242.2GOZZO MULTINODULARE TOSSICO
035.242.3GOZZO NODULARE TOSSICO NON SPECIFICATO
035.242.0GOZZO TOSSICO DIFFUSO
035.242.1GOZZO TOSSICO UNINODULARE
020.042INFEZIONE DA VIRUS DELLA IMMUNODEFICIENZA UMANA (HIV)
020.079.53INFEZIONE DA VIRUS DELLA IMMUNODEFICIENZA UMANA, TIPO 2 [HIV2]
023.585INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
024.518.83INSUFFICIENZA RESPIRATORIA (CRONICA)
0C02.557.1INSUFFICIENZA VASCOLARE CRONICA DELL’INTESTINO
026.252.0IPERPARATIROIDISMO
0031.405.0IPERTENSIONE
0A31.401IPERTENSIONE ESSENZIALE
031.401IPERTENSIONE ESSENZIALE
A031.401IPERTENSIONE ESSENZIALE
0031.405IPERTENSIONE SECONDARIA
026.252.1IPOPARATIROIDISMO
027.244IPOTIROIDISMO ACQUISITO
027.243IPOTIROIDISMO CONGENITO
028.710.0LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO
0A02.416MALATTIA CARDIOPOLMONARE CRONICA
059.579.0MALATTIA CELIACA
029.331.0MALATTIA DI ALZHEIMER
030.710.2MALATTIA DI SJOGREN
0A02.395MALATTIE DELLA VALVOLA AORTICA
0A02.394MALATTIE DELLA VALVOLA MITRALE
0A02.396MALATTIE DELLE VALVOLE MITRALE E AORTICA
0A02.397MALATTIE DI ALTRE STRUTTURE ENDOCARDICHE
067.710.9MALATTIE DIFFUSE DEL CONNETTIVO NON SPECIFICATE
044.296.1MANIA, EPISODIO RICORRENTE
044.296.0MANIA, EPISODIO SINGOLO
034.358.0MIASTENIA GRAVE
038.332MORBO DI PARKINSON
039.253.3NANISMO IPOFISARIO
0031.403NEFROPATIA IPERTENSIVA
0B02.434OCCLUSIONE DELLE ARTERIE CEREBRALI
0B02.433OCCLUSIONE E STENOSI DELLE ARTERIE PRECEREBRALI
044.297.2PARAFRENIA
044.297.1PARANOIA
061.590.0PIELONEFRITE CRONICA
044.298.0PSICOSI DI TIPO DEPRESSIVO
044.299.1PSICOSI DISINTEGRATIVA
044.296.8PSICOSI MANIACO-DEPRESSIVA, ALTRA E NON SPECIFICATA
044.298.4PSICOSI PARANOIDE PSICOGENA
044.295.7PSICOSI SCHIZOFRENICA TIPO SCHIZOAFFETTIVO
044.295.2PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO CATATONICO
044.295.1PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO DISORGANIZZATO
044.295.3PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO PARANOIDE
044.295.0PSICOSI SCHIZOFRENICHE TIPO SEMPLICE
044.298.1PSICOSI, TIPO AGITATO
061.587RENE GRINZO GLOMERULONEFRITICO
062.753.13RENE POLICISTICO AUTOSOMICO DOMINANTE
0031.362.11RETINOPATIA IPERTENSIVA
RH0011SARCOIDOSI
044.295.5SCHIZOFRENIA LATENTE
044.295.6SCHIZOFRENIA RESIDUALE
RM0120SCLEROSI SISTEMICA
047.710.1SCLEROSI SISTEMICA (PROGRESSIVA)
044.296.5SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO DEPRESSIVO
044.296.4SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO MANIACALE
044.296.6SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, EPISODIO MISTO
044.296.7SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE, NON SPECIFICATA
011.294.0SINDROME AMNESICA
011.291.1SINDROME AMNESICA DA ALCOOL
014.303SINDROME DA DIPENDENZA DA ALCOOL
032.255.0SINDROME DI CUSHING
006.714.1SINDROME DI FELTY
061.581.2SINDROME NEFROSICA CON LESIONI DI GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA
061.581.1SINDROME NEFROSICA CON LESIONI DI GLOMERULONEFRITE MEMBRANOSA
044.297.3SINDROME PARANOIDE A DUE
0C02.459.1SINDROME POSTFLEBITICA
048SOGGETTI AFFETTI DA PATOLOGIE NEOPLASTICHE MALIGNE E DA TUMORI DI COMPORTAMENTO INCERTO
051SOGGETTI NATI CON CONDIZIONI DI GRAVI DEFICIT FISICI, SENSORIALI E NEUROPSICHICI
054.720.0SPONDILITE ANCHILOSANTE
044.297.0STATO PARANOIDE SEMPLICE
0C02.447.1STENOSI DI ARTERIA
056.245.2TIROIDITE LINFOCITARIA CRONICA
038.333.1TREMORE ESSENZIALE ED ALTRE FORME SPECIFICATE DI TREMORE
036.443.1TROMBOANGIOITE OBLITERANTE (MORBO DI BUERGER)
0C02.452TROMBOSI DELLA VENA PORTA
0A02.V43.3VALVOLA CARDIACA SOSTITUITA CON ALTRI MEZZI
0A02.V42.2VALVOLA CARDIACA SOSTITUITA DA TRAPIANTO
0C02.V43.4VASO SANGUIGNO SOSTITUITO CON ALTRI MEZZI

VACCINI COVID E IMMUNODEPRESSI

I trapiantati di organi e coloro che assumono determinati farmaci che attenuano il sistema immunitario, l’efficacia è meno garantita o addirittura assente.

