INQUINAMENTO

MicroRNA , RUMORE E OTO/NEUROTOSSICI

da Inail.it

I microRNA sono promettenti biomarcatori di esposizione precoce a sostanze dannose non solo in ambito clinico ma anche nel settore occupazionale.

Dati preliminari delle campagne di biomonitoraggio, analizzati mediante statistica mutivariata, hanno evidenziato correlazioni altamente significative tra microRNA differenzialmente espressi in lavoratori esposti a composti organici volatili presenti nei metaboliti urinari e impiegati nella verniciatura della cantieristica navale. L’obiettivo del Laboratorio interazioni sinergiche tra rischi è quello di approfondire il ruolo dei microRNA quali biomarcatori innovativi di esposizione ambientale ed occupazionale e di verificarne l’utilizzo come strumento prognostico per prevenire eventuali patologie indotte da tali composti presenti nell’ambiente di lavoro.




Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it 

L’INQUINAMENTO DA TRAFFICO URBANO AUMENTA IL RISCHIO DI DEMENZA

da doctor33.it

L’esposizione agli inquinanti atmosferici prodotti dal traffico aumenta significativamente il rischio di demenza. In particolare, per ogni aumento di 1 microgrammo per metro cubo di esposizione al particolato fine (PM2,5) il rischio di demenza è aumentato del 3%.

I risultati di una meta-analisi, che includeva un totale di oltre 90 milioni di persone pubblicata il 26 ottobre su Neurology, hanno mostrato che le particelle prodotte dalla combustione di combustibili fossili, in particolar modo dai gas di scarico del traffico stradale, un’associazione incredibilmente precisa tra questo tipo di inquinamento atmosferico e il rischio di demenza.

L’inquinamento atmosferico è un noto fattore di rischio per la demenza, ma gli studi che tentano di individuarne l’esatto impatto hanno prodotto risultati contrastanti.
I ricercatori, nella nuova metanalisi, hanno analizzato i dati di 17 studi con un totale di 91,4 milioni di individui, il 6% dei quali soffriva di demenza. Oltre al PM2,5, i ricercatori hanno anche valutato anche altri elementi dello smog come gli ossidi di azoto totali, il biossido di ozono e l’ozono totale.
Dopo aggiustamenti per altri fattori di rischio noti, come età e sesso, i risultati hanno mostrato che il rischio di demenza aumentava del 3% per ogni aumento di 1 microgrammo su metro cubo rispetto all’esposizione al PM2,5.
Le associazioni tra demenza ed esposizione agli ossidi di azoto, al biossido di azoto e all’ozono totale, pur mostrando anch’essi un aumento del rischio, non hanno raggiunto la significatività statistica.
Lo studio non ha esaminato cause, durate e soglie minime di esposizione a questi inquinanti, tuttavia, i risultati erano sufficienti ad affermare la rilevanza clinica. I ricercatori sottolineano, comunque, come la US Environmental Pollution Agency (EPA) considera sicure le esposizioni medie annue fino a 12 µg/m3, mentre L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) fissa tale limite a un livello molto più basso pari a 5 µg/m3.

“È piuttosto sconcertante che ci sia questa relazione così precisa del 3% tra l’incidenza della demenza e il particolato”, ha dichiarato la ricercatrice Janet Martin, professoressa associato di anestesia e medicina perioperatoria ed epidemiologia e biostatistica presso La Schulich School of Medicine & Dentistry della Western University, dell’Ontario in Canada e coordinatrice dello studio.

SEMIOCHIMICI IN AGRICOLTURA

da inail.it

Nell’ambito dell’approfondimento del rischio chimico in agricoltura, tra i mezzi alternativi agli insetticidi, i ‘semiochimici’ (sostanze emesse da piante, animali e altri organismi), coinvolti nella comunicazione chimica tra organismi viventi, provocando una risposta comportamentale in individui della stessa o altra specie, offrono nuovi strumenti per il controllo integrato degli insetti.

