Monthly Archives: Febbraio 2021

GESTIRE LE REAZIONI ALLERGICHE AL VACCINO COVID:LE LINEE GUIDA

 Da Quotidiano sanità

Per gli esperti dell’Aaiito e della Siaaic non è corretto escludere “tout court” dalla vaccinazione i soggetti allergici, come proposto inizialmente da alcune agenzie europee, serve invece una osservazione prolungata, ma in generale è bene trattenere tutti i vaccinati anche non a rischio per almeno 15 minuti dopo la vaccinazione. LE LINEE GUIDA.“I pazienti con reazioni anafilattiche severe da sostanze e farmaci o con mastocitosi e asma bronchiale non controllato possono eseguire la vaccinazione anti Covid, ma hanno bisogno di una gestione più specifica ed individualizzata che comporta, ad esempio, l’osservazione prolungata, la premedicazione o la stabilizzazione della malattia di base”.

VACCINAZIONE VACCINAZIONI ANTI COVID – 19 AL POLICLINICO UMBERTO I VACCINO VACCINI PFIZER BIONTECH SIRINGA SIRINGHE PERSONALE SANITARIO INFERMIERA INFERMIERE

È questa solo una delle indicazioni contenute nelle Linee guida stilate dall’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri (Aaiito) e dalla Società Italiana di Allergologia Asma e Immunologia Clinica (Siaaic) che suggeriscono di tenere sotto osservazione tutte le persone per almeno 15 minuti dopo la vaccinazione



In generale le reazioni anafilattiche a vaccini sono rare, pari a circa 1,31 casi per milione di dosi, ricordano gli allergologi. Le reazioni anafilattiche segnalate per prime in America con il vaccino Covid-19, per quanto raramente osservate nelle fasi della sperimentazione e nelle prime fasi delle campagne vaccinali, sembrano essere più frequenti, ed hanno destato preoccupazione nella popolazione. Secondo i primi dati Usa sulle reazioni anafilattiche ai vaccini contro Covid-19 di Pfizer-BioNTech e Moderna arrivati a campagna vaccinale iniziata, sono 21 i casi su un totale di 1,9 milioni di dosi somministrate. Il tasso di reazioni anafilattiche quindi è di 11,1 casi di per un milione di dosi somministrate, più alto di quello registrato con il vaccino antinfluenzale, ma che comunque, come sottolineato anche dal Center for Diseases Control (Cdc), rimane un’evenienza rara. 
Nel recentissimo Rapporto Aifa sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19, in un mese sono stati riportati 13 casi di anafilassi/shock anafilattico al vaccino Pfizer-BioNTech. Dodici casi tra le donne e 1 caso in un uomo, con un’età media di circa 45 anni. Tutti sono stati rapidamente assistiti e trattati presso il centro vaccinale dove è avvenuta la vaccinazione o immediatamente trasferito in pronto soccorso. Di questi 3 casi avevano una storia clinica di allergia, prevalentemente a pollini e alimenti, un caso aveva già avuto una pregressa reazione allergica ad un altro vaccino.

“L’età media delle persone che hanno avuto queste reazioni è stata di 40 anni e i sintomi sono comparsi nel giro di 13-15 minuti – afferma Beatrice Bilò co-autrice assieme a Francesco Murzilli Gabriele Cortellini delle linee guida Aaiito l’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri e Siaaic la Società Italiana di Allergologia Asma e Immunologia Clinica – a tal proposito riteniamo che sia corretta la decisione delle autorità sanitarie di trattenere i pazienti per almeno 15 minuti dopo la vaccinazione”.

Le linee guida Aaiito-Siaaic
Ecco quindi che le Società Scientifiche di Allergologia Aaiito e Siaaic hanno indicato in un documento tecnico la stratificazione del rischio allergologico per i soggetti con storia di pregressa reazione allergica, per affrontare in sicurezza la prima somministrazione di vaccino per Covid-19, e per quelli che sviluppano una reazione alla loro prima dose. Inoltre, hanno inviato un documento alle istituzioni ribadendo la loro disponibilità a cooperare sulla gestione degli eventi avversi al vaccino per Covid-19.

