LEGISLAZIONE SICUREZZA

AGENTI CANCEROGENI E MUTAGENI : LA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA.

Modificata la direttiva 2004/37/Ce per effetto della pubblicazione della direttiva (Ue) 2022/431. Rafforzati gli obblighi per i datori di lavoro.

Agenti cancerogeni o mutageni: novità per la legislazione. È l’effetto della pubblicazione della «direttiva (Ue) 2022/431 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2022 che modifica la direttiva 2004/37/Ce sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro» (in G.U.C.E. L del 16 marzo 2022, n. 88).

Tra le novità:

  • l’aggiunta di nuove lettere recanti le definizioni di «sostanza tossica per la riproduzione», «sostanza tossica per la riproduzione priva di soglia», «sostanza tossica per la riproduzione con valore soglia», «valore limite biologico» e «sorveglianza sanitaria»;
  • la nuova definizione di «valore limite»;
  • un rafforzamento degli obblighi in capo ai datori di lavoro;
  • l’articolo 16-bis «Identificazione delle sostanze tossiche per la riproduzione prive di soglia e con valore soglia»;
  • la sostituzione dell’art. 18-bis «Valutazione”

La direttiva (UE) 2022/431 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2022 dovrà essere recepita in Italia entro il 5 aprile 2024 e contiene novità che impatteranno su molte imprese, al fine tutelare meglio i lavoratori esposti ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro. 

NUOVA NORMA UNI ISO 11228 MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

da assolombardaservizi.it

Novità in tema di movimentazione manuale dei carichi: il 24 marzo 2022 in Italia è entrata in vigore la Norma Tecnica UNI ISO 11228-1:2022 “Ergonomia-Movimentazione manuale-parte 1: sollevamento, abbassamento e trasporto”, che sostituisce integralmente la precedente UNI ISO 11228-1:2009.
L’allegato XXXIII del Testo Unico richiama espressamente la norma tecnica come “criterio di riferimento” per il datore di lavoro.

Con il termine “Movimentazione Manuale dei Carichi”, spesso abbreviato dall’acronimo MMC, si intendono tutte le attività che comportano sollevare, deporre, spingere, tirare, portare, spostare un “carico”, cioè un peso (secondo l’art. 167, comma 2, D. Lgs. 81/08).
Le modifiche apportate dalla nuova disciplina in tema di movimentazione manuale dei carichi sono impattanti, sia sull’approccio che sulle modalità di esecuzione della valutazione del rischio, obbligatoria ai sensi del Titolo VI del D. Lgs. 81/08

.

Movimentazione manuale dei carichi: applicazione della nuova UNI ISO 11228-1:2022

La norma appena entrata in vigore sostituisce la precedente versione.
Nello specifico, la parte 1 si riferisce alle attività di sollevamento di carichi e di sollevamento e trasporto.
Non tratta, invece, attività di traino e spinta, alle quali è dedicata la UNI ISO 11228-2, e le attività di sovraccarico degli arti superiori per i quali si applica la UNI ISO 11228-3.
Obiettivo della normativa è quello di fornire dei limiti raccomandati a fronte dei quali poter definire accettabile o meno una determinata situazione di lavoro connessa al rischio di sovraccarico. La norma risulta applicabile per sollevamento e sollevamento e trasporto di oggetti di peso uguale o superiore a 3 kg e con una velocità di spostamento compresa tra 0,5 e 1 metro al secondo su un percorso orizzontale.

Il processo di valutazione nella nuova normativa sulla movimentazione manuale

La nuova normativa prevede un processo di valutazione che è possibile riassumere secondo passaggi consequenziali.

Per le azioni che comportano sollevamento/abbassamento di un carico viene introdotto un processo di valutazione a step successivi e vengono ampliate le modalità di calcolo dell’Indice di Sollevamento nella fase di valutazione approfondita; vengono rivisti i pesi limite di riferimento e, infine, vengono modificate le fasce di rischio associate ai valori finali dell’Indice di Sollevamento.

Per le azioni che comportano trasporto in piano di un carico viene introdotto un processo di valutazione a step successivi che permette di verificare le condizioni di accettabilità del rischio.

