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COVID: STATINE ANTI COLESTEROLO RIDUCONO LA MORTALITÀ . Ecco 5 ipotesi

I farmaci usati per la cura del colesterolo, a base di statine, ridurrebbero sensibilmente la mortalità nei pazienti gravi con Covid-19. “Studi parlano di una riduzione del 30-50%, un dato importante”

La notizia può assumere un grande significato ed aprire nuove prospettive nella lotta al Covid-19: le statine utilizzate per il colesterolo avrebbero un ruolo molto importante nel ridurre la mortalità nei pazienti gravi ospedalizzati con l’infezione da Sars-Cov-2.

Cosa dice lo studio

Lo studio, pubblicato su una delle riviste scientifiche mondiali più importanti, Nature Communication, ha osservato un totale di 2626 pazienti ospedalizzati: gli autori hanno deciso di confrontare 1296 pazienti di cui 648 già utilizzatori di statine e 648 non consumatori di statine.

“Concludiamo che l’uso di statine antecedenti nei pazienti ospedalizzati con Covid-19 è associato a una minore mortalità ospedaliera”, scrivono i ricercatori. “Sebbene le statine siano state tradizionalmente somministrate per abbassare il colesterolo sierico, i loro effetti pleiotropici, comprese le proprietà antinfiammatorie e antitrombotiche, le rendono una classe di farmaci attraente nel contesto del Covid-19”, aggiungono. Questi farmaci sono i più utilizzati per ridurre i livelli eccessivamente elevati di grassi nel sangue: come riportato da un giornale web specializzato, la prima statina ad essere scoperta, nel 1976, fu la mevastatina, un composto di origine naturale isolato per la prima volta da colture di due specie di fungo appartenenti al genere Penicillium e che può essere considerato come il precursore di tutte le statine. 1976.

Riduzione di mortalità fra 30 e 50%”

“Il farmaco è di larghissimo uso, 30 anni fa venne introdotto per ridurre il colesterolo e le statine hanno avuto un grandissimo successo terapeutico perché, negli anni, hanno dimostrato non solo di ridurre il colesterolo ma anche gli infarti e la mortalità cardiovascolare. Le statine sono un farmaco cardine della terapia dell’infartuato e della prevenzione dall’infarto”, afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Maurizio Averna, Responsabile Unità di Medicina d’urgenza dell’ Azienda Ospedaliera Universitaria “Paolo Giaccone” di Palermo, Consigliere Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) ed esperto di fama internazionale su colesterolo e statine.

Il professore ci spiega che l’articolo di Nature rientra tra i migliori fin qui condotti e si unisce a quelli che sono stati pubblicati in quest’anno di pandemia su altre riviste importanti, un numero compreso fra 25 e 30 studi in cui tutti i risultati vanno nella stessa direzione. “Tra i ricoverati per Covid, in quelli che definiamo ‘users’, cioè coloro i quali avevano fatto uso di statine rispetto a quelli che non ne avevano mai fatto uso, c’è stata una riduzione della mortalità che oscillava fra il 30 ed il 50%, un dato importante – afferma Averna – È importante perché, in quest’ultimo lavoro fatto molto bene, sono stati studiati oltre 600 ricoverati Covid con uso precedente di statine ed altri 600 ricoverati che non ne avevano mai fatto uso. La riduzione della mortalità a 30 giorni era del 45% circa”. Questo lavoro conferma altre due metanalisi, cioè l’analisi contemporanea di più studi, una su studi fatti in Cina e Corea con malati Covid ricoverati e l’altra su pazienti ricoverati in Europa e Stati Uniti. “Ebbene, le due metanalisi sono andate nella stessa direzione: c’è una riduzione di mortalità fra 30 e 50% nei pazienti che facevano uso di statine, questo è un dato solido”.https://139b604774008aa7d2ab036ebf79e126.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-37/html/container.html