“In collaborazione con i colleghi di Siaaic abbiamo realizzato un documento tecnico con le linee di indirizzo per la gestione da parte degli allergologi dei pazienti a rischio di reazioni allergiche ai vaccini per Covid-19 – dichiara Riccardo Asero, Presidente Aaiito – il documento ha l’obiettivo di uniformare il comportamento su tutto il territorio nazionale ed è in costante aggiornamento in relazione alle nuove acquisizioni scientifiche che potranno emergere durante la campagna vaccinale. Crediamo che la partecipazione degli allergologi a questo processo sarà di sicuro aiuto per la sorveglianza della somministrazione del vaccino, permettendo di analizzare, registrare e caratterizzare tutti gli eventi avversi”.

Il documento tecnico realizzato grazie alla collaborazione degli esperti delle due Società Scientifiche Italiane di Allergologia si basa sulle seguenti considerazioni:
– non è corretto escludere “tout court” dalla vaccinazione i soggetti allergici, come proposto inizialmente da alcune agenzie europee;

– i pazienti con reazioni anafilattiche severe (con interessamento respiratorio e/o cardiocircolatorio) da altre sostanze/farmaci o affetti da particolari malattie come, ad esempio, mastocitosi e asma bronchiale non controllato possono eseguire la vaccinazione, ma necessitano di una gestione più specifica ed individualizzata che comporta, ad esempio, l’osservazione prolungata, la premedicazione o la stabilizzazione della malattia di base;

– i costituenti dei vaccini per Covid-19 ritenuti attualmente sensibilizzanti sono presenti anche in altri medicinali in commercio, per cui si rende necessaria una conoscenza specifica di tale problematica, propria dell’allergologo;

– i pazienti ad alto rischio di reazione anafilattica severa debbono essere vaccinati in ambiente idoneo con disponibilità immediata dei presidi per affrontare emergenze anafilattiche gravi;

– il dosaggio della triptasi sierica dopo l’evento acuto (vale a dire da 30’ a 2 ore dall’inizio della reazione) è indispensabile per una puntuale caratterizzazione degli eventi anafilattici che dovessero avvenire in corso di vaccinazione.

I principali consigli degli esperti allergologi raccolti nel documento tecnico.
1. Presidi e farmaci necessari nell’ambiente della vaccinazione: autoiniettori di adrenalina. Nell’ambiente dedicato alla vaccinazione dovranno essere disponibili tutti i presidi e i farmaci necessari; sarà ugualmente indispensabile garantire una formazione al personale infermieristico e medico addetto al riconoscimento immediato ed alla gestione di tali emergenze. La disponibilità di autoiniettori di adrenalina nelle sedi di vaccinazione può indubbiamente facilitare le procedure terapeutiche di urgenza; è inoltre utile consigliare ai pazienti che lo possiedono di portare con sé il proprio autoiniettore di adrenalina.

In particolare, devono essere prontamente riconosciuti e trattati segni e sintomi di anafilassi. “Ricordiamo che i primi 3 momenti “cardine” del trattamento sono: 1) posizione supina del paziente, 2) adrenalina per via intramuscolare profonda nel muscolo vasto laterale della coscia, 3) accesso venoso con infusione di cristalloidi” sottolinea la Prof.ssa Bilò.

2. Questionario allergologico e visita allergologica preventiva per le categorie a rischio.
Gli esperti allergologi suggeriscono di sottoporre ai pazienti, in anticipo rispetto alla seduta vaccinale, un questionario allergologico più completo di quello proposto attualmente.

È necessario verificare se il paziente ha sofferto di anafilassi severa (coinvolgimento del sistema cardiovascolare e/o respiratorio) da qualsiasi causa o da causa non nota, se soffre di asma non controllato, se ha diagnosi di mastocitosi, se ha avuto reazioni allergiche a precedenti vaccini o a PEG e Polisorbati. I pazienti con una sola di queste condizioni dovrebbero essere preventivamente inviati a visita allergologica, possibilmente con un accesso preferenziale e programmabile, per effettuare una diagnostica specifica che permetta di stratificare il rischio.

3. I pazienti affetti da asma grave trattati con biologici non devono sospendere la terapia.
Nei pazienti affetti da asma grave trattati con biologici, tale terapia non deve essere sospesa e la vaccinazione deve essere posticipata di 48-72 ore. Inoltre, in caso di asma grave non controllato nonostante terapia ottimale (biologica e/o farmacologica) la vaccinazione può essere eseguita, ma in ambiente protetto, con osservazione di 60’.