Immagine I semiochimici: Un nuovo approccio in agricoltura e stato dell’arte

Tra questi i feromoni prodotti dai lepidotteri (Straight-Chained Lepidopteran Pheromones), sebbene sostanze a basso impatto sulla salute umana e sull’ambiente, sono spesso classificati irritanti e/o sensibilizzanti cutanei. Il fact sheet rappresenta un utile compendio nella fase di formazione/informazione, prevista dal d.lgs. 81/2008 e s.m.i., evidenziando l’importanza del ricorso alle idonee misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori professionalmente esposti in tutte le fasi di utilizzo delle suddette sostanze.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it 

RADON UN RISCHIO INVISIBILE

È di questi giorni la notizia che in Italia un supermercato è stato chiuso per verificare se la presenza di concentrazioni di gas radon superi la soglia consentita dalle normative.

Il Radon è un gas radioattivo presente nel sottosuolo, nelle acque e in alcuni materiali utilizzati nelle costruzioni (ad esempio rocce, tufo e graniti). Tende a risalire in superficie e, senza un adeguato isolamento o una corretta aerazione, si accumula negli ambienti chiusi, specie quelli interrati o ai piani inferiori degli edifici come cantine, box, magazzini, caveau bancari, negozi, uffici ed abitazioni. Se la sua concentrazione nell’aria supera i limiti consentiti, risulta particolarmente pericoloso per gli occupanti, potendo causare l’insorgere del cancro al polmone (secondo l’organizzazione Mondiale della Sanità è la seconda causa di tale malattia dopo il fumo di tabacco).

La concentrazione di radon di un ambiente si misura in bequerel/m3 (Bq/m3). In Italia la legge 101/2020, che dà attuazione alla Direttiva Europea 2013/59 Euratom, fissa in 300 Bq/m3 il limite oltre il quale è imposto l’obbligo di intervento per ridurne la concentrazione. Solo qualora tutte le azioni messe in opera risultino insufficienti è ammesso agire riducendo i tempi di permanenza massima nei locali in questione.

Le soluzioni comunemente adottate per prevenire l’accumulo di radon negli spazi confinati consistono nel posizionamento di una guaina impermeabile al gas in corrispondenza delle fondamenta dell’edificio ovvero nella realizzazione di un vespaio aerato.(fonte edilportale)

LA RICERCA DEL CNR

Il gruppo di ricerca Epidemiologia Ambientale di IFC-CNR ha pubblicato di recente una revisione sistematica di letteratura sulla percezione, la consapevolezza e la conoscenza del rischio radon. Il gas radon, inquinante degli ambienti chiusi, è conosciuto dagli esperti ma non dal grande pubblico, ed è stata fatta su questo rischio poca comunicazione, anche se si tratta del rischio di tumore al polmone, se le persone sono esposte a determinati livelli. Il radon si trova solo in alcune zone, quelle in cui i suoli di origine vulcanica contengono radio, sostanza radioattiva che emana particelle che si degradano disperdendosi nell’aria, capaci di arrivare alle persone che le respirano. Gli strumenti di prevenzione del rischio sono ben noti e piuttosto semplici, come l’areazione forzata o l’isolamento dei locali.

Siamo in questo periodo nella fase di applicazione della Direttiva EURATOM (2013/59), che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Ogni paese europeo deve stabilire lo stato della situazione e le azioni di prevenzione da intraprendere per proteggere i lavoratori e la popolazione in generale. Il Piano Radon ancora in vigore è del 2002, e in seguito a quelle direttive si cominciò a disegnare una mappa del rischio in ciascuna regione, mentre i Piani Nazionali di Prevenzione, che le Regioni adattano sui propri territori, già dal 2014 prevedono attività di monitoraggio e di prevenzione di questo importante inquinante interno.

La rassegna ha permesso di esaminare a fondo 40 articoli, di cui 4 scritti sulla base di esperienze italiane, e verificare quanto ci sia da fare in termini di diffusione delle conoscenze e comunicazione. Un lavoro sistematico è iniziato negli Stati Uniti già dagli anni ’80, in altri paesi le esperienze sono meno strutturate e approfondite, ma si constata che la percezione del rischio rimane bassa o molto bassa, a meno che le persone non vengano coinvolte direttamente, si offrano strumenti di misurazione, o si lavori nell’ambito di specifiche campagne di prevenzione del rischio di tumore al polmone. Il rischio radon infatti possiede caratteristiche che fanno in modo che sia facile minimizzarlo o evitare di porsi il problema: non è percepibile con i sensi, non provoca effetti evidenti, che sono anche lontani nel tempo, il tipo di rischio (tumore al polmone) è tipicamente mutifattoriale e si può sempre attribuire a qualcosa d’altro, bisogna fidarsi di chi da le informazioni e non pensare che abbia secondi fini. In questa revisione della letteratura sono state analizzate le dimensioni concettuali della percezione del rischio e la loro crescente complessità: comprensione e consapevolezza; percezione del rischio; comunicazione del rischio; disponibilità a eseguire test di monitoraggio del radon; attuazione di azioni di bonifica. Da tutti questi elementi si ricavano elementi utili alle azioni di prevenzione e alla comunicazione.(fonte il quotidiano nazionale)