Per Eva Schrezenmeier, nefrologa del Charité University Hospital di Berlino, la notizia fa riflettere: tra i 40 pazienti con reni trapiantati nel suo ospedale che erano stati vaccinati contro COVID-19, solo uno stava sfornando gli anticorpi che probabilmente lo avrebbero protetto. la malattia. Poiché i pazienti trapiantati assumono farmaci potenti per sopprimere il sistema immunitario in modo che non attacchi un organo donato, il suo team si aspettava una riduzione delle risposte a un vaccino. Ma Schrezenmeier, che ha pubblicato un preprint descrivendo il suo studio la scorsa settimana, non aveva previsto quanto il vaccino potesse vacillare nei suoi pazienti.

La sua scoperta è all’estremo sinistro della ricerca su come funzionano i vaccini COVID-19 nei molti milioni di persone il cui sistema immunitario è soppresso da farmaci o malattie. In molti, i vaccini sembrano mantenere la loro potenza. Ma in altri, in particolare i riceventi di trapianto di organi e coloro che assumono determinati farmaci che attenuano il sistema immunitario, l’efficacia è meno garantita o addirittura assente. Per saperne di più, i ricercatori stanno avviando studi più ampi, cercando maggiore chiarezza e modi per aiutare i pazienti il ​​cui sistema immunitario indebolito rende la protezione contro COVID-19 ancora più urgente. “C’è molta confusione e paura tra i pazienti”, dice Alfred Kim, un reumatologo presso la Washington University di St. Louis che si prende cura delle persone con la malattia autoimmune lupus e sollecita fortemente la vaccinazione per loro.

Una fonte di complessità: le dozzine di diversi farmaci assunti da persone con cancro, malattie autoimmuni o altre malattie immunologiche o un trapianto di organi. Ciascuno può innestare diversi ingranaggi nell’intricato meccanismo del sistema immunitario. Anche il disturbo fa la differenza. I tumori solidi come il cancro del colon di solito non interferiscono con il sistema immunitario (sebbene la chemioterapia lo faccia). Ma malattie autoimmuni o tumori del sangue come la leucemia e il linfoma possono a loro volta esaurire o interrompere alcuni tipi di cellule immunitarie.

Ricerche passate già suggerivano che i vaccini possono vacillare in alcuni pazienti immunosoppressi. Kim dice che i vaccini contro l’influenza e lo pneumococco non sempre funzionano altrettanto bene nelle persone che assumono alcuni comuni immunosoppressori, come il metotrexato, che cura il cancro e le malattie autoimmuni. E  uno studio del 2012 ha  rilevato che solo il 44% dei malati di cancro in trattamento ha prodotto anticorpi contro l’influenza dopo una dose di vaccino antinfluenzale; la maggior parte è stata vaccinata per la prima volta 1 settimana dopo la chemioterapia. I ricercatori hanno raccomandato due dosi dopo aver scoperto che una seconda dose ha aumentato il numero al 73%.

Quando hanno iniziato ad analizzare i campioni di sangue dopo la vaccinazione COVID-19, gli scienziati non erano sicuri di come le persone con soppressione immunitaria avrebbero risposto ai vaccini. Anche la protezione della misurazione è una sfida: i vaccini sono progettati per stimolare la produzione di anticorpi, ma gli scienziati non sanno quali livelli sono necessari per proteggersi dal COVID-19. Gli anticorpi sono più facili da misurare rispetto alle risposte delle cellule T, ma anche questi svolgono un ruolo importante nella protezione dalle malattie.

Tuttavia, in un contesto di ricerca, la caccia agli anticorpi può fornire importanti indizi. Nel dicembre 2020, i chirurghi trapianti Dorry Segev e Jacqueline Garonzik Wang della Johns Hopkins University hanno lanciato un appello sui social media per i riceventi di organi disposti a partecipare a uno studio sul vaccino COVID-19. “Avevamo 1000 iscritti nella prima settimana”, dice Segev. A marzo, il team di ricerca ha pubblicato i dettagli su  JAMA  delle risposte immunitarie dei partecipanti  alla prima dose  dei vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna. I risultati prefigurano quelli di Schrezenmeier: tra 436 persone che avevano subito trapianti di fegato, cuore, reni e altri organi, solo il 17% aveva anticorpi rilevabili.

