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UN AIUTO DELL’ISS PER SMETTERE DI FUMARE

da dottnet.it

Senza un sostegno solo 4% dei tentativi ha successo

Si chiama “smettodifumare” ed è la nuova piattaforma web messa a punto dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) per aiutare le persone che hanno deciso di dire addio alle sigarette. Al suo interno si trovano informazioni e servizi di sostegno concreto, oltre a una serie di strategie utili per vincere la battaglia contro il fumo. “Molti studi dimostrano che senza un sostegno solo il 4% dei tentativi di smettere di fumare avrà successo”, evidenzia l’Iss.  La piattaforma rappresenta, dunque, una risorsa per aumentare le possibilità di successo e fornire informazioni di qualità su molti aspetti, a cominciare dagli effetti del fumo sulla salute e sui rischi dell’esposizione al fumo passivo.  Sulla piattaforma è anche disponibile una guida in pdf per chi vuole smettere di fumare. Una sorta di diario in cui è anche possibile appuntare i motivi per cui si è deciso di abbandonare il vizio, in cui si può valutare il proprio livello di dipendenza e anche tenere il conto dei soldi che è possibile risparmiare dicendo addio al pacchetto. La piattaforma offre anche un aiuto per prevenire o far fronte ad una ricaduta. Al suo interno si trovano, poi, gli elenchi dei Centri Antifumo che offrono percorsi dedicati.  Per chi desidera parlare con un operatore è anche possibile chiamare il Telefono Verde contro il Fumo 800 554088, un servizio nazionale, anonimo e gratuito, attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 16:00.

AMIANTO : UN KILLER ANCORA SILENZIOSO

All’esposizione all’amianto sono attribuibili, in media, 4.410 decessi l’anno, 4.410 decessi l’anno. Rispetto al totale, 1.515 sono stati i decessi per mesotelioma maligno, 58 per asbestosi, 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico. Questi i principali dati Istat, illustrati da Lucia Fazzo, del dipartimento Ambiente e salute dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nel convegno “Amianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia”, organizzato dal ministero della Salute. Per affrontare il tema, ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza, «serve sintonia inter-istituzionale, non basta il governo nazionale, abbiamo bisogno di una rete con le regioni, con i comuni e le istituzioni della ricerca». La pandemia e anche la questione dell’amianto confermano che «la strategia di fondo che deve accompagnare le politiche sanitarie future è One health, ovvero deve considerare la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente come un’unica cosa, sono imprescindibilmente connesse».

Le stime, elaborate a partire dai dati Istat, mostrano che nel periodo 2010-16 «ci sono stati in Italia 7.670 decessi per mesotelioma, dei quali 2.947 tra le donne, con un tasso pari a 3,8 per 100.000 tra gli uomini e 1,1 per 100.000 tra le donne: tassi abbastanza elevati a livello mondiale. Le regioni con un tasso più elevato di quello nazionale si confermano Liguria, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia». Rispetto all’andamento temporale dei decessi per mesotelioma, ha proseguito Fazzo, «nel 2012 si è osservato un picco rispetto agli anni precedenti, che continua a mantenersi elevato, anche se con oscillazioni». Su questi numeri «ci può essere una sottostima, ma c’è concordanza con quelli del Registro Nazionale Mesoteliomi (Renam)». Dal 2010 al 2016, «per asbestosi, sono stati registrati complessivamente 361 decessi tra gli uomini e 44 tra le donne». Nello stesso arco di tempo, per tumore al polmone dovuto ad amianto, «sono stati registrati circa 2.700 decessi l’anno per gli uomini e 112 per le donne (pari a circa l’8% dei tumori al polmone). Per tumori dell’ovaio la stima parla di circa 16 casi all’anno». Sono numeri, ha concluso Fazzo, evidenziano un «rilevante carico di malattia a distanza di 17-25 anni dalla legge, tale da richiedere interventi adeguati in sanità pubblica, anche per i soggetti ancora a rischio di esposizione».

Nel 1992, anno di entrata in vigore della legge 257/92, che mise al bando l’uso dell’amianto in Italia, «si partiva da oltre 31 milioni di tonnellate di amianto da rimuovere in Italia. Da allora ne sono state rimosse 8 milioni e rimangono 23 milioni di tonnellate da rimuovere, soprattutto rappresentate dal compatto». Lo ha detto Mariano Alessi, dirigente presso la direzione generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Tale normativa «ha aperto la strada rispetto a un terreno in larga parte del globo inesplorato.