Cori L, Curzio O, Donzelli G, Bustaffa E, Bianchi F. A Systematic Review of Radon Risk Perception, Awareness, and Knowledge: Risk Communication Options. Sustainability. 2022; 14(17):10505. https://doi.org/10.3390/su141710505

Vedi anche:

Correlati

SALUTE DEL CUORE ED INQUINAMENTO AMBIENTALE.

Numerosi e innovativi gli argomenti proposti dalla XXXIX edizione del congresso “Conoscere e Curare il Cuore”, organizzata dalla Fondazione “Centro Lotta contro l’Infarto” dal 20 al 23 ottobre 2022 a Fortezza da Basso – Firenze.

Dal sito Pharmastar.it

L’eziopatogenesi degli eventi aterotrombotici è complessa e dipende dai ben noti fattori di rischio modificabili e non modificabili come la predisposizione genetica, lo stile di vita e fattori ambientali; tra questi ultimi, l’inquinamento atmosferico sta richiamando l’attenzione sempre maggiore dei ricercatori. Sebbene ci siano molte evidenze sugli effetti dannosi multisistemici dell’inquinamento atmosferico, un recente documento congiunto della European Respiratory Society (ERS) e della American Thoracic Society (ATS) ha identificato l’apparato cardiovascolare come il suo principale bersaglio.

L’inquinamento atmosferico è una miscela complessa di gas (monossido e ossido di azoto, ozono, diossido di zolfo, ammoniaca), goccioline volatili (chinoni e idrocarburi aromatici policiclici) e particolato (particulate matter, PM), una miscela eterogenea comunemente classificata sulla base delle dimensioni delle particelle in particolato grossolano (PM10: diametro aerodinamico <10 µm), fine (PM2.5: diametro aerodinamico <2.5 µm) e ultra-fine (PM0.1: diametro aerodinamico <0.1 µm). Negli ultimi 30 anni, diversi studi hanno inequivocabilmente correlato gli inquinanti atmosferici e soprattutto il particolato, alle malattie cardiovascolari. Il particolato fine è la principale componente dell’inquinamento atmosferico che causa malattie cardiovascolari.

Ad oggi, sia l’esposizione a breve termine – ore o giorni – sia l’esposizione a lungo termine – anni o decadi –, si sono dimostrate associate direttamente o indirettamente al rischio di malattia coronarica. Infatti, mentre diversi studi prospettici di coorte hanno evidenziato come l’esposizione prolungata al PM2.5 si associava allo sviluppo di aterosclerosi e di fattori di rischio cardio-metabolici, quali ipertensione arteriosa e diabete mellito, l’esposizione a breve termine al PM2.5 si è dimostrata un trigger per eventi coronarici acuti, soprattutto in soggetti con malattia coronarica preesistente.  In una meta-analisi pubblicata nel 2014, Cesaroni et al. dimostravano che l’esposizione prolungata al particolato era associata ad aumentata incidenza di eventi coronarici nelle 11 coorti incluse nell’European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE). Lo studio dimostrava un aumento del 13% di eventi coronarici acuti non fatali per ogni 5 µg/m3 di aumento di esposizione al PM2.5, e un aumento del 12% di eventi coronarici per ogni 10 µg/m3 di aumento del PM10. Anche una più recente meta-analisi pubblicata nel 2021 ha dimostrato come l’esposizione prolungata al PM2.5 e al PM10 si associ a rischio di infarto miocardico. Dati recenti supporterebbero inoltre l’ipotesi che i pazienti con malattia coronarica preesistente siano a maggior rischio di sperimentare eventi coronarici acuti rispetto ai soggetti sani dopo esposizione di breve durata a più alte concentrazioni di inquinanti atmosferici.