Tuttavia, i risultati variavano in base ai farmaci che i volontari stavano assumendo. Solo il 9% di quelli su una classe di farmaci che include il micofenolato immunosoppressore aveva alcuni anticorpi, rispetto a circa il 40% di quelli che non assumevano farmaci in quella categoria. Il micofenolato inibisce la produzione di entrambi i linfociti B, che generano anticorpi, e dei linfociti T, che aiutano i linfociti B a svolgere il loro lavoro.

Segev dice che lui ei suoi colleghi sono vicini alla condivisione dei risultati della seconda dose di vaccino della sua coorte, che mostrano un certo miglioramento. Però, è sorpreso che questi pazienti sottoposti a trapianto di organi sembrano rispondere ancora meno bene ai vaccini COVID-19 rispetto ai vaccini antinfluenzali. Per saperne di più, sta studiando i loro linfociti T, B e altre risposte immunitarie. “Stiamo iniziando a provare a dire: ‘Cosa sta succedendo qui? Perché è così cattivo?'”

Sebbene Segev sia preoccupato per i circa 500.000 pazienti trapiantati negli Stati Uniti, sospetta che il quadro sia molto più luminoso per gli 11 milioni di persone con malattie autoimmuni, che tendono a prendere diverse combinazioni di trattamenti immunitari oa cavarsela con dosi più basse. La scorsa settimana, un articolo su  Gastroenterology ha  riferito che  48 persone con malattia di Crohn o colite ulcerosa , quasi tutte in terapia con farmaci immunitari, hanno risposto bene alla vaccinazione. Dei 26 che i ricercatori hanno seguito con entrambe le dosi di vaccino, tutti hanno prodotto anticorpi, 22 a livelli elevati.

Ma un altro studio, su  133 persone con varie malattie autoimmuni , ha suggerito che due tipi di farmaci possono agire come un martello contro la risposta al vaccino. Il lavoro, pubblicato questo mese come preprint da Kim, la reumatologa Mary Nakamura dell’Università della California, San Francisco, e dai loro colleghi, ha mostrato che in media i soggetti producevano circa un terzo degli anticorpi rispetto alle persone vaccinate sane: una differenza questo non riguarda molto Kim. Ma le persone in terapia che distruggono le cellule B, come il rituximab, e il potente prednisone steroideo avevano livelli molto più bassi. Sono in corso studi più ampi su questi pazienti, compreso quello annunciato la scorsa settimana dall’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive.

Nei malati di cancro, la risposta al vaccino dipende probabilmente almeno in parte dai tempi, perché i cicli di chemioterapia alternano le cellule immunitarie e consentono loro di rimbalzare, afferma Giuseppe Curigliano, oncologo dell’Istituto europeo di oncologia di Milano. L’anno scorso ha riferito che i malati di cancro in chemioterapia hanno  prodotto abbondanti anticorpi  dopo un attacco di COVID-19, lasciandolo ottimista sul fatto che i vaccini funzioneranno bene per loro. Il suo centro attende un paio di settimane dopo un ciclo di chemioterapia per offrire un’iniezione di COVID-19. Allo stesso modo, uno studio del Regno Unito ha dimostrato che, sebbene molti pazienti in trattamento per tumori solidi abbiano avuto una risposta irrisoria alla prima dose di vaccino rispetto ai volontari sani, sono apparsi  ben protetti dopo la seconda. I ricercatori scrivono che i risultati evidenziano i rischi di ritardare le dosi di vaccino nei malati di cancro, contrariamente alla pratica del paese in tutta la sua popolazione.

C’è una preoccupazione fastidiosa, però, quando si tratta di persone con tumori del sangue. Ghady Haidar, specialista in malattie infettive dei trapianti presso il Centro medico dell’Università di Pittsburgh, ha  risultati preliminari su pazienti con leucemia, linfoma e mieloma multiplo che  suggeriscono che una frazione considerevole non produce anticorpi dopo la vaccinazione, in particolare quelli con una forma di leucemia cronica. Forse, dice, questo accade perché i pazienti “hanno difetti nella circolazione dei globuli bianchi”.

Medici come Haidar affermano che i pazienti spesso chiedono se interrompere l’assunzione di farmaci immunosoppressori prima di essere vaccinati, suggerendo scelte difficili. “Nessuno dovrebbe interrompere furtivamente i farmaci in modo che possano rispondere ai vaccini”, dice. Per alcuni pazienti, saltare il trattamento può essere pericoloso, ma a volte i medici possono ritardare l’infusione di una terapia nota per rendere più difficile il lavoro di un vaccino.

Per i pazienti che non sembrano protetti dalle vaccinazioni standard, possono essere utili dosi extra. Alcuni riceventi di organi ricevono già dosi extra di vaccino contro l’epatite B e questo mese la Francia ha raccomandato di ricevere una terza dose del vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19. Christophe Legendre, nefrologo al Necker Hospital di Parigi, sta pianificando test anticorpali per vedere come funziona l’approccio nei pazienti trapiantati. Altri ricercatori affermano che gli anticorpi monoclonali fabbricati in laboratorio potrebbero rafforzare la protezione per i pazienti che ancora non rispondono. (Sebbene gli studi clinici abbiano dimostrato che gli anticorpi monoclonali  possono prevenire l’infezione , finora sono autorizzati solo per il trattamento di COVID-19 in stadio iniziale.)

