INQUINAMENTO

PERFLUOROSULFONATI E AUMENTO DELLA CARIE


Sostanze chimiche largamente impiegate specie in passato per prodotti sia industriali sia di largo consumo e diffuse nell’ambiente – i ‘perfluorosulfonati’ (PFAS) – che spesso contaminano anche le acque che beviamo, potrebbero aumentare il rischio di carie nei bambini.   Lo suggerisce uno studio di Constance Wiener e Christopher Waters West Virginia University pubblicato sul Journal of Public Health Dentistry.

Associate a diversi problemi di salute tra cui il colesterolo alto, queste sostanze chimiche sono particolarmente resistenti alla degradazione, pertanto i composti PFAS presentano un’elevata persistenza ambientale e capacità di bioaccumulo, con effetti tossici sull’uomo di varia natura. I PFAS fanno parte della famiglia di sostanze definite come “interferenti endocrini” in quanto in grado di alterare gli equilibri ormonali.

Young woman at the dentist


Nello studio gli esperti hanno misurato la concentrazione di queste sostanze 
nel sangue di 629 bambini di 3-11 anni ed anno osservato lo stato di salute dei loro denti, tenendo conto anche di una serie di fattori noti per influire sul rischio di carie, come l’igiene orale e l’alimentazione.  È emerso che i bambini con concentrazioni ematiche maggiori di acido perfluorodecanoico erano più a rischio di presentare carie. È possibile che questa sostanza ostacoli il corretto sviluppo dello smalto dentale, esponendo i denti dei bambini all’attacco dei batteri che causano le carie.  “È interessante notare come in questo campione quasi il 50% dei piccoli coinvolti presentava carie o otturazioni – sottolinea all’ANSA Luca Landi, presidente della Società Italiana di Parodontologia e Implantologoa: un dato che deve far riflettere sulla necessità di intensificare i programmi di prevenzione e di diffusione delle informazioni. Conoscere ciò che si beve o ciò che si mangia – conclude Landi – è fondamentale anche per prevenire i problemi della bocca, e questa informazione deve essere parte integrante di qualunque sistema di prevenzione”.

 

Da dottnet.it fonte: Journal of Public Health Dentistry, ansa

TROPPO OZONO AUMENTA IL RISCHIO DI MORTE


Essere esposti anche per un periodo ristretto di tempo (nell’arco di un solo giorno) ad elevati livelli di ozono nell’ambiente potrebbe aumentare il rischio di morte. Lo rivela uno studio pubblicato sul British Medical Journal, condotto su oltre 400 città in 20 paesi del mondo. Il lavoro stima che oltre 6.000 morti l’anno potrebbero essere evitati in queste città se venissero adottati standard di qualità dell’aria più stringenti. Lo studio è stato condotto da un team internazionale di ricercatori e coordinato da esperti dell’Istituto di Medicina Preventiva e Sociale di Berna ed ha analizzato 45.165.171 decessi nelle 406 città coinvolte. In questi centri urbani i livelli di inquinamento, di polveri sottili, di ozono, nonché l’umidità e altri parametri, sono stati valutati nel tempo. Èemerso che in media un aumento della concentrazione di ozono ambientale di 10 microgrammi per metro cubo di aria da un giorno all’altro si associa a un aumento dello 0,18% del rischio di morte, suggerendo l’esistenza di un potenziale nesso diretto di causa ed effetto tra livelli di ozono ambientale e mortalità.

Ciò si traduce in 6.262 decessi in più ogni anno nelle 406 città che potrebbero forse essere evitati se i paesi interessati avessero adottato standard di qualità dell’aria almeno pari a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Salute (Oms), che suggerisce di non superare concentrazioni di ozono di 100 microgrammi/metro cubo negli ambienti urbani e suburbani.

Da dottnet.it

fonte: British Medical Journal

PIANO DI AZIONE UE CONTRO IL CANCRO

Da Dottnet. it


Guardare “al ruolo della tassazione per tabacco e alcol” e a “misure per ridurre l’esposizione agli agenti cancerogeni sul posto di lavoro” per prevenire i tumori. Fare leva sui fondi Ue per la ricerca e creare una “infrastruttura di dati sanitari” per “facilitare il collegamento tra ricerca, diagnosi e cura”. Stabilire “target per gli investimenti in prevenzione” e incentivare “network regionali per il trattamento dei tumori”.