Il ruolo delle statine: 5 diverse ipotesi

Ma perché le statine provocano una riduzione della mortalità? Il Prof. Averna ci ha spiegato cinque valide interpretazioni per questo fenomeno osservazionale. “La prima è che le statine riducano la mortalità cardiovascolare: coloro i quali sono stati trattati cronicamente con statine, quando si ammalano di Covid ed hanno una serie di comorbidità che li costringe in ospedale, il virus a cascata potrebbe scompensare gli altri organi portando alla morte per malattia cardiovascolare. I pazienti che la utilizzavano prima, però, sarebbero protetti da questi eventi cardiovascolari”, spiega l’esperto. La seconda possibilità, invece, riguarda direttamente gli effetti del farmaco sulla riduzione del colesterolo, il vero motivo per cui sono stati prodotti. “Quando si riduce il colesterolo, la riduzione media una serie di azioni che sono antinfiammatorie e anticoagulative: è stato dimostrato che le statine hanno un’attività antinfiammatoria in vitro e in vivo, sull’uomo, riducono un parametro che indica l’infiammazione chiamato ‘proteina C reattiva’, l’esame che chiede il medico per vedere se c’è infiammazione. Le statine riducono la proteina C reattiva e riducono pure l’aggregazione delle piastrine, il primo fenomeno che porta alla trombosi”. La riduzione avviene perché cambia il contenuto di colesterolo nelle membrane cellulari: cambiando questo contenuto, si ha meno flogosi (infiammazione) e meno aggregazione piastrinica. “Questa potrebbe essere un’altra chiave di interpretazione del dato osservazionale”, sottolinea Averna.

“Una terza chiave di interpretazione è sempre legata alla modifica delle membrane: il virus, per entrare dentro la cellula, usa dei recettori. Questi recettori sono concentrati in punti della membrana delle cellule; il virus usa queste porte per entrare nella cellula ma quando cambia la composizione di colesterolo delle membrane, queste zone di arricchimento diventano rarefatte ed il virus potrebbe avere maggiore difficoltà ad entrare e infettare”, ci dice l’esperto. Una quarta possibilità, invece, è di recente scoperta e riguarda una dimostrazione ottenuta in silico, cioè eseguito al computer o tramite simulazione al computer. “Si è visto che la statina, come struttura molecolare, è un potente inibitore di una proteasi virale del Covid chiamata ‘Mpro’, proteasi M. Le statine potrebbero inibire questa proteasi che è fondamentale per la replicazione virale, quindi sarebbe di ostacolo al virus”. Ma c’è anche un quinto indizio che va su questa strada e riguarda un lavoro spagnolo dello scorso anno costruito allo stesso modo di quello pubblicato su Nature Communication. “Non solo ha dimostrato la stessa cosa, che c’è una riduzione della mortalità del 40-50% in chi aveva fatto uso di statine, ma la riduzione era maggiore se si continuavano ad utilizzare anche in ospedale”.

“Cura anti-Covid? Non saprei dire”

Insomma, cinque indizi fanno più di una prova ma il Prof. Averna rimane cauto. “Se lei mi chiede di curare il Covid con le statine non le so rispondere, non abbiamo elementi per dare una risposta del genere ma le posso dire sicuramente una cosa: dopo un anno di Covid, la prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari, quella che si fa con le statine, credo che abbia avuto un arresto per una serie di motivi”, afferma l’esperto. I motivi riguardano la riduzione del 40% delle attività di cardiologia interventistica, come nel caso degli stent, perché la gente non è più andata in ospedale anche in presenza di sindrome coronarica acuta. “La stessa cosa credo sia accaduta anche per i controlli, la frequentazione degli ambulatori specialistici per le prescrizioni di farmaci di questo tipo. Credo che vedremo l’effetto di quest’anno di pandemia in termini di peggioramento della prevenzione cardiovascolare perché avremo più eventi avversi ma questo lavoro, però, potrebbe servire a far capire di non abbandonare la terapia statinica anche se non si ha il Covid, può proteggere in ogni caso”.

