MEDICINA E INFORMATICA

L ‘INAIL PUNTA ALLA REALTÀ AUMENTATA

Da”quotidianosanità.it”

28 agosto – L’Istituto ha avviato na intensa attività di ricerca, riconducibile alla progettazione e realizzazione prototipale di dispositivi di nuova generazione per la prevenzione del rischio individuale, collettivo e ambientale. L’obiettivo è valutare la fruibilità delle innovazioni per il controllo del pericolo di incidenti ed infortuni sia “tradizionali”, che “emergenti”.

Digitalizzazione dei processi di produzione, imprese sempre più connesse, nuove tecnologie per abbattere i costi e incrementare efficienza e produttività: tra gli scenari aperti dall’industria 4.0, la nuova sfida dell’INAIL è coniugare innovazione tecnologica e sicurezza del lavoro adottando gli strumenti più evoluti per migliorare la tutela della salute dei lavoratori che quotidianamente interagiscono con le macchine negli impianti industriali, attraverso la realtà aumentata (AR), virtuale (VR) e immersiva (IV). Ecco il motivo per cui è in corso una intensa attività di ricerca, recentemente avviata da Inail, riconducibile alla progettazione e realizzazione prototipale di dispositivi di nuova generazione per la prevenzione del rischio individuale, collettivo e ambientale. “In modo – ha spiegato con soddisfazione Giuseppe Lucibello, Direttore Generale dell’Istituto – da valutare la fruibilità proprio delle innovazioni al controllo del pericolo di incidenti ed infortuni sia ‘tradizionali’, che ‘emergenti”’introdotti dal cambiamento”.

“Le attività di ricerca – precisa Lucibello – analizzeranno i vantaggi e le possibili criticità che devono essere considerate dall’implementazione di sistemi che”, ha illustrato:

possono supportare in tempo reale gli operatori durante lo svolgimento delle attività lavorative sia ordinarie che a carattere manutentivo, rilevando potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori legati alla presenza di campi fisici e di contaminazione ambientale non compatibili o alle errate o pericolose posizioni reciproche tra lavoratori ed attrezzature di lavoro”;

–    “sostituire l’uomo, dove possibile in attività ad alto rischio”;

–    “promuovere una formazione più “realistica” sia nella sua erogazione che negli esiti di valutazione della adeguatezza per particolari categorie di lavoratori”.

Augmented reality in construction

“Le linee di indirizzo – prosegue il direttore generale – intendono utilizzare gli stessi strumenti innovativi e abilitanti dell’Industria 4.0 per attualizzare le modalità di gestione della sicurezza dei lavoratori nei loro ambienti di lavoro secondo logiche dinamiche, integrate, e in piena coerenza con l’approccio di sistematico improvement dei sistemi produttivi. Simmetricamente, si vuole indagare sui rischi emergenti dovuti ad interferenze sia di carattere endogeno (fisiologici rispetto ai mutamenti tecnologici), che esogeno (determinati dalla imprevedibilità del contesto)”.

Grazie a queste tecnologie avanzate, per altro, è possibile emulare ambienti di lavoro virtuali, in particolare quelli più ostili o particolarmente complessi, dei quali sono noti i rischi per i lavoratori, che spesso determinano motivo ricorrente d’infortunio.

I corsi, riprogrammati attraverso l’utilizzo di tali tecnologie, sono attualizzati proponendo situazioni “reali” che consentono la pratica delle procedure a fini addestrativi del lavoratore, con particolare riguardo a due categorie problematiche: i giovani e gli anziani. I primi hanno di frequente forme contrattuali temporanee (tra loro gli stagionali) e spesso minore esperienza, tendono a sopravvalutare le capacità fisiche o a sottovalutare i rischi per la sicurezza e la salute associati ai loro compiti. I secondi soffrono della diminuzione delle capacità cognitive e fisiche (tra cui aerobiche, tolleranza al calore, forza, tempi di reazione, capacità visiva ed uditiva) a cui si sovrappongono i fattori ambientali determinati dalle più o meno severe condizioni quali rumore, illuminazione, temperature, ecc.. In entrambi i casi, la formazione erogata attraverso sistemi di realtà immersiva permette la valutazione dell’adeguatezza di tali lavoratori ai compiti ai quali sarebbero poi indirizzati.

