INQUINAMENTO

IL GLIFOSATO NON È CANCEROGENO PER L’ECHA.

da dottnet.it

Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza.

Il glifosato “provoca gravi lesioni oculari ed è tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”, ma non ci sono prove sufficienti per classificarlo come “tossico” per specifici “organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione”. È questo il parere della European Chemicals Agency (Echa), agenzia UE deputata alla sorveglianza delle sostanze chimiche, in merito al noto erbicida. Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza, i cui risultati complessivi saranno trasmessi alla Commissione europea e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) entro metà agosto. 

A sua volta, “l’Efsa effettuerà la sua valutazione del rischio del glifosato, che dovrebbe essere pronta nel luglio 2023″, fa sapere l’Echa. Sulla base di questi dati, continua l’agenzia Ue, “la Commissione presenterà quindi agli Stati membri una nuova relazione e un progetto di regolamento sulla possibilità di rinnovare o meno l’approvazione del glifosato”.  La nuova valutazione dell’Echa stride con quella dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc), che nel 2015 ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. La classificazione, spiega lo Iarc, “si basava su prove limitate di cancro negli esseri umani e prove sufficienti di cancro negli animali da esperimento”.

MA GLI AMBIENTALISTI INSORGONO…

https://www.today.it/europa/ambiente/glifosato-non-cancerogeno-ue.html

31 MAGGIO 2022. GIORNATA MONDIALE SENZA TABACCO

Il 31 maggio si celebra la giornata mondiale senza tabacco, ma purtroppo in Italia vi è stato un aumento dei fumatori nell’ultimo anno.

da aiponet.it il sito della associazione pneumologi ospedalieri

Ogni anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia una campagna in occasione della ricorrenza. Il tema di quest’anno “Tobacco: Threat to our environment – Tabacco: una minaccia per il nostro ambiente” intende sensibilizzare il pubblico sull’impatto ambientale del tabacco, dalla coltivazione, alla produzione, alla distribuzione e ai rifiuti, dando ai consumatori di tabacco un motivo in più per smettere di fumare.

Anche le piante, infatti, “muoiono” a causa del fumo: ogni anno 600 milioni di alberi vengono abbattuti per produrre sigarette e, sempre a questo scopo, si consumano 22 miliardi di litri d’acqua.

Il fumo, poi, è collegato all’emissione di 84 milioni di tonnellate di CO2. Insomma, se non riusciamo a farlo per noi, facciamolo almeno per gli altri e per il pianeta. Ecco alcuni consigli per capire come smettere.

Un fumatore su due morirà proprio per ragioni collegate a questa pessima abitudine, che è anche la prima causa di morte evitabile e la seconda causa di morte complessiva. Smettere di fumare è un modo per prendersi cura non solo di noi stessi e delle persone che ci circondano, ma anche dell’ambiente.

Il fumo è responsabile di malattie mortali che potrebbero essere evitate. Tra le patologie più diffuse tra i fumatori, ci sono il tumore del polmone, del cavo orale e della gola, del pancreas, del colon, della vescica, del rene, dell’esofago, del seno e di alcune leucemie.

Secondo la Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, nel nostro Paese il tumore del polmone è la prima causa di morte per neoplasia, con 34mila decessi stimati solo per il 2021.

Come smettere di fumare? Ecco i 10 consigli del Ministero della Salute

A stilare i 10 consigli per smettere di fumare è il Ministero della Salute. Un vademecum da seguire magari proprio in vista della Giornata mondiale senza tabacco.

  1. Smettere di fumare è possibile.
  2. Il desiderio impellente della sigaretta dura solo pochi minuti.
  3. I sintomi dell’astinenza si attenuano dopo sette giorni.
  4. Già dopo 20 minuti dalla cessazione del fumo ci sono effetti benefici.
  5. Smettere di fumare non significa ingrassare.
  6. Quando si smette di fumare, è meglio bere molto, ridurre il consumo di zuccheri e grassi, aumentare il consumo di frutta e verdura, e fare lunghe passeggiate.
  7. Se non si riesce a smettere di fumare, è meglio parlarne col medico di famiglia.
  8. Il medico di famiglia può indirizzare anche al più vicino Centro Anti Tabacco.
  9. Le ricadute non devono scoraggiare.
  10. Non fumare non arricchisce solo in salute, ma anche economicamente.

