ambiente

COME PREVENIRE L’INQUINAMENTO INDOOR DA COVID

Da Le Scienze

Mantenere il giusto grado di umidità e un adeguato ricambio d’aria evita la propagazione del virus negli ambienti al chiuso, specialmente dove il rischio è più alto, come ospedali e studi medici. Lo conferma uno studio internazionale condotto, tra gli altri, da ricercatori Cnr-Isac e pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health

È risaputo che il Sars-Cov-2 non si trasmette solo per contatto diretto, ma può diffondersi attraverso l’aria tramite “droplet”, le goccioline di saliva nebulizzata. “Sebbene il virus, di per sè, abbia dimensioni dell’ordine di un centinaio di nanometri (il diametro di un capello è di 50.000-180.000 nanometri), è verificato che una persona infetta, attraverso la respirazione, la vocalizzazione, la tosse, gli starnuti, può emettere un aerosol contenente potenzialmente il SARS-CoV-2”, spiega Francesca Costabile, ricercatrice dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac).

Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health da Cnr-Isac, in collaborazione con il tedesco Leibniz Institute for Tropospheric Research, il CSIR-National Physical Laboratory indiano e il 2B Technologies- Boulder (USA), suggerisce opportune strategie di prevenzione e mitigazione del rischio di trasmissione aerea del virus. “Oltre che in composizione, le particelle di tali aerosol variano notevolmente in dimensioni, da meno di 1.000 nanometri, il diametro delle polveri sottili, a valori superiori ai 5.000 nanometri, dimensione delle tipiche droplets respiratorie”, prosegue Costabile.

“La relazione fra dose inalata e infettività per il SARS-CoV-2 dipende fortemente dalle dimensioni: la capacità di penetrazione nel tratto respiratorio basso, di traslocazione sistemica in tutto il corpo umano e di attacco a organi bersaglio particolarmente vulnerabili, primo fra tutti il cervello”.Il rischio, insomma, varia drasticamente con le dimensioni di tali particelle di aerosol.

“Ispirandoci al principio di precauzionalità, l’obiettivo principale del lavoro è stato riconoscere, sulla base di dati già pubblicati, l’esistenza di un rischio dovuto alla possibile trasmissione airborne del SARS-CoV-2 in particolari ambienti indoor. E quindi proporre linee guida semplici e chiare a ospedali, studi medici, locali pubblici e altri ambienti simili”, avverte la ricercatrice Cnr-Isac.

“Robusti risultati di laboratorio dimostrano come la trasmissione del virus, in ambienti privi di radiazione solare, sia favorita da condizioni secche e fredde. Su tale base – all’interno di ambienti chiusi con luce solare diretta fredda, secca e con ventilazione insufficiente – raccomandiamo innanzitutto: di mantenere un’adeguata umidificazione dell’aria interna (nel range 40-60%), soprattutto laddove ci si trovi in condizioni di temperature sotto i 20° C, l’utilizzo di purificatori d’aria, di un’adeguata ventilazione meccanica anche nei periodi invernali e la misura della concentrazione del biossido di carbonio (CO2) in aria, da mantenere sotto le 1000 ppm. Sconsigliamo, infine, l’utilizzo di nebulizzatori in alcune procedure mediche e di tipologie di disinfettanti per le pulizie come quelli al perossido di idrogeno. In assenza di queste precauzioni il rischio potrebbe permanere pur indossando la mascherina chirurgica”.

Tali linee guida hanno il fine di ridurre il rischio di trasmissione per via aerea, per esempio in ospedali e case di cura, poiché sono ancora poche le nazioni come Canada, Belgio e Svizzera, che abbiano adottato strategie contro il rischio potenziale della trasmissione airborne del SARS-CoV-2, grazie anche al supporto degli scienziati. “Riteniamo che sia proprio questo uno dei compiti più importanti per la ricerca, in questo particolare momento”, conclude Costabile. “Il nostro studio rappresenta uno dei risultati della linea di ricerca delineata all’interno del Cnr-Isac con la creazione di working groups tematici dedicati al Covid-19 nel periodo del lockdown”.