Nuova UNI ISO 11228-1:2022: Assolombarda Servizi a supporto delle imprese

La movimentazione di carichi riguarda il personale delle aziende di qualsiasi dimensione e di qualsiasi settore.
Al fine di tutelare i propri collaboratori dall’insorgenza di disturbi e patologie muscoloscheletrici è indispensabile procedere a una corretta valutazione del rischio attraverso un corretto uso della nuova norma UNI, al fine dell’attuazione di idonei interventi di prevenzione e protezione che vadano a mitigare, se non annullare, eventuali danni a carico degli operatori.
Per la comprensione degli aspetti normativi e gestionali legati agli obblighi di tutela dei lavoratori in capo ai datori di lavoro, è opportuno consultare preliminarmente l’Area Salute e Sicurezza sul Lavoro di Assolombarda.
Assolombarda Servizi è a disposizione per supportare le aziende nell’aggiornamento ed eventuale integrazione della Valutazione del Rischio sulla base della nuova Norma Tecnica UNI ISO 11228-1:2022, a seconda delle situazioni specifiche. Le Norme Tecniche della serie ISO 11228 sono infatti indicate dal D. Lgs. 81/08 come criteri di riferimento per la valutazione e la riduzione del rischio da sovraccarico biomeccanico acuto e cronico legato alla movimentazione manuale dei carichi.

BUONE PRATICHE NEL LAVORO VETERINARIO

da Inail.it

Il lavoro, realizzato nell’ambito del progetto di prevenzione “Elaborazione e definizione di buone prassi per i lavoratori del settore veterinario operanti nei processi dei controlli ufficiali alle importazioni e agli scambi intracomunitari”, ha approfondito le problematiche inerenti i rischi cui sono esposti i lavoratori nel settore veterinario a contatto con animali e prodotti di origine animale destinati all’alimentazione umana e animale.

Sulla scorta di quanto emerso sono state elaborate buone prassi per il miglioramento della salute e sicurezza degli operatori del settore.


Prodotto: Oposculo
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

DOSSIER AMIANTO

in occasione della giornata mondiale delle vittime di amianto che viene celebrata il 28 aprile riportiamo uno speciale pubblicato dalla rivista Wired

A trent’anni dalla messa al bando in Italia della fibra minerale cancerogena, uno dei più pericolosi inquinanti, cosa è stato fatto? La mappatura dei siti contaminati resta incompleta, raddoppiano i morti causati dalle malattie asbesto-correlate. E le bonifiche vanno a rilento

Lo ha ribadito il Parlamento europeo, lo confermano gli ultimi dati epidemiologici raccolti in Italia. C’è un’altra “epidemia” in atto. È quella causata dall’amianto, minerale fibroso cancerogeno, usato in edilizia e nell’industria, ritenuto per troppo tempo indistruttibile ed “eterno”. Per aver respirato le sue fibre, mille volte più sottili di un capello, disperse dentro e fuori le abitazioni, scuole, ospedali, nei luoghi di lavoro, in Europa muoiono ogni anno almeno 80mila persone. In Italia, tra il 2010 e il 2016, sono stati 4.410 decessi all’anno, secondo quanto elaborato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), attribuibili all’esposizione da amianto, detto anche asbesto per tumori cancerogeni maligni come il mesotelioma, causato esclusivamente dall’amianto e le cosiddette malattie dette “asbesto-correlate”.

Tra queste l’asbestosi e i tumori ai polmoni e alle ovaie, a cui si aggiungono con il giudizio di “possibile cancerogenicità” i tumori della faringe, dello stomaco e del colon-retto. Malattie che non è possibile prevenire se non attraverso l’eliminazione delle fibre nocive dall’aria che respiriamo. Il lunghissimo tempo di latenza dell’insorgenza delle neoplasie, che possono manifestarsi tra i venti e i quarant’anni dall’esposizione ambientale alla polvere d’amianto, rende impossibile ogni altra forma di prevenzione. Sebbene il nostro Paese sia uno dei primi al mondo ad averlo messo al bando con la legge 257 del 27 marzo 1992, resta tuttora quello con il maggior numero di casi di mortalità ascrivibili alla fibra killer.

L’inchiesta:

Un problema sottostimato

Anche in tempo di pandemia, i dati epidemiologici sono più che allarmanti e restano tuttora sottostimati, anche perché permane, come commentano gli stessi addetti ai lavori, una diffusa negligenza nelle diagnosi. Secondo i dati storici raccolti da Inail nel registro nazionale sui mesoteliomi (Renam), tumori unicamente causati dalle fibre d’amianto, che possono colpire i tessuti molli del nostro organismo come il peritoneo, la pleura e il pericardio, sono stati diagnosticati tra il 1993 e il 2018, ben 31.572 casi. Il 56,7% dei quali è concentrato in Lombardia (6653), Piemonte (5084), Liguria (3263) ed Emilia-Romagna (2873).