Noi siamo ancora una sparuta minoranza: tre quarti dei paesi del mondo non ha una legislazione simile a quella di cui ci siamo dotati 30 anni fa; quindi, dovremo ancora lavorare con Oms e Nazioni Unite affinché iniziative simili possano essere estese a luoghi e posti distanti da noi», ha dichiarato Speranza. Per il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro, «Quella dell’amianto è una storia di sanità pubblica importante, da cui possiamo imparare. Una storia che non è finita deve proseguire e arrivare a contaminare anche altri Paesi, in cui questa problematica non è stata affrontata in modo sistematico». «Per rimuovere 23 tonnellate di amianto in 10 anni servirebbero 173.000 bonificatori; in 30 anni 57.000 bonificatori. Attualmente – ha rilevato Alessi – i bonificatori sono 29.000. È importante anche fare questo tipo di stime». Numeri che mostrano come evidenziano le slide mostrate, una «carenza di risorse umane e finanziarie». In questo contesto, ha concluso Alessi, è importante sollecitare l’Inail ad avere un ruolo operativo, riallacciare una serie di azioni che veda partecipi tutti i soggetti interessati e «recuperare il confronto del tavolo inter istituzionale presso la Presidenza del Consiglio e conseguire così i risultati attesi».

Da doctor33.it

NEURODIFFERENZE E LAVORO

Una nuova guida “Valutare e supportare le neurodifferenze sul lavoro “è ora scaricabile dalla Society of Occupational Medicine (SOM). È un prodotto del SOM Occupational Health Psychology Special Interest Group (SIG) ed è stato lanciato durante la Neurodiversity Celebration Week.

La guida è rivolta a professionisti della salute sul lavoro (OH), professionisti delle risorse umane e datori di lavoro, che il proprio personale per una valutazione diagnostica o servizi a supporto di ADHD, autismo, dislessia, disprassia, sindrome di Tourette e/o simili. Descrive cosa cercare nel personale, diverse opzioni disponibili per il supporto e gli obblighi legislativi dei datori di lavoro. La guida presenta raccomandazioni basate su prove di ricerca, le ultime linee guida degli organismi di regolamentazione, la pratica attuale e la giurisprudenza.

Psychology SIG

Download the guide here.

QUERTY VS COLEMAK: QUANDO LA DIGITAZIONE ALLA TASTIERA È PIU ERGONOMICA

Non tutti forse sanno che oltre a garantire una corretta posizione economica del lavoratore al videoterminale, bisognerebbe progettare delle tastiere maggiormente ergonomiche in modo tale che il movimento è la forza di digitazione dei tasti sia maggiormente adeguato.

Vi propongo la lettura di questo articolo tratto da:

https://leonardofinetti.it/5-motivi-per-usare-il-layout-colemak-dhm/

Il classico layout di tastiera denominato QWERTY lo conosciamo tutti: è il più utilizzato al mondo per le lingue europee ed è lo standard di fatto. Non molti però sanno che questo sistema ha numerosi problemi e che essi derivano dalla sua origine storica.

Questo layout è infatti stato inventato attorno al 1860 per le macchine da scrivere dell’epoca. Non era stato pensato per le moderne tastiere e nemmeno per come vengono usate oggigiorno. Al tempo esistevano dei particolari limiti tecnologici e quindi questa disposizione dei tasti fu una scelta quasi obbligata.

In quel periodo non si diede importanza all’ergonomia ed allo studio di come rendere ottimale la posizione delle lettere in base alla loro frequenza nella lingua scritta in modo da bilanciare l’uso delle dita anche a fronte di una loro diversa forza. Il mignolo, ad esempio, è più corto e debole rispetto all’indice, pertanto i moderni studi suggeriscono di assegnare a tale dito delle lettere meno frequenti.

Allo stesso tempo anche la disposizione sfalsata dei tasti è un retaggio di quel periodo. Ma con la tecnologia attuale si sono superati i limiti dell’800, e quindi si possono costruire tastiere con i tasti in colonna per ridurre ulteriormente lo stress fisico alle mani.

Negli ultimi decenni sono nati numerosi layout alternativi, tutti molto più validi del primogenito, ma a livello commerciale e industriale, per pigrizia e per scarsa attenzione al tema “ergonomia” si è ancora fermi ad un sistema vecchio più di 150 anni.