Il giusto scetticismo del Prof. Averna deriva da quanto accaduto in passato, quando le statine erano state provate nella sindrome da distress respiratoria, cioè insufficienza respiratoria acuta, quadro analogo con quello che si verifica nei pazienti più gravi con Covid. I risultati, però, non sono stati convincenti. “Questo tentativo era già stato fatto ma i risultati sono stati conflittuali, non me la sento di dire una cosa del genere”. A questo punto, per essere sicuri di utilizzare le statine “come coadiuvante terapeutico per un paziente Covid, dobbiamo assolutamente aspettare i risultati da un trial d’intervento, cioè un trial disegnato ad hoc e non uno studio retrospettivo. In questo momento, il consiglio da dare ai pazienti è di continuare a fare le statine e non lasciarle”, conclude Averna.

da ilgiornale.it

VACCINI COVID IN AZIENDA: C’È L’ ACCORDO IN FRIULI VG

Il costo sarà tutto a carico delle imprese ma Confindustria conferma al governo il proprio contributo per vaccinare in azienda lavoratori e loro dipendenti.

La firma del primo protocollo d’intesa tra la ministra degli Affari regionali Maria Stella Gelmini, il governatore del Friuli-Venezia Giulia Fedriga, il presidente di Confindustria regionale Giuseppe Bono e i sindacati definisce per la prima volta in concreto le regole per le vaccinazioni sul posto di lavoro aprendo la strada ad accordi che verranno estesi a tutto il Paese, contribuendo così ad immunizzare decine di migliaia di persone

L’ACCORDO. La piena riuscita dell’accordo, frutto del lavoro congiunto della direzione Prevenzione della Regione, di Confindustria Fvg, delle organizzazioni sindacali regionali, delle Cooperative dei medici di base e della Croce Rossa Italiana – Comitato Regionale del Friuli Venezia Giulia, è subordinata alla concreta disponibilità dei vaccini.

È previsto anzitutto il coinvolgimento dei Comitati anti-Covid 19 costituitisi in azienda per la selezione degli ambiti, determinati in virtù di criteri di precedenza oggettivi quali l’età o l’esposizione a maggior rischio sì da rendere tempestiva la risposta delle imprese al momento di fornire le indicazioni necessarie, promuovere le opere di sensibilizzazione e attivare le procedure di accertamento sui lavoratori interessati. Dopodiché la Regione, in ottemperanza con i piani di vaccinazione elaborati secondo le indicazioni del Governo, informerà Confindustria FVG della disponibilità di vaccini da destinare alla terza fase dell’operazione. E sarà proprio compito di quest’ultima comunicare alle aziende l’avvio e i tempi della campagna richiedendo alle stesse di prenotare entro una certa data, in via telematica, i vaccini per il numero dei lavoratori disponibili ad effettuare volontariamente la somministrazione.

Sarà elaborato un ordine di priorità nella prenotazione della fornitura in relazione alla data di arrivo della comunicazione telematica fino a concorrenza dei numeri di vaccini disponibili. Le imprese provvederanno a indicare il numero dei vaccini necessari nel pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di tutela della riservatezza. Confindustria FVG comunicherà infine alle aziende l’attivazione della fase di somministrazione. Alle imprese che non rientrano nella lista verrà assegnato un diritto di precedenza sulla base della data di arrivo dell’adesione per i vaccini successivamente assegnati dalla Regione.

Somministrazione. La somministrazione potrà avvenire solo nelle strutture/operatori in grado di garantire il pieno rispetto delle normative sanitarie e disporre di abilitato e formato. Le imprese cui Confindustria FVG avrà comunicato l’inserimento nella lista di prelazione, sottoscriveranno, indicando il numero preciso di vaccini da effettuare, il contratto di somministrazione o con la Cooperativa medici di base Cure primarie di Pordenone e la Croce Rossa Italiana – Comitato Regionale del FVG nei termini precisati dalla convenzione stipulata tra queste e Confindustria Fvg.

Sarà una di queste tre figure a prendere in carico il numero di vaccini corrispondenti alle richieste contrattuali provvedendo poi alla somministrazione entro il perimetro aziendale e durante l’orario di lavoro (ferma restando la possibilità per motivi di organizzazione e numerici che possa essere effettuata in locali in prossimità della sede aziendale e/o con tempi che possano essere estesi subito prima e subito dopo l’orario di lavoro).

Rimane sempre a carico della struttura sanitaria somministratrice dell’eventuale prima dose del vaccino provvedere all’informazione nei confronti dell’impresa e dei lavoratori della somministrazione della seconda. Il costo della somministrazione è a carico dell’impresa.