4. Valutazione allergologica per chi ha presentato reazioni allergiche alla prima somministrazione del vaccino. È indicata, infine, una valutazione allergologica per i pazienti che abbiano presentato reazioni allergiche alla prima somministrazione del vaccino per Covid-19. L’allergologo formulerà le dovute raccomandazioni sulle procedure a cui attenersi per la vaccinazione, sull’eventuale scelta di un vaccino alternativo o sull’esclusione della vaccinazione

LA DOPPIA MASCHERINA A TRE STRATI BLOCCA IL 90 % DELLE PARTICELLE

Indossare una maschera in tessuto a tre strati su una maschera medica o chirurgica a tre strati ha bloccato più del 90% delle particelle di tosse. MARK MORAN / THE CITIZENS ‘VOICE / ASSOCIATED PRESS

Da wall street journal

Sullo stesso argomento:

https://ohsonline.com/articles/2021/02/11/cdc-study-says-double-masks-offer-more-covid19-protection.aspx?m=1

https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/21_gennaio_28/coronavirus-dice-anche-fauci-la-doppia-mascherina-meglio-ma-davvero-cosi-9897d4f2-6155-11eb-89c6-2343df471572.shtml

L’uso corretto della mascherina può davvero fare una grande differenza, secondo uno studio pubblicato mercoledì dai Centers for Disease Control and Prevention.

Indossare una doppia maschera o applicare una maschera singola più aderente al viso riduce sostanzialmente il rischio di infezione da virus Covid-19, lo studio é stato pubblicato nel Rapporto settimanale di morbilità e mortalità dell’agenzia.

Dopo diversi test di laboratorio , il CDC ha scoperto che indossare una maschera di tessuto a tre strati su una maschera medica o chirurgica a tre strati bloccava il 92,5% delle particelle dalla tosse.

Era molto più efficace di una singola maschera. Una maschera chirurgica da sola ha bloccato le particelle provocate dalla tosse del 42% e una maschera in tessuto le ha bloccate del 44,3%.

Gli esperti (sia medici che ingegneri) affermano che le persone hanno bisogno di aggiornare le loro maschere perché c’é anche il rischio di nuove varianti del virus che si stanno diffondendo in tutto il paese , in particolare una che è significativamente più trasmissibile del ceppo attualmente più comune. Altri studi hanno mostrato benefici dall’indossare maschere doppie..

Ovviamente meglio ancora sarebbe indossare maschere N95, che vengono utilizzate principalmente negli ospedali e sono certificate e che filtrano il 95% delle piccole particelle.

“l ‘uso di mascherine è uno dei nostri mezzi più potenti non solo per l’epidemia e i suoi effetti sulla salute umana e l’economia, ma anche per rallentare l’evoluzione virale”, ha detto. “Stiamo esaminando tutti i modi in cui possiamo migliorare le nostre misure di prevenzione”.

Non è noto se le prestazioni delle maschere singole o doppie siano diverse rispetto alle nuove varianti, ha detto il dottor Brooks. “È lo stesso virus, quindi le misure dovrebbero funzionare”, ha detto. “Quello che non sappiamo è quanto efficacemente funzioneranno”.

Negli esperimenti di laboratorio, la doppia maschera era anche più protettiva contro gli aerosol dalla respirazione. Ha bloccato l’83% degli aerosol emessi durante 15 minuti di respirazione tranquilla da una sagoma della testa non protetta da mascherina in una piccola stanza. La protezione era del 96,4% quando l’altra persona nella stanza indossava anche una doppia mascherina o una maschera singola aderente.

Il CDC ha anche testato l’efficacia di una maschera medica o chirurgica che si adattava meglio annodando i cappi per le orecchie e piegando i lati vicino al viso. Indossare quella maschera ha bloccato il 64,5% degli aerosol emessi dall’altra forma della testa, che era non mascherata, e il 95,9% delle particelle quando la forma della testa era mascherata.

Liberamente tradotto ed adattato da Dott. Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro.