Ma se quasi il 70% dei casi è riconducibile a coloro che hanno lavorato in ambienti di lavoro contaminati, il 10% è stato identificato tra chi ha respirato amianto solo per aver convissuto in ambito familiare con una persona esposta in ambito professionale, oppure per cause ambientali. Mentre per il 20% l’ambito di esposizione è completamente ignota.

Inoltre, gli epidemiologi dell’Iss hanno individuato la mortalità precoce per mesotelioma come “indicatore” di esposizione ambientale all’amianto nei bambini. Tra il 2003 e il 2016 sono stati registrati 487 decessi tra gli under 50, persone residenti in 357 comuni tra i circa 8.000 esistenti, situati all’interno delle regioni a maggior rischio per la presenza sul territorio di importanti sorgenti di asbesto, come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, ma anche nuove aree potenzialmente a rischio. Individui che hanno “respirato amianto” in età pediatrica senza saperlo. Ragione già di per sé sufficiente per accelerare mappatura e bonifiche.

Tra i lavoratori maggiormente colpiti rimangono poi quelli edili, visto la presenza massiccia di amianto negli edifici costruiti prima del 1992. Un ulteriore approfondimento epidemiologico segnala come ci sia un trend crescente di mesoteliomi tra i lavoratori nel settore costruzioni, passato dal 15.8% dei casi nel periodo tra il 1992 e il 1998 al 23.9% tra il 2014 e il 2018.

Il Green deal passa anche dalla bonifica dell’amianto

Proprio il Parlamento europeo lo scorso 20 ottobre ha emesso una risoluzione che Commissione e stati membri dovranno fare propria quanto prima, a partire dalla sorveglianza epidemiologica sui lavoratori e tra tutti coloro che, per vari motivi, ne sono e ne saranno ancora a contatto. Il testo prevede il riconoscimento e indennizzo delle malattie correlate all’amianto, oltre che la verifica della presenza della fibra killer prima dei lavori di ristrutturazione energetica e della vendita o locazione di un immobile. Norme basilari, anche alla luce dell’ondata di riqualificazione degli edifici, innescata dal Green deal europeo e dal programma Next Generation Europe.

Una cosa è certa: il largo uso di amianto per l’edilizia in Italia, prima del divieto, rende la probabilità di esposizione per gli addetti alle bonifiche una preoccupazione reale ancora oggi. In particolare, per coloro che lavorano nella manutenzione e nella rimozione di vecchi edifici, senza sapere di venir a contatto con l’asbesto.

La risoluzione sottolinea, inoltre, che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) riconosce che l’amianto è un agente cancerogeno senza un livello soglia, (basta quindi potenzialmente una singola fibra per essere esposti), mentre il regolamento Reach ha specificato che la fabbricazione, la vendita e l’uso di fibre di amianto e di prodotti contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati e si dovrà garantire la completa eliminazione dei prodotti di amianto, dagli stati membri, a decorrere dal 1° luglio 2025.

La mappa dei siti contaminati che non c’è

L’amianto, quindi, non è solo una pesante eredità del nostro passato industriale, ma resta un dramma dei giorni nostri che ricade e ricadrà anch’esso, sulle spalle delle nuove generazioni. La diffusione della fibra minerale cancerogena, infatti, sembra ancora più estesa di quanto non avevamo scritto nel 2015, nell’inchiesta di Wired Italia Il prezzo dell’amianto. La mappatura dei siti contaminati, indispensabile per identificare le aree da bonificare con la massima urgenza tra cui scuole, ospedali, caserme, rimane ancora incompleta o non accessibile per i cittadini, le associazioni delle vittime e i giornalisti.

Secondo i calcoli della direzione prevenzione del ministero della Salute, per bonificare in un anno gli oltre 23 milioni di tonnellate da amianto, quantificate nel 1992, occorrerebbero circa un milione e 700mila operatori. Mentre attualmente gli addetti alle bonifiche in Italia sono meno di 30mila. Come a dire che, di questo passo, ci vorranno ancora tra i sessanta e cento anni per completare le bonifiche nel nostro Paese.

I dati che mancano

A oggi, le stime ufficiali riportate nelle sezioni del sito web del ministero della Transizione ecologica (Mite), sia quella dedicata ai siti contaminati di interesse nazionale (Sin) che quella dedicata al Piano nazionale amianto (Pna), varato nel 2012 e mai messo davvero in pratica, parlano ancora di 108mila siti contaminati e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020. Eppure già nel 2018 Legambiente con il rapporto Liberi dall’amianto era riuscita a quantificare, proprio dai dati ottenuti mediante dei questionari somministrati alle stesse regioni, una stima di 370mila siti contaminati, pari circa a 57 milioni di metri quadrati di coperture di cemento-amianto.