Si vogliono, inoltre, investigare i diversi ambiti delle attività produttive e delle professioni per i quali gli strumenti di Vr, Ar e Ir, costituiscono un importante valore aggiunto per la salvaguardia della salute e la tutela della sicurezza dei lavoratori. Lo sviluppo di piattaforme dedicate, in relazione alla loro finalità, esige studi orientati a scenari di lavoro diversificati, dall’industria manifatturiera e di processo a quella dei servizi, per i quali gli investimenti per la loro implementazione siano ampiamente giustificati. È altresì importante approfondire, in maniera organica e strutturata, le caratteristiche funzionali e di compatibilità di tali sistemi per ottimizzarne l’efficacia e la susseguente fruizione da parte di piccole e medie imprese, ad oggi ancora escluse.

L’istituto ha quindi individuato, e sono di seguito elencate, alcune direttrici di ricerca rispetto alle quali avremo soluzioni concrete in un arco temporale medio-breve:

–  sviluppo di normativa dedicata, vista l’assenza di uno specifico quadro di riferimento, all’uso in sicurezza dei dispositivi (Ar, Vr e Ir) e loro regolamentazione applicativa alla luce di un mercato in crescita e in continua evoluzione.

–  sviluppo di piattaforme educazionali per l’apprendimento delle procedure di lavoro in sicurezza, utilizzabili durante l’addestramento delle diverse figure professionali a vario titolo coinvolte (manutentori, operatori, verificatori, ed altri), per simulare situazioni di pericolo con possibilità di fallimento senza rischio. Esse possono anche costituire una modalità mirata ed innovativa di formazione per le categorie di lavoratori vulnerabili.

–  supporto operativo da remoto per attività di manutenzione, controllo/sorveglianza e verifica di attrezzature di lavoro e impianti con relativo sviluppo di piattaforme tecniche e gestionali.

–  monitoraggio e rappresentazione grafica innovativa dei potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori legati alla presenza di campi fisici e di contaminazione ambientale non compatibili (elettromagnetico, ionizzante e non ionizzante, rumore e vibrazioni, termico, chimico, ecc.): studio e realizzazione di dispositivi Ar e Vr che, tramite l’ausilio di sensori indossabili e/o di “remote sensing”, permettano la visualizzazione delle misure effettuate con grafiche evolute di facile e immediata interpretazione. Non ultimo, la possibilità di combinare molteplici informazioni sui potenziali rischi per lo specifico ambiente di lavoro.” Per l’Inail il futuro è già presente.

Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Facoltà di Giurisprudenza Uninettuno – Roma

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INNOVAZIONE IN CARDIOLOGIA E MEDICINA DEL LAVORO

Si tratta quindi di  una sofisticata evoluzione della tecnologia informatica applicata alla cardiologia . L’innovazione continua permetterà di monitorare in maniera sempre più diffusa e precisa pazienti con patologie cardiologiche. Questa strumentazione è inoltre potenzialmente utile per un utilizzo nell ambito delle attività di prevenzione nella medicina del lavoro è come sofisticato strumento nella gestione delle emergenze anche in specifici luoghi di lavoro ( grandi imprese, cantieri complessi, centri commerciali, stazioni aeroporti )

MAGLIETTE INTELLIGENTI PER IL MONITORAGGIO DELLA SALUTE

È realizzata in tessuto elasticizzato con sensori in fibra ottica e può acquisire in tempo reale dati respiratori e sulla frequenza cardiaca, facilitando sia le indagini cliniche che la valutazione delle prestazioni sportive. La nuova maglietta “intelligente” è stata sviluppata da ENEA e Università Campus Bio-Medico di Roma.