Sono le idee da cui prenderà forma il Piano di azione Ue per battere il cancro, che la Commissione europea presenterà a fine 2020 dopo aver fatto consultazioni a tutti i livelli.

L’iniziativa è stata lanciata nella conferenza “Europe’s beating cancer” che ha gremito l’emiciclo della sede di Bruxelles dell’Europarlamento. “Vogliamo ascoltare tutti coloro che hanno una storia da raccontare, i medici e i pazienti, i parenti e gli scienziati, le infermiere e la società civile.  Quelli che ce l’hanno fatta e quelli che stanno ancora combattendo“, ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Perché “insieme possiamo fare la differenza” contro una malattia che, dati Eurostat di oggi, in Ue fa 1,2 milioni di morti, il 26% del totale. “Ognuno di noi ha un amico, un collega o un parente che ci è passato. Tutti hanno provato lo stesso senso di tristezza e impotenza“, ha detto von der Leyen.  Lei stessa che a 13 anni ha perso la sorella minore per un sarcoma. E Stella Kyriakides, la commissaria alla salute che realizzerà il piano d’azione, due diagnosi di tumore al seno nel 1996 e nel 2004 che l’hanno spinta a diventare un simbolo della lotta al cancro nel suo paese. Oppure il campione di calcio bulgaro Stilyian Petrov che nel 2013 si è sentito dire “diretto e schietto: hai il cancro”, ma che era al Parlamento europeo per raccontarlo. Come le oltre 50 donne irlandesi del coro Sea of Change, molte delle quali sopravvissute alla malattia e arrivate alle finali di Ireland’s got talent 2019.E’ stata una giornata in cui “il personale si è trasformato in politico“, ha detto Kyriakides, e “l’inizio di un viaggio che faremo tutti insieme”. “Ci saranno fondi per finanziare questo piano”, ha aggiunto a margine dell’evento. Al cronista che le chiedeva come “fare la differenza” su tassazione e sanità, su cui la Commissione ha prerogative molto limitate, la commissaria ha risposto “non vedo l’ora di rispondere alle sue domande quando il piano sarà pronto alla fine dell’anno, ma le assicuro che esploreremo tutte le possibilità. Tutte”.

NUOVE SVHC PER L’AGENZIA EUROPEA ECHA


Sono 4 le nuove sostanze che l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) ha inserito nel novero delle Substances of very high concern (SVHCs) (sostanze pericolose per i propri effetti su salute e ambiente).
Vediamo quali sono e le loro caratteristiche pericolose, mettendo anche in luce cosa succede ad una sostanza quando entra in questo novero di sostanze per le quali il mondo industriale dovrà richiedere specifica autorizzazione.

Il 16 gennaio l’ECHA ha aggiunto quattro nuove sostanze all’elenco di quelle candidate per l’autorizzazione: si tratta dell’elenco delle Substances of very high concern (SVHCs), sostanze che possono avere effetti gravi sulla salute umana o sull’ambiente, e che conta ora 205 voci.
Tre delle nuove quattro (Diisohexyl phthalate, 2-benzyl-2-dimethylamino-4′-morpholinobutyrophenone e 2-methyl-1-(4-methylthiophenyl)-2-morpholinopropan-1-one) sono state inserite per via del loro carattere di tossicità per la riproduzione.


La prima non era registrata al REACH, le altre sono utilizzate soprattutto nella produzione di polimeri.
La quarta sostanza (l’acido perfluorobutano solfonico (PFBS) e i suoi sali) è stata inserita vista la sua combinazione con altre proprietà problematiche e per i probabili e gravi effetti sulla salute umana e sull’ambiente, dando origine a un livello di preoccupazione equivalente a quello delle sostanze cancerogene, mutagene e reprotossiche (CMR), persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT) e molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB).
L’acido ed i suoi Sali sono per lo più usati come catalizzatori, additivi e reagentinella produzione di polimeri e in sintesi chimiche, o come ritardanti di fiamma nei policarbonati (per dispositivi elettronici).