Nonostante le campagne d’informazione, in Italia ci sono ancora 11 milioni di fumatori – circa il 20% della popolazione nazionale. In Italia un ragazzo su cinque tra i 13 e i 15 anni fuma quotidianamente e il 18% fa uso di sigarette elettroniche, spesso percepite come meno nocive rispetto alle sigarette tradizionali. In realtà, i dati ad oggi disponibili suggeriscono che si tratti di prodotti sfavorevoli sia per quanto concerne la sicurezza sia per la salute pubblica.

Strumenti di supporto per smettere di fumare:

I Centri Antifumo sono servizi che offrono trattamenti integrati (terapie farmacologiche e supporto psicologico individuale o di gruppo) per smettere di fumare. L’Istituto Superiore di Sanità censisce e aggiorna dal 2000 la rete dei Centri Antifumo per offrire al cittadino informazioni sempre aggiornate sui dati anagrafici dei Centri, l’offerta assistenziale, la modalità di accesso ai servizi. Tutti i servizi presenti in questa mappa appartengono al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), alla Lega Italiana Lotta contro i Tumori (LILT) o al privato sociale.
Per la mappa dei centri Antifumo: https://smettodifumare.iss.it/it/centri-antifumo/

Per chi desidera smettere di fumare, è attivo dalle 10 alle 16 il Telefono Verde contro il Fumo 800554088 dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un servizio gratuito e anonimo che si rivolge a tutti: fumatori e loro familiari, ex fumatori, persone esposte a fumo passivo, e a chiunque voglia ricevere informazioni sul tema.
https://www.iss.it/numeri-verdi/-/asset_publisher/LXvuDqwiaG9G/content/telefono-verde-contro-il-fumo-2

Esiste inoltre la piattaforma web “smettodifumare” che facilita l’incontro tra la domanda dei cittadini e l’offerta dei servizi di cura sul territorio.
https://smettodifumare.iss.it/it/

Per chi ha un tumore e vuole porre una domanda a un esperto, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (Lilt) ha messo a disposizione il numero verde Sos Lilt, gratuito e anonimo, 800998877, dedicato ai pazienti alle loro famiglie. La linea vede la collaborazione di specialisti in ambito oncologico pronti a rispondere a domande e dubbi su prevenzione, diagnosi, terapie e riabilitazione. Il numero è attivo dal lunedì al venerdì dalle 10:00 alle 15:00; in alternativa si può scrivere una mail all’indirizzo sede.centrale@lilt.it.

 Ufficio Stampa AIPO-ITS

LE SOSTANZE REPROTOSSICHE

Da Dors

Si definiscono reprotossiche le sostanze tossiche per la riproduzione, in grado cioè di avere un’influenza negativa sulla capacità di uomini e donne di riprodursi e di alterare lo sviluppo del bambino durante la gestazione e dopo la nascita.

Fino ad oggi la protezione dei lavoratori esposti a sostanze reprotossiche (in Unione europea si stima possano essere tra i 2 e i 3 milioni) si limitava alle disposizioni di ordine generale della Direttiva 98/24/CE sugli agenti chimici. Tale direttiva, ad esempio, non imponeva misure preventive sulle lavoratrici gestanti prima che queste avessero informato il datore di lavoro. Da tempo si lavora per includere le sostanze reprotossiche nella più restrittiva Direttiva 2004/37/CE sugli agenti cancerogeni o mutageni.

Analogamente agli agenti cancerogeni o mutageni, le sostanze tossiche per la riproduzione sono sostanze estremamente preoccupanti, che possono avere effetti gravi e irreversibili sulla salute dei lavoratori.

Può essere quindi considerata una buona notizia l’entrata in vigore il 5 aprile 2022 della Direttiva (UE) 2022/431 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva 2004/37/CE con l’obiettivo di limitare l’esposizione dei lavoratori alle sostanze cancerogene, mutagene e, per la prima volta, alle sostanze reprotossiche. La stessa normativa stabilisce anche nuovi limiti di esposizione nei luoghi di lavoro di tutta l’Unione e affronta anche il problema degli HMP (Hazardous Medicinal Products), cioè i medicinali pericolosi la metà dei quali reprotossici: gli operatori sanitari che preparano HMP dovranno ricevere una formazione adeguata per maneggiare tali medicinali in modo sicuro.