A Berlino, Schrezenmeier intende offrire i vaccini AstraZeneca o Johnson & Johnson ad alcuni pazienti già vaccinati con un altro vaccino COVID-19. La miscelazione dei vaccini migliorerà la loro efficacia? “Non lo so”, ammette. Ma immagina che dare al sistema immunitario due scosse diverse a volte possa fare la differenza. Il volontario solitario del trapianto di rene nel suo studio che ha prodotto anticorpi dopo la vaccinazione era già sopravvissuto al COVID-19, il che potrebbe aver contribuito a dare il via a una risposta immunitaria contro di esso.

fonte: Science

VACCINO MODERNA E TERZO RICHIAMO

da dottnet.it

L’immunoprotezione dall’infezione puó indebolirsi nel tempo man mano che cala il livello di anticorpi neutralizzanti e quindi un richiamo potrebbe servire entro un anno dalla seconda dose

L’immunità data dal vaccino anti-Covid di Moderna potrebbe durare circa 7-8 mesi, in modo simile a quanto avviene per l’influenza, rendendo necessario un nuovo richiamo entro 12 mesi dalla vaccinazione. Lo spiega la stessa azienda nei dati presentati nel suo Vaccine Day la scorsa settimana e in uno studio dell’Università del Nuovo Galles pubblicato sul sito medrXiv, dove vengono messe le ricerche ancora non validate dalla comunità scientifica.     Secondo i suoi modelli, l’immunoprotezione dall’infezione puó indebolirsi nel tempo man mano che cala il livello di anticorpi neutralizzanti e quindi un richiamo potrebbe servire entro un anno dalla seconda dose. Tuttavia, spiega l’azienda, la protezione dalla forma grave dell’infezione potrebbe durare più a lungo. Sulla base dei dati finora disponibili sugli anticorpi neutralizzanti, secondo lo studio, la protezione potrebbe essere simile a quella vista contro le infezioni da influenza e coronavirus stagionali, dove è possibile una re-infezione dopo un anno dalla prima infezione ma in forma più lieve. In modo simile, dopo il vaccino antinflenzale, l’efficacia della sua protezione si stima cali di circa il 7% al mese.

CONTAGIO COVID AL CHIUSO PERMANENZA VS DISTANZA

Più che alla distanza interpersonale, negli ambienti chiusi bisognerebbe prestare maggior attenzione al tempo che vi si trascorre per ridurre il rischio di contagio del virus Sars-Cov-2

Scuola, si inizia il 14 settembre: tamponi e distanza di un metro

Il distanziamento interpersonale è una delle misure fondamentali per riuscire a tenere sotto controllo la pandemia da Covid-19 e abbassare il rischio di contagio del coronavirus. Tuttavia, negli ambienti al chiuso il discorso potrebbe leggermente cambiare: la distanza di sicurezza, infatti, potrebbe non bastare a proteggere dal contagio se il tempo in cui stiamo in un luogo chiuso è piuttosto prolungato. A giungere a questa conclusione sono stati due ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit), che in un nuovo studio pubblicato su Pnas, dimostrano che il rischio di esposizione alla Covid-19 può essere tanto grande a 18 metri quanto a 2 metri in un ambiente chiuso, anche quando si indossa una mascherina. Ecco perché.

Prendendo in considerazione i molteplici fattori che possono influenzare la trasmissione del coronavirus in un ambiente chiuso, come la grandezza dello spazio, il numero di persone, la quantità di tempo, la circolazione dell’aria, l’uso di mascherine e addirittura le diverse attività come respirare, mangiare, parlare e cantare, i due autori dello studio, Martin Z. Bazant e John W.M. Bush, hanno sviluppato un modello in grado di calcolare il rischio di esposizione al Covid-19 in un ambiente interno e dare una stima di quanto tempo ci vorrebbe, in determinate circostanze, di essere contagiati. La loro conclusione, che mette in discussione le linee guida che raccomandano un distanziamento interpersonale generico di 2 metri, è che stare alla distanza raccomandata potrebbe non essere sufficiente quando si è in un luogo al chiuso per lunghi periodi di tempo.

coronavirus distanza

In sostanza, quindi, più che alla distanza, bisognerebbe prestare maggior attenzione al tempo di permanenza. Più a lungo qualcuno è in un luogo chiuso con una persona infetta, maggiore è la possibilità di trasmissione del virus. “Il nostro studio indica che la raccomandazione dei due metri non è sufficiente per limitare la trasmissione aerea interna della Covid-19: bisogna anche limitare il tempo trascorso in uno spazio interno”, spiegano alla Cnbc i due ricercatori. “Abbiamo dimostrato che questo limite di tempo dipende da fattori come la ventilazione e il filtraggio dell’ambiente a e l’uso delle mascherine.