L’accordo è stato sottoscritto da: Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Presidente della Giunta Massimiliano Fedriga e VP Riccardo Riccardi, Confindustria Friuli Venezia Giulia – Presidente Giuseppe Bono assistito dal Direttore Generale Massimiliano Ciarrocchi e dal Direttore Operativo Giuseppe Del Col, CGIL Friuli Venezia Giulia (Segretario Villiam Pezzetta), CISL Friuli Venezia Giulia (Segretario Alberto Monticco) e UIL Friuli Venezia Giulia (Segretario Giacinto Menis) con la presenza di Medici Cure Primarie Friuli Occidentale Soc. Coop. e della Croce Rossa Italiana – Comitato Regionale del Friuli Venezia Giulia in persona rispettivamente di Paolo Montanucci e Milena Cisilino.

GUIDA ALLA MASCHERINA CERTIFICATA CE GIUSTA

Da Dottnet.it

Continua la polemica sulle mascherine con il costante apporto da parte degli esperti per identificare i prodotti “irregolari”. Nel mirino sono finite quelle con la marchiatura CE 2163, certificate dal laboratorio turco Universalcert e vendute anche in alcune farmacie italiane, su cui sono ancora in corso indagini. Al momento sono ancora nel database UE: l’obiettivo è ora capire se i dispositivi fossero non a norma già dopo aver ottenuto il “bollino” CE oppure se le modalità di produzione siano cambiate successivamente.  Ci sono però altri codici che sono considerati certamente non sicuri, a cui gli acquirenti devono fare attenzione. Queste le sigle “sospette”, come riporta Il Giorno:

ICR Polska (Polonia) – CE 2703

CELAB (Italia) – CE 2037

ECM (Italia) – CE 1282

ISET (Italia) – CE 0865

TSU Slovakia (Slovacchia) – CE 1299

Chiunque sia in possesso di mascherine Ffp2 con questo marchio, quindi, fa meglio a liberarsene. Intanto la Comunità Europea ha realizzato un database in cui si può inserire il codice della propria mascherina e verificare se questa è in regola o meno e se la società che l’ha venduta abbia o meno i requisiti per farlo.

Mascherine Ffp2: la guida

Ma come si è arrivati a questa confusione su uno strumento giudicato fra le protezioni fondamentali dal contagio? Il sito altroconsumo.it ha fatto chiarezza sulla natura delle Ffp2 e su come verificare la loro correttezza. Le mascherine Ffp2 (come le sorelle Ffp3) sono mascherine filtranti facciali. Per essere messe in commercio devono essere prima analizzate da un organismo terzo che ne certifichi l’aderenza ai requisiti della norma tecnica EN 149:2001 sulla protezione delle vie respiratorie. Ottenuto il via libera il produttore potrà “fregiarsi” del marchio CE. Come riconoscere le mascherine a norma? Sulla confezione e sul prodotto deve essere riportato il marchio CE accompagnato da un codice di quattro numeri. Questo identifica il laboratorio o un altro soggetto che ha dato il via libera al prodotto perché questo è in linea con la norma EN 149:2001. Il marchio CE, per altro, deve avere proporzioni precise. Se è diverso o ha dimensioni differenti può essere contraffatto e quindi non rispettare gli standard di sicurezza europei.

Come valutare se le mascherine Ffp2 acquistate sono regolari

Le informazioni che servono sono due: il codice di 4 lettere che si abbina al marchio CE e il certificato che accompagna il dispositivo di protezione. L’elenco completo di tutti gli enti certificatori compare sul database “Nando” della Commissione Europea. In questa lista possiamo controllare se il numero che accompagna il marchio CE della nostra mascherina Ffp2 corrisponde a un laboratorio autorizzato a valutare i dispositivi di protezione e a certificarli. Basta cercare il codice di 4 numeri e aprire la scheda dell’organismo. Qui troveremo quali prodotti può certificare. Nel caso delle Ffp2 devono essere citati il “personal protective equipment” e il Regolamento EU 2016/425. E tra i prodotti valutati deve essere presente il riferimento a “Equipment providing respiratory system protection”. Se non compare in questo elenco, il certificato che accompagna le nostre mascherine è quasi sicuramente un falso.