INAIL: TELERILEVAMENTO AMIANTO

Superfici contenenti amianto: il telerilevamento per una mappatura in sicurezza

L’Italia, in passato, è stata tra i maggiori produttori e utilizzatori mondiali di amianto e di Materiali Contenenti Amianto (MCA).

Immagine Superfici contenenti amianto: il telerilevamento per una mappatura in sicurezza

Successivamente, la legge 257/92, pur mettendo al bando la loro produzione, importazione e commercializzazione, non ne ha vietato l’utilizzo. Con il d.m. 101/03 le regioni hanno iniziato a mappare i siti con presenza di superfici in cemento amianto (Ca) e i dati fin qui raccolti e trasmessi al Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare, hanno permesso di evidenziare una disomogeneità nell’espletamento di tale compito.

Ciò ha portato il Dit dell’Inail a realizzare, con questo lavoro, una disamina sulle piattaforme, i sensori, gli algoritmi e le principali tecniche per l’identificazione e il riconoscimento delle superfici in Ca da remoto. Il documento illustra, inoltre, le varie criticità che si possono presentare nell’acquisizione e nel processamento dei dati da remoto, siano essi riferibili alla presenza di amianto di origine antropica che naturale.

Tali elementi conoscitivi potranno risultare di supporto alle pubbliche amministrazioni al fine di una mappatura più omogenea, più attendibile e a più ampia scala.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

HI-TECH E START UP DELLA SICUREZZA

Da Wired

Tra coloro a cui l’attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro sembra non mancare c’è il mondo dell’innovazione e delle startup, come dimostrano molti progetti nati di recente. Fra gli ultimi in ordine di tempo, quello di Audiosafety,un’app realizzata da Sicurezza 4.0, startup nata all’interno della facoltà di Ingegneria dell’università La Sapienza di Roma proprio per creare applicazioni che aumentino il livello di tutela dei lavoratori.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di Audiosafety)

Il ruolo delle startup

Audiosafety è una banca dati che comprende circa cinquemila istruzioni di lavoro in sicurezza, relative a ogni tipo di attrezzatura, di attività, di sostanza chimica, di primo soccorso ed emergenza, accompagnate da illustrazioni esplicative e video tutorial e costantemente aggiornate. I dipendenti le possono consultare direttamente dal proprio smartphone, mentre un server registra le visualizzazioni, certificando l’adempimento dell’obbligo d’informazione sugli aspetti di sicurezza che è in capo al datore di lavoro. “Abbiamo immaginato un’app dove ricevere le istruzioni per tutti i settori economici, e anche per uffici e attività̀ amministrative, per lo smart working, le trasferte all’estero, la guida sicura e la casa sicura” spiega uno dei fondatori dell’azienda, Gonzalo Fogliati: “Pochi minuti allo smartphone a leggere e/o ascoltare prima di iniziare la propria attività̀ in sicurezza”.

Sempre dal punto di vista della formazione, va segnalato anche un altro progetto nato in Calabria nel 2017: si chiama Alteredu ed è una piattaforma che propone un catalogo di oltre 200 corsi di formazione online in diverse materie, dalla programmazione web ai master di perfezionamento per docenti e personale ata. Da marzo la startup è stata inserita dal governo nel programma Solidarietà digitale’, e ha erogato oltre mille corsi gratuiti sui temi dell’adeguamento alle normative privacy, del controllo sulle lavorazioni degli alimenti (Haccp) e della sicurezza sul lavoro.

Spazi e affollamenti

Arriva invece da Udine un’altra app, pensata per gestire il tracciamento dei lavoratori all’interno delle aziende o nei cantieri, segnalare possibili affollamenti e monitorare l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (Covid e non), grazie all’utilizzo di sensori basati sulle tecnologie beacon, Nfc e Rfid. A svilupparla, la startup Safe Chain Tech, che da luglio scorso è diventata socia di Confindustria Udine e ha già conquistato molti clienti tra le aziende del Nordest. “Con una soluzione facile ed economica per il Covid-19 – ha detto Filippo Veronese, uno dei fondatori e amministratore dell’azienda – in pochi mesi abbiamo conquistato molte importanti realtà produttive, ma fin da subito gli imprenditori hanno intuito che con l’Iot si può veramente rivoluzionare il modo di lavorare portando efficienza, controllo e sicurezza. Così sono già partite diverse sperimentazioni, per esempio sul monitoraggio di tutti gli asset aziendali tracciandone la posizione, l’utilizzo, e prevedendone le manutenzioni”.