Abbiamo utilizzato sensori in fibra ottica già in commercio e li abbiamo incapsulati all’interno di particolari materiali polimerici”, ha spiegato il ricercatore ENEA Michele Caponero. “Testata su ciclisti in allenamento simulato, la maglietta ci ha permesso di monitorare i parametri degli atleti, in particolare i volumi compartimentali e la frequenza respiratoria, che possono risultare utili per ottimizzare il training e migliorare le prestazioni”, ha aggiunto Emiliano Schenadell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

Secondo i ricercatori, la maglietta “smart” può offrire vantaggi significativi anche per le indagini cliniche, ad esempio monitorando i parametri respiratori durante le risonanze magnetiche, in cui i sensori di tipo elettrico risultano disturbati dal campo magnetico. I ricercatori, inoltre, prevedono di sfruttare questa tecnologia anche per altre possibili applicazioni.

Possiamo usare questi sensori per il monitoraggio della temperatura nelle procedure di ablazione laser per la rimozione dei tumori, in modo da salvaguardare i tessuti sani. Inoltre, stiamo investigando la possibilità di utilizzare questa tecnologia per monitorare il livello di umidità nell’aria erogata dal ventilatore polmonare prima che questa raggiunga le vie aeree del paziente”, ha affermato Daniela Lo Presti, dottoranda presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma.

da researchitaly.it

UNA MAGLIETTA LETSISMORE TESTATA NELL ‘ACCIAIERIA TYSSEN DI TERNI

Una t-shirt che permetta di controllare i parametri vitali di chi la indossa.  Per ora Ecg, sudore e frequenza respiratoria, ma altri sono in via di sviluppo.

Let’s for Thyssen!

 

 

SMARTWATCH MEDICINA E SALUTE

Da 01health.it

Il recente sblocco della funzione ECG sugli Apple Watch Series 4 ha riportato d’attualità un tema sul quale a breve si giocherà la partita nel mondo smartwatch.

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Consolidata l’utenza di base, ora la grande sfida è elevare l’applicazione dei wearable alla medicina. Rendere cioè le funzioni di un dispositivo affidabili in fase di analisi clinica.

Una scommessa sulla quale da qualche tempo punta apertamente anche Fitbit. Come tutti gli altri al di fuori di Apple, al momento ancora in svantaggio. La sfida però, è appena iniziata e non c’è ancora niente di deciso. «Sempre più spesso i wearable vengono utilizzati anche in ambito sanitario, per ora come strumenti in grado di modificare gli stili di vita in meglio – osserva Lorena Landini, country marketing manager di Fitbit  -. Per questa ragione ne auspichiamo l’impiego in un percorso assistenziale e di prevenzione

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Negli ultimi anni in effetti, sotto questo punto di vista la tecnologia ha compiuto passi importanti. Praticamente tutti gli smartwatch di ultima generazione son dotati di alcuni sensori, come il Vo2 max per misurare la saturazione dell’ossigeno nel sangue, per la cui attivazione manca solo il via libera delle autorità sanitarie.

«Nel frattempo, il nostro focus si concentra sulla prevenzione – riprende Landini -. Se si conduce uno stile di vita sano, si possono evitare problemi di salute cronici come l’obesità, le condizioni che aumentano rischio di incorrere in diabete, malattie cardiovascolari».

Attualmente, rispetto a quelli prettamente medici, i dispositivi consumer come gli smartwatch hanno nel percepito del paziente un effetto differente. Più curati sotto il profilo estetico e lontani dalle forme di uno strumento di cura, risultano meno stressanti.