Le informazioni obbligatorie del certificatore

Il certificato di conformità emesso da un laboratorio autorizzato deve contenere informazioni obbligatorie. Se non ci sono è molto probabile che il certificato sia contraffatto. Queste le informazioni indispensabili:

  • nome e codice numerico dell’organismo notificato che certifica;
  • nome e indirizzo del fabbricante o del mandatario;
  • tipologia di DPI;
  • riferimento alle norme tecniche considerate per la certificazione della conformità
  • data di rilascio.

Sempre nel database Nando sono presenti gli indirizzi dei siti web degli enti certificatori. Qui, solitamente, si può verificare se i certificati sono autentici e si può anche individuare il produttore della mascherina per cui è stata chiesta la certificazione, a cui poi si può scrivere un’email. Attenzione anche al QR Code di cui sono dotate alcune confezioni o imballaggi di dispositivi di protezione individuale. Questi QR Code rimandano direttamente al sito dell’ente su cui verificare la validità della certificazione.

Mascherine commercializzate in deroga

Data la “fame” di mascherine nei mesi scorsi il governo, con il decreto Cura Italia, ha consentito la vendita in deroga – solo per quanto riguarda le tempistiche di autorizzazione – di alcuni dispositivi di protezione individuale privi di marchio CE. Detto che gli standard della norma EN 149:2001 devono essere comunque rispettati anche da queste mascherine, i produttori devono inviare all’Inail la documentazione riguardo l’aderenza dei loro dispositivi a tutte le specifiche tecniche e di qualità previste attraverso l’autocertificazione. Sarà l’Inail, a questo punto, una volta analizzata la documentazione, ad autorizzarne la vendita. Sul sito dell’Inail c’è una pagina dove si può trovare l’elenco dei dispositivi di protezione individuali che hanno ricevuto il via libera.

NUOVO VADEMECUM DELLE AUTORITÀ SANITARIE PER LE MISURE ANTI COVID

Il documento, redatto dal gruppo di lavoro Iss, Ministero della Salute, Aifa e Inail, risponde a diversi quesiti sulle misure farmacologiche, di prevenzione e controllo delle infezioni da Coronavirus sorti con il progredire della campagna vaccinale contro il contagio e la comparsa delle diverse varianti del virus

Rapporto ISS Covid-19

La circolazione prolungata del virus Sars-CoV-2 e la comparsa di varianti virali, di cui solo alcune destano preoccupazione per la salute pubblica (Variant Of Concern, Voc), sono al centro di indagini per accertarne la presenza e la diffusione. Mentre la campagna vaccinale anti-Covid-19 è attualmente in corso, sono sorti diversi quesiti sulle misure di prevenzione e di controllo delle infezioni sostenute da varianti di Sars-CoV-2 sia di tipo non farmacologico sia di tipo farmacologico. Nonostante le conoscenze sulle nuove varianti virali siano ancora in via di consolidamento, vengono fornite specifiche indicazioni, basate sulle evidenze ad oggi disponibili, che possano essere di riferimento per l’implementazione delle strategie di prevenzione e controllo dei casi di Covid-19 sostenuti da queste varianti virali.





Prodotto: Volume
Edizioni Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it 

Il commento de IL SOLE 24ORE sul documento :

https://www.ilsole24ore.com/art/le-indicazioni-iss-inail-dura-cinque-mesi-l-effetto-protettivo-covid-pranzo-due-metri-distanza-ADRcTkQB

VACCINAZIONI COVID E MEDICO COMPETENTE :IL PARERE DELLA ANMA

ANMA sta analizzando la problematica della vaccinazione anti SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, il GdL ad hoc istituito, dopo aver avuto contatti diretti con gli Assessorati alla Salute di Regione Veneto e Regione Lombardia, ha approntato le prime indicazioni sul tema, che pubblichiamo in allegato.

Come sempre chiediamo la collaborazione di tutti gli Associati nell’informarci delle iniziative territoriali delle quali sono a conoscenza o nelle quali sono coinvolti.