Come raccontano i ricercatori, spazi piccoli e scarsamente ventilati, dove molte persone trascorrono molto tempo insieme, espongono a un maggior rischio di contagio del coronavirus. “Purtroppo, una casa di cura è tra questi casi. Se i pazienti Covid-19 vivono insieme 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in alcuni casi anche nella stessa stanza, questo è lo scenario peggiore in assoluto, soprattutto data la loro vulnerabilità”, ha aggiunto Bazant. Mentre, dall’altra parte, non c’era bisogno di chiudere molti altri luoghi. “Spesso lo spazio è abbastanza grande, la ventilazione è abbastanza buona, la quantità di tempo che le persone trascorrono insieme è tale che quegli spazi possono essere gestiti in sicurezza”.

Tutta questa attenzione sulla distanza, criticano gli autori dello studio, è stata fuori luogo sin dall’inizio. Oltre alle droplet, infatti, è ormai noto che la trasmissione aerea gioca un ruolo fondamentale nella diffusione del coronavirus: quelle piccole goccioline espirate da una persona infetta si mescolano con il calore corporeo e le correnti d’aria per viaggiare in tutto uno spazio chiuso e mettere tutti quelli che ci si trovano a rischio di contagio per via aerea. “La distanza non ci aiuta più di tanto e ci dà anche un falso senso di sicurezza. Perché potresti essere al sicuro a 2 come a 18 metri se sei al chiuso e c’è una buona ventilazione e filtrazione dell’aria”, aggiunge l’esperto. “Tutti in uno spazio chiuso corrono più o meno lo stesso rischio, in realtà”.

da wired.it

Lavoratori fragili, sorveglianza sanitaria eccezionale fino al 31 luglio

Lavoratori fragili, la sorveglianza sanitaria eccezionale continua a seguire lo stato di emergenza, arriva la proroga fino al 31 luglio 2021. I datori di lavoro pubblici o privati possono continuare a richiedere la visita medica ai servizi territoriali INAIL tramite il portale istituzionale. Le istruzioni da seguire.

Come diverse altre misure, la necessità di tutelare i lavoratori fragili con la sorveglianza sanitaria eccezionale segue i tempi dello stato di emergenza e viene prorogata fino al 31 luglio 2021.

Bisogna, quindi, continuare a mettere in pratica gli “atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”, come si legge nella descrizione fornita dall’INAIL.

Stando alle novità introdotte, anche dopo il 30 aprile i datori di lavoro pubblici e privati devono continuare a garantire questa forma di tutela ai dipendenti, quelli che non sono tenuti alla nomina del medico competente per farlo possono scegliere di nominarne uno o richiedere la visita medica ai servizi territoriali INAIL tramite il portale istituzionale.

Lavoratori fragili, sorveglianza sanitaria eccezionale fino al 31 luglio 2021

La sorveglianza sanitaria eccezionale che il datore di lavoro deve assicurare ai lavoratori fragili rientra nella lista delle misure prorogate insieme allo stato di emergenza al 31 luglio 2021.

A prevederlo è l’articolo 11 del DL numero 52 del 2021, il cosiddetto Decreto Riaperture.

Il testo, infatti, interviene sui tempi di applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 83 del Decreto Rilancio che stabilisce la necessità di “assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”.

datori di lavoro pubblici o privati che non sono tenuti alla nomina del medico competente hanno due modalità per tutelare i lavoratori fragili:

  • nominarne uno per il periodo emergenziale;
  • richiedere un’apposita visita medica ai servizi territoriali INAIL.

Come si legge nella notizia pubblicata il 23 aprile dall’Istituto, per farlo è possibile utilizzare il portale istituzionale.

Lavoratori fragili, la sorveglianza sanitaria eccezionale: come richiedere la visita medica INAIL

Dal punto di vista pratico, l’attività di sorveglianza sanitaria eccezionale consiste in una visita medica per quei lavoratori e quelle lavoratrici che per malattie croniche, patologie oncologiche, con immunodepressione anche correlata a terapie salvavita in corso, o per co-morbilità, valutate anche in relazione dell’età, corrono un rischio più alto.

Come si individua il concetto di fragilità? Nelle condizioni dello stato di salute che potrebbero determinare, in caso di infezione da Covid, un esito più grave.

Con il servizio online INAIL dedicato alla sorveglianza sanitaria eccezionale, i datori di lavoro che non sono tenuti alla nomina di un medico competente possono richiedere la visita all’Istituto direttamente online.

Per accedere alla funzione del portale, è necessario essere muniti di credenziali dispositive che le aziende possono acquisire anche tramite:

  • Spid;
  • Inps;
  • Carta nazionale dei servizi (Cns);
  • con l’invio dell’apposito modulo da inoltrare attraverso i servizi online o da consegnare presso le sedi territoriali Inail.