Dati che dovrebbero essere comunicati puntualmente dalle amministrazioni regionali al Mite il 30 giugno di ogni anno. Ma, mentre alcune regioni, come il Piemonte, hanno reso disponibili i dati in formato open data e geolocalizzato, in alcuni casi non sono mai stati aggiornati negli ultimi 5 anni, come per la Lombardia che pure da sola aveva quantificato, già nel 2013. Circa 149mila siti. Solo parzialmente, quindi, i cittadini possono reperire informazioni sui siti delle regioni, delle agenzie regionali per l’ambiente (Arpa) e del proprio comune di residenza, nell’attesa che il nuovo portale Info amianto pa, avviato nel 2020 dal Mite venga reso disponibile e aperto alla consultazione.

Secondo Nicola Pondrano, già presidente nazionale del Fondo nazionale vittime amianto e responsabile della sezione previdenza dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato, come riferito recentemente in audizione al senato, una stima reale, conteggiando tutti gli immobili industriali, potrebbe essere, circa un milione di siti contaminati.

Tuttora, infatti, è in corso alla Corte di cassazione di Novara, uno dei processi Eternit Bis, che vede sul banco degli imputati il magnate svizzero Schmidheiny, patron della multinazionale, per la morte di 392 cittadini e lavoratori di Casale Monferrato. Procedimento avviato nel 2015, dopo che, un anno prima, la prescrizione aveva invalidato il primo processo per disastro innominato con 2889 parti lese. È invece dello scorso 6 aprile la sentenza di condanna per omicidio colposo in primo grado, a suo carico, per un solo lavoratore, deceduto a causa del mesotelioma per l’Eternit di Bagnoli (Napoli), dove esisteva un’altra sede dello stabilimento, così come a Cavagnolo (Torino) e Rubiera (Reggio Emilia).

Lo scheletro della Fibronit di Bari non esiste più

Bari, lo scheletro della Fibronit, copertina dell’inchiesta Il prezzo dell’amianto, è stato abbattuto. Finalmente, come abbiamo appreso dal Comitato cittadino Fibronit, verranno avviati i lavori per la realizzazione del “Parco della rinascita”, intitolato alle vittime.

Broni, in Lombardia, minuscola cittadina della provincia pavese, ma con la più alta incidenza di mortalità per mesotelioma d’Italia, cinquanta vittime all’anno per poco più di novemila abitanti nel 2021, è stata completata la messa in sicurezza dello stabilimento Fibronit. Oltre altri due importanti poli contaminati, quali l’ospedale e il polo scolastico Biffi. Solo qualche anno fa, i ragazzi si recavano ancora a scuola nelle aule ricoperte d’amianto. Bologna, invece, a causa dell’inquinamento da asbesto alle Officine Grandi Riparazioni, di proprietà di Ferrovie dello Stato, è stata anch’essa riconosciuta come sito di interesse nazionale. Ma le bonifiche devono ancora iniziare.

FTALATI E INFERTILITÀ

da Inail.it

Gli ftalati sono un gruppo di molecole (esteri dell’acido ftalico) utilizzate in numerose produzioni, dai materiali per costruzione a contenitori per alimenti e pellicole, dispositivi medici e cosmetici. Alcuni ftalati hanno mostrato tossicità per l’uomo, in particolare agendo come interferenti endocrini. Attualmente il Reg. CE 1907/2006 REACH ha inserito in regime di autorizzazione 11 ftalati identificati come reprotossici. L’esposizione professionale a ftalati si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti e/o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali, ma anche in ambiti non industriali, come ad esempio nell’estetica, in quanto contenuti negli smalti per le unghie. La ricerca sull’esposizione professionale a sostanze con queste caratteristiche di pericolosità riveste sempre maggiore importanza ed ha condotto il Parlamento Europeo a proporre un aggiornamento della direttiva 2004/37/CE, dedicata alla protezione dei lavoratori da agenti cancerogeni e mutageni, con l’inserimento anche delle sostanze reprotossiche tra le sostanze di maggiore preoccupazione e che richiedono quindi una gestione specifica di prevenzione del rischio occupazionale.