Sempre per controllare al meglio tutti gli aspetti relativi a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nel 2016 la software house veronese E-time ha sviluppato il progetto – poi diventato un’azienda a sé – di 4hse, un software gestionale in cloud che si rivolge alle imprese, ai responsabili della sicurezza nominati dai datori di lavoro e alle aziende di consulenza. Si tratta di un programma saas (software as a service) che non richiede installazione e permette di organizzare le sostanze e le attrezzature presenti in azienda, di effettuare valutazioni di rischio, di gestire le procedure di manutenzione, i corsi di aggiornamento professionale, le visite mediche periodiche e il registro degli eventi (incidenti, infortuni ecc.).

Tecnologia da indossare

Parlando di sicurezza, non potevano mancare i progetti che sfruttano le tecnologie wearable per offrire maggior comfort e protezione ai lavoratori. Uno degli esperimenti più interessanti in questo senso è Workair, il giubbotto realizzato da D-Air Lab, la startup creata da Lino Dainese dopo la cessione dell’azienda che porta il suo nome e che è diventata il punto di riferimento per le giacche protettive per motociclisti. Sviluppato in collaborazione con Enel, Workair è un corpetto con airbag integrato che protegge schiena e torace in caso di cadute da più di 1,2 metri di altezza, riducendo del 60 per cento la forza trasmessa, e dando immediatamente l’allarme in caso di incidente attraverso un chip integrato.

(Foto: D-Air Lab)

Un dispositivo che al suo debutto, nel 2015, è stato considerato rivoluzionario è poi il lettore di codici a barre indossabile Mark (ora arrivato alla versione 2), ideato dai bavaresi di ProGlove. Collocato su una fascia da mettere al polso, l’apparecchio consente di velocizzare anche del 50 per cento i tempi di scansione e di ridurre fino a un terzo gli errori, oltre ad essere meno a rischio di cadere o causare incidenti. Sperimentato inizialmente nel settore automobilistico – la prima azienda ad utilizzarlo è stata Bmw – il dispositivo è ora utilizzato da imprese che lavorano nei campi della logistica, della manifattura e anche delle vendite al dettaglio. Inoltre, quest’anno ProGlove ha lanciato un’ulteriore novità, il Mark Display: dotato di uno schermo e-ink (come quelli degli e-reader), consente al lavoratore di accedere a informazioni che prima avrebbe potuto trovare solo su un altro dispositivo, smartphone o pc.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di ProGlove)

Pensato per la protezione del personale, invece, è il robot Cobalt, progettato dall’omonima startup californiana nata nel 2016. L’apparecchio, dotato di intelligenza artificiale ed equipaggiato con le stesse tecnologie delle vetture a guida autonoma, è capace di muoversi su percorsi predeterminati e grazie ai suoi sensori, accoppiati con degli algoritmi di machine learning, è in grado di rilevare eventuali problemi o minacce, inviando una segnalazione a degli operatori che decideranno come procedere. Il robot, inoltre, è anche in grado di interagire con gli esseri umani, verificando attraverso la tecnologia Rfid i badge o i documenti dei dipendenti rimasti in ufficio o in fabbrica dopo l’orario di chiusura. In seguito all’emergenza Covid, poi, l’azienda ha integrato nei robot una termocamera in grado di misurare accuratamente la temperatura corporea, sviluppato le procedure per identificare i dipendenti che indossano dispositivi di protezione e quelle di monitoraggio del distanziamento fisico.