Inviata la richiesta dal datore di lavoro, o da un suo delegato solo dopo aver compilato il modulo dedicato, l’INAIL individua il medico della sede territoriale più vicina al domicilio del lavoratore.

Sulla base dell’esito della visita medica, e quindi nel caso in cui sia accertata la condizione di fragilità, verranno fornite le indicazioni del caso per adottare soluzioni capaci di tutelare la salute del lavoratore o della lavoratrice per fronteggiare il rischio da coronavirus.

Se non esistono soluzioni alternative, viene formulato un giudizio di non idoneità temporanea.

Sul portale, infine, si legge:

“Successivamente all’invio del giudizio di idoneità, il datore di lavoro riceve una comunicazione con l’avviso di emissione della relativa fattura in esenzione da iva per il pagamento della prestazione effettuata. Con decreto interministeriale del 23 luglio 2020 la tariffa dovuta all’Inail per singola prestazione effettuata è stata fissata in € 50,85”.

Ulteriori dettagli sulla sorveglianza sanitaria eccezionale nella circolare INAIL numero 44 dell’11 dicembre 2020.

da informazionefiscale.it

NUOVE INDICAZIONI AIFA PER LE CURE DOMICILIARI DEL COVID 19

da dottnet.it

il Ministero e Aifa hanno pubblicato nuove indicazioni sulle terapie domiciliari per il Covid (clicca qui per scaricare il testo completo) che illustrano le modalità di gestione domiciliare del paziente affetto da COVID-19 da parte del Medico di Medicina Generale e del Pediatra di Libera Scelta sulla base delle conoscenze disponibili a oggi. Ma le linee guida – riporta Qutidiano Sanità – si rivolgono anche ai caregiver, agli infermieri e ai pazienti stessi.

Strumenti di monitoraggio domiciliare del paziente
Per rendere omogenea e confrontabile la valutazione iniziale del paziente è importante utilizzare uno score che tenga conto della valutazione di diversi parametri vitali. La valutazione dei parametri al momento della diagnosi di infezione e il monitoraggio quotidiano, anche attraverso approccio telefonico o in forma di televisita, soprattutto nei pazienti sintomatici lievi è fondamentale poiché circa il 10-15% dei casi lievi progredisce verso forme severe.

È importante che il paziente e il suo caregiver se presente siano resi edotti della necessità di comunicare tempestivamente al MMG/PLS una eventuale variazione dei parametri. Uno degli score utilizzabili – si legge su Quotidiano Sanità – anche al fine di adottare un comune linguaggio a livello nazionale è il Modified Early Warning Score (MEWS, vedi Tabella), il quale ha il pregio di quantificare la gravità del quadro clinico osservato e la sua evoluzione, pur dovendosi tenere in conto eventuali limiti legati, per esempio, alla valutazione dello stato di coscienza in soggetti con preesistente deterioramento neurologico. Il MEWS, in associazione al dato pulsossimetrico a riposo o sotto sforzo, deve essere utilizzato oltre che nella valutazione iniziale anche durante il periodo di followup. L’instabilità clinica è correlata all’alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura corporea, livello di coscienza, saturazione di ossigeno) e permette di identificare il rischio di un rapido peggioramento clinico o di morte.

Attraverso la scala MEWS, i pazienti vengono stratificati nei seguenti gruppi di rischio:
• rischio basso/stabile (score 0-2);
• rischio medio/instabile (score 3-4);
• rischio alto/critico (score 5).

Monitoraggio della saturazione dell’ossigeno a domicilio attraverso il pulsossimetro: sotto il 92% scatta l’allerta
L’utilizzo clinico del pulsossimetro è validato da decenni di uso diffuso nelle strutture ospedaliere. In pazienti sani adulti, non fumatori, è considerata normale una saturazione superiore a 95%. Con l’aumentare dell’età, in particolare dopo i 70 anni, la capacità di saturazione ossiemoglobinica si può ridurre e presentare valori al di sotto di 94%, in particolare se concomitano patologie polmonari e/o cardiovascolari.

Sulla base dell’analisi della letteratura scientifica disponibile a oggi e sulla base delle caratteristiche tecniche dei saturimetri disponibili in commercio per uso extra-ospedaliero, si ritiene di considerare come valore soglia di sicurezza per un paziente COVID-19 domiciliato il 92% di saturazione dell’ossigeno (SpO2) in aria ambiente. Infatti, valori di saturazione superiori a questo limite hanno una assai bassa probabilità di associarsi a un quadro di polmonite interstiziale grave. Inoltre, il margine medio di accuratezza dei saturimetri commerciali è stimabile nell’ordine di ± 4%.

