INQUINAMENTO

I 10 PEGGIORI PESTICIDI COINVOLTI NEL PARKINSON.

Un gruppo di studiosi provenienti dall’UCLA Health e da Harvard ha individuato 10 sostanze antiparassitarie che causano gravi danni ai neuroni coinvolti nella malattia di Parkinson, fornendo così nuove informazioni sul ruolo delle tossine ambientali nella patologia. Sebbene l’esposizione ai pesticidi sia stata a lungo associata al Parkinson, individuare quali sostanze aumentino effettivamente il rischio di sviluppare questa malattia neurodegenerativa è stato un compito arduo. Solo in California, esistono quasi 14.000 prodotti antiparassitari che contengono oltre 1.000 principi attivi registrati per l’utilizzo.
Attraverso una combinazione innovativa di epidemiologia e screening di tossicità, che ha sfruttato il vasto database sull’utilizzo dei pesticidi in California, i ricercatori dell’UCLA e di Harvard sono stati in grado di identificare 10 sostanze antiparassitarie direttamente tossiche per i neuroni dopaminergici. Questi neuroni sono responsabili del movimento volontario e la loro morte rappresenta un segnale distintivo del Parkinson.
Tra i 10 pesticidi identificati come tossici per questi neuroni, figuravano quattro insetticidi (dicofol, endosulfan, naled e propargite), tre erbicidi (diquat, endothall e trifluralin) e tre fungicidi (solfato di rame [basico e pentaidrato] e folpet). La maggior parte di questi pesticidi sono ancora comunemente utilizzati negli Stati Uniti.
Nonostante la loro tossicità per i neuroni dopaminergici, questi pesticidi non hanno molte caratteristiche in comune. Infatti, presentano differenti modalità d’uso, sono strutturalmente distinti e non hanno una classificazione di tossicità precedente in comune. I ricercatori hanno anche testato la tossicità di diverse combinazioni di pesticidi comunemente utilizzati nei campi di cotone nello stesso periodo, utilizzando il database dei pesticidi della California. Tra queste combinazioni, quelle contenenti trifluralin, uno dei più comuni erbicidi utilizzati in California, hanno prodotto la maggiore tossicità. (Fonte: Natura comunicazions)

Dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del Lavoro

GLI IPA AUMENTANO IL RISCHIO DI ARTRITE REUMATOIDE.

Secondo uno studio pubblicato su BMJ Open, l’esposizione ambientale ad idrocarburi policiclici aromatici (PAH) è strettamente legata all’aumento del rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. Queste sostanze chimiche sono prodotte dalla combustione di diversi materiali come carbone, petrolio, gas, legno e tabacco, ma anche dalla grigliatura alla fiamma di cibi come carne e altri alimenti. Lo studio ha inoltre rilevato che l’esposizione ai PAH rappresenta la maggior parte dell’impatto del fumo sul rischio di sviluppare la malattia.

Michelle Beidelschies, del Center for Functional Medicine di Cleveland Clinic negli USA e autrice principale dello studio, ha spiegato che sebbene ci siano già prove che legano alcune sostanze tossiche ad alcune malattie croniche, sono stati pochi gli studi che hanno esplorato l’associazione tra queste sostanze e malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide, che si crede dipenda dall’interazione tra fattori genetici, ambientali come il fumo, l’alimentazione e lo stile di vita.

Per comprendere meglio il ruolo dell’esposizione ambientale nel rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, i ricercatori hanno esaminato i dati di 21.987 adulti, di cui 1.418 affetti dalla malattia e 20.569 senza, che avevano partecipato al National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES). Lo studio ha preso in considerazione una vasta gamma di sostanze tossiche, tra cui i PAH, i PHTHTE (sostanze chimiche utilizzate nella produzione di plastica e altri prodotti di consumo) e i COV (composti organici volatili derivanti da vernici, detergenti e pesticidi). Sono stati prelevati campioni di sangue e urina per misurare la quantità totale di PAH (7.090 partecipanti), PHTHTE (7.024) e COV (7.129) nel corpo.