Da Wired.it

50° COMPLEANNO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA

da il sole24ore.it

Take Action | Earth Day

Oggi, 22 aprile, si celebra la giornata mondiale della Terra, ricorrenza arrivata ormai a festeggiare il cinquantesimo anno da che, nel 1970 appunto (per la precisione il 18 gennaio), il New York Times pubblicò a tutta pagina un annuncio per sottolineare come fosse giunto il momento di dedicare un giorno del calendario al nostro pianeta.

Nata prevalentemente come lotta contro l’inquinamento (nell’annuncio sul NY Times si faceva infatti riferimento allo smog arrivato allo Yosemite Park ed ai rifiuti scaricati nelle acque del fiume Hudson), l’iniziativa ebbe una risonanza piuttosto elevata che riuscì a coinvolgere oltre venti milioni di persone e che portò alla seguente emanazioni di diversi leggi per l’ambiente come il Clean Water Act per la qualità dell’acqua e l’Endangered Species Act, volta a preservare le specie in pericolo di estinzione.

A distanza di cinquant’anni, e con una situazione decisamente peggiorata rispetto ad allora, vale la pena ricordare di avere maggiore consapevolezza del pianeta su cui tutti siamo ospiti di passaggio, visto che, molto spesso, sembriamo dimenticarcene con troppa facilità.

Earth Day 2020 | Earth day facts, World earth day

Per contribuire, anche noi di Infodata abbiamo pensato di rendere omaggio alla Terra a nostro modo, ovvero avvalendoci dei dati, sia riproponendo un paio di spunti di riflessione pubblicati in passato sia con alcuni contenuti inediti dedicati appunto all’ambiente.

Considerando che il tema centrale di quest’anno per l’Earth Day sarà il clima, abbiamo deciso di proporvi un esempio di come si possono utilizzare i numeri per monitorare i rischi collegati al cambiamento climatico e a tutte le conseguenze ad esso associate.

Nello specifico, abbiamo graficato una delle passate edizioni del Cimate Risk Index – sviluppato annualmente da GermanWatch – e per il quale, relativamente alla pubblicazione del 2017, su Data World sono stati resi disponibili nella loro versione integrale.

 L’indice in questione è infatti uno strumento che serve a stimare il livello di rischio a cui un paese è sottoposto in virtù dei cambiamenti climatici, declinato secondo quattro fattori che, combinati e pesati opportunamente, contribuiscono ad un valore con cui è possibile osservare quali siano le nazioni maggiormente esposte..( )

articolo originale di Fabio Fantoni

______________________________________________________________________________________

TECO MILANO :

Quando si parla di sicurezza sul lavoro, ambiente, medicina del lavoro e formazione Teco Milano srl è il riferimento giusto per chi cerca un partner adatto.

info@tecomilano.it      Telefono 02 48958304

EFSA PROPONE DI ABBASSARE I LIMITI DEI PFAS


L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha proposto di abbassare la dose settimanale tollerabile di un gruppo di quattro sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), le più persistenti nell’ambiente. I Pfas sono sostanze largamente utilizzate in diversi settori industriali, ad esempio per rendere resistenti ai grassi e all’acqua i tessuti e i rivestimenti per contenitori di alimenti.  Il parere dell’Agenzia ne aggiorna uno precedente del 2018 su sole due sostanze prese individualmente, ed è stato realizzato grazie alla metodologia MixTox, finalizzata nel 2019, che consente di valutare il rischio per la salute di una miscela di chimici, noto anche come effetto cocktail. Efsa propone di fissare una dose settimanale tollerabile di 8 ng / kg di peso corporeo alla settimana per quattro Pfas. Il parere è in consultazione pubblica e tutti possono fornire dati, suggerimenti e indicazioni fino al 20 aprile.

da dottnet.it

PFAS ALTERANO LA COAGULAZIONE DEL SANGUE

da dottnet.it

E’ stato individuato il legame tra inquinamento da Pfas, le sostanze chimiche che possono essere presenti in vernici, farmaci e presidi medici, e malattie cardiovascolari.