ECCO LE REAZIONI ALLA SECONDA DOSE DEL VACCINO COVID

Da dottnet.it

Brividi, febbre, mal di testa, nausea, ronzio nelle orecchie e dolore al braccio: è la prova di una risposta immunitaria vigorosa

This photo Illustration taken in Tehatta, India, on November 10, 2020 show the Pfizer’s products. Pfizer’s experimental COVID-19 vaccine appears to be working. The vaccine was found to be more than 90% effective, according to clinical results released by the company yesterday. (Photo Illustration by Soumyabrata Roy/NurPhoto via Getty Images)

La seconda dose del vaccino Covid può far sentire peggio della prima. Puo’ accadere in particolare ai giovani e il motivo risiede nel fatto che amplifica la lezione appresa dall’organismo con la prima, che ha insegnato a riconoscere il coronavirus come nemico. A spiegarlo in un’intervista al portale Healthday è Greg Poland, 65 anni, medico ed esperto di vaccini americano, direttore del gruppo di ricerca sui vaccini della Mayo Clinic e anche caporedattore della rivista Vaccine. Poland stesso ha peraltro avuto importanti effetti collaterali, svaniti nel giro di 5 ore, dopo la seconda dose del vaccino Moderna, con brividi, febbre, mal di testa, nausea, ronzio nelle orecchie e dolore al braccio. “Non ho mai avuto una reazione del genere a un vaccino – spiega l’esperto – è ironico sia successo a me. Ma occorre sottolineare che questo non significa che qualcosa vada storto. È una reazione prevista al vaccino, e sarà diversa da persona a persona. È la prova di una risposta immunitaria davvero vigorosa, il che non significa che le persone che hanno una risposta inferiore non stiano sviluppando immunità”. La seconda dose è necessaria per Poland perché fornisce un’amplificazione importante alla risposta immunitaria sollecitata dalla prima. “Dando una dose ‘di addestramento’ e poi amplificandola con la seconda – evidenzia – abbiamo sostanzialmente reclutato un esercito di soldati pronti e l’organismo è più preparato quando arriva l’invasione vera e propria”. Questa amplificazione non solo rende la risposta immunitaria più efficace, ma la aiuta anche a durare più a lungo. Per l’esperto i vaccini inducono un livello elevato di anticorpi “quindi si sta davvero sviluppando solo un’enorme risposta anticorpale. Ma gli anticorpi diminuiscono nel tempo, quindi se si parte con un livello elevato, si avrà più a lungo un livello protettivo presente”. Aumentando i livelli di anticorpi, il corpo sarà anche più capace di rispondere alle mutazioni COVID-19 come le varianti del Regno Unito e del Sud Africa, come ha affermato l’immunologo Anthony Fauci, consulente del presidente Usa Joe Biden.

AGEVOLAZIONI FISCALI PER VACCINI E DPI ANTI COVID 19

Pubblichiamo il link ad un approfondimento della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro che passa in rassegna gli incentivi contenuti dapprima nel decreto Rilancio e poi incrementati dalla legge di Bilancio 2021 con ulteriori agevolazioni per la cessione dei vaccini Covid-19 e con l’implementazione dei criteri di individuazione dei dispositivi di protezione individuale detraibili ai fini delle imposte dirette.

Covid-19: le agevolazioni fiscali per vaccini e dispositivi di protezione individuale

Clicca qui sotto per il link:

https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/coronavirus-covid19-C-131/covid-19-agevolazioni-fiscali-per-vaccini-dpi-AR-20829/

LA PROTEZIONE DEI LAVORATORI AGRICOLI DAL COVID 19

Da Inail.it

Con il presente opuscolo si ritiene di poter fornire agli operatori agricoli del settore agro-zootecnico strumenti utili alla gestione della sicurezza e della tutela della salute, nel rispetto della normativa vigente, quali misure di prevenzione e protezione edeguate ed efficaci per mitigare l’esposizione e la diffusione del virus SARS-CoV-2 (igiene sul luogo di lavoro, misure di protezione individuale, gestione corretta delle attrezzature di lavoro).


Prodotto: Volume
Edizioni Inail –  2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

LA CLASSIFICA DEI LAVORI MENO A RISCHIO AL TEMPO DEL COVID

Esiste una classifica dei lavori che fanno bene alla salute. Quali sono i requisiti dei quali si tiene conto quando si sceglie un lavoro?