Il paziente – afferma Quotidiano Sanità – dovrà essere istruito sulla necessità di comunicare una variazione dei parametri rispetto al baseline e, in particolare, dovrà comunicare valori di saturazione di ossigeno inferiori al 92%. Qualora venga esclusa la necessità di ospedalizzazione, potrà essere attivata, con tutte le valutazioni prudenziali di fattibilità del caso, la fornitura di ossigenoterapia domiciliare. Nel caso di aggravamento delle condizioni cliniche, durante la fase di monitoraggio domiciliare, andrà eseguita una rapida e puntuale rivalutazione generale per verificare la necessità di una ospedalizzazione o valutazione specialistica, onde evitare il rischio di ospedalizzazioni tardive. È largamente raccomandabile che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale (mascherine, tute con cappuccio, guanti, calzari, visiera), i MMG e i PLS, anche integrati dalle USCA, possano garantire una diretta valutazione dell’assistito attraverso l’esecuzione di visite domiciliari. Una rappresentazione schematica del monitoraggio del soggetto infettato da SARS-CoV-2 e della dinamica possibilità di transizione da paziente a basso rischio a paziente con un quadro in evoluzione peggiorativa tale da richiedere o una modifica della terapia o un riferimento a strutture di pronto soccorso è delineato nello schema riportato di seguito.

Principi di gestione della terapia farmacologica: No ad antibiotici
Nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, si forniscono le seguenti indicazioni di gestione clinica:
• vigile attesa (intesa come costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente);

• misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;

• trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso). Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico;

• appropriate idratazione e nutrizione, in particolare nei pazienti anziani. Nel paziente immobilizzato, visto l’aumentato rischio di sarcopenia va garantito un appropriato apporto proteico;

• promuovere, nei limiti consentiti dalle condizioni cliniche del paziente, l’attività fisica a domicilio che, anche se limitata, contribuisce a prevenire le conseguenze dell’immobilizzazione e dell’allettamento e può consentire una riduzione dell’indicazione all’utilizzo dell’eparina;

• raccomandare di assumere preferenzialmente, durante il riposo e compatibilmente con le condizioni del paziente, la posizione prona;

• valutazione, nei pazienti a rischio di progressione di malattia, della possibilità di trattamento precoce con anticorpi monoclonali da parte delle strutture abilitate alla prescrizione;

• i pazienti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante;

non utilizzare routinariamente corticosteroidi. L’uso dei corticosteroidi è raccomandato esclusivamente nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in pazienti con fattori di rischio di progressione di malattia verso forme severe, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia ove non sia possibile nell’immediato il ricovero per sovraccarico delle strutture ospedaliere. L’utilizzo della terapia precoce con steroidi si è rivelata inutile se non dannosa in quanto in grado di inficiare lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria;

• non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;

• evitare l’uso empirico di antibiotici. La mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia nel trattamento di pazienti con la sola infezione virale da SARS-CoV2 non consentono di raccomandare l’utilizzo degli antibiotici, da soli o associati ad altri farmaci. Un ingiustificato utilizzo degli antibiotici può, inoltre, determinare l’insorgenza e il propagarsi di resistenze batteriche che potrebbero compromettere la risposta a terapie antibiotiche future. Il loro eventuale utilizzo è da riservare esclusivamente ai casi nei quali l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame 12 microbiologico e a quelli in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica;

• non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti;

• non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente;

• non modificare, a meno di stringente ragione clinica, le terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, ipoglicemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti, terapie psicotrope), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti che possono avere anche un importante impatto sulla prognosi;

• evitare l’uso di benzodiazepine, soprattutto ad alto dosaggio, in considerazione dei possibili rischi di depressione respiratoria. Si segnala che non esistono, a oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato


Avvio del paziente alla terapia con anticorpi monoclonali
In accordo con le specifiche determine autorizzative dell’AIFA, la selezione del paziente da trattare con anticorpi monoclonali è affidata ai MMG, ai PLS, ai medici delle USCA(R) e, in generale, ai medici che abbiano l’opportunità di entrare in contatto con pazienti affetti da COVID di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati. Questi devono essere indirizzati rapidamente ai centri regionali abilitati alla prescrizione degli anticorpi monoclonali per il COVID-19 soggetti a registro di monitoraggio AIFA

La terapia con anticorpi monoclonali anti SARS-CoV-2 deve essere riservata, in base alle evidenze di letteratura, a pazienti con COVID di recente insorgenza (al meglio entro 72 ore dalla diagnosi d’infezione da SARS-CoV-2 e comunque sintomatici da non oltre 10 giorni) con infezione confermata da SARS-CoV-2 e definiti ad alto rischio di sviluppare forme gravi in accordo alle determine autorizzative per la presenza delle condizioni elencate nell’apposita scheda riportata a pagina 22 del presente documento

Indicazioni relative alla gestione domiciliare del COVID-19 in età pediatrica ed evolutiva L’infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica ed evolutiva è caratterizzata prevalentemente, in tutte le fasce di età (0-18 anni), da assenza di sintomi o da quadri clinici lievi (la grande maggioranza) e/o di moderata entità (forma asintomatica o pauci-sintomatica). In base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, degli oltre 100.000 decessi causati dal COVID in Italia fino a marzo 2021, sono 19 quelli verificatisi in età evolutiva e quasi esclusivamente in soggetti fragili (affetti da importanti e pregresse patologie e/o sindromi).