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Inoltre, possono essere utilizzati per un periodo anche lungo senza essere legati direttamente a una patologia specifica. «Grazie al gran numero di informazioni fornite dall’app, qualsiasi utente potrà individuare nuove tendenze in grado di aiutarlo a gestire al meglio la propria salute e il proprio benessere. Insieme ai dati infatti, offriamo consigli e guide personalizzate che coinvolgono l’utente e lo incentivano ad assumere uno stile di vita sano.

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Il tempo delle certificazioni non è ancora maturo

Per ora però si resta ancorati a misurazioni di base, per quanto credibili, da considerare puramente indicative sotto il profilo clinico. Le funzioni più diffuse  consentono di registrare alcuni paramenti quali il battito cardiaco in movimento e a riposo, il monitoraggio del sonno e del consumo di calorie. «Stime in grado di fornire indicazioni utili a conoscersi meglio e prendere decisioni più informate– precisa Landini -. Indossando uno smartwatch o un tracker per tutto l’arco delle 24 ore si ha la possibilità di raccogliere una mole di dati completa e nel lungo periodo offrire  una analisi dello stato dell’utilizzatore molto più dettagliata».

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Certamente, non esiste ancora un dispositivo consumer in grado di sostituire strumenti medici o scientifici. Le potenzialità non mancano e non è da escludere come diversi wearable, non solo Fitbit, siano già in grado di assolvere il compito. Le necessarie certificazioni però sono conseguenza anche di studi di una certa durata e da questo punto di vista l’evoluzione del settore si scontra apertamente con i tempi tecnici.

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«Strada facendo, i dati raccolti saranno sempre più affidabili e potranno essere integrati e utilizzati in un piano medico, affiancandosi a esami medici e terapie, potendo offrire un monitoraggio continuo e costante nel quotidiano, laddove sarebbe complesso essere monitorati da dispositivi medici con continuità».

 

L’impegno non manca

I primi risultati non sono poi così lontani come potrebbe sembrare. Se lo smartwatch Apple ha bruciato la concorrenza sul fronte ECG, i rivali non stanno a guardare. La stesa Fitbit è una delle nove aziende partecipanti al programma pilota FDA per la pre-certificazione di software digitali come dispositivi medici, e già collabora con diverse aziende in ambito sanitario, come United Healthcare, BlueCross Blue Shield, Dexcom, One Drop e Diplomat.

«Abbiamo preso parte a 675 studi di ricerca, dieci volte più di qualsiasi altro brand di dispositivi indossabili, e siamo registrati a ClinicalTrials, uno dei maggiori database di studi clinici al mondo fornito dalla Biblioteca Nazionale di Medicina degli Stati Uniti».

Un impegno sostenuto anche in Italia. Tra i principali progetti seguiti, l’azienda sta contribuendo alla realizzazione di uno studio della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore sulla bradicardia post-partum, con la fornitura di trenta tracker Alta HR utili amonitorare la frequenza cardiaca dei pazienti. Una conferma, neppure tanto indiretta, di un’affidabilità crescente nelle misurazioni. Anche perché ogni giorno che passa, aumentano i dati disponibili su cui lavorare. Sono ormai milioni gli utenti quotidianamente pronti ad alimentare il database.

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«Possiamo considerare già significativi i passi avanti compiuti di recente. Oggi lavoriamo con oltre 1.600 imprese nel settore sanitario in tutto il mondo e contribuiamo attivamente a cento piani sanitari per conseguire obiettivi in ambito salute».

Un altro fronte importante, anche se meno visibile per l’utente finale è quello delle applicazioni.  La scelta di offrire un SDK aperto e di integrare i dati Fitbit in ricerche mediche tramite API pubbliche, aprono scenari molto interessanti. «Gli istituti medici possono utilizzare i dati delle attività registrate dai nostri dispositivi e metterli insieme a i propri. Nella fattispecie è l’ente medico che realizza app per i nostri smartwatch ed è lui a certificarle, non noi».