Una ricerca italiana su 78 persone con diversi livelli di esposizione a queste sostanze ha scoperto che questi inquinanti possono attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione e predisponendo a un aumento del rischio cardiovascolare. Pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences, la ricerca è stata condotta dall’università di Padova sotto la guida di Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia, in collaborazione con i gruppi di Luca De Toni e Andrea Di Nisio.

La ricerca nasce dalle osservazioni riportate sia in studi internazionali che dal Servizio Epidemiologico Regionale del Veneto che indicano un aumento del rischio cardiovascolare associato all’inquinamento da Pfas, i composti che vengono utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua molti prodotti, dai tessuti ai rivestimenti per contenitori di alimenti. In particolare, i ricercatori hanno mostrato che una di queste sostanze, lo Pfoa (acido perfluoroottanoico), il principale inquinante ambientale nel territorio veneto, “sarebbe in grado di attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, anche in condizioni normali, predisponendo a un aumento del rischio cardiovascolare”, spiega Foresta. Il risultato è stato ottenuto prima in vitro e poi confermato, in collaborazione con Paolo Simioni dell’università di Padova, dai test su 78 persone con diversi livelli di esposizione a Pfas.

I test “hanno confermato dei segnali di aumentata attivazione piastrinica con conseguente incremento della propensione all’aggregazione delle stesse”, rileva Foresta. “Questi dati – aggiunge – potrebbero spiegare l’osservazione epidemiologica tra Pfas e patologie cardiovascolari, soprattutto se sussistono altri fattori di rischio noti per queste patologie, come diabete, obesità, fumo e alcol“. La normale fluidità del sangue è mantenuta infatti dall’equilibrio tra elementi che ne bloccano la coagulazione e altri che la stimolano. In questo giocano un ruolo chiave le piastrine che, in caso di danni ai vasi sanguigni, innescano il processo della coagulazione. Ma in presenza di fattori di rischio quali fumo di sigaretta o diabete, l’equilibrio si rompe rendendo le piastrine molto più reattive e inclini a innescare la coagulazione, con il rischio di infarto cardiaco e ictus cerebrale.

La scoperta arriva a pochi giorni dall’allarme lanciato dall’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (Isde) che ha definito la situazione determinata in Veneto dalla contaminazione da Pfas, usati nei processi industriali e poi sversati per decenni nel suolo e nelle falde acquifere, “una delle più gravi emergenze ambientali mai affrontate, che richiede interventi immediati, come studi epidemiologici e una mappa dei pozzi”. Alcuni Paesi, intanto, come Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia, hanno manifestato la volontà di arrivare a una proposta di divieto per tutta la famiglia dei Pfas.

 

fonte: International Journal of Molecular Sciences

PIOPPI CONTRO LA PLASTICA


I pioppi sono dei “mangiaplastica”: le loro radici sono infatti in grado di assorbire e accumulare i principali composti inquinanti, gli ftalati, eliminandoli dall’ambiente. Lo dimostra una ricerca tutta italiana pubblicata sulla rivista Environmental Science and Pollution Research e guidata Francesca Vannucchi, dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Lo studio pone le basi anche per approfondire il meccanismo con cui queste sostanze tossiche vengono degradate all’interno dei tessuti vegetali.

Gli ftalati sono microinquinanti dagli effetti decisamente negativi sul funzionamento degli ecosistemi e sulla salute umana. Si tratta di una famiglia di composti chimici usati nell’industria delle materie plastiche, in particolare nel Pvc, per migliorarne flessibilità e modellabilità, ma trovano impiego anche in profumi, pesticidi, smalti per unghie e vernici.

La ricerca, cui ha collaborato anche l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa, ha dimostrato che il pioppo della specie Populus alba Villafranca, potrebbe essere il candidato adatto per ridurre gli impatti negativi dovuti alla persistenza di questi composti nell’ambiente: le sue radici, infatti riescono ad assorbire e immagazzinare gli ftalati, confermando la grande tolleranza di questa pianta alle sostanze inquinanti. Ulteriori studi saranno necessari per capire come i composti vengono poi smaltiti e utilizzati all’interno dei tessuti vegetali.