Alterata funzionalità del microcircolo nelle donne

“Una patologia che sembra colpire maggiormente le donne – commenta Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto – è l’alterata funzionalità del microcircolo (coronary microvascular dysfunction, CMD).  Questa malattia, infatti, è più frequente nel sesso femminile e non a caso molti studi sono stati condotti nelle donne. Secondo una definizione recentemente accolta dalla comunità internazionale, l’alterata funzionalità del microcircolo richiede segni e/o sintomi di ischemia miocardica in assenza di malattia coronarica ostruttiva significativa. La CMD è pertanto responsabile di ischemia miocardica ed in qualche caso angina, in assenza di stenosi significative del distretto epicardico. In altri casi, la CMD può rappresentare una concausa di angina anche in presenza di malattia coronarica, cardiomiopatie o scompenso cardiaco. E’ lecito chiedersi se il microcircolo possa essere chiamato in causa per la complicanza più temibile della cardiopatia ischemica: l’infarto miocardico. Sono disponibili diverse tecniche, invasive e non, per analizzare lo stato funzionale del microcircolo coronarico.

In pazienti con vasi epicardici indenni da lesioni significative, la riserva di flusso coronarico (coronary flow reserve, CFR) fornisce una attendibile stima della funzione del microcircolo. Ulteriore indice invasivo di analisi del microcircolo è l’indice di resistenza microvascolare (index of microvascular resistence, IMR) che sfrutta il principio di termodiluizione e può essere agilmente determinato attraverso una guida intracoronarica di pressione e temperatura. Tra le tecniche non invasive, l’ecocolordoppler transtoracico rappresenta sicuramente la metodica di più immediato utilizzo e basso costo, benché spesso ostacolata dalla intrinseca difficoltà nell’ottenimento di un segnale doppler coronarico ottimale. Lo stato funzionale del microcircolo può essere indagato anche mediante risonanza magnetica cardiaca (RMC), strumento utilizzato in particolare per studiare il fenomeno di no-reflow causato da ostruzione del microcircolo dopo ripristino della pervietà del vaso epicardico responsabile di infarto. L’indagine tramite tomografia ad emissione di positroni (PET), per la sua capacità di quantificare in maniera affidabile il flusso sanguigno per grammo di miocardio, rappresenta attualmente il gold standard tra le metodiche di imaging per lo studio del microcircolo. In molti casi la CMD causa semplicemente ischemia da sforzo o a riposo, in assenza di angina. Analogamente ai soggetti con malattia coronarica epicardica, i pazienti con CMD possono accusare angina pectoris tipica, così come sintomi atipici o dispnea da sforzo. Inoltre – conclude Francesco Prati – l’angina nei soggetti con CMD può comparire anche a riposo, soprattutto in coloro che presentano un meccanismo vasospastico o di aumento del tono dei piccoli vasi. Non c’è dubbio che l’angina dovuta a CMD peggiori la qualità di vita. Secondo le linee guida internazionali, l’impiego di una strategia atta all’individuazione dei soggetti con CMD e dei meccanismi che ne sono responsabili, si traduce in un miglioramento della qualità di vita”.

Poligenic risk score ed età
Un aiuto in più nella prevenzione cardiovascolare del giovane? E’ ormai ampiamente accettato che età, sesso, fumo, dislipidemia, ipertensione, obesità, mancanza di attività fisica e diabete sono i principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattia aterosclerotica cardiovascolare (ASCVD). È anche riconosciuto che questi fattori di rischio interagiscono in modo moltiplicativo per incrementare il rischio vascolare del singolo individuo. Tutte le principali linee guida raccomandano la valutazione del rischio di ASCVD utilizzando gli scores di rischio. Infatti, è stato dimostrato che il loro utilizzo a livello di popolazione aumenta l’accuratezza della previsione di eventi e facilita la scelta delle strategie da adottare in prevenzione primaria. Peraltro, nonostante siano stati validati, la loro abilità predittiva a livello individuale non è eccellente. Inoltre, alcuni parametri hanno un peso sproporzionato: l’età, ad esempio, gioca un ruolo eccessivo nella valutazione del rischio. La necessità di migliorare i modelli tradizionali è evidenziata anche dalla incidenza di casi di infarto che sfuggono alla valutazione del rischio. Infatti, fino al 27% dei casi di infarto miocardico non presenta i fattori di rischio utilizzati nei classici modelli predittivi.