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Inoltre, tornando negli USA, i recenti modelli Inspire e Inspire HR, sono parte di Fitbit Health Solution, progetti salutistici per aziende private ed enti pubblici aderenti al programma sanitario nazionale americano. Il modello HR, dotato di cardiofrequenzimetro ottico posto a contatto col polso se indossato giorno e notte fornisce un indice cardiovascolare, il Punteggio di stato di forma, sintomo e cartina di tornasole del proprio livello confrontato con persone simili per età e genere.

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A tutt’oggi quindi, resta ancora prematuro associare uno smartwatch a uno strumento medico. D’altra parte, probabilmente neppure i progettisti più ambiziosi e lungimiranti avrebbero osato pensare a un’evoluzione in questa direzione. Eppure, la realtà sta dimostrando non solo quanto sia possibile, ma anche quanto possa rivelarsi vantaggiosa, sotto ogni punto di vista. «La tecnologia e la richiesta del mercato pubblico e privato si stanno indirizzando sempre di più verso quella direzione – conclude Landini -. Il futuro è più vicino di quanto possiamo aspettarci».

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SANITÀ DIGITALE TUTTI I SEGRETI DELLA CRESCITA

da sanitadigitale.it

Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità – Nel 2018 la spesa per la sanità digitale cresce del 7%, raggiungendo un valore di 1,39 miliardi di euro e rafforzando il trend di crescita iniziato l’anno precedente, quando l’aumento era stato del 2%.

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Le strutture sanitarie sostengono la quota più rilevante della spesa, con investimenti pari a 970 milioni di euro (+9% rispetto al 2017), seguite dalle Regioni con 330 milioni di euro (+3%), dai Medici di Medicina Generale (MMG) con 75,5 milioni (+4%), pari in media a 1.606 euro per medico e dal Ministero per la Salute con 16,9 milioni di euro (contro i 16,7 milioni nel 2017). I sistemi dipartimentali e la Cartella Clinica Elettronica (CCE) sono gli ambiti di innovazione digitale che raccolgono i budget più elevati, rispettivamente 97 e 50 milioni di euro, e sono considerati prioritari dalle strutture sanitarie (indicati rispettivamente dal 50% e dal 58% delle aziende), mentre inizia a prendere piede l’Intelligenza Artificiale, con circa 7 milioni di euro di risorse stanziate e il 20% dei Direttori sanitari che la ritiene rilevante.

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Gli strumenti digitali entrano anche nella quotidianità dei medici, che li utilizzano per comunicare con i propri pazienti: l’85% dei Medici di Medicina Generale e l’81% dei medici specialisti utilizza la mail per inviare comunicazioni ai pazienti, mentre WhatsApp è usato dal 64% dei primi e dal 57% dei secondi per fissare o spostare appuntamenti e per condividere documenti o informazioni cliniche. Meno di un cittadino su cinque, invece, usa la mail o WhatsApp per comunicare col proprio medico, solo il 23% prenota online una visita specialistica e appena il 19% effettua il pagamento sul web. Pur limitato, l’accesso ai servizi digitali dei cittadini è aumentato significativamente nell’ultimo anno (nel 2018 l’11% prenotava online e il 7% pagava usando Internet) e nella fascia 35-44 anni registra valori elevati (45% e 27%). Oltre quattro cittadini su dieci (41%) usano App di coaching o dispositivi wearable per tenere sotto controllo la propria salute e migliorare il proprio stile di vita e lo smart watch, in particolare, è lo strumento che ha registrato l’incremento più significativo (dall’8% a circa un cittadino su tre).

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Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, presentata questa mattina a Milano al convegno “Connected Care: il cittadino al centro dell’esperienza digitale”.