APPROFONDISCI QUI SU DORS:

https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3794

RAPPORTO ISS SULL’USO DI DETERGENTI E DISINFETTANTI.

da ISS

Rapporto Istisan – Sorveglianza delle esposizioni a detergenti. Rapporto pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (CNSC – Centro Nazionale Sostanze Chimiche, prodotti cosmetici e protezione del consumatore), Ministero della Salute e Centri Antiveleni (CAC) Bergamo Foggia con i dati del periodo 2016-2020.

Il presente rapporto descrive le esposizioni a prodotti detergenti e affini (es. disinfettanti borderline) gestite dai Centri Antiveleni di Bergamo e Foggia nel periodo 2016-2020. L’analisi descrittiva è stata condotta tramite l’utilizzo di tabelle e grafici e le differenze tra sottogruppi di popolazione sono state analizzate tramite il test del chi-quadrato. Si è osservato un eccesso di chiamate di provenienza extra-ospedaliera (70,4%) rispetto all’atteso probabilmente influenzato dalle restrizioni imposte dal lockdown del 2020 per arginare la pandemia da COVID-19. Un focus per l’annualità 2020 ha evidenziato un eccesso di esposizioni a prodotti per la pulizia (p<0,05) e a disinfettanti borderline (p<0,001) nei mesi di lockdown. Un altro focus sulle esposizioni a detergenti per lavatrice in imballaggi solubili monouso conferma che i bambini (<6 anni) corrono un rischio maggiore di essere esposti a questi prodotti (<6 anni: 88,1%) rispetto ai restanti detergenti per bucato (<6 anni: 66,4%) (p<0,001), nonostante le misure di prevenzione previste dal Regolamento (CE) 1272/2008.

Questi i principali eventi segnalati dal Ministero:

  • 66,4% delle esposizioni derivanti da prodotti per la pulizia, la cura e la manutenzione;
  • 27,7% da detersivi bucato e stoviglie;
  • 4,8% disinfettanti bordeline;
  • 1,1% combinazione di prodotti;
  • picco di segnalazione per esposizione da disinfettati bordeline e prodotti per la pulizia nel periodo marzo-maggio 2020 lockdown, molto superiore rispetto alla media dello stesso periodo degli anni precedenti;
  • delle 294 esposizioni alle Caps, prodotti in capsula, l’88,1% ha interessato minori di 6 anni.

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ACRILAMIDE ED ALIMENTI

Nonostante non ci sono più dubbi circa la correlazione tra l’aumentata esposizione all’acrilamide e il maggior rischio di sviluppare il cancro, l’Unione europea è lontana da una normativa che tuteli la salute dei consumatori. L’acrilammide è un contaminante di processo è che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la normale cottura ad alta temperatura. La principale reazione chimica che ne è la causa è nota come “reazione di Maillard”, la stessa reazione chimica che conferisce ai cibi l’aspetto abbrustolito e li rende più gustosi. L’acrilammide ha inoltre diffusi impieghi non alimentari in ambito industriale ed è presente nel fumo di tabacco.

Cos’è l’acrilammide

Questa sostanza è presente in diversi alimenti: dai prodotti fritti a base di patate alle fette biscottate e i biscotti passando per il pane morbido e i cracker. Di recente, uno studio condotto dall’Università Federico II di Napoli e Roma San Raffaele su 90 campioni di baby food, indicati per lo svezzamento dei bambini da 4 a 36 mesi, ha evidenziato una concentrazione molto alta (seppur al di sotto delle soglie di riferimento) in quasi tutti i prodotti, in particolare modo nei biscotti.

Un’esposizione preoccupanti soprattutto per i bambini: l’acrilammide è stata classificata nel gruppo 2A dalla Iarc dell’Oms come “probabile cancerogeno per l’uomo” e l’Efsa ne raccomanda l’assenza. Tuttavia, non esiste un vero e proprio limite di legge, ma solo delle soglie – periodicamente riviste al ribasso – alle quali le aziende alimentari devono tendere per tenere sotto controllo la sostanza tossica. Così, in pratica, in caso vengano rilevate dei prodotti con concentrazioni superiori al livello di riferimento, non scatta nessun ritiro alimentare ma solo l’obbligo per le aziende di mettere in atto una serie di azioni di contenimento.