Nella maggior parte dei casi, le persone considerano tre aspetti fondamentali: attività quotidiana, luogo e salario. Sono veramente poche le persone che, invece, guardano le ricadute del lavoro da un altro punto di vista: cioè quali sono le conseguenze che questa scelta potrebbe avere sulla propria salute.

Ad ogni professione, infatti, possono corrispondere dei rischi per il proprio fisico, che possono variare: dallo spendere ore di fronte a uno schermo, al lavorare in luoghi pericolosi, e tanti altri. Uno studio è stato condotto da Lenstore, frutto di un sondaggio alla popolazione, per determinare quali sono le conseguenze del lavoro sulla salute fisica e mentale delle persone.

Lo studio muove da un dato preoccupante: quasi la metà degli italiani (47%) ha dichiarato di essere preoccupata che la propria salute fisica e mentale sia compromessa sul lavoro, aldilà del luogo fisico dove lo svolge.

Il risultato dell’indagine ha tradotto una classifica di 10 lavori che, secondo le risultanze, tutelano di più la salute. Si è partiti da una selezione accurata da una lista madre di 968 mestieri.

Alla base della ricerca c’è il rendere evidente quanto ci sia realmente una stretta connessione tra salute e lavoro, alla luce anche del periodo “particolare” causa Covid-19 che la popolazione mondiale sta vivendo.

Dunque ecco la classifica dei primi 10 lavori che “fanno bene alla salute”:

  • Contabili
  • Programmatori
  • Manager Informatici
  • Marketing Managers
  • Avvocati
  • Fisici
  • Maestri/ e di Scuola Media
  • Rivenditori al dettaglio
  • Architetti
  • Ricercatori medici

L’altra faccia della medaglia, sono i lavori più pericolosi per la salute dei lavoratori. Su tale classifica ha avuto un impatto decisamente rilavante il Covid-19.

  • Anestetisti
  • Veterinari
  • Poliziotti
  • Lavoratore su una piattaforma petrolifera
  • Assistenti di volo
  • Ispettori doganali
  • Dentisti
  • Pompieri
  • Paramedici e tecnici di emergenza medica

Si capisce come molti siano considerati lavori a rischio per le attività in ambienti pericolosi, ma anche per le esposizioni maggiori ai potenziali contagi da Coronavirus

Da mondosanità.it

STANCHEZZA CRONICA POST COVID 19

Da dottnet.it

Dolori muscolari, pulsazioni e pressione irregolari, e soprattutto uno stato di profonda stanchezza. Questi sintomi sono tipici di chi soffre del cosiddetto ‘long Covid’, che non riesce a guarire, ma ricordano molto quelli di un’altra patologia, la sindrome da fatica cronica, tanto che molti ricercatori, a partire dal direttore del Niaid Anthony Fauci, stanno suggerendo un legame tra i due fenomeni.  L’ultimo studio in ordine di tempo a ipotizzare una connessione è stato pubblicato su Frontiers in Medicine da alcuni ricercatori del Karolinska Institue e dell’università di Uppsala, e afferma che alcuni pazienti rimangono più a lungo in terapia intensiva perché si scatenano gli stessi meccanismi biologici alla base della malattia. In particolare, spiegano gli autori, la sindrome post Covid in chi è stato in terapia intensiva sarebbe causata dalla soppressione di un ormone prodotto dalla ghiandola pituitaria, da un ‘circolo vizioso’ tra infiammazione e stress ossidativo delle cellule e da una bassa funzionalità di un ormone della tiroide, problemi già osservati in chi ha la fatica cronica. “Date le similarità – concludono gli autori – una collaborazione attiva tra i ricercatori esperti nelle cure in terapia intensiva e nella fatica cronica potrebbe portare a esiti migliori in entrambe le situazioni”.