“La crescita della spesa per l’innovazione digitale in Sanità è un segnale confortante che conferma il ruolo strategico del digitale per innovare i processi del sistema sanitario – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Il digitale sta modificando tutte le fasi della presa in carico del paziente, dalla prevenzione alla cura, fino al post-ricovero, attraverso strumenti come la Cartella Clinica Elettronica, la Telemedicina, l’Intelligenza Artificiale e le Terapie Digitali. Ma per sfruttarne appieno le opportunità bisogna ripensare l’organizzazione e la governance del sistema, sviluppare le competenze del personale e rivedere la relazione fra operatori e pazienti in modo da mettere il cittadino al centro dei processi di prevenzione e cura e consentire un migliore e più rapido accesso alle informazioni e ai servizi sanitari”.

Cittadini sempre più digitali

L’uso di Internet e degli strumenti digitali fra i cittadini italiani per reperire informazioni e accedere ai servizi sanitari è in aumento rispetto alla scorsa edizione della ricerca, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, ma il canale fisico è ancora quello privilegiato dalla maggior parte della popolazione. Lo rivela il sondaggio condotto dall’Osservatorio in collaborazione con Doxapharma su un campione di mille cittadini statisticamente rappresentativo della popolazione italiana. Fra i cittadini che non soffrono di malattie croniche o problemi di salute di lunga durata, oltre un terzo cerca sul web informazioni generiche sulla salute, come malattie, sintomi e cure (38%) e su corretti stili di vita e alimentazione (37%), il 15% si informa sui vaccini (il 25% fra le donne 25-44enni). Queste percentuali si riducono all’aumentare dell’età del campione, ma anche fra gli over 65 più di uno su quattro (27%) cerca informazioni online. I canali più utilizzati dai cittadini sani sono i siti web istituzionali (52%), seguiti dai portali dedicati alla medicina e alla salute (30% in media), mentre App, blog e social network sono ritenuti meno affidabili e sono usati prevalentemente per informarsi sui corretti stili di vita e sull’alimentazione (23%).

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Le App e i wearable stanno ormai entrando nella quotidianità dei cittadini, con il 41% che utilizza una applicazione di coaching o un dispositivo indossabile per il monitoraggio dello stile di vita. Tra i giovani sotto i 35 anni sono ancora più diffuse (55%), mentre l’uso diminuisce oltre i 55 anni (29%). Lo strumento più presente è lo smart watch, utilizzato da un cittadino su tre, con un vero e proprio boom rispetto all’8% registrato nel 2018. Tuttavia, ben il 75% dei cittadini che usa le App non invia né comunica al proprio medico i dati raccolti, che rimangono quindi spesso inutilizzati.

“Nel caso in cui i cittadini non possano rivolgersi a un medico per ricevere consigli su prevenzione e stili di vita in base a dati raccolti, potrebbe giocare un ruolo fondamentale un coach virtuale in grado di fornire in modo proattivo, e sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, consigli su come migliorare i propri comportamenti sulla base dei parametri monitorati, come l’alimentazione e gli allenamenti – afferma Emanuele Lettieri, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Ad oggi questa opportunità desta, tuttavia, un moderato livello di interesse da parte dei cittadini, così come la chat con un assistente virtuale o un assistente vocale (es. Amazon Alexa o Google Home) per chiedere informazioni sulla salute e sullo stile di vita, probabilmente perché ancora poco note e dai benefici difficilmente valutabili per la maggior parte dei cittadini”.

Anche i medici hanno sempre maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali, che impiegano per comunicare o condividere informazioni e documenti con i pazienti. Secondo il sondaggio condotto su un campione di 602 MMG e su 1.720 medici specialisti, la mail è il canale più usato (rispettivamente 85% e 81%), seguito da WhatsApp (64% e 57%) e dagli SMS (65% e 40%). Aumenta l’utilizzo da parte dei cittadini: il 19% usa la mail (+4% rispetto al 2018), il 17% WhatsApp (+5%) e il 15% gli SMS (+2%). La maggior parte dei cittadini (52%) usa la App di messaggistica per chiedere al medico di fissare o spostare una visita e nel 47% dei casi per comunicare lo stato di salute.