La denuncia di Safe

L’associazione Safe – Safe Food Advocacy Europe che segue molto da vicino l’evolversi della legislazione europea, da tempo denuncia le falle di questo sistema: “L’attuale meccanismo di controllo non è efficiente nel ridurre l’esposizione all’acrilammide poiché la procedura di avviso agli altri Stati membri viene attuata tra 15 e 30 giorni dopo che uno Stato membro ha notificato la contaminazione”. L’organizzazione fa riferimento al sistema di allerta europeo, Rassf che raccoglie le segnalazioni. “Secondo le notifiche degli Stati membri al sistema di allerta rapido su alimenti e mangimi (RASFF) nel 2020-2021, le contaminazioni da acrilammide erano comprese tra 497 e 2690 µg/kg, che sono 4-5 volte superiori ai valori di riferimento in vigore in l’Unione Europea” fa sapere l’associazione.

I prossimi passi

La Commissione europea ha avviato da poco un nuovo giro di consultazioni per rivedere nuovamente i limiti di mitigazione. Le aziende – dal canto loro – hanno presentato all’esecutivo i risultati del monitoraggio dell’acrilammide che sono tenuti costantemente a svolgere, mentre dall’altro Safe ha mostrato, ancora una volta, tutte le falle di quel sistema di controllo tanto decantato e chiesto alla Commissione di accelerare la fissazione di limiti di legge certi.

da ilsalvagente.it

INQUINAMENTO ED EPILESSIA

Elevate concentrazioni di monossido di carbonio (CO) dovute all’inquinamento atmosferico aumentano il rischio di convulsioni epilettiche, secondo uno studio pubblicato su Epilepsia. «I nostri risultati suggeriscono che le persone con epilessia dovrebbero evitare un’elevata esposizione al CO per ridurre il potenziale rischio di convulsioni» afferma Zhuying Chen, dell’Università di Melbourne, in Australia, che ha diretto il gruppo di lavoro. Prove emergenti indicano che l’inquinamento atmosferico influisce sulla salute del cervello e può aumentare il rischio di ricovero ospedaliero o visite ambulatoriali per l’epilessia.

Tuttavia, si sa poco sull’effetto dell’inquinamento sull’insorgenza di crisi epilettiche. Per approfondire l’argomento i ricercatori hanno utilizzato due set indipendenti di dati, lo studio NeuroVista (NV) e il diario delle crisi di Seer App (SD). Gli esperti hanno raccolto dati sulle concentrazioni orarie di CO all’aperto, biossido di azoto (NO2), particolato con diametro ≤10 μm (PM10), ozono (O3) e biossido di zolfo (SO2), e sottolineano che tutte le concentrazioni giornaliere di CO e SO2 e almeno il 95% delle concentrazioni giornaliere di NO2, O3 e PM10 rientravano negli standard di qualità dell’aria australiani. Lo studio ha incluso 49 partecipanti. Complessivamente, sono state registrate 6.692 crisi epilettiche in 3.639 giorni durante 23.349 giorni di follow-up dal 2010 al 2012 (set di dati NV) e dal 2018 al 2021 (set di dati SD). È emersa una significativa associazione positiva tra le concentrazioni di CO e i rischi di crisi epilettiche, ma nessuna relazione significativa per gli altri quattro inquinanti atmosferici. L’analisi dei dati ha mostrato che le donne avevano un rischio significativamente maggiore di convulsioni epilettiche quando esposte a concentrazioni di CO e NO2 elevate. Analizzando i due set di dati separatamente, è stata rilevata un’associazione significativa tra concentrazione di CO e rischio di crisi epilettiche nel set di dati NV, mentre questa non era presente nel set di dati SD. I meccanismi esatti che collegano l’inquinamento atmosferico alle convulsioni non sono chiari, ma probabilmente implicano l’interazione sinergica di più percorsi.

da dica33.it

Epilepsia 2022. Doi: 10.1111/epi.17253
https://doi.org/10.1111/epi.17253

PESTICIDI E IPOACUSIA

Si pensa che numerose sostanze chimiche siano ototossiche, inclusi il toluene, lo stirene, l’etilbenzene, il disolfuro di carbonio, il piombo, il mercurio e il monossido di carbonio. Diversi pesticidi sono sospettati di essere neurotossici per l’uomo, e possono quindi influenzare il sistema uditivo.