Tra i layout di tastiera alternativi a QWERTY spiccano:

  • Dvorak
  • Colemak (e Colemak DHm)
  • Workman
  • Norman
  • Carpalx
  • Beakl

Un paio di anni fa, dopo numerose ricerche, ho ritenuto che in casi come il mio dove l’utilizzo della tastiera è sia per scrivere in italiano ed inglese, sia per programmare, il layout più adatto è il Colemak, ma non quello standard, bensì la versione Colemak DHm (o mod DHm).

Perché modificare il layout Colemak?

Il layout Colemak è stato ideato in primis per la lingua inglese e per tastiere con i tasti sfalsati. Avendo però una tastiera con i tasti incolonnati (e di questo ne parlerò in uno o più articoli dedicati) e scrivendo anche in italiano, mi sono accorto che la versione standard di Colemak non era quella più adatta. Spostando però alcuni tasti si riesce a bilanciare molto meglio l’esperienza d’uso. Per maggiori informazioni e dettagli su questa variante rimando al sito Colemak Mod-DH che ha diversi esempi in base anche al tipo di tastiera.

VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO IN AMBITO SANITARIO

Da Inail.it

Il monografico illustra i risultati delle attività di ricerca e di sperimentazione sul campo effettuate dal Laboratorio rischi psicosociali e tutela dei lavoratori vulnerabili con la collaborazione di strutture sanitarie afferenti al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), che hanno portato allo sviluppo del Modulo contestualizzato al settore sanitario della Metodologia Inail per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato.

Vengono offerti strumenti di valutazione e gestione integrati con aspetti specifici per tale settore e finalizzati a supportare operativamente le aziende sanitarie nella gestione efficace di questa tipologia di rischio.


Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A MICOBATTERI NON TUBERCOLARI

Da inail.it

I micobatteri non tubercolari sono patogeni opportunisti trasmessi dall’ambiente (acqua, terriccio) all’uomo tramite goccioline di acqua contaminata causando la “malattia polmonare da micobatteri non tubercolari”.

Questa insorge in individui con patologie respiratorie preesistenti ma negli ultimi decenni si è verificato un aumento dell’incidenza di questa patologia anche nelle persone sane. I principali fattori di rischio per l’infezione sono rappresentati dall’esposizione ambientale e suscettibilità dell’ospite. Il rischio di esposizione a questi batteri è poco conosciuto negli ambienti di vita e lavoro, non essendo disponibili protocolli standardizzati per il campionamento e l’identificazione delle specie patogene in matrici ambientali né indicazioni riguardo misure di prevenzione e protezione.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

Da pianeta salute2.0 :

LA GENESI DEL TU 81/08

Istituto Superiore di Sanità
Il D.LGS. 81/08: Genesi ed Applicazione della Disciplina sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro
Alberto Andreani e la Sicurezza sul Lavoro (in memoria)
Webinar 25 novembre 2021 –

Paolo Pascucci e Eugenio Sorrentino (a cura di)Biografia

Versioni

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Abstract

In questo scritto sono riproposti gli interventi presentati al webinar del 25 novembre 2021 dedicato alla memoria di Alberto Andreani, alla sua visione della sicurezza sul lavoro e alle problematiche e prospettive del d.lgs. n. 81/2008.https://doi.org/10.14276/2531-4289.3266

DISABILITA’ E REINSERIMENTO LAVORATIVO: EDIZIONE INAIL 2022

L’Inail garantisce supporto ai propri assistiti vittime di infortunio o malattia professionale per la continuità lavorativa o per l’inserimento in una nuova occupazione attraverso la realizzazione di progetti personalizzati di reinserimento lavorativo. Disponibili per i datori di lavoro finanziamenti a fondo perduto fino a un massimo di euro 150.000,00 per interventi di adeguamento degli ambienti e delle postazioni di lavoro e azioni formative mirate alla riqualificazione professionale dei lavoratori infortunati.
Per favorire l’accesso ai finanziamenti, l’Istituto ha da tempo semplificato l’iter e le procedure di attivazione degli interventi, snellendo l’iter a carico dei datori di lavoro e promuovendo campagne di sensibilizzazione per rendere maggiormente note le misure per il reinserimento lavorativo delle persone con disabilità da lavoro.