File Allegati:

MASCHERINE FFP2 CON CE «non a norma»

I dubbi su alcuni dispositivi che hanno ricevuto il certificato di idoneità in Turchia, ma che in base alle analisi di laboratori indipendenti non rispondono agli standard di sicurezza: nessuna azienda italiana coinvolta

Mascherine obbligatorie "sempre" all'aperto e al chiuso, cosa prevede il  decreto Covid - Il Riformista

Il mercato italiano dei dispositivi di protezione contro il Covid già risente degli effetti del caso di alcune mascherine Ffp2 che, pur se dotate del marchio CE, non hanno superato test indipendenti, risultando dunque «non a norma».

In particolare, alcuni test di laboratorio hanno dimostrato come alcuni modelli messi sul mercato ma dimostratisi poi non adeguati fossero dotati di un codice — CE2163 — che identifica un ente certificatore turco, Universalcert, diventato uno dei leader mondiali del settore.

A rivolgersi all’ente sono state una settantina di aziende europee; tra loro alcune italiane. Ma — lo vedremo — nessuno dei modelli non risultati a norma è stato prodotto da aziende italiane o europee.

su tutta la vicenda continua a indagare l’ufficio antifrode dell’Unione europea.

I modelli a rischio

Alcune mascherine in commercio, e dotate di quel marchio, sono state testate da un laboratorio indipendente in Cina, su richiesta di una società di import-export, che ha rilevato difetti in quasi tutti i modelli controllati, tutti di produzione cinese.

Una parte delle analisi sono poi state confermate da un laboratorio accreditato nel Guangdong, in Cina; altre sono state affidate a un altro laboratorio accreditato in Spagna.

Questo — va ribadito — non significa che tutti i modelli marchiati CE2163 siano fuori norma, anzi con quel codice si trovano mascherine di altissima qualità.

Significa però che alcuni modelli non hanno superato almeno due test indipendenti, uno dei quali in un laboratorio accreditato.

Ecco quali sono:
Aixine aix m031,
Whenzhou Opticar FFP2;
Grdlight Ffp2,
Meizhuangchen Ffp2,
Ydao Ffp2,
Max 02,
JY Ffp2.

I report dei laboratori, di cui esistono anche i video, sono stati acquisiti anche dalle autorità europee che indagano sulla contraffazione sull’asse Italia-Cina.
Il risultato del test indipendente sulla mascherina Whenzhou Opticar FFP2Il risultato del test indipendente sulla mascherina Whenzhou Opticar FFP2

Cosa risponde l’ente certificatore, e cosa può essere successo

Il direttore generale di Universalcert, Osman Camci, si era difeso così: «Sono le aziende a dover garantire la conformità del prodotto. Non è possibile per nessun Ente Certificatore verificare ogni singola mascherina sul mercato».

Le ipotesi sul tavolo sono tre: che il codice sia stato messo in maniera illegale (cioè che alcuni produttori abbiano usato quel codice senza essere mai passati dall’ente certificatore), che il produttore abbia fatto certificare campioni diversi da quelli prodotti (cioè che i produttori abbiano mandato alcuni modelli all’ente certificatore per «passare l’esame», salvo poi mettere in commercio modelli meno performanti) o che la certificazione sia avvenuta in maniera troppo leggera.

Un’ipotesi, questa, sollevata sia dall’associazione dei produttori di equipaggiamento tecnico tedeschi sia da Assosistema di Confindustria, che hanno chiesto alla commissione di verificare l’enorme mole di certificazioni rilasciate da Universalcert.

L’ente ha preso posizione in maniera molto netta, assicurando che rispetta tutte le procedure di test e che i certificati emessi sono regolari. L’azienda ha anche invitato i consumatori a controllare direttamente sul sito la validità dei certificati.

Se questo fosse il caso, rimarrebbero dunque in piedi le altre due ipotesi, ovvero che si tratti di contraffazioni o che i campioni certificati siano diversi da quelli prodotti e che dunque si tratti di una truffa dei produttori all’ente certificatore.