Studiosi del Dipartimento di Igiene del Lavoro dell’INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro di Monte Porzio Catone (Roma) e del Centro di Ricerca e Servizio per la Tutela della Salute e la Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona hanno analizzato i lavori scientifici sugli esseri umani e sperimentali sugli animali che hanno verificato l’ipotesi che l’esposizione ai pesticidi possa essere associata alla perdita dell’udito.

L’analisi si è concentrata sugli studi epidemiologici volti a valutare le associazioni fra ipoacusia ed esposizione ai pesticidi, e su studi relativi agli effetti dei pesticidi sul sistema uditivo negli animali di laboratorio. La ricerca nella letteratura del gruppo di scienziati ha prodotto circa settanta riferimenti, e gli antiparassitari sotto esame hanno incluso organofosfati (OP), piretroidi, composti dipiridilici ed esaclorobenzene (HCB).

I risultati di questa analisi sono stati pubblicati sulla rivista “NeuroToxicology” il mese scorso. Le conclusioni provenienti dagli studi sull’uomo suggeriscono che l’esposizione ai pesticidi neurotossici può indurre il danno al sistema uditivo centrale. Tuttavia, gli autori hanno verificato che nessuna conclusione significativa può essere tratta a causa di una serie di carenze in alcuni degli studi valutati, ad esempio la mancanza di informazioni dettagliate sul livello e la modalità dell’esposizione, e fattori di confusione, in particolare la contemporanea esposizione al rumore. Inoltre, non hanno trovato alcuna evidenza sul potenziamento delle menomazioni uditive indotte dal rumore.

Considerati i dati limitati, gli autori suggeriscono ulteriori indagini sull’ototossicità dei pesticidi. Tuttavia, come misura precauzionale, raccomandano di considerare i pesticidi come possibili agenti ototossici, soprattutto in popolazioni vulnerabili come le donne in gravidanza e i bambini all’inizio dello sviluppo.

Fonte: Gatto MP et al. “Effects of potential neurotoxic pesticides on hearing loss: a review”. Neurotoxicology 2014;42C:24-32.

da Audio-infos.it

FTALATI E INFERTILITÀ

da Inail.it

Gli ftalati sono un gruppo di molecole (esteri dell’acido ftalico) utilizzate in numerose produzioni, dai materiali per costruzione a contenitori per alimenti e pellicole, dispositivi medici e cosmetici. Alcuni ftalati hanno mostrato tossicità per l’uomo, in particolare agendo come interferenti endocrini. Attualmente il Reg. CE 1907/2006 REACH ha inserito in regime di autorizzazione 11 ftalati identificati come reprotossici. L’esposizione professionale a ftalati si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti e/o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali, ma anche in ambiti non industriali, come ad esempio nell’estetica, in quanto contenuti negli smalti per le unghie. La ricerca sull’esposizione professionale a sostanze con queste caratteristiche di pericolosità riveste sempre maggiore importanza ed ha condotto il Parlamento Europeo a proporre un aggiornamento della direttiva 2004/37/CE, dedicata alla protezione dei lavoratori da agenti cancerogeni e mutageni, con l’inserimento anche delle sostanze reprotossiche tra le sostanze di maggiore preoccupazione e che richiedono quindi una gestione specifica di prevenzione del rischio occupazionale.

L’azione dello stress ossidativo. Lo stress ossidativo riflette un disturbo nell’equilibrio tra la produzione e accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I ROS vengono spazzati via dal sistema antiossidante, ma quando sono in concentrazione eccessiva, possono ossidare proteine, lipidi e DNA. L’esposizione ad agenti chimici pericolosi può produrre stress ossidativo. I prodotti di ossidazione che vengono escreti nelle urine sono considerati indicatori di effetto, ed evidenziano la presenza di sintomi precoci o situazioni disfunzionali reversibili che possono essere sfruttati per la prevenzione delle malattie professionali.