I risultati dello studio hanno mostrato che le probabilità di sviluppare l’artrite reumatoide sono più alte tra le persone che hanno livelli più elevati di PAH nel corpo, indipendentemente dal fatto che fossero fumatori o meno. Al contrario, i metaboliti PHTHTE e COV non sono stati associati ad un aumento del rischio di artrite reumatoide, e neanche il fumo è risultato essere associato ad un aumento del rischio, dopo aver tenuto conto dei livelli di PAH. Ulteriori analisi hanno dimostrato che il livello corporeo di PAH rappresenta il 90% dell’impatto dell’esposizione al fumo sul rischio di artrite reumatoide.

dott. Alessandro Guerri medico , specialista in Medicina del Lavoro

fonti :

BMJ Open 2023. Doi: 10.1136/bmjopen-2022-071514http://doi.org/10.1136/bmjopen-2022-071514.

doctot33.it

ANCORA TROPPO NEOPLASIE PROFESSIONALI IN LOMBARDIA

da “il giorno”

Sono 38.560 i lavoratori esposti o che hanno lavorato a contatto con sostanze cancerogene. Il problema legato ad amianto, cobalto, cadmio e polvere di legno duro. Un lavoratore (foto di repertorio)Un lavoratore (foto di repertorio)Sono oltre 38mila i lavoratori in Lombardia esposti o che hanno lavorato a contatto con sostanze cancerogene, il numero più elevato nel contesto nazionale. È quanto emerge dal Sistema informativo di registrazione delle esposizioni professionali (Sirep) dell’Inail, che raccoglie i flussi pervenuti dai datori di lavoro. L’articolo 243 del decreto legislativo 81/2008 prevede, infatti, che i lavoratori esposti al rischio di sviluppare neoplasie correlate al contatto con sostanze impiegate nel proprio lavoro siano iscritti in un registro istituito dal datore di lavoro, in cui viene riportata l’attività svolta, l’agente cancerogeno utilizzato e, se noto, il valore dell’esposizione a tale agente. I flussi informativi sono raccolti nel Sirep, per il monitoraggio delle malattie professionali di grande rilevanza per ragioni epidemiologiche, medico-legali, storiche e sociali.

rapporto appena pubblicato dall’Inail, che ha estrapolato i dati del periodo 1994 e 2021, emerge come in Lombardia siano 3.239 le unità produttive e 38.560 i lavoratori coinvolti, per un totale di 80mila esposizioni registrate. Il numero di lavoratori è il più elevato in Italia (al secondo posto il Veneto con circa 34mila) così come quello delle unità produttive (poco meno di 2.800 in Veneto), mentre il numero di esposizioni è leggermente inferiore alle 90mila del Veneto, ma le misurazioni (i campionamenti personali o ambientali) sono la metà (72mila in Lombardia, 114mila in Veneto).

Tra le province lombarde, a Milano si rileva il maggior numero di lavoratori esposti a sostanze cancerogene (8.375), seguita da Bergamo (6.467) e Como (5.413); sono 4539 a Brescia, 1.071 a Lecco e 451 a Sondrio. Il maggior numero di misurazioni è a Milano (16.534) e Bergamo (14.665). In generale, sono le aziende più grandi ad apportare il maggior numero di dati. Il dossier rileva che “la loro costante diminuzione non ha inciso sul monitoraggio mentre ha sicuramente inciso sui grandi Servizi salute e sicurezza che al loro interno producevano indagini di igiene industriale, campionamenti e analisi propri.

Polvere di legno duro, cromo, benzene, nichel composti, formaldeide, amianto, cobalto, polvere di silice e idrocarburi sono le sostanze a cui sono esposti i numeri più elevati; la regione è al primo posto in Italia per unità produttive e lavoratori esposti a polvere di legno, amianto, idrocarburi policiclici aromatici, cobalto, cadmio. “Per il lento manifestarsi del fenomeno causa-effetto – spiega Stefano Signorini, direttore del Dipartimento di igiene del lavoro e ambientale dell’Inail – l’esposizione ad agenti cancerogeni non permette un’immediata correlazione con le cause lavorative, per cui la sorveglianza sanitaria diventa essenziale per la definizione degli interventi di prevenzione”.

RUMORE AMBIENTALE E QUALITÀ DEL SONNO

Diversi recenti studi hanno evidenziato come il rumore ambientale possa incidere notevolmente sulla durata e sulla qualità del sonno.