Le aziende italiane: «Noi perfettamente in regola»

«Per la nostra azienda, da sempre attentissima alla qualità, non è piacevole essere accomunati a chi vende mascherine difettose» spiega Mohamed Achik, direttore generale della Real Care. «La società turca offriva tempi di attesa più brevi mentre i laboratori italiani facevano fatica a stare dietro alla domanda» aggiunge. L’azienda modenese che produce mascherine superperformanti ha comunque avviato le procedure per ottenere un certificato di conformità italiano che sostituirà quello turco.

Lo stesso ha fatto la pugliese Irudek, che oltre al certificato turco ne ha già ottenuto uno spagnolo.

Tra le società che hanno fatto verificare le mascherine c’è anche Gilania, i cui prodotti sono risultati conformi. «La scelta di andare in Turchia per molti è stata obbligata, le attese in Europa erano troppo lunghe. Ma per avere garanzie sulla qualità bisogna guardare il produttore non l’ente che certifica» fa notare Stefania Gander, imprenditrice bolzanina che pure produce mascherine che vengono certificate in Turchia.

da www.corriere.it

VACCINAZIONE COVID E MEDICO COMPETENTE :IL PARERE DELLA SIML

Vaccinazione anti-COVID-19 nei luoghi di lavoro: il contributo del Medico Competente

Nel nostro Paese, trascorsi due mesi dall’avvio della campagna vaccinale anti-COVID-19, sono attualmente in discussione diverse strategie e ipotesi organizzative per l’implementazione dell’offerta, strategie che riguardano anche luoghi di lavoro diversi da quelli sanitari, in modo da consentire la più rapida somministrazione dei vaccini disponibili, con le priorità indicate dal Ministero della Salute, al fine di contrastare la diffusione del virus e, auspicabilmente, porre fine all’attuale fase di emergenza sanitaria quanto prima.

In questo contesto, tra i principali attori individuabili come partecipanti attivi al processo di informazione, programmazione e controllo dell’effettuazione dei piani di vaccinazione rientrano, a pieno titolo, i Medici Competenti (MC), come peraltro esplicitamente previsto nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019.

Testo completo a seguito, in allegato.

Vaccinazione anti-COVID-19 nei luoghi di lavoro: il contributo del Medico Competente

NUOVO PIANO VACCINALE

Da il post.it

Il ministero della Salute ha presentato giovedì alla Conferenza unificata delle Regioni il nuovo piano di vaccinazioni, in cui ci sono diversi aggiornamenti rispetto al piano vaccinale approvato dal governo a dicembre. Il nuovo piano – che potrà subire qualche piccola modifica, ma niente di sostanziale – contiene criteri validi per tutto il territorio nazionale, ed elimina quindi la discrezionalità affidata finora alle Regioni.

Vaccinations against Covid-19 inside the Italian Red Cross tensile structure set up at Piazza dei Cinquecento, Rome, 11 March 2021. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Le vaccinazioni proseguiranno in base al criterio delle fasce d’età, dalle persone con più di 80 anni in giù, ma rispetto al piano precedente sono state identificate 5 nuove categorie in cui è divisa la popolazione, sulla base dell’età e della presenza di condizioni patologiche. La priorità verrà data alla categoria 1, e poi a scendere.

-Categoria 1. Elevata fragilità (persone estremamente vulnerabili; disabilità grave);
• Categoria 2. Persone di età compresa tra 70 e 79 anni;
• Categoria 3. Persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni;
• Categoria 4. Persone di età inferiore ai 60 anni con patologie o situazioni di compromissione immunologica che possono aumentare il rischio di ammalarsi, ma che non siano nella condizione di gravità delle persone estremamente vulnerabili;
• Categoria 5: Resto della popolazione di età inferiore 60 anni.

A prescindere dall’età sono inoltre considerati prioritari nella somministrazione del vaccino il personale docente e non docente, scolastico e universitario, le Forze armate, di Polizia e del soccorso pubblico, dei servizi penitenziari e delle comunità residenziali.

Il nuovo piano prevede quindi che si continui con la fase 1 del piano vaccinale precedente, quella che riguarda gli anziani con più di 80 anni e che sfrutta i vaccini di Pfizer e Moderna, e che si completi la vaccinazione del personale sanitario, del personale della scuola, dei militari e delle forze dell’ordine. Il terzo vaccino autorizzato in Italia, quello di AstraZeneca, viene somministrato preferibilmente alle persone tra i 18 e i 65 anni, ma il 7 marzo il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che potrà essere somministrato anche a chi ha più di 65 anni.