L’azione dello stress ossidativo. Lo stress ossidativo riflette un disturbo nell’equilibrio tra la produzione e accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I ROS vengono spazzati via dal sistema antiossidante, ma quando sono in concentrazione eccessiva, possono ossidare proteine, lipidi e DNA. L’esposizione ad agenti chimici pericolosi può produrre stress ossidativo. I prodotti di ossidazione che vengono escreti nelle urine sono considerati indicatori di effetto, ed evidenziano la presenza di sintomi precoci o situazioni disfunzionali reversibili che possono essere sfruttati per la prevenzione delle malattie professionali.

La ricerca dei laboratori Inail. Da diversi anni i laboratori Inail Dipartimento Medicina del Lavoro sono impegnati nella ricerca sull’esposizione a ftalati e sull’uso di indicatori di stress ossidativo come indicatori di effetti legati all’esposizione ad agenti chimici. Uno studio effettuato dai laboratori Rischio agenti chimici e sorveglianza sanitaria e promozione della salute in collaborazione con l’IRCCS San Raffaele di Milano su 52 uomini e 60 donne sottoposti ad un trattamento assistito della riproduzione ha confermato che i livelli urinari di biomarcatori dello stress ossidativo sono direttamente correlati con i metaboliti di alcuni ftalati urinari in entrambi i sessi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Toxics. E’ possibile consultare l’articolo utilizzando il link sotto indicato.

IL CONTRIBUTO DEI LAVORATORI ALLA PREVENZIONE DEI DMS

da eu-osha

La partecipazione attiva dei lavoratori è fondamentale per individuare e risolvere i rischi dei disturbi muscolo-scheletrici (DMS).Il seguente articolo dell’EU-OSHA dà un’idea di come i lavoratori possono contribuire e propone alcuni esempi di partecipazione dei lavoratori finalizzati alla prevenzione dei DMS. Sono indicato i fattori di successo e i principi guida della partecipazione . Vi sono inoltre indicazioni e consigli di buone pratiche per le piccole imprese.

Dieci studi di casi approfonditi evidenziano una partecipazione efficace in vari settori. Esempi ne sono la partecipazione dei lavoratori alla concezione di una falegnameria sicura ed ergonomica e la formazione di personale alberghiero come coordinatori della prevenzione.

Qui l’articolo e la sintesi de La partecipazione dei lavoratori alla prevenzione dei rischi muscolo-scheletrici sul lavoro e 10 studi di casi

Maggiori informazioni: Spunti di conversazione per le discussioni sul luogo di lavoro sui disturbi muscolo-scheletrici. Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Scheda informativa: Mappatura del corpo e dei pericoli

Articolo OSHwiki: Realizzare un’ergonomia partecipativa

LISTE DI CONTROLLO DEI RISCHI DELLA SUVA

Liste di controllo.

Le liste di controllo della Suva sono molto efficaci per individuare e contrastare i pericoli in azienda. Le liste sono state realizzati da specialisti della sicurezza sul lavoro (MSSL) per essere utilizzate nella pratica. Le liste di controllo sono adatte per l’individuazione dei pericoli e la pianificazione delle misure sia nelle piccole che nelle grandi aziende.
Se l’azienda ha scelto di attuare una soluzione settoriale, le liste di controllo servono a prolungare l’efficacia nel tempo del lavoro preventivo.

ecco il link:

https://www.suva.ch/it-ch/prevenzione/il-sistema-di-sicurezza/individuazione-dei-pericoli-per-le-pmi#uxlibrary-material=052b65be9533fe92a2cfe25a331f3e4a&uxlibrary-material-filter=materialGroup:all

È possibile installare anche la specifica app:

App: Suva Safety App 

AUMENTA LA PERCENTUALE DELLE MALATTIE PROFESSIONALI DA DISTURBO MUSCOLO-SCHELETRICO

Cresce il peso dei disturbi muscolo-scheletrici tra le malattie professionali nel nostro Paese. Se nel 2008 rappresentavano il 40% delle denunce all’Inail, il dato è salito al 70% nel 2020. Un incremento, in pratica, del 75% in 12 anni. Il dato arriva dal convegno “Spine 4.0: l’innovazione per la prevenzione e il trattamento delle patologie del rachide” promosso oggi dal ministero della Salute. In totale le denunce presentate all’Inail per malattie dell’apparato osteomuscolare nel 2020 sono state 30.552. Movimenti ripetitivi, postura seduta prolungata, sollevamenti di carichi pesanti sono solo alcuni dei fattori di rischio per queste malattie che nel mondo colpiscono circa 1,7 miliardi di persone. In un caso su 3, si tratta di lombalgia. Secondo i dati presentati al convegno, in Italia i disturbi più frequenti riferiti dai lavoratori sono mal di schiena (45,2%), dolori muscolari al collo, alle spalle e agli arti superiori (39,4%), dolori muscolari agli arti inferiori (32%)