La ricerca dei laboratori Inail. Da diversi anni i laboratori Inail Dipartimento Medicina del Lavoro sono impegnati nella ricerca sull’esposizione a ftalati e sull’uso di indicatori di stress ossidativo come indicatori di effetti legati all’esposizione ad agenti chimici. Uno studio effettuato dai laboratori Rischio agenti chimici e sorveglianza sanitaria e promozione della salute in collaborazione con l’IRCCS San Raffaele di Milano su 52 uomini e 60 donne sottoposti ad un trattamento assistito della riproduzione ha confermato che i livelli urinari di biomarcatori dello stress ossidativo sono direttamente correlati con i metaboliti di alcuni ftalati urinari in entrambi i sessi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Toxics. E’ possibile consultare l’articolo utilizzando il link sotto indicato.

LE SOSTANZE PERICOLOSE CHE POSSIAMO BERE DALLE BOTTIGLIE DI PET

da ilfattoquotidiano

Tra le varie tipologie di plastiche usate nella nostra quotidianità, quella impiegata per fabbricare bottiglie per acqua minerale, bevande analcoliche, succhi di frutta e latte – il polietilene tereftalato o PET – è da sempre considerata la più nobile. L’elevata trasparenza, la facilità di lavorazione nei cicli industriali, unite alla sua economicità, l’hanno reso il terzo tipo di polimero più impiegato al mondo per gli imballaggi monouso.

Eppure anche il PET, come tutte le altre plastiche, può essere fonte di sostanze chimiche pericolose per la salute umana che dalla bottiglia possono finire nel liquido alimentare che beviamo. Lo ha messo in evidenza, in uno studio pubblicato nelle scorse settimane sul Journal of Hazordous Materials, un gruppo di ricercatrici e ricercatori inglesi, statunitensi e italiani.

Passando in rassegna la letteratura scientifica specializzata, gli esperti hanno evidenziato che centocinquanta sostanze possono essere rilasciate dal contenitore nelle bevande. E, in diciotto casi, per alcune di esse sono stati rilevati livelli di contaminazione che eccedevano le soglie di sicurezza per la salute umana fissate a livello europeo.

Ci sono numerose variabili che aumentano il rischio di contaminazione: le condizioni di conservazione, l’esposizione alle alte temperature e alla luce solare (e ai raggi UV), il ricorso a bottiglie piccole e meno spesse. Anche la lodevole azione di riempire più volte la stessa bottiglia, che molti di noi possono aver fatto per ridurre lo spreco di plastica, può rivelarsi una scelta non sempre sicura.

Tra le sostanze indesiderate compaiono aldeide e formaldeide, entrambe secondo la IARC (l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Cancro) correlate ad alcune forme di tumore. A cui si aggiungono alcuni interferenti endocrini, la cui presenza è accidentale visto che non vengono impiegati nel processo di fabbricazione del PET. Tra questi i più tristemente famosi sono gli ftalati e il bisfenolo A, che causano serie conseguenze sul metabolismo, la fertilità, lo sviluppo sessuale e cerebrale. Anche l’antimonio, un metallo utilizzato nella produzione della plastica per le bottiglie e collegato a diverse patologie per l’essere umano, può essere ceduto dal contenitore alla bevanda. E, come evidenziano alcuni studi, i livelli di contaminazione di questo metallo possono essere maggiori in presenza di materiale riciclato: una soluzione a cui bisognerà ricorrere sempre di più nei prossimi anni in base a quanto stabilito nella direttiva europea SUP.

Per ridurre i rischi, gli studiosi raccomandano di intervenire sul design, prestando particolare attenzione a etichette e inchiostri, che sono spesso fonte di sostanze chimiche; accertarsi che le condizioni di conservazione siano ottimali; introdurre sistemi di “super pulizia” per la plastica proveniente dal riciclo. Bisognerebbe infine adottare sistemi di raccolta specifici per queste tipologie di contenitori, come i sistemi di deposito cauzionale adottati già da diversi anni in molte nazioni europee. Un sistema che dovrebbe vedere la luce anche in Italia, dando seguito a un emendamento approvato nel Decreto Semplificazioni e che ancora non è stato tradotto in realtà dai ministeri competenti.

È tuttavia evidente che per ridurre al minimo il rischio derivante da questa roulette chimica possiamo sempre scegliere di bere l’acqua di rubinetto: un’alternativa alla portata di tutti e quasi ovunque sicura nel nostro Paese.