Il sonno notoriamente svolge un ruolo molto importante nella salute e nel benessere generale del nostro corpo e della nostra mente :

  1. Migliora la memoria e la capacità di apprendimento: durante il sonno il cervello elabora le informazioni acquisite durante la giornata, consolidando le memorie e migliorando la capacità di apprendimento.
  2. Riduce lo stress: il sonno aiuta a ridurre i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nel corpo.
  3. Migliora l’umore: le persone che dormono bene tendono ad essere più felici e positive.
  4. Rinforza il sistema immunitario: durante il sonno il corpo produce proteine che aiutano a combattere le infezioni, rafforzando il sistema immunitario.
  5. Aiuta a mantenere un peso sano: il sonno regolare aiuta a mantenere un peso sano, poiché influisce sui livelli di ormoni che regolano l’appetito.
  6. Favorisce la salute del cuore: il sonno aiuta a ridurre la pressione sanguigna e il rischio di malattie cardiovascolari.
  7. Il rumore ambientale è invece una fonte di disturbo comune nella vita quotidiana, che può influire sulla salute e sul benessere delle persone. In particolare, il rumore aereoportuale in particolare è un tipo di rumore ambientale che può avere un impatto significativo sulla qualità del sonno delle persone che vivono vicino agli aeroporti.

Gli effetti del rumore aereoportuale sulla qualità del sonno sono stati ampiamente studiati negli ultimi decenni. Le ricerche hanno dimostrato che il rumore aereoportuale può interrompere il sonno, causando un sonno meno profondo e meno riposante. Questo può portare ad una diminuzione della qualità del sonno, con conseguente affaticamento, sonnolenza durante il giorno e una maggiore probabilità di problemi di salute a lungo termine.

Uno dei modi principali in cui il rumore aereoportuale può influire sulla qualità del sonno è attraverso la sua capacità di interrompere il sonno durante le fasi più leggere. Il rumore può causare un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, così come un aumento del tono muscolare, che può portare ad un risveglio o ad una diminuzione della qualità del sonno. Inoltre, il rumore aereoportuale può anche causare un aumento del rischio di apnee notturne, disturbi respiratori durante il sonno che possono portare a problemi di salute a lungo termine.

Alcuni studi hanno anche evidenziato una maggiore suscettibilità degli anziani, delle donne in gravidanza e dei bambini agli effetti del rumore aereoportuale sulla qualità del sonno. In particolare, i bambini possono essere più vulnerabili ai disturbi del sonno causati dal rumore aereoportuale a causa della loro maggiore sensibilità uditiva.

Esistono diverse tecniche per ridurre l’impatto del rumore aereoportuale sulla qualità del sonno. Ad esempio, la riduzione del rumore attraverso l’uso di materiali fonoassorbenti o l’installazione di finestre insonorizzate può aiutare a ridurre la quantità di rumore che penetra in una casa. Inoltre, l’uso di dispositivi di mascheramento del rumore, come ventilatori o apparecchi acustici, può anche aiutare a mascherare il rumore aereoportuale e a migliorare la qualità del sonno.

Il rumore aereoportuale ed ambientale può avere un impatto significativo sulla qualità del sonno delle persone che vivono vicino agli aeroporti. Tuttavia, esistono diverse tecniche per ridurre l’impatto del rumore sulla qualità del sonno, che possono aiutare le persone a dormire meglio e ad evitare i problemi di salute a lungo termine associati al sonno disturbato.

link :

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35857401/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29538344/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36981810/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/27529260/

dott Alessandro Guerri medico Specialista in Medicina del Lavoro

EUPHA 33 EUROPEAN JOURNAL OF PUBLIC HEALTH

È qui disponibile tratto da EUPHA NEWSLETTER , l’ultimo numero della rivista EUROPEAN JOURNAL OF PUBLIC HEALTH VOLUME 33 di Aprile 2023. Buona lettura!