Per la maggior parte della popolazione, il rischio ereditario è dovuto all’impatto cumulativo di molte comuni varianti genetiche, note come polimorfismi di un singolo nucleotide (SNPs), ognuna delle quali ha un modesto effetto sul rischio perché non è in grado di determinare una alterazione del gene. Tuttavia, quando queste varianti si sommano tra di loro determinano un significativo aumento del rischio genetico di sviluppare un particolare fenotipo, configurandone così il suo “rischio poligenico”. In questa prospettiva, la previsione di un rischio significativo richiede allora l’esame dell’impatto aggregato di queste varianti multiple, ovvero i punteggi poligenici o i punteggi di rischio poligenico, che consentono questa complessa valutazione.

Studi su larga scala effettuati negli ultimi anni hanno permesso lo sviluppo di punteggi poligenici basati su polimorfismi, chiamati comunemente in lingua inglese Poligenic Risk Scores “(PRSs). Questo punteggio diventa allora uno strumento di predizione del rischio, a prescindere dall’età, troppo spesso considerata una variabile dal peso eccessivo nella valutazione del rischio nei modelli tradizionali, e quindi un aiuto in più nella prevenzione cardiovascolare del giovane perché basato su parametri genetici. Il nostro patrimonio genetico, infatti, è sostanzialmente stabile dalla nascita e determina un “rischio di base” sul quale agiscono influenze esterne. Le informazioni genetiche hanno quindi il potenziale per essere un precoce predittore di rischio. Il PRS allora fornisce una gamma più ampia di rischi probabilistici, simile ad altri biomarcatori come il colesterolo e la pressione arteriosa.

Non solo scienza, tecnica e farmaci, ma anche stili di vita. 
Bere il vino con moderazione fa bene oppure no? Il dibattito sugli effetti di salute di dosi “moderate” del vino, e più in generale di alcool, è andato via via radicalizzandosi negli ultimi anni. Una parte della comunità scientifica, e la quasi totalità delle istituzioni nazionali ed internazionali che si occupano dell’argomento, ha infatti scelto di focalizzare la propria attenzione, e quindi quella dei medici e del pubblico, soprattutto sugli effetti dell’alcool sul rischio di tumori, concludendo che poiché qualunque consumo alcoolico è associato ad un aumento del rischio di queste patologie, solo il consumo zero può essere considerato scevro da rischi; l’altra parte della comunità scientifica ritiene invece necessario contestualizzare queste evidenze, peraltro ben note, negli effetti complessivi dell’alcool sulla salute del consumatore, e tenendo quindi conto dell’impatto del consumo moderato di alcool sul rischio di eventi cardiovascolari e sulla mortalità per tutte le cause.

Dall’analisi della letteratura emerge che, specie se mantenuti entro limiti lievemente più bassi (due drink al giorno per gli uomini ed uno per le donne), tali consumi si associano ad una riduzione del rischio coronarico, minimizzando l’impatto sull’aumento del rischio di tumori, e con un effetto globale favorevole sulla mortalità per tutte le cause, che va considerato il parametro di maggior interesse al proposito. In uno studio recente, il rischio cardiovascolare si riduce progressivamente per consumi crescenti fino a 48-60 g di alcool giorno; per questi livelli di consumo la riduzione è del 50% circa. Meno marcato sembra essere l’effetto protettivo associato al consumo di alcool sul rischio di ictus: gli eventi di natura ischemica sembrerebbero ridotti, ma aumenterebbe il rischio di eventi emorragici. Tra le patologie cardiovascolari l’unica ad aumentare in maniera significativa e dose-correlata, al crescere del consumo di alcool, è la fibrillazione atriale. Sul piano meccanicistico è tuttavia importante osservare che i consumi moderati di alcool si associano a modificazioni di parametri biochimici note per svolgere un effetto antiaterosclerotico. Aumentano per esempio i livelli della colesterolemia HDL, che rappresenta un fattore protettivo nei confronti dell’aterosclerosi coronarica (anche se oggi tale aumento è considerato in genere non rilevante) e si sviluppa un’azione antinfiammatoria, che si traduce in livelli più bassi della proteina C reattiva e dell’interleuchina IL-6. Si osserva inoltre, in genere, un miglioramento della sensibilità all’insulina, ed una riduzione del rischio di sviluppare la malattia diabetica, che certamente contribuisce al rischio di eventi coronarici.