 

da Repubblica.it

CELLULARI E TUMORI : PER LA CORTE D ‘APPELLO ESISTE UN NESSO

Da la Stampa

TORINO. «Nuoce gravemente alla salute. A meno che non venga utilizzato correttamente». È questa l’etichetta che Roberto Romeo vorrebbe apporre sulle scatole dei cellulari.  Dipendente di Telecom Italia, ha passato la sua vita con il telefonino appiccicato all’orecchio. Anche per 4 o 5 ore al giorno. Poi si è ammalato. Ha scoperto di avere un neurinoma dell’acustico, tumore benigno, ma invalidante.

Il nesso
Tra le giornate passate al cellulare e il tumore al cervello c’è un nesso. Ad affermarlo è la Corte d’Appello di Torino che ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea con cui, nell’aprile 2017, i giudici avevano condannato l’Inail a corrispondere a Romeo una rendita vitalizia da malattia professionale. «Una sentenza storica, come lo era stata quella di Ivrea, la prima al mondo a confermare il nesso causa-effetto tra il tumore al cervello e l’uso del cellulare – spiegano gli avvocati Stefano Bertone e Renato Ambrosio dello studio Ambrosio&Commodo di Torino, che hanno seguito la vicenda – La nostra è una battaglia di sensibilizzazione sul tema. Manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini».

Il rischio
Basta usare il cellulare 30 minuti al giorno per otto anni per essere a rischio. «Le persone – aggiungono gli avvocati – devono conoscere le possibili conseguenze di un utilizzo prolungato del telefonino, così da poter analizzare con consapevolezza il loro rapporto, e quello dei loro figli, con i cellulari e altri strumenti dannosi per la salute».

La Codacons, che commenta la sentenza della Corte d’Appello, chiede di inserire sulle confezioni dei telefoni cellulari indicazioni sulla pericolosità per la salute umana, come viene fatto sui pacchetti di sigarette. «Ancora una volta – afferma il presidente Carlo Rienzi – viene confermata la pericolosità dei cellulari per la salute umana. Dallo Iarc all’Oms, passando per i recenti studi condotti dal National Toxicology Program degli Stati Uniti (NTP) e dall’Istituto Ramazzini, tutti gli enti di ricerca affermano senza ombra di dubbio come l’esposizione alle onde elettromagnetiche prodotte dai telefonini sia potenzialmente cancerogena». «I cittadini – conclude Rienzi – hanno ora il diritto di essere informati riguardo i rischi che corrono, e per tale motivo non basta avviare campagne informative: serve apporre sulle confezioni dei telefonini avvisi circa i rischi per la salute, al di pari di quanto già avviene con i pacchetti di sigarette».

Il parere dell’Istituto Superiore della Sanità
L’uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, non è associato all’incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari). E’ quanto è emerso dall’ultimo Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori” curato da Istituto superiore di sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea, pubblicato lo scorso agosto che arriva ad una conclusione differente rispetto a quello della Corte d’Appello di Torino secondo cui l’uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa.

I dati attuali, tuttavia, si precisa nello studio, «non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia». Si tratta del più recente studio pubblicato sul tema, ma le ricerche in merito all’eventuale nesso tra telefonini e tumori sono in corso da oltre 20 anni.

NUOVE REGOLE EU PER LE ACQUE POTABILI

Dopo oltre 20 anni l’Ue aggiorna i requisiti minimi sull’acqua potabile per renderla più sicura, accessibile e ‘trasparente’ a cittadini più informati.   L’accordo tra le istituzioni europee sulla nuova direttiva acque, nata grazie alla spinta dell’Iniziativa dei cittadini right2water del 2013, è arrivato nella notte di ieri ed è provvisorio. Deve aspettare l’ok finale dei paesi membri, nell’anno nuovo. Ma introduce per la prima volta valori limite per le sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas), a cominciare dalle venti più comuni delle 4.700 attualmente utilizzate.