Cosa vuole dire entrare nell’elenco delle Substances of very high concern (SVHCs)

Le sostanze presenti nell’elenco delle sostanze candidate all’autorizzazione sono anche note come sostanze “estremamente problematiche”: una volta inserite nell’elenco delle autorizzazioni, il mondo industriale dovrà richiedere l’autorizzazione per continuare a utilizzare la sostanza.
Anche le società devono tenere conto dell’inserimento di una sostanza nell’elenco delle SVHC in merito al suo utilizzo da sola, in miscele o articoli: i fornitori di articoli contenenti una delle sostanze pericolose al di sopra di una concentrazione dello 0,1% hanno obblighi di comunicazione verso i clienti e verso i consumatori. Inoltre, gli importatori e i produttori di articoli contenenti la sostanza hanno sei mesi dalla data della sua inclusione nell’elenco dei candidati (16 gennaio 2020) per notificarlo all’ECHA.

da insic.it

Per Echa clicca qui Link

——-

 

FUMO PASSIVO: ANCHE I MOZZICONI SONO NOCIVI

Da quotidiano.net
Le sigarette fanno male anche dopo che sono state spente. Lo sostiene una ricerca pubblicata su due diverse riviste scientifiche (Journal of Indoor Environment and Health e Science of the Total Environment), secondo cui i mozziconi abbandonati continuano a rilasciare nell’aria diverse sostanze nocive.

Lo studio, realizzato per conto della Food and Drug Administration (FDA), ha preso in esame 2100 ‘cicche’ spente da poco, collocate in una speciale camera in acciaio inossidabile, dove sono stati misurati i livelli di emissione per otto composti chimici comunemente generati dalla combustione delle sigarette. Le rilevazioni sono state effettuate modificando di volta in volta alcuni parametri ambientali, tra cui la temperatura e l’umidità.

Gli scienziati del National Institute of Standards and Technology (NIST) hanno così scoperto che, nonostante sia apparentemente innocuo, il mozzicone è in realtà una ciminiera silenziosa, che nelle prime 24 ore produce ad esempio il 14% della nicotina normalmente emessa da una sigaretta accesa. Si è poiosservato che a distanza di cinque giorni le concentrazioni di nicotina e triacetina diminuiscono solo della metà: si tratta di un dato non banale in particolare per la triacetina, un plastificante usato nei filtri, che di solito non evapora.   che di solito non evapora.


Un altro aspetto interessante riguarda il fatto che la velocità delle emissioni sembra crescere all’aumentare della temperatura. Questo suggerisce che nei giorni caldi la nicotina rilasciata da un mozzicone potrebbe avvicinare le quantità diffuse da una sigaretta in in via di consumo.

“Sono rimasto assolutamente sorpreso”, ha dichiarato Dustin Poppendieck, ingegnere ambientale del NIST. I risultati raccolti andranno approfonditi con ulteriori indagini, ad esempio coinvolgendo più marche di sigarette. Se le conclusioni dovessero essere confermate, dicono i ricercatori, significa che fino a oggi abbiamo trascurato un significativo fattore di rischio, che potrebbe avere “un impatto importante quando i mozziconi vengono lasciati in uno spazio chiuso o in auto”.

PFAS ALTERANO LA COAGULAZIONE DEL SANGUE

da dottnet.it

E’ stato individuato il legame tra inquinamento da Pfas, le sostanze chimiche che possono essere presenti in vernici, farmaci e presidi medici, e malattie cardiovascolari.

Una ricerca italiana su 78 persone con diversi livelli di esposizione a queste sostanze ha scoperto che questi inquinanti possono attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione e predisponendo a un aumento del rischio cardiovascolare. Pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences, la ricerca è stata condotta dall’università di Padova sotto la guida di Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia, in collaborazione con i gruppi di Luca De Toni e Andrea Di Nisio.

La ricerca nasce dalle osservazioni riportate sia in studi internazionali che dal Servizio Epidemiologico Regionale del Veneto che indicano un aumento del rischio cardiovascolare associato all’inquinamento da Pfas, i composti che vengono utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua molti prodotti, dai tessuti ai rivestimenti per contenitori di alimenti. In particolare, i ricercatori hanno mostrato che una di queste sostanze, lo Pfoa (acido perfluoroottanoico), il principale inquinante ambientale nel territorio veneto, “sarebbe in grado di attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, anche in condizioni normali, predisponendo a un aumento del rischio cardiovascolare”, spiega Foresta. Il risultato è stato ottenuto prima in vitro e poi confermato, in collaborazione con Paolo Simioni dell’università di Padova, dai test su 78 persone con diversi livelli di esposizione a Pfas.