European Journal of Public Health Volume 33, Issue 2, April 2023
EDITORIAL
Quality, integrity and utility of COVID-19 science: opportunities for public health researchers 
Angelo Maria Pezzullo, John P A Ioannidis, Stefania Boccia 
Brexit: reality bites for health on the island of Ireland 
Martin McKee and Anthony StainesHEALTH SERVICES RESEARCH
Emergency department outcomes for patients experiencing homelessness in England: retrospective cross-sectional study 
Charlie Moss, Laura Anselmi, Matt Sutton
French national addictovigilance follow-up of zolpidem between 2014 and 2020: evolution of drug abuse, misuse and dependence before and after the regulatory change 
Aurélie Aquizerate, Edouard-Jules Laforgue, Marion Istvan, Morgane Rousselet, Marie Gerardin, Emilie Jouanjus, Frédéric Libert, French Addictovigilance Network , Marylène Guerlais, Caroline Victorri-Vigneau
The urgent need for valid data on access to healthcare in Europe 
Caterina Francesca Guidi and David InglebySOCIAL DETERMINANTS
Socioeconomic inequalities in paediatric metabolic syndrome: mediation by parental health literacy 
Alexander Lepe, Marlou L A de Kroon, Sijmen A Reijneveld, Andrea F de Winter
Is there a peer status gradient in mortality? Findings from a Swedish cohort born in 1953 and followed to age 67 
Ylva B Almquist, Viveca Östberg, Bitte ModinCOVID-19
Veneto Region dementia-related mortality during the COVID-19 pandemic: multiple causes of death and time series analysis 
Cristina Basso, Claudio Barbiellini Amidei, Veronica Casotto, Elena Schievano, Matilde Dotto, Silvia Tiozzo Netti, Manuel Zorzi, Ugo Fedeli
Trends in and relations between children’s health-related behaviors pre-, mid- and post-Covid 
Anne G M de Bruijn, Sanne Cornelia Maria te Wierike, Remo Mombarg
Occupational role and COVID-19 among foreign-born healthcare workers in Sweden: a registry-based study 
Chioma Nwaru, Huiqi Li, Carl Bonander, Ailiana Santosa, Stefan Franzén, Maria Rosvall, Fredrik Nyberg
A descriptive study of COVID-19 cases in primary and secondary schools in the Maltese islands: a nationwide experience 
Liliana Cuschieri, Michelle Deguara, Dale Bartolo, Neville Calleja, Charmaine GauciVACCINATION
EDITOR’S CHOICE The far-right and anti-vaccine attitudes: lessons from Spain’s mass COVID-19 vaccine roll-out 
Manuel Serrano-Alarcón, Yuxi Wang, Alexander Kentikelenis, Martin Mckee, David Stuckler
Vaccination barriers and drivers in Romania: a focused ethnographic study 
Eve Dube, Adriana Pistol, Aurora Stanescu, Cassandra Butu, Sherine Guirguis, Oana Motea, Anca Elvira Popescu, Alexandra Voivozeanu, Miljana Grbic, Marie-Ève Trottier, Noel T Brewer, Julie Leask, Bruce Gellin, Katrine Bach Habersaat
Consumption and tax gains attributable to Covid-19 vaccinations in 12 EU countries with low vaccination rates 
Jonathan Cylus, Jessica Walters, Martin McKee, Peter CowleyMENTAL HEALTH
The effectiveness of interventions to prevent loneliness and social isolation in the community-dwelling and old population: an overview of systematic reviews and meta-analysis 
Ludwig Grillich, Viktoria Titscher, Pauline Klingenstein, Eva Kostial, Robert Emprechtinger, Irma Klerings, Isolde Sommer, Jana Nikitin, Anton-Rupert Laireiter
Gender and socioeconomic patterning of self-reported sleep problems across European countries 
Mariusz Baranowski and Piotr Jabkowski
Co-occurring homelessness, justice involvement, opioid dependence and psychosis: a cross-sectoral data linkage study 
Emily J Tweed, Alastair H Leyland, David S Morrison, S Vittal KatikireddiWORK AND HEALTH
Single and cumulative exposure to psychosocial work conditions and mental health among young adults 
Samira de Groot, Karin Veldman, Benjamin C Amick, III, Ute Bültmann
Childhood adversity and risk of later labor market marginalization in young employees in Sweden 
Emma Björkenstam, Magnus Helgesson, Ellenor Mittendorfer-Rutz
Time period effects in work disability due to common mental disorders among young employees in Sweden—a register-based cohort study across occupational classes and employment sectors 
Ridwanul Amin, Ellenor Mittendorfer-Rutz, Emma Björkenstam, Marianna Virtanen, Magnus Helgesson, Niklas Gustafsson, Syed Rahman
Central and Eastern European migrant worker status, co-living situation and SARS-CoV-2 exposure and transmission risk 
L H Boogaard, J L A Hautvast, A Timen, C H M van JaarsveldNUTRITION
Association between social jetlag and sugar-sweetened beverages (SSBs) in adolescents in Western Canada 
Kexin Zhang, Martin Guhn, Annalijn I Conklin
Comparative understanding and preference of Nutri-Score and NutrInform Battery in a sample of Spanish consumers 
Morgane Fialon, Nancy Babio, Jordi Salas-Salvadó, Pilar Galan, Emmanuelle Kesse-Guyot, Mathilde Touvier, Mélanie Deschasaux-Tanguy, Barthélémy Sarda, Serge Hercberg, Nadine Khoury, Lydiane Nabec, Chantal Julia
Public perceptions of responsibility for recommended food policies in seven countries 
Ana-Catarina Pinho-Gomes, Leon Booth, Simone PettigrewALCOHOL
A comparative study of industry responses to government consultations about alcohol and gambling in the UK 
Saloni Bhuptani, Sadie Boniface, Katherine Severi, Greg Hartwell, Elizabeth McGill
Children with problem-drinking parents in a Swedish national sample: is the risk of harm related to the severity of parental problem drinking? 
Mats Ramstedt, Jonas Raninen, Peter Larm, Michael Livingston
A mystery-shopping study to test enforcement of minimum legal purchasing age in Lithuania in 2022 
Laura Miščikienė, Alexander Tran, Janina Petkevičienė, Jürgen Rehm, Justina Vaitkevičiūtė, Lukas Galkus, Shannon Lange, Mindaugas Štelemėkas
Support for evidence-based alcohol policy in Ireland: results from a representative household survey 
Susan Calnan, Seán R Millar, Deirdre MonganCANCER SCREENING
Sex variation in colorectal cancer mortality: trends and implications for screening 
Gavin R C Clark, Callum G Fraser, Judith A Strachan, Robert J C Steele
Optimization of screening strategies for colorectal cancer based on fecal DNA and occult blood testing 
Tingting Yao, Qin Sun, Kangwei Xiong, Yuan Su, Qian Zhao, Chenhong Zhang, Lijiu Zhang, Xuejun Li, Haiming FangREPRODUCTIVE HEALTH
Impact of the EURO-PERISTAT Reports on obstetric management: a difference-in-regression-discontinuity analysis 
Leonie A Daalderop, Jasper V Been, Eric A P Steegers, Loes C M BertensEUROPEAN PUBLIC HEALTH NEWS
European Public Health News 
Marieke Verschuuren, Peter Geller, Laura T Murphy, Hanni Stoklosa, Jozef Bartovic, Hedinn Halldorsson, Marie Wolf, Isabel Yordi Aguirre, Anthony Staines, Floris Barnhoorn