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Circa la metà del campione trova online informazioni sui medici (51%) e su strutture e prestazioni sanitarie (44%), ma se si analizza l’accesso ai servizi sanitari i cittadini appaiono molto meno digitali: solo il 23% ha prenotato online le prestazioni (21% tramite sito web e 2% tramite App) e il 19% le ha pagate via web (15% tramite sito e 4% tramite App), con punte però del 45% e del 27% fra i 35-44enni. Si tratta di tassi di utilizzo ancora limitati, ma in forte crescita rispetto all’11% delle prenotazioni via web e al 7% dei pagamenti online emersi nel 2018. La farmacia gioca un ruolo ancora marginale nell’ambito delle prenotazioni (9%) e dei pagamenti di visite o esami (10%), mentre la maggior parte della popolazione preferisce ancora recarsi di persona presso la struttura sanitaria (rispettivamente 53% e 78%). Chi non ha utilizzato i canali digitali dichiara che preferisce il contatto fisico personale (67%) o ammette di non essere capace di utilizzarli (19%). Il canale personale risulta molto rilevante anche nella scelta dello specialista a cui affidarsi: i cittadini considerano il parere del MMG come fondamentale nella scelta del medico specialista (il 43% lo indica come canale molto rilevante), seguito dal parere di parenti e amici. Le informazioni trovate sui siti istituzionali sono ritenute per nulla rilevanti dal 25% dei cittadini, così come le opinioni e recensioni su siti web (28%).

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“Il digitale sta cambiando i tradizionali punti di contatto della Sanità, introducendone di nuovi, come siti web, App e chatbot – afferma Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. Le nuove tecnologie devono essere impiegate per riprogettare l’esperienza degli utenti affinché possano accedere più facilmente e velocemente a informazioni e servizi secondo modelli di cura innovativi e sostenibili. Sarà importante da questo punto di vista superare barriere e diffidenze, riconoscendo la specificità dei diversi profili di cittadini e sapendo progettare percorsi differenziati in grado di superare il potenziale “digital divide”, che rischierebbe di escludere proprio quelle fasce di popolazione che hanno maggiore bisogno di sostegno”.

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L’Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale è un ambito ancora marginale in termini di investimenti (7 milioni di euro) e di interesse dei direttori sanitari (il 20% lo ritiene prioritario), ma sta prendendo piede. Le strutture sanitarie hanno adottato applicazioni di AI, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di prime sperimentazioni, soprattutto basate sull’elaborazione delle immagini per effettuare attività di supporto alla decisione diagnostica (presenti nel 40% delle aziende del campione) e del testo libero (24%). Sono queste ultime le applicazioni che i medici specialisti utilizzano maggiormente (30% e 26%) e che CIO e Direttori ritengono avranno un maggior impatto sul settore sanitario nei prossimi cinque anni. Allo stesso tempo i medici specialisti indicano l’elaborazione delle immagini come l’applicazione di AI più utile nel supporto della propria pratica clinica (36%) e l’ambito più promettente nel prossimo quinquennio (28%).

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Secondo i Direttori, i medici specialisti, i dirigenti infermieristici e i MMG, le principali difficoltà legate allo sviluppo di soluzioni di AI sono le limitate risorse economiche disponibili e l’alta complessità nell’implementare questi progetti. Gli operatori sanitari, tuttavia, non sembrano essere spaventati che l’AI possa sostituirli, anzi, vedono in questi sistemi dei potenti alleati capaci di migliorare l’efficienza dei processi clinici (49% dei medici specialisti, 66% dei dirigenti infermieristici e 46% dei MMG), ridurre la probabilità di effettuare errori clinici (48%, 50% e 50%) e aumentare l’efficacia delle cure in termini di precisione e personalizzazione (43%, 45% e 52%).