I test “hanno confermato dei segnali di aumentata attivazione piastrinica con conseguente incremento della propensione all’aggregazione delle stesse”, rileva Foresta. “Questi dati – aggiunge – potrebbero spiegare l’osservazione epidemiologica tra Pfas e patologie cardiovascolari, soprattutto se sussistono altri fattori di rischio noti per queste patologie, come diabete, obesità, fumo e alcol“. La normale fluidità del sangue è mantenuta infatti dall’equilibrio tra elementi che ne bloccano la coagulazione e altri che la stimolano. In questo giocano un ruolo chiave le piastrine che, in caso di danni ai vasi sanguigni, innescano il processo della coagulazione. Ma in presenza di fattori di rischio quali fumo di sigaretta o diabete, l’equilibrio si rompe rendendo le piastrine molto più reattive e inclini a innescare la coagulazione, con il rischio di infarto cardiaco e ictus cerebrale.

La scoperta arriva a pochi giorni dall’allarme lanciato dall’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (Isde) che ha definito la situazione determinata in Veneto dalla contaminazione da Pfas, usati nei processi industriali e poi sversati per decenni nel suolo e nelle falde acquifere, “una delle più gravi emergenze ambientali mai affrontate, che richiede interventi immediati, come studi epidemiologici e una mappa dei pozzi”. Alcuni Paesi, intanto, come Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia, hanno manifestato la volontà di arrivare a una proposta di divieto per tutta la famiglia dei Pfas.

 

fonte: International Journal of Molecular Sciences

IL TUMORE ALLA VESCICA ANCHE ASSOCIATO ALLE ACQUE DI RUBINETTO

Da dottnet.it

In Europa uno su 20 sarebbe collegato a prodotti chimici presenti nell’acqua

PIOPPI CONTRO LA PLASTICA


I pioppi sono dei “mangiaplastica”: le loro radici sono infatti in grado di assorbire e accumulare i principali composti inquinanti, gli ftalati, eliminandoli dall’ambiente. Lo dimostra una ricerca tutta italiana pubblicata sulla rivista Environmental Science and Pollution Research e guidata Francesca Vannucchi, dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Lo studio pone le basi anche per approfondire il meccanismo con cui queste sostanze tossiche vengono degradate all’interno dei tessuti vegetali.

Gli ftalati sono microinquinanti dagli effetti decisamente negativi sul funzionamento degli ecosistemi e sulla salute umana. Si tratta di una famiglia di composti chimici usati nell’industria delle materie plastiche, in particolare nel Pvc, per migliorarne flessibilità e modellabilità, ma trovano impiego anche in profumi, pesticidi, smalti per unghie e vernici.

La ricerca, cui ha collaborato anche l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa, ha dimostrato che il pioppo della specie Populus alba Villafranca, potrebbe essere il candidato adatto per ridurre gli impatti negativi dovuti alla persistenza di questi composti nell’ambiente: le sue radici, infatti riescono ad assorbire e immagazzinare gli ftalati, confermando la grande tolleranza di questa pianta alle sostanze inquinanti. Ulteriori studi saranno necessari per capire come i composti vengono poi smaltiti e utilizzati all’interno dei tessuti vegetali.

 

da Repubblica.it

COME PROTEGGERSI DAI MICROINQUINANTI ALLA GUIDA

Gli inquinanti atmosferici tossici come l’anidride carbonica e l’ossido di azoto non sono presenti solo nell’aria esterna: anche  all ‘interno delle nostre auto possiamo inalare micro inquinanti che possono nuocere alla nostra salute.

Esistono modalità preesistenti per filtrare l’aria della cabina della tua auto, in particolare con le impostazioni sul cruscotto della tua auto. La velocità della ventola, la modalità di ventilazione e le opzioni di ricircolo dell’aria in cabina possono proteggere la salute respiratoria, ma in questo caso non filtrano molte delle particelle più piccole e pericolose presenti nell’aria.