In età evolutiva, quando presenti, i sintomi sono rappresentati principalmente da febbre, tosse, rinite e diarrea. Sintomi presenti e importanti nell’età adulta quali il dolore toracico, la dispnea, l’astenia, 14 sono molto rari. In pazienti sintomatici è stata riscontrata raramente ipossiemia, al contrario di quanto accade negli adulti.

I ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, possono accusare, invece, sintomi simili a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico.

Nei bambini asintomatici non occorre somministrare alcun farmaco, mentre in quelli che accusano sintomi simil-influenzali è consigliabile, in caso di necessità (febbre >38,5°C, mal di gola, cefalea, dolori articolari ecc.), su indicazione del Pediatra/Medico curante, somministrare terapia sintomatica con Paracetamolo (10 – 15 mg/kg/dose ogni 5-6 ore) o Ibuprofene (da 20 mg a 30 mg per kg di peso corporeo al giorno, sempre a stomaco pieno, divisi in tre dosi).

Durante la malattia è opportuno che il paziente stia a riposo a letto e che assuma molti liquidi. È raro che debbano essere assunti antibiotici, mentre i cortisonici non vanno somministrati. È molto raro che un bambino o un adolescente debba essere ricoverato in ospedale per cui, nella quasi totalità dei casi, i pazienti in età pediatrica devono essere assistiti a domicilio, nel rispetto delle misure di isolamento e mantenendo un contatto quotidiano (telefonico o tramite teleconsulto) con il Pediatra/Medico curante per il monitoraggio del quadro clinico.

È importante considerare come fattori di rischio di aggravamento e di necessità di ospedalizzazione sia l’età < 1 anno (particolarmente nei primi 6 mesi) che la presenza di patologie croniche (cardiopatie, malattie polmonari croniche, sindromi malformative, diabete, patologie oncologiche, epilessia, patologie neurologiche, disordini del metabolismo, nefropatie, immunodeficienze ecc.) che determinano un aumentato rischio di necessità di cure intensive. È importante, inoltre, non trascurare tutte le altre possibili cause di ospedalizzazione considerando sempre tutte le possibili diagnosi differenziali. Nel controllo a domicilio la comparsa di segnali di aggravamento, quali scarsa reattività e/o scarsa vivacità, sonnolenza, astenia ingravescente, anoressia importante con difficoltà ad assumere anche liquidi, tachicardia a riposo in apiressia, cianosi, dispnea a riposo, febbre elevata, ipotensione, possono imporre il ricovero in ospedale.

Prestazioni in Telemedicina
Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria il ricorso a prestazioni a distanza è pienamente giustificato poiché queste consentono la continuità delle cure per i pazienti in quarantena/isolamento garantendo la fruizione di servizi sanitari senza che il paziente debba recarsi presso le strutture sanitarie. In relazione all’infezione da SARS-CoV-2, come riportato nelle “Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19” (ISS COVID-19 n.12/2020) redatte dall’Istituto Superiore di Sanità, sono state individuate quattro tipologie di persone che necessitano di controlli sanitari nel luogo adibito a domicilio:
1) asintomatici che sono venuti in contatto con caso COVID-19 positivo;
2) paucisintomatici che sono venuti in contatto con caso COVID-19 positivo, con test COVID19 negativo;
3) paucisintomatici con test COVID-19 positivo;
4) dimessi dall’ospedale clinicamente guariti, ancora COVID-19 positivi. Questo elenco è stato concepito per tenere sotto controllo sanitario le persone che si sono contagiate o che siano sospettate di esserlo, in base alle conoscenze attuali circa il nuovo coronavirus SARSCoV-2, al fine di contrastare la diffusione del contagio e per sorvegliare eventuali aggravamenti clinici legati alla malattia virale anche in telemedicina.

Si sconsiglia, a titolo precauzionale, l’utilizzo dei servizi in telemedicina nelle seguenti situazioni:
·paziente non conosciuto prima dell’emergenza sanitaria che al primo contatto mostri anche uno solo dei seguenti segni: stato di coscienza alterato, dispnea a riposo, pressione sistolica minore o uguale 100 mmHg in più rilevazioni nell’arco della giornata (se tale misurazione è eseguibile presso il paziente). In questi casi è indicata la valutazione in presenza da parte del medico e l’eventuale invio del paziente al ricovero ospedaliero, secondo le procedure previste;

·pazienti con patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche in atto, anche se indirizzati all’isolamento (a eccezione di piccoli traumatismi gestibili, salvo complicazioni, in ambito domiciliare);

·pazienti con patologie croniche e fragilità o con disabilità che rendano imprudente la permanenza a domicilio in presenza di sintomi da COVID-19.

Naturalmente, la valutazione finale degli strumenti idonei per il singolo paziente, che, in caso di telemedicina prevedono la raccolta del consenso informato del paziente, spetta al medico, che ne ha la responsabilità e deve essere effettuata considerando il contesto organizzativo locale.