LA BRONCOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA OCCUPAZIONALE.

da Inail.it

La BPCO è caratterizzata dalla progressiva ed irreversibile limitazione del flusso d’aria nei polmoni che si può manifestare come Bronchite Cronica, Enfisema ed Asma, ed è frequentemente causata da una significativa esposizione a particelle nocive o gas, anche di origine professionale, che determinano un’abnorme risposta infiammatoria locale e sistemica.

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Il fumo di tabacco è il principale fattore di rischio, ma l’impatto della storia lavorativa sulla BPCO è considerevole e deve essere valutato per l’attuazione di strategie preventive efficaci. Il fact sheet fornisce una panoramica dei principali fattori di rischio della BPCO ed evidenzia la necessità di un’adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori dei settori a rischio, utilizzando l’esame spirometrico ripetuto per un adeguato follow-up preventivo.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2023
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

BISFENOLO A: RIDOTTA DA EFSA LA SOGLIA DI ASSUNZIONE DI 20.000 VOLTE

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha pubblicato un nuovo parere scientifico sulla valutazione ex novo dei rischi per la salute pubblica relativi alla presenza di bisfenolo A negli alimenti riducendo significativamente la soglia di assunzione giornaliera tollerabile stabilita nella sua precedente valutazione del 2015: la nuova dose è di circa 20mila volte inferiore a quella precedente. Sulla base di tutte le nuove evidenze scientifiche valutate, infatti, gli esperti dell’Efsa hanno stabilito un valore-soglia di 0,2 nanogrammi (0,2 miliardesimi di grammo) per chilogrammo di peso corporeo di una persona al giorno, in sostituzione della precedente soglia temporanea di 4 microgrammi (4 milionesimi di grammo). Sostanze chimiche come il bisfenolo A, utilizzato nei recipienti per alimenti, possono migrare in quantità minime negli alimenti e bevande in essi contenuti, per cui gli scienziati dell’Efsa ne rivedono periodicamente la sicurezza.