Una ricerca dell’Università della California, Riverside, sta studiando quali metodi potrebbero  filtrare al meglio l’aria della cabina e proteggere la salute respiratoria.

I filtri abitacolo sono stati originariamente progettati per rimuovere grandi particelle come polline e polvere dall’aria della tua auto. Di conseguenza, non sono funzionali a filtrare le particelle submicrometriche più piccole dalle emissioni dei veicoli come l’anidride carbonica (espirata dai passeggeri) e l’ossido di azoto (dalle emissioni dei veicoli). Questi gas, se inalati, possono provocare differenti  effetti negativi sulla salute

Altri fattori che possono influenzare o esacerbare il rischio di inquinanti nell’abitacolo sono il traffico intenso, la velocità della ventola di ventilazione, le sostanze inquinanti nell’aria esterna e il numero di passeggeri nell’auto.

I conducenti nelle città  più trafficate corrono un rischio particolarmente elevato di esposizione a microinquinanti . Nel corso di un lungo viaggio in auto, la cabina della tua auto può accumulare livelli di particolato e gas.

L’articolo sullo studio dell’Università della California spiega come questi particolati penetrino nella cabina della tua auto. Descrive la cabina dell’auto come una “scatola con piccoli fori per lo scambio di gas”. Ciò significa che la cabina “alla fine sarà ventilata o equilibrata, con l’aria esterna”. Questo può richiedere da un minuto a un’ora.

Inoltre, le auto si differenziano per la capacità di filtrare gli inquinanti atmosferici e mantenere la qualità dell’aria nella cabina pulita. Tuttavia, non esisteva un metodo o un indice di prova standard per quantificare queste tossine, fino ad ora.

Heejung Jung, professore di ingegneria meccanica per UC Riverside, studia come l’inquinamento esterno penetri all’interno delle auto e identifica i modi per migliorare la qualità dell’aria in cabina. Jung ha lavorato con la società di consulenza Emissions Analytics per sviluppare un metodo di prova standard per la qualità dell’aria nelle auto.

Il primo passo dello standard verso l’approvazione dell’agenzia di regolamentazione è stato nel corso di un seminario del Comitato europeo di normalizzazione nel novembre del 2019. Durante questo seminario, il team ha testato 100 veicoli e sta usando i dati per costruire un database che aiuterà i futuri conducenti a proteggere la loro salute respiratoria includendo la qualità dell’aria in cabina è un fattore identificabile che gli acquirenti possono considerare quando acquistano un’auto.

Il sistema più semplice per ridurre  il particolato nella cabina della tua auto è quello di chiudere i finestrini e scegliere l’impostazione di ricircolo del sistema di ventilazione dell’auto. Il ricircolo e una bassa ventilazione rimuovono la maggior parte delle nanoparticelle ultrafine  .

Tuttavia, questa impostazione contribuisce a una maggiore inalazione  di anidride  carbonica, un normale sottoprodotto della respirazione umana. Poche auto hanno la tecnologia per ridurre l’anidride carbonica.

Il gruppo di Jung ha studiato i modi per inclinare le alette di ricircolo in una certa direzione per controllare lo scambio tra aria di ricircolo e aria fresca. Questo metodo ha lo scopo di ridurre l’esposizione all’anidride carbonica e gestire i livelli di particolato.

Questo metodo, noto come “ricircolo d’aria frazionata”, è un’opzione praticabile per le case automobilistiche per migliorare i sistemi di filtrazione dell’aria che minimizzerebbero il particolato, l’anidride carbonica e l’ossido di azoto.

Tuttavia, fino a quando tale sistema non sarà incorporano nei  nuovi modelli di auto, i conducenti possono esclusivamente sperimentare questo metodo da soli. I conducenti possono regolare le modalità in base alla velocità con cui guidano, al numero di passeggeri, alla tenuta dei finestrini dell’auto e all’efficienza del sistema di filtraggio dell’aria della cabina dell’auto.  Jung e Emissions Analytics stanno preparando un database per dare indicazioni su oltre 2.000 modelli di auto.