LA PROGETTAZIONE DI AMBIENTI PER LA MANIPOLAZIONE DI RADIOFARMACI O DI SORGENTI NON SIGILLATE.

da inail.it

Il volume si è posto l’obiettivo di aggiornare e ampliare le indicazioni di un triennio fa, allineandole al quadro normativo attuale. A corredo sono stati anche identificati degli indicatori utili alla realizzazione di liste di controllo da proporre quali schede di autovalutazione per le strutture interessate.

img-pubbl-progettazione-ambienti-manipolazione-sorgenti-e-radiof

Prodotto: volume
Edizioni: Inail 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

L’INQUINAMENTO AUMENTA IL RISCHIO DI INFARTO

Lo rivela uno studio della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e Università Cattolica di Roma, presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc) a Barcellona.

L’inquinamento dell’aria soffoca i vasi del cuore e può provocare l’infarto anche in chi ha coronarie sane, cioè senza placche di arterosclerosi, aumentando fino a 11 volte il rischio di ischemia in chi è più esposto al particolato fine. A dimostrare, per la prima volta, che l’aria inquinata può causare uno spasmo prolungato dei vasi che nutrono il muscolo cardiaco, danneggiando anche quelli ‘puliti’, è uno studio della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e Università Cattolica di Roma, presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc) a Barcellona e pubblicato su ‘Journal of American College of Cardiology’.

La ricerca, firmata Rocco Antonio Montone e Filippo Crea, ha studiato il rischio ‘infarto da aria inquinata’ in chi è più esposto a PM2.5, prodotto soprattutto dai gas di scarico dei veicoli, dimostrando che provoca uno spasmo delle coronarie che ‘taglia’ il flusso di sangue al miocardio, determinando la morte del muscolo cardiaco dovuta allo ‘strozzamento’ dei vasi.

Abbiamo studiato il fenomeno – spiega il dottor Montone, dirigente medico presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica del Gemelli – su 287 pazienti, di cui il 56% era affetto da ischemia miocardica cronica in presenza non caratterizzate da placche di aterosclerosi, mentre il 44% aveva addirittura avuto un infarto a coronarie sane. La loro esposizione all’aria inquinata è stata determinata in base al domicilio. Tutti sono stati sottoposti a coronarografia, nel corso della quale è stato effettuato un test ‘provocativo’ all’acetilcolina, che è risultato positivo nel 61%. La positività è risultata molto più frequente in pazienti esposti all’aria inquinata”. “Alla luce dei risultati – conclude il professor Crea, ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare alla Cattolica – limitare l’esposizione all’inquinamento potrebbe ridurre il rischio di eventi cardiovascolari”.

INQUINAMENTO E AUMENTO DEI DISTURBI PSICHIATRICI

da dottnet.it

Lo affermano gli esperti riuniti per il Seminario Internazionale RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health organizzato da Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini

L’esposizione cronica all’inquinamento da traffico veicolare aumenta il pericolo di sviluppare malattie mentali e quando lo smog è oltre i livelli di guardia le patologie psichiatriche esistenti possono peggiorare. Così il rischio depressione aumenta del 13%. Lo affermano gli esperti riuniti per il Seminario Internazionale RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health organizzato da Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini, a Milano il 17-18 giugno.

Per la prima volta in Italia uno studio su poco meno di due milioni di persone seguite per otto anni, quantifica, spiegano gli specialisti, l’impatto sulla salute mentale dell’esposizione cronica al particolato fine e ultrafine e dell’inquinamento atmosferico. Per ogni incremento di circa 1 microgrammo per metro cubo nella esposizione a particolato fine (PM2.5), il rischio di depressione aumenta del 13%, quello di disturbi d’ansia del 9%, di schizofrenia del 7%, soprattutto nella fascia di età fra 30 e 64 anni. Analogamente esiste una correlazione fra la presenza di smog e l’incremento nelle prescrizioni di antipsicotici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore che crescono fino al 4%. Quando la qualità dell’aria urbana è più scarsa aumenta anche il rischio di un peggioramento delle malattie psichiatriche già esistenti: uno studio condotto in Italia su pazienti con depressione bipolare dimostra che nei giorni di particolato atmosferico elevato la probabilità di ricoveri per un episodio maniacale può quasi quadruplicare.