In parallelo però, tenendo conto delle disponibilità dei vaccini, potranno essere vaccinate le persone appartenenti alle 5 nuove categorie, in ordine decrescente, cominciando con le persone che hanno più di 70 anni.

Il nuovo piano prevede inoltre che, qualora le dosi di vaccino disponibili lo permettano, si possa vaccinare all’interno dei posti di lavoro, a prescindere dall’età. Le vaccinazioni dovranno però essere realizzate da personale sanitario autorizzato: l’idea, in questo modo, è di accelerare l’intero processo.

POLVERI SOTTILI E SCLEROSI MULTIPLA

I ricercatori del NICO – Università di Torino hanno dimostrato per la prima volta gli effetti negativi dell’esposizione al PM sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso
Secondo l’OMS causa la morte prematura di circa 4 milioni di persone nel mondo ogni anno. Ma l’esposizione cronica ad alti livelli di polveri sottili – il famoso PM (particulate matter) – è anche associata a una prevalenza della Sclerosi Multipla in alcune popolazioni.

In particolare nei grandi centri urbani, dove i picchi di PM precedono sistematicamente i ricoveri ospedalieri dovuti all’esordio o alla recidiva di patologie croniche autoimmuni, tra cui la Sclerosi Multipla, come dimostrano numerosi studi epidemiologici. A oggi restano tuttavia da chiarire i meccanismi con cui l’esposizione al PM eserciti un effetto sul sistema nervoso centrale.

Grazie a un progetto pilota finanziato da AISM e la sua Fondazione FISM – Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, le ricercatrici del NICO – Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino hanno chiarito per la prima volta che l’esposizione al PM ha effetti negativi sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso, e in particolare della mielina, il rivestimento degli assoni che – se danneggiato, come avviene nella SM – compromette la trasmissione delle informazioni fra i neuroni.
Lo studio è nato grazie alla collaborazione tra i ricercatori del NICO Enrica Boda, Roberta Parolisi, Annalisa Buffo (Gruppo Fisiopatologia delle Cellule Staminali Cerebrali), Francesca Montarolo e Antonio Bertolotto (Gruppo Neurobiologia Clinica – CRESM, Centro di Riferimento Regionale SM dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, TO) con il gruppo di ricerca di Valentina Bollati dell’Università di Milano e Andrea Cattaneo dell’Università dell’Insubria.

I risultati della ricerca – pubblicati sulla rivista Neurochemistry International – dimostrano in un modello animale che l’esposizione al PM2.5 ostacola la riparazione della mielina, inibisce il differenziamento degli oligodendrociti e promuove l’attivazione degli astrociti e della microglia, cellule che di norma svolgono funzioni di sostegno per i neuroni ma che – quando attivate dal sistema immunitario come accade nella Sclerosi Multipla – contribuiscono alla neuroinfiammazione.

“Nelle prime fasi di malattia, la mielina può comunque essere riparata da cellule gliali presenti nel tessuto nervoso, chiamate oligodendrociti, il che contribuisce alla remissione – purtroppo spesso solo temporanea – dei sintomi. Le ricerche in corso nei nostri laboratori sono importanti perché permettono di capire quali fattori possono ostacolarne la riparazione – sottolinea la prof.ssa Enrica Boda del NICO, Università di Torino –  aggiungendo un tassello nella comprensione dei meccanismi di neurotossicità del PM. I nostri studi – continua – ora si focalizzano nell’identificare i meccanismi cellulari e molecolari che mediano il trasferimento del ‘danno’ dovuto all’inalazione del PM2.5 dai polmoni al sistema nervoso centrale. Riconoscere fattori di rischio ambientali modificabili – come l’inquinamento dell’aria – e i meccanismi che mediano le loro azioni può fornire informazioni importanti per prevenire le recidive della Sclerosi Multipla agendo su politiche ambientali, stile di vita e possibilmente, progettazione di nuovi strumenti di prevenzione e interventi terapeutici”. (Da università di Torino eLe scienze)