Dove si trova il bisfenolo A e dove è vietato

Il bisfenolo A (o BPA) è una sostanza chimica usata prevalentemente in associazione con altre sostanze per produrre alcune plastiche e resine. Viene utilizzato ad esempio nel policarbonato, un tipo di plastica trasparente e rigida impiegata per la realizzazione di contenitori di stoccaggio e bottiglie riutilizzabili per bevande (assai raramente è presente nelle comuni bottiglie di plastica di acqua minerale). Il BPA serve anche per produrre certe resine presenti in pellicole e rivestimenti per lattine e contenitori per bevande e alimenti.  Il bisfenolo A era già stato al centro dell’attenzione nel gennaio 2011 quando era stato messo al bando dalle tettarelle e dai biberon europei per la sua azione sul sistema endocrino, quello che regola molte funzioni del nostro organismo tramite la corretta produzione degli ormoni. Se ne è poi parlato diverse volte, anche in merito alla sua presenza nei cartoni di pizza.  Nel febbraio 2018 l’Ue ha introdotto limiti più severi sul contenuto di BPA nei materiali a contatto con gli alimenti: limiti ricavati dalla soglia giornaliera temporanea tollerabile stabilita dall’Efsa nel 2015. Dal settembre 2018 è vietato l’uso del BPA in bottiglie di plastica e imballaggi contenenti alimenti per neonati e bambini di età inferiore a tre anni. ( Da il corriere.it)

PFAS NELLA CARTA IGIENICA

da Agi.com

La carta igienica è tossica e inquina? Per il momento i suoi rotoli sono sotto osservazione in tutto il mondo, perché un recente studio ha stabilito che “la carta igienica dovrebbe essere considerata come una fonte importante di Pfas che entra nei sistemi di trattamento delle acque reflue”.

Pfas, nella fattispecie, sono sostanze perfluoroalchiliche, dette anche acidi perfluoroacrilici, che appartengono ad una famiglia di composti chimici molto utilizzati dall’industria. Ovvero, acidi forti, resistenti ai principali processi naturali di degradazione. Di fatto, sono “una classe di circa 14.000 sostanze chimiche tipicamente utilizzate per rendere migliaia di prodotti di consumo resistenti all’acqua, alle macchie e al calore” e che possono essere portatori di cancro, complicazioni fetali, malattie del fegato, malattie renali, malattie autoimmuni e comportare altri gravi problemi di salute.

Lo studio ha analizzato 21 tra i principali marchi di carta igienica nel Nord America, in Europa occidentale, Africa, America centrale e Sud America, senza menzionare nello specifico i loro nomi, ma scoprendo che le sostanze tossiche Pfas contenute nella carta igienica una volta che finiscono “negli impianti di trattamento delle acque reflue probabilmente creano una fonte significativa di inquinamento idrico”.

Il rapporto dell’Università della Florida, sottolinea il Guardian, non ha tuttavia preso in considerazione “le implicazioni per la salute delle persone che si puliscono con carta igienica contaminata”, anche perché non esiste alcuna ricerca su come queste sostanze possano essere assorbite epidermicamente.

Però vale sicuramente la pena indagare”, afferma David Andrews, scienziato senior dell’Environmental Working Group, organizzazione no-profit per la salute pubblica che monitora l’inquinamento da Pfas. I marchi che utilizzavano carta riciclata contenevano tanto Pfas quanto quelli che non la utilizzavano, al punto che “potrebbe essere che non si possa evitare il Pfas nella carta igienica”, ha affermato Jake Thompson, autore principale dello studio dell’Università della Florida.

“Non c’è fretta di cambiare la carta igienica e non sto dicendo che le persone dovrebbero smettere di usarla o ridurne la quantità”, ha poi aggiunto, ma il punto è che “stiamo identificando un’altra fonte di Pfas e ciò mette in evidenza che le sostanze chimiche sono comunque onnipresenti”.