da dottnet.it

AMIANTO : UN KILLER ANCORA SILENZIOSO

All’esposizione all’amianto sono attribuibili, in media, 4.410 decessi l’anno, 4.410 decessi l’anno. Rispetto al totale, 1.515 sono stati i decessi per mesotelioma maligno, 58 per asbestosi, 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico. Questi i principali dati Istat, illustrati da Lucia Fazzo, del dipartimento Ambiente e salute dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nel convegno “Amianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia”, organizzato dal ministero della Salute. Per affrontare il tema, ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza, «serve sintonia inter-istituzionale, non basta il governo nazionale, abbiamo bisogno di una rete con le regioni, con i comuni e le istituzioni della ricerca». La pandemia e anche la questione dell’amianto confermano che «la strategia di fondo che deve accompagnare le politiche sanitarie future è One health, ovvero deve considerare la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente come un’unica cosa, sono imprescindibilmente connesse».

Le stime, elaborate a partire dai dati Istat, mostrano che nel periodo 2010-16 «ci sono stati in Italia 7.670 decessi per mesotelioma, dei quali 2.947 tra le donne, con un tasso pari a 3,8 per 100.000 tra gli uomini e 1,1 per 100.000 tra le donne: tassi abbastanza elevati a livello mondiale. Le regioni con un tasso più elevato di quello nazionale si confermano Liguria, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia». Rispetto all’andamento temporale dei decessi per mesotelioma, ha proseguito Fazzo, «nel 2012 si è osservato un picco rispetto agli anni precedenti, che continua a mantenersi elevato, anche se con oscillazioni». Su questi numeri «ci può essere una sottostima, ma c’è concordanza con quelli del Registro Nazionale Mesoteliomi (Renam)». Dal 2010 al 2016, «per asbestosi, sono stati registrati complessivamente 361 decessi tra gli uomini e 44 tra le donne». Nello stesso arco di tempo, per tumore al polmone dovuto ad amianto, «sono stati registrati circa 2.700 decessi l’anno per gli uomini e 112 per le donne (pari a circa l’8% dei tumori al polmone). Per tumori dell’ovaio la stima parla di circa 16 casi all’anno». Sono numeri, ha concluso Fazzo, evidenziano un «rilevante carico di malattia a distanza di 17-25 anni dalla legge, tale da richiedere interventi adeguati in sanità pubblica, anche per i soggetti ancora a rischio di esposizione».

Nel 1992, anno di entrata in vigore della legge 257/92, che mise al bando l’uso dell’amianto in Italia, «si partiva da oltre 31 milioni di tonnellate di amianto da rimuovere in Italia. Da allora ne sono state rimosse 8 milioni e rimangono 23 milioni di tonnellate da rimuovere, soprattutto rappresentate dal compatto». Lo ha detto Mariano Alessi, dirigente presso la direzione generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Tale normativa «ha aperto la strada rispetto a un terreno in larga parte del globo inesplorato.

Noi siamo ancora una sparuta minoranza: tre quarti dei paesi del mondo non ha una legislazione simile a quella di cui ci siamo dotati 30 anni fa; quindi, dovremo ancora lavorare con Oms e Nazioni Unite affinché iniziative simili possano essere estese a luoghi e posti distanti da noi», ha dichiarato Speranza. Per il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro, «Quella dell’amianto è una storia di sanità pubblica importante, da cui possiamo imparare. Una storia che non è finita deve proseguire e arrivare a contaminare anche altri Paesi, in cui questa problematica non è stata affrontata in modo sistematico». «Per rimuovere 23 tonnellate di amianto in 10 anni servirebbero 173.000 bonificatori; in 30 anni 57.000 bonificatori. Attualmente – ha rilevato Alessi – i bonificatori sono 29.000. È importante anche fare questo tipo di stime». Numeri che mostrano come evidenziano le slide mostrate, una «carenza di risorse umane e finanziarie». In questo contesto, ha concluso Alessi, è importante sollecitare l’Inail ad avere un ruolo operativo, riallacciare una serie di azioni che veda partecipi tutti i soggetti interessati e «recuperare il confronto del tavolo inter istituzionale presso la Presidenza del Consiglio e conseguire così i risultati attesi».

Da doctor33.it