Il legame tra il Covid e la stanchezza cronica è ipotizzato da diversi ricercatori, soprattutto per quello che riguarda il cosiddetto ‘long Covid’, il fenomeno per cui i pazienti continuano ad avere sintomi, fra cui proprio la fatica cronica è uno dei più diffusi, per molti mesi dopo la malattia. Negli Usa il National Institute of Health, riporta il sito Medscape, sta per far partire due ricerche specifiche sui pazienti post Covid sul tema, e anche in Canada e in Gran Bretagna si stanno studiando pazienti con Covid cronico, soprattutto per capire i meccanismi comuni alle due patologie. Il problema della stanchezza si era presentato anche in alcuni pazienti che avevano avuto la Sars, spiega l’oncologo Umberto Tirelli, ex primario dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano e direttore della Clinica Tirelli Medical Groupm specializzata nella fatica cronica, e in generale buona parte dei pazienti la sindrome si scatena dopo un’infezione. “Anche Anthony Fauci, Direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha speculato che molti pazienti hanno sviluppato una condizione molto simile a quella che si chiama Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica (Me/Cfs). Questa patologia – spiega l’esperto – si può sviluppare anche dopo altre malattie infettive, per esempio la mononucleosi, la malattia di Lyme, l’influenza, ed è stata osservata anche in pazienti che avevano avuto la Sars. Negli Usa si stima vi siano circa 2 milioni di persone affette da Me/Cfs secondo la National Academy of Medicine, in Italia circa 500mila persone. Effettivamente in questo momento, anche presso la nostra Clinica abbiamo un numero consistente di pazienti affetti da fatica cronica post Covid, a cui applichiamo gli stessi protocolli usati per la fatica cronica”.

Il cuore, dunque, è vittima in modo diretto del Covid-19. Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti una complicanza dell’infezione da Sars-Cov-2 ma anche un fattore di rischio, tanto che 7 decessi Covid su 10 riguardano persone che soffrono di ipertensione, come detto. Inoltre, nei contagiati in caso di arresto cardiaco la probabilità di decesso è molto maggiore rispetto a chi non è infetto.  Ma gli effetti della pandemia colpiscono il cuore anche in modo indiretto, ritardando diagnosi e cura dell’infarto e aumentando il carico di stress. Aiutare a informarsi è l’obiettivo la Campagna per il Tuo cuore 2021, promossa dalla Fondazione per il Tuo cuore dell’Associazione Cardiologi Ospedalieri (Anmco), che nella settimana di San Valentino metterà 500 cardiologi a disposizione dei cittadini.  Ogni anno in Italia 240.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari e chi ne soffre è, oggi, tra le principali vittime del Covid-19. “Secondo un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, su 59.394 pazienti Covid deceduti in Italia – spiega Michele Gulizia, presidente di Fondazione per il Tuo cuore e direttore della Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania – il 70% presentava ipertensione arteriosa, il 25% cardiopatia ischemica e altrettanti la fibrillazione atriale, il 20% scompenso cardiaco”. Tra le complicanze dovute al Sars-CoV-2 vi è l’aumento della coagulazione del sangue causata dalla reazione infiammatoria dell’organismo: “Questa – aggiunge Gulizia – rappresenta un rischio anche in chi non soffre di cuore, perché può provocare trombi che possono impedire l’afflusso di sangue al muscolo cardiaco”.

Sick woman sleeping on the table during work at home office. Directly above shot

  Il Covid-19, però, minaccia chi soffre di malattie cardiovascolari anche in modo indiretto. “A causa della pandemia – prosegue Gulizia – si è registrata una riduzione dei ricoveri per infarto pari al 48% e la mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Dati allarmanti confermati da diversi studi che hanno rilevato una elevata mortalità, pari al 35%, per eventi cardiovascolari avvenuti al proprio domicilio”.  Uno dei problemi è quindi che si va meno in ospedale per paura del contagio, ma non solo. Una nuova ricerca svedese pubblicata sull’European Heart Journal, ha osservato che i contagiati da Sars-CoV-2 che erano stati colpiti da un arresto cardiaco avevano una probabilità molto maggiore di morire rispetto a coloro che ne sono stati colpiti ma non erano infetti. Un’altra insidia Covid-correlata per il cuore, sottolinea l’esperto, “deriva dallo stress accumulato con l’emergenza coronavirus e si sta manifestando con una maggiore incidenza di sindromi di Takotsubo, una cardiomiopatia più diffusa nelle donne e simile all’infarto ma in cui le coronarie non mostrano restringimenti significativi”.

Uno studio della Cleveland Clinic pubblicato su Jama Network Open, infatti, ha mostrato che il numero di pazienti con sintomi di cardiomiopatia da stress tra marzo e aprile è salito all’8% a fronte dell’1,7% del periodo pre pandemia. La prevenzione è quindi l’arma più importante, come ricorda il progetto “Cardiologie Aperte”.