Tuttavia, sostiene il Guardian, i livelli di Pfas rilevati “sono sufficientemente bassi da suggerire che le sostanze chimiche vengano utilizzate nel processo di produzione per evitare che la pasta di carta si attacchi ai macchinari”, come evidenziato dallo stesso Thompson, anche perché sono spesso usati come lubrificanti nel processo di produzione e alcuni dei prodotti chimici “sono comunemente lasciati sui o nei generi di consumo”.

Secondo la ricerca, l’americano medio utilizza 57 libbre di carta igienica all’anno e più di 19 miliardi di libbre di carta igienica vengono “scaricate” ogni anno nei gabinetti degli Stati Uniti.

LE SOCIETÀ SCIENTIFICHE CHIEDONO UNA REVISIONE DEL REACH.

da dottnet.it

L’Associazione Medici Endocrinologi (AME) in concerto con l’European Society of Endocrinology (ESE) ed altre società scientifiche in ambito endocrinologico italiane ed europee ha presentato una petizione alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e ad altre Commissioni Europee per chiedere l’immediata pubblicazione della revisione del REACH (Restriction, Evaluation, and Authorisation of Chemicals) originariamente prevista per il 2022[1]. Il REACH è il regolamento comunitario che riguarda la Registrazione, Valutazione, Autorizzazione, Restrizione delle sostanze chimiche. È il regolamento di riferimento per le politiche di gestione e mitigazione del rischio espositivo per la popolazione relativo a numerose sostanze potenzialmente dannose per la salute e che ogni anno vengono liberate nell’ambiente. Con il REACH, pubblicato nel 2006, viene istituita l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (European Chemicals Agency, ECHA[2]) con sede ad Helsinki. Lo scopo è la tutela della salute umana e dell’ambiente. Entrambi gli scopi fanno parte del razionale che ne ha indotto l’istituzione. L’uso di sostanze progressivamente identificate come tossiche verrà scoraggiato e impedito. Per molte delle sostanze immesse nell’ambiente esistono poche informazioni sulla sicurezza. Alcune di queste sostanze, anche se non vengono ingerite volontariamente, possono contaminare l’ambiente ed entrare indirettamente nella nostra catena alimentare. Altre sono apparentemente poco pericolose se veniamo in contatto con piccole quantità di esse, ma possono accumularsi nel nostro corpo col tempo (bioaccumulo) e/o interagire con ulteriori altre sostanze chimiche determinando effetti biologici e rischi per la salute. Tra queste ricordiamo il Bisfenolo, gli ftalati, i PFAS (PolyFluoroAlkyl Substances). Sostanze come i PFAS (che dovrebbero essere uno degli argomenti importanti della prossima revisione) sono caratterizzate da una composizione chimica estremamente resistente alla degradazione naturale e pertanto hanno la capacità di resistere nell’ambiente per molto tempo, distribuirsi in aree anche molto lontane dalla fonte di emissione attraverso la contaminazione delle falde acquifere e del suolo. I rischi per la salute descritti sono molteplici. Dal rischio di complicanze materno-fetali durante la gravidanza (basso peso del neonato), ai tumori del testicolo e del rene. Sono anche associati a malattie della tiroide, malattia infiammatoria cronica dell’intestino e ad un incremento del valore di colesterolo LDL nel sangue[3][4].

Gli Endocrine Disrupting Chemicals (EDCs), sostanze chimiche capaci di interferire con la funzione del sistema endocrino, sono stati associati all’insorgenza del diabete mellito, ad alterazioni dello sviluppo neurologico, ad alterazioni della fertilità ed a molte altre condizioni di rischio per la salute. Il regolamento REACH introduce il principio per cui spetta all’industria la responsabilità della gestione del rischio da sostanze chimiche. Devono fornire informazioni sulla sicurezza delle sostanze prodotte, utilizzate e/o immesse sul mercato[5][6]. In caso di inadempienza non è consentito alle aziende produttrici di produrre, importare o immettere sul mercato alcuna sostanza chimica.

La petizione mira a garantire la revisione del regolamento REACH entro il mese di giugno del 2023, prima che decadano i mandati dell’attuale Parlamento Europeo e della Commissione Europea (maggio 2024).