“L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in alcuni sistemi informativi ospedalieri in Italia ha una buona presenza, in particolare per l’elaborazione delle immagini, ma oggi iniziano a esserci sperimentazioni significative anche nell’interpretazione del linguaggio naturale, scritto e parlato – afferma Paolo Locatelli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità -. È importante sottolineare che l’applicazione di Intelligenza Artificiale in Sanità richiede, però, che le informazioni da elaborare siano raccolte in digitale, e quindi la presenza di Cartelle Cliniche Elettroniche e sistemi aziendali di gestione delle immagini diagnostiche è un prerequisito”.

Le terapie digitali

Uno dei nuovi trend nell’ambito della sanità digitale è rappresentato dalle terapie digitali, soluzioni tecnologiche (principalmente app) che devono essere clinicamente certificate e autorizzate dagli enti regolatori e che aiutano i pazienti nell’assunzione di un farmaco (di solito prescritte dal medico in combinazione a un farmaco o in sua sostituzione). Le soluzioni più interessanti secondo i Direttori e i medici sono quelle che supportano il paziente nel monitoraggio dell’aderenza alla terapia, considerate molto interessanti dal 47% dei Direttori, dal 45% dei medici specialisti, dal 63% dei dirigenti infermieristici e dal 49% dei MMG), mentre risultano meno interessanti quelle che propongono un intervento medico. Le App per il monitoraggio dell’aderenza rappresentano anche l’ambito che avrà un maggior impatto nei prossimi cinque anni. Il principale ostacolo che impedisce la diffusione di queste tecnologie in Italia è la scarsa conoscenza della validità clinica, seguita dalla difficoltà a comprendere le opportunità offerte e dall’assenza di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

La telemedicina

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La telemedicina può giocare un ruolo fondamentale nell’integrazione fra ospedale e territorio e nelle nuove forme di aggregazione delle cure primarie. Anche quest’anno però la spesa in innovazione digitale delle strutture sanitarie si è concentrata soprattutto nel supporto digitale dei processi ospedalieri, con una minore attenzione all’integrazione ospedale-territorio. Nel 2019 si registra una sostanziale stabilità in termini di diffusione rispetto a quanto rilevato in passato, con i servizi che coinvolgono il paziente come la Telesalute – i sistemi e i servizi che collegano i pazienti con i medici per assistere nella diagnosi, monitoraggio, gestione, responsabilizzazione degli stessi – e Teleassistenza – un sistema socioassistenziale per la presa in carico della persona anziana o fragile a domicilio, tramite la gestione di allarmi, di attivazione dei servizi di emergenza, di chiamate di supporto da parte di un centro servizi – presenti solo con progetti pilota (rispettivamente nel 27% e 22% delle aziende).

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La scarsa diffusione si rispecchia nell’utilizzo di tali servizi da parte degli operatori sanitari che operano nelle strutture sanitarie, che dichiarano di utilizzare principalmente soluzioni in fase di sperimentazione. Da sottolineare, tuttavia, un elevato livello di interesse all’utilizzo, con oltre la metà che vorrebbe usufruirne. Allo stesso modo, anche tra i MMG la Telemedicina fatica a diffondersi, con solo il 4% del campione che utilizza soluzioni di Teleassistenza e il 3% di Televisita e Telesalute. Più alta, invece, la diffusione di servizi di Telerefertazione, in particolare in alcune attività diagnostiche di primo livello quali ad esempio la spirometria (21%) e l’elettrocardiografia (19%).

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Il processo di procurement è sentito dalle aziende sanitarie come un processo critico soprattutto per la sua struttura rigida (barriera espressa dal 41% dei Direttori Amministrativi), legata a una complessa normativa di riferimento (24%). La barriera più sentita è però rappresentata dalla mancata conoscenza degli strumenti con cui comprare tecnologie digitali (47%) che impedisce, quindi, di accedere anche a forme innovative di procurement che potrebbero facilitare sia l’azienda sanitaria sia il fornitore nel portare avanti un progetto di innovazione.

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