“Un successo italiano”, rivendica il ministro all’ambiente Sergio Costa, con il nostro paese “in prima fila nel chiedere massima ambizione sui Pfas”.  “Vedere 0,1 microgrammi al litro come valore limite per tutta l’Europa – aggiunge Costa – è un riconoscimento del lavoro fatto da noi”. I valori limite Ue non impediscono ai Paesi di adottare criteri anche più stringenti.  Al Consiglio ambiente di oggi altri quattro Stati (Danimarca, Lussemburgo, Olanda e Svezia) hanno chiesto all’Ue nuove azioni per ridurre l’emissione di questi contaminanti industriali nell’ambiente. Una buona occasione potrebbe essere la strategia delle sostanze chimiche per la sostenibilità, che nell’agenda verde (green deal) della Commissione europea è in programma per l’estate dell’anno prossimo.  Se approvata definitivamente nei primi mesi del 2020, la nuova direttiva acque dovrà essere recepita dai paesi membri al massimo nel 2022. Dimezza i valori limite del piombo (da 10 a 5 microgrammi per litro) in 15 anni e per il cromo, introduce nuovi limiti per il bisfenolo A e una lista di ‘osservati speciali’ tra cui le microplastiche. All’agenzia europea per i chimici (Echa) spetterà creare requisiti tecnici per i materiali da contatto, cioè tubi e condutture.

Oltre ad aggiornare parametri sanitari e di qualità risalenti al 1998, la direttiva prevede obblighi per i fornitori e sancisce diritti dei consumatori che sono completamente nuovi.   Gli Stati membri dovranno promuovere e migliorare l’accesso all’acqua potabile, e i fornitori dare informazioni ai consumatori in tutta Europa, come la misurazione delle perdite d’acqua, parametri microbiologici e chimici (come quelli già disponibili per l’acqua in bottiglia), prezzo dell’acqua per litro e metro cubo, quantità consumata per famiglia e l’andamento annuale e confronto con una famiglia media, e consigli sulla riduzione dei consumi. Da dottnet.it

UN MURALES MANGIA SMOG A MILANO

Da il sole24ore

Murales, realizzato con una pittura che purifica l’aria , dell’ artista Iena Cruz . in via Viotti a Lambrate (Maurizio Maule/Fotogramma, Milano – 2019-11-15)

Si chiama «Anthropoceano», il murale mangia-smog creato a Milano. L’iniziativa, promossa dalla onlus Worldrise, in collaborazione con l’artista Federico Massa Iena Cruz, è stata realizzata con Airlite, una pittura che attraverso la luce riduce dell’88% la percentuale di biossido di azoto nell’aria.

Il murale
Il murale è stato disegnato sul muro di un edificio di via Viotti, davanti alla stazione di Lambrate, a Milano. «Con questo murale – ha scritto su Facebook l’associazione che ha promosso questa iniziativa – abbiamo voluto portare il mare a Milano, per ricordare ai cittadini che anche se invisibile, esiste un legame fra noi e lui, un legame fatto di responsabilità e amore. Perchè se il cuore del mare smetterà di battere, il silenzio arriverà molto più lontano del rumore delle onde».

Bisogna dire che questa volta Roma ha battuto Milano di qualche mese . È stato infatti inaugurato proprio nella capitale nel 2018 il primo grande murales di questo tipo come nella cronaca tratta dal sito archiportale.com

07/11/2018 – È stato inaugurato il 26 ottobre 2018 a Roma il più grande murales d’Europa realizzato con pitture eco-sostenibili, al 100% naturali, che purificano l’aria. Hunting Pollution, questo il titolo che lo street artist Federico Massa, ha dato alla sua opera, sostenuta ed ideata da Yourban2030, no-profit nata con l’obiettivo di contribuire a tracciare un percorso verso lo sviluppo sostenibile utilizzando il linguaggio artistico.

_______________________________________________________________________________________

TECO MILANO :

Quando si parla di sicurezza sul lavoro, ambiente, medicina del lavoro e formazione Teco Milano srl è il riferimento giusto per chi cerca un partner adatto.

info@tecomilano.it      Telefono 02 48958304