È fondamentale che la revisione sia adottata nell’ambito dell’attuale mandato politico della Commissione Europea e del Parlamento Europeo. Ritardare ulteriormente la revisione del REACH determinerà il persistere di un elevato livello di esposizione agli EDCs della popolazione, con conseguenze più gravi in particolar modo per soggetti vulnerabili come i bambini e le donne in gravidanza.

Le Società scientifiche di Endocrinologia hanno intrapreso un’azione di pressione sulle istituzioni anche attraverso l’utilizzo dei social-media (Twitter: includendo l’hashtag #REACHrevisionNOW e l’hashtag #BecauseHormonesMatter). Personaggi politici, studiosi e cittadini sono invitati a incrementare la sensibilizzazione su questo tema tanto importante per la salute di noi tutti. 

 Referenze

[1] https://associazionemediciendocrinologi.it/index.php/notizie-in-evidenza/4798-petizione-per-la-revisione-di-reach-da-parte-della-european-society-of-endocrinology

[2] https://echa.europa.eu/it/home

[3] Steenland K, Winquist A. PFAS and cancer, a scoping review of the epidemiologic evidence. Environ Res. 2021 Mar;194:110690. doi: 10.1016/j.envres.2020.110690. Epub 2020 Dec 30. PMID: 33385391; PMCID: PMC7946751.

[4] Panieri E, Baralic K, Djukic-Cosic D, Buha Djordjevic A, Saso L. PFAS Molecules: A Major Concern for the Human Health and the Environment. Toxics. 2022 Jan 18;10(2):44. doi: 10.3390/toxics10020044. PMID: 35202231; PMCID: PMC8878656.

[5] https://reach.mise.gov.it/cos-e-reach/reach-in-breve

[6] https://www.mase.gov.it/pagina/il-regolamento-reach

RUMORE DEL TRAFFICO E IPERTENSIONE ARTERIOSA.

da dottnet.it

Il rumore del traffico alza la pressione del sangue: è quanto emerso in un lavoro pubblicato sulla rivista JACC: Advances e condotto presso l’Università di Oxford e l’Università di Pechino.   Studi precedenti hanno dimostrato un legame tra il traffico stradale rumoroso e l’aumento del rischio di ipertensione.     Tuttavia, mancavano prove solide e non era chiaro cosa tra il rumore o l’inquinamento atmosferico giocasse un ruolo maggiore. La nuova ricerca dimostra che è proprio l’esposizione al rumore del traffico stradale che può aumentare il rischio di ipertensione.  Gli studi precedenti sull’argomento erano di tipo trasversale, cioè mostravano che il rumore del traffico e l’ipertensione erano collegati, ma non riuscivano a dimostrare una relazione di causa ed effetto. Per il nuovo lavoro, i ricercatori hanno usato i dati della Biobanca del Regno Unito, che ha esaminato i risultati della salute nel tempo. I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 240.000 persone (di età compresa tra 40 e 69 anni) che all’inizio non presentavano ipertensione. Hanno stimato il rumore del traffico stradale in base all’indirizzo di residenza e al Common Noise Assessment Method, uno strumento europeo.  Dopo un periodo di monitoraggio mediamente lungo 8,1 anni, i ricercatori hanno esaminato quante persone hanno sviluppato l’ipertensione. Non solo hanno scoperto che le persone che vivevano in zone con molto rumore da traffico stradale avevano maggiori probabilità di sviluppare l’ipertensione, ma anche che il rischio aumentava di pari passo con la “dose” di rumore.  Queste associazioni si sono mantenute anche quando i ricercatori hanno tenuto conto dell’effetto negativo dell’esposizione alle polveri sottili e al biossido di azoto. Tuttavia, le persone con un’elevata esposizione sia al rumore del traffico che all’inquinamento atmosferico presentavano il rischio più elevato di ipertensione, dimostrando che anche l’inquinamento atmosferico svolge un ruolo importante.  “Il rumore del traffico stradale e l’inquinamento atmosferico legato al traffico coesistono intorno a noi”, ha detto Jing Huang, primo autore del lavoro. “È essenziale esplorare gli effetti indipendenti del rumore del traffico stradale, piuttosto che l’ambiente complessivo”.