NUOVO PIANO PANDEMICO 2021

Da insic.it

Con ACCORDO del 25 gennaio 2021 raggiunto in CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO è stato approvato il Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu 2021-2023).

Non mancano nel piano pandemico diversi riferimenti alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare, nell’Appendice al documento, dove vengono fornite indicazioni di continuità aziendale, indicazioni per gli Operatori Sanitari e del personale non sanitario (Forze di Polizia).

Piano pandemico e continuità aziendale

Nel Piano antinfluenzale si prende atto che una pandemia può verificare fenomeni di assenteismo dei lavoratori a causa di malattie personali, assistenza a conviventi malati o timore di ammalarsi, e ciò può potenzialmente perturbare la continuità operativa. Pertanto, è necessario che le aziende si preparino tempestivamente ad adottare piani di preparazione tenendo conto delle loro dimensioni, della loro specifica importanza economica e assumendosi le responsabilità delle strategie da adottare.

In questo contesto, il datore di lavoro deve garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori attraverso misure quali organizzare risorse, strutture e procedure di lavoro, fornire raccomandazioni per le procedure da adottare all’interno dell’azienda.

Piano pandemico: le misure da porre in atto

Il Piano suggerisce alcune Misure da porre in atto:

  • la protezione della salute dei lavoratori al fine di ridurre il rischio di contagio tra i dipendenti e garantire la continuità delle attività aziendali;
  • la pianificazione delle risorse per consentire il lavoro in sicurezza e lo sviluppo di competenze specifiche affinché tutti siano preparati al meglio a svolgere i loro compiti in caso di pandemia.

Piano pandemico: pre-organizzazione

Prima dell’arrivo di una pandemia di influenza è necessario identificare il grado di esposizione del personale e verificare la disponibilità a svolgere l’attività lavorativa mediante soluzioni organizzative alternative, per far fronte a un tasso di assenze elevato. Nel Piano si sottolinea che

  • è indispensabile evidenziare le attività essenziali per l’azienda, i processi e i prodotti più importanti (prioritarizzazione/ posteriorizzazione).
  • è utile stimare il fabbisogno di materiale dal punto di vista delle misure igieniche come disinfettanti e mascherine protettive e di altre misure fisiche di protezione e provvedere al loro approvvigionamento;
  • è importante istruire il personale in merito ai compiti, alle responsabilità e competenze nell’ambito delle misure aziendali di gestione delle crisi.
  • devono essere stabiliti mezzi e canali di informazione che siano noti a tutto il personale prima dell’arrivo di una pandemia per aumentare le conoscenze specifiche sulla pandemia e sulle relative misure da adottare, creando un team di collaboratori formati ed esperti nella gestione della pandemia che definiscano e adottano le procedure aziendali in caso di pandemia.
  • si rende necessaria la riorganizzazione dei processi di lavoro (es. garanzia delle sostituzioni, reclutamento di personale supplementare, trasferimento di personale, rinuncia alle attività non urgenti e non assolutamente necessarie, adozione di smart-working)
  • l’accesso a risorse per l’adozione di misure che contribuiscono a contenere il rischio di contagio.

Cosa deve fare il lavoratore?

In base alle indicazioni generali offerte dal Piano, l lavoratore deve:

  • essere istruito sulle misure di comportamento personale da adottare: indossare mascherine chirurgiche o mascherine FFP secondo la valutazione dei rischi;
  • lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o in assenza con soluzioni idroalcoliche, in particolare dopo aver starnutito, tossito o essersi soffiati il naso;
  • starnutire o tossire in un fazzoletto di carta o nella piega del gomito; mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 m (cosiddetto distanziamento fisico);
  • identificare e comunicare precocemente eventuali sintomi influenzali; adottare le misure di protezione individuali per impedire la trasmissione della malattia.