Per l’edizione 2022 della campagna di comunicazione sono stati realizzati due opuscoli informativi e due brochure, dedicati rispettivamente ai lavoratori e ai datori di lavoro, che illustrano gli interventi previsti dall’Inail e forniscono una serie di indicazioni utili:

  • chi sono i destinatari delle misure adottate dall’Inail, sia in caso di conservazione del posto di lavoro sia in caso di nuova occupazione;
  • quali interventi è possibile realizzare con i finanziamenti;
  • quali sono i contributi messi a disposizione e come è possibile accedervi;
  • notizie di interesse per lavoratori e per datori di lavoro.

Prodotto: Opuscolo
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

PATOLOGIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL RACHIDE: MAPPE DI RISCHIO INAIL

da inail.it

Facendo propria la strategia UE, al fine di prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la SSC ha intrapreso un lavoro mirato a migliorare la raccolta dei dati, sviluppare la base delle informazioni, con particolare riguardo ai rischi e ai danni da lavoro.

L’attenzione nell’anno 2021 si è focalizzata sulle patologie muscoloscheletriche del rachide che, attraverso la lettura integrata di informazioni sulle denunce, sui rischi e danni conseguenti ha portato ad elaborare mappe di danno e di rischio in specifici settori lavorativi, in territori localizzati, evidenziando fenomeni meritevoli di attenzione e per i quali si sono prospettate azioni di miglioramento in ambito preventivo e di tutela indennitaria del lavoratore.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it




Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

REINFEZIONI DA SARS2 E E TIPOLOGIA DEI CONTAGIATI

Da doctor33.it

La curva dei contagi da Covid in Italia è tornata a salire, ma l’aspetto che più preoccupa riguarda il rischio di reinfezione. Nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati è pari a 3,2%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,3%). Lo evidenzia il Report esteso dell’Istituto superiore di Sanità in cui si sottolinea che «l’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021 (data considerata di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron), evidenzia un aumento del rischio relativo aggiustato di reinfezione». Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, evidenzia all’Adnkronos Salute che «è molto probabile, parliamo di dati osservazionali che andranno confermati dall’Istituto superiore di sanità, che la protezione data dal vaccino possa scendere al 20% con Omicron 2, anche dopo la terza dose. Questo ci potrebbe anche spiegare il perché di tante reinfezioni che osserviamo, dopo il booster o anche dopo aver fatto la malattia».

La reinfezione si sta verificando, in particolare, nei soggetti con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di Covid-19 fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni; nelle femmine rispetto ai maschi (verosimilmente per la maggior presenza di donne in ambito scolastico dove viene effettuata una intensa attività di screening e per funzione di caregiver in ambito famigliare); nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. «Verosimilmente il maggior rischio di reinfezione nelle fasce di età più giovani è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d’età superiore ai 60 anni», scrive l’Iss nel suo rapporto. Anche più rischi tra gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione. In totale, riferisce l’Iss, dal 24 agosto 2021 al 16 marzo 2022 sono stati segnalati 264.634 casi di reinfezione, pari al 3% del totale dei casi notificati.

Secondo molti esperti, l’aumento è dovuto principalmente alla diffusione di sottovarianti della omicron di cui una, chiamata BA.2, molto contagiosa. «Ciascuna variante ha potenzialmente dentro di sé una capacità di infettare differente che può essere maggiore o minore – spiega sul ‘Corriere della Sera’ Mario Clerici, immunologo dell’Università Statale di Milano – Il punto è che ciascuna variante cerca di eludere gli anticorpi e molti si si stanno contagiando con Omicron pur essendo vaccinati, perché tutti i vaccini in uso si basano sul virus di Wuhan che circolava due anni fa in Cina». Un altro fattore che può influire sulle reinfezioni riguarda la quantità di anticorpi che le varianti riescono a far produrre alla persona che poi guarisce. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica CELL mostra che le reinfezioni di Omicron inducono una risposta anticorpale minore di un decimo rispetto a quanto faceva Delta e minore di un terzo di quanto faccia un booster di un vaccino. I ricercatori spiegano che questo significherebbe «una protezione ridotta contro la reinfezione o l’infezione da varianti future».

Chi si infetta con Omicron, quindi, è in genere meno protetto da futuri contagi. «Predire da questi dati che Omicron conferisca una protezione minore nei confronti di eventuali varianti e infezioni è difficile – osserva comunque Clerici – È impossibile dire come saranno le prossime varianti e sono numeri che derivano da studi in vitro poco applicabili alla realtà».