“Quando  ti imbatti in una strada congestionata con molti camion di fronte a te, scegli la modalità di ricircolo e regola la velocità della ventola. Il ricircolo completo con una bassa  velocità della ventola  non deve essere utilizzato per più di qualche minuto poiché l’anidride carbonica si accumula rapidamente all’interno della cabina “, ha dichiarato Jung.

Se è necessario mantenere attiva la modalità di ricircolo per più di qualche minuto, Jung consiglia di aumentare la velocità della ventola di ventilazione. Una velocità della ventola più elevata, sebbene rumorosa, può comportare un po ‘più di ventilazione rispetto alla bassa velocità. I produttori possono anche incorporare il ricircolo frazionario nei loro progetti di ventilazione.

“Questo principio si applica a tutti gli ambienti chiusi come aeroplani, autobus, treni, metropolitane ed edifici”, ha detto Jung. “Siamo in grado di ridurre significativamente l’esposizione agli inquinanti atmosferici in alcuni ambienti in cui le persone trascorrono più tempo con i sistemi di circolazione dell’aria che includono il ricircolo frazionario”.

da ohsonline liberamente tradotto ed adattato  da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

CELLULARI E TUMORI : PER LA CORTE D ‘APPELLO ESISTE UN NESSO

Da la Stampa

TORINO. «Nuoce gravemente alla salute. A meno che non venga utilizzato correttamente». È questa l’etichetta che Roberto Romeo vorrebbe apporre sulle scatole dei cellulari.  Dipendente di Telecom Italia, ha passato la sua vita con il telefonino appiccicato all’orecchio. Anche per 4 o 5 ore al giorno. Poi si è ammalato. Ha scoperto di avere un neurinoma dell’acustico, tumore benigno, ma invalidante.

Il nesso
Tra le giornate passate al cellulare e il tumore al cervello c’è un nesso. Ad affermarlo è la Corte d’Appello di Torino che ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea con cui, nell’aprile 2017, i giudici avevano condannato l’Inail a corrispondere a Romeo una rendita vitalizia da malattia professionale. «Una sentenza storica, come lo era stata quella di Ivrea, la prima al mondo a confermare il nesso causa-effetto tra il tumore al cervello e l’uso del cellulare – spiegano gli avvocati Stefano Bertone e Renato Ambrosio dello studio Ambrosio&Commodo di Torino, che hanno seguito la vicenda – La nostra è una battaglia di sensibilizzazione sul tema. Manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini».

Il rischio
Basta usare il cellulare 30 minuti al giorno per otto anni per essere a rischio. «Le persone – aggiungono gli avvocati – devono conoscere le possibili conseguenze di un utilizzo prolungato del telefonino, così da poter analizzare con consapevolezza il loro rapporto, e quello dei loro figli, con i cellulari e altri strumenti dannosi per la salute».

La Codacons, che commenta la sentenza della Corte d’Appello, chiede di inserire sulle confezioni dei telefoni cellulari indicazioni sulla pericolosità per la salute umana, come viene fatto sui pacchetti di sigarette. «Ancora una volta – afferma il presidente Carlo Rienzi – viene confermata la pericolosità dei cellulari per la salute umana. Dallo Iarc all’Oms, passando per i recenti studi condotti dal National Toxicology Program degli Stati Uniti (NTP) e dall’Istituto Ramazzini, tutti gli enti di ricerca affermano senza ombra di dubbio come l’esposizione alle onde elettromagnetiche prodotte dai telefonini sia potenzialmente cancerogena». «I cittadini – conclude Rienzi – hanno ora il diritto di essere informati riguardo i rischi che corrono, e per tale motivo non basta avviare campagne informative: serve apporre sulle confezioni dei telefonini avvisi circa i rischi per la salute, al di pari di quanto già avviene con i pacchetti di sigarette».

Il parere dell’Istituto Superiore della Sanità
L’uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, non è associato all’incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari). E’ quanto è emerso dall’ultimo Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori” curato da Istituto superiore di sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea, pubblicato lo scorso agosto che arriva ad una conclusione differente rispetto a quello della Corte d’Appello di Torino secondo cui l’uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa.

I dati attuali, tuttavia, si precisa nello studio, «non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia». Si tratta del più recente studio pubblicato sul tema, ma le ricerche in merito all’eventuale nesso tra telefonini e tumori sono in corso da oltre 20 anni.