Misure organizzative per le aziende

L’azienda deve quindi mettere in atto misure organizzative:

  • sospendere tutte le attività aziendali che prevedono assembramento di persone;
  • adottare misure sulla base degli aspetti epidemiologici della pandemia (teleconferenze, telelavoro, modifiche degli spazi di lavoro, installazione di barriere di protezione impermeabili tra i clienti e il personale);
  • provvedere alla disinfezione delle superfici contaminate con detergenti normalmente reperibili in commercio con una formulazione attiva nei confronti del patogeno responsabile della pandemia; programmare sanificazioni ordinarie e/o straordinarie degli ambienti; garantire la permanenza in sicurezza dei lavoratori presso la struttura e contestualmente limitare l’esposizione al rischio di contagio; in fase di organizzazione dei processi di lavoro, tenere conto della situazione familiare dei collaboratori e dei possibili obblighi di assistenza che ne possono derivare (p. es. cura di familiari malati, custodia di figli in età prescolastica e scolastica in caso di chiusura di asili o scuole ecc.)

Misure per gli Operatori Sanitari

Nel Piano si sottolinea che l’adesione a programmi di salute e sicurezza sul lavoro possono limitare la trasmissione e la circolazione dei virus influenzali pandemici e quindi mantenere i servizi sanitari attivi. Essenziale dunque:

  • Identificare gli OS che hanno fornito assistenza ai pazienti con infezione da influenza pandemica (casi confermati o probabili) o che si sono ripresi dall’influenza pandemica (casi confermati o probabili)
  • Avere un sistema per monitorare l’assenteismo sul lavoro per motivi di salute, specialmente negli OS che forniscono assistenza diretta ai pazienti critici ai fini di garantire la continuità assistenziale.
  • Scoraggiare il presenzialismo in presenza di malattia negli OS.
  • Garantire una continua formazione al personale sanitario sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare e rafforzare le campagne di vaccinazione.
  • Prevedere per il personale ospedaliero e territoriale azioni volte al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e strategie per incrementare una corretta comunicazione e percezione del rischio, prevedendo formazione sulle procedure di risk management.
  • In caso di pandemia valutare la possibilità di verificare la presenza di sintomi specifici negli OS che forniscono assistenza a pazienti affetti da influenza pandemica prima del turno lavorativo.
  • Predisporre per gli OS un sistema di sorveglianza delle malattie simil-influenzali raccogliendo informazioni specifiche per ogni setting al fine di migliorare, ove ce ne fosse bisogno, le procedure e i dispositivi di protezione adottati, e incoraggiare gli OS a segnalare loro eventuali stati febbrili.

Personale non sanitario (Forze di Polizia) le indicazioni del Piano pandemico

Gli interventi di prevenzione e protezione sono indispensabili soprattutto nei primi mesi di pandemia, quando ancora non è disponibile il vaccino si spiega nel Documento. Per ridurre la diffusione e la trasmissione delle infezioni occorre attuare idonee procedure di lavoro e avere a disposizione dei lavoratori idonei DPI.
Occorre, poi, che ogni Amministrazione istituisca a livello centrale una struttura di gestione dell’emergenza pandemica, cui sia preposto un Dirigente medico per ogni singolo Ente, con il compito di assicurare il coordinamento delle attività di prevenzione a livello periferico e di mantenere il collegamento con il Ministero della Salute.

Inoltre, opportuno:

  • Istituire una “Unità di crisi” da parte di ogni Amministrazione delle Forze di polizia x Individuare le misure di contenimento del rischio infettivo e monitorarne la loro efficacia.
  • Avviare le pratiche di approvvigionamento dei DPI durante la fase inter-pandemica, con la possibilità di averne una riserva. x Predisporre i criteri per l’assegnazione al personale di appropriati DPI.
  • Provvedere all’attività di formazione/informazione nei confronti degli operatori, anche attraverso i medici competenti, sull’adozione di corrette procedure igienico-sanitarie e sulle pratiche di lavoro sicure e sull’utilizzo di DPI.
  • Non appena il vaccino sia disponibile, garantirne la fornitura e distribuzione ai presidi sanitari delle Forze di polizia.
  • Fare in modo che le ASL/ASP stabiliscano anticipatamente un’intesa e un piano di comunicazione con le strutture sanitarie delle Forze di polizia presenti nel territorio di competenza e abbiano una stima preventiva del fabbisogno di vaccini per il personale preposto alla sicurezza e all’emergenza.
  • Fare in modo che, al momento della pandemia, i medici delle strutture sanitarie delle Forze di polizia possano operare coordinandosi con i Dipartimenti di prevenzione a livello territoriale.