Questi nuovi “preoccupanti dati sugli effetti nel lungo termine dell’inquinamento, indicano che lo smog è un concreto pericolo non solo per cuore e polmoni, ma anche per il cervello – osserva Sergio Harari, co-presidente del Seminario e Direttore Unità Operativa Pneumologia, Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e professore di Medicina Interna alla Statale – Lo smog può cioè essere tossico sul funzionamento cerebrale al punto da provocare anche patologie psichiatriche, probabilmente attraverso un incremento dell’infiammazione generale o per un’alterazione delle difese antiossidanti”. Ed è ormai noto anche l’effetto dello smog sullo sviluppo cognitivo nei bambini: “Sappiamo per esempio che i livelli di esposizione all’inquinamento atmosferico correlano con le capacità in test matematici e di linguaggio – commenta Pier Mannuccio Mannucci, Professore Emerito di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano e Policlinico di Milano – . Al contrario gli spazi verdi nella scuola e nell’ambiente circostante aiutano l’apprendimento, portando a un miglioramento dello sviluppo cognitivo”.

I dati che quantificano per la prima volta nel nostro Paese come l’esposizione cronica all’inquinamento comporti un impatto negativo anche sulla salute mentale, arrivano da uno studio molto ampio per il quale sono stati seguiti dal 2011 al 2019 oltre 1,7 milioni di abitanti di Roma con più di 30 anni, registrando le nuove diagnosi di malattie mentali, la prescrizione di farmaci per malattie psichiatriche e correlando questi dati con l’esposizione al particolato fine e ultrafine, al biossido di azoto e alla polvere di carbone. “I risultati indicano che i livelli di particolato fine e ultrafine a cui si è esposti sono correlati all’incremento del rischio di andare incontro a una patologia mentale”, spiega Massimo Stafoggia, del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio – ASL Roma 1, autore dell’indagine con Federica Nobile e altri colleghi. La pericolosità dello smog sul benessere mentale è confermata anche da un altro studio discusso in anteprima durante il convegno, condotto in partnership dalle Unità Operative di Epidemiologia e Psichiatria del Policlinico di Milano, su circa 200 pazienti con depressione bipolare lì ricoverati per episodio maniacale fra il 2007 e il 2019. Analizzando i dati relativi all’esposizione allo smog nei giorni immediatamente precedenti, è emerso con chiarezza che l’incremento del particolato PM10 nell’aria si associa a un rischio più elevato di ricovero, che arriva a essere 3.6 volte maggiore del normale nel secondo giorno dopo l’esposizione all’aria particolarmente inquinata. “Questi dati confermano gli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute mentale, indicando che le condizioni ambientali possono influenzare non poco la gestione dei pazienti con depressione bipolare”, commenta Michele Carugno, co-autore dello studio con Massimiliano Buoli e altri colleghi, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano e UO Epidemiologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.

IL GLIFOSATO NON È CANCEROGENO PER L’ECHA.

da dottnet.it

Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza.

Il glifosato “provoca gravi lesioni oculari ed è tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”, ma non ci sono prove sufficienti per classificarlo come “tossico” per specifici “organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione”. È questo il parere della European Chemicals Agency (Echa), agenzia UE deputata alla sorveglianza delle sostanze chimiche, in merito al noto erbicida. Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza, i cui risultati complessivi saranno trasmessi alla Commissione europea e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) entro metà agosto. 

A sua volta, “l’Efsa effettuerà la sua valutazione del rischio del glifosato, che dovrebbe essere pronta nel luglio 2023″, fa sapere l’Echa. Sulla base di questi dati, continua l’agenzia Ue, “la Commissione presenterà quindi agli Stati membri una nuova relazione e un progetto di regolamento sulla possibilità di rinnovare o meno l’approvazione del glifosato”.  La nuova valutazione dell’Echa stride con quella dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc), che nel 2015 ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. La classificazione, spiega lo Iarc, “si basava su prove limitate di cancro negli esseri umani e prove sufficienti di cancro negli animali da esperimento”.

MA GLI AMBIENTALISTI INSORGONO…

https://www.today.it/europa/ambiente/glifosato-non-cancerogeno-ue.html