edilizia

FOTO ESPOSIZIONE SOLARE E SICUREZZA SUL LAVORO

Da superabile.it

Sono in tanti a svolgere le proprie mansioni all’aperto, soprattutto in questo periodo dell’anno: una situazione che può comportare a causa delle radiazioni notevoli rischi per la salute. I consigli dei ricercatori dell’Inail per cercare di prevenire i danni. 

Gli esperti li chiamano “lavoratori outdoor” perché svolgono una frazione significativa del proprio orario lavorativo all’aperto e sono interessati dalle patologie correlate con l’esposizione a luce solare. Sono gli agricoltori, i giardinieri, i portuali, gli operai, ma anche gli istruttori di sport all’aperto, i benzinai, i portalettere, i bagnini, i vigili urbani e l’elenco non finisce qui. Sono tutte persone che per lavoro devono stare sotto il sole, spesso troppe ore e senza protezione. A loro e ai datori di lavoro è stato dedicato in passato un opuscolo, curato da Adriano Papale, medico ricercatore dell’Inail (ex Ispesl), “La radiazione solare ultravioletta: un rischio per i lavoratori all’aperto”, una guida sempre utile con consigli e le valutazioni sul rischio da esposizione solare, di cui esamineremo in questo approfondimento i principali aspetti suggeriti in ambito preventivo.

Come l’Inail misura la potenza del sole. Il laboratorio Agenti fisici del dipartimento Igiene del lavoro dell’Inail (ex Ispesl) svolge attività di ricerca sulla prevenzione dei rischi di esposizione lavorativa alle sorgenti di radiazioni ultraviolette, visibili e infrarosse di origine artificiale ma anche, e da più tempo, sulle problematiche relative all’esposizione lavorativa alla radiazione ultravioletta solare. Il laboratorio dispone di un radiometro solare situato sul tetto del Centro di ricerca di Monteporzio. Si tratta di uno strumento di precisione che misura la potenza che il nostro sole “dona” al nostro pianeta nelle varie bande dello spettro elettromagnetico, in particolare, misura la potenza per unità di superficie (irradianza) nelle bande Uva e Uvb. Da questi dati è possibile ricavare l’Uv-Index, una semplice scala di valori da zero a 11, che permette di quantificare con estrema semplicità il fattore di rischio di esposizione alla radiazione ultravioletta solare da “basso” (1-2), a “medio” (3 a 5) fino a “molto alto” (da 6 a 10). Questi studi sono coordinati da Massimo Borra, ricercatore, che ha progettato un portale per gestire, visualizzare e condividere i dati dei radiometri istallati e di tutti i futuri radiometri di altre istituzioni pubbliche o meno che vorranno utilizzare i vantaggi della rete.

I rischi da eccessiva esposizione ai raggi Uv. La radiazione solare ultravioletta deve essere considerata a tutti gli effetti un rischio di natura professionale per tutti i lavoratori outdoor e deve essere posto alla stregua di tutti gli altri rischi (chimici, fisici, biologici) presenti nell’ambiente di lavoro. La permanenza al sole per un periodo più o meno prolungato (la variabilità è soggettiva) può provocare, in particolare se la pelle non è già abbronzata, la comparsa dell’eritema solare. Se l’esposizione è stata particolarmente intensa possono comparire vescicole o bolle seguite da erosioni (ustioni solari). Altro tipo di lesione cutanea è la fotosensibilizzazione, reazione secondaria all’assunzione di alcune sostanze (soprattutto farmaci o composti chimici fotosensibilizzanti contenuti in creme, cosmetici o profumi), con meccanismo tossico o allergico nel momento in cui ci si espone al sole.

Dal fotoinvecchiamento alle neoplasie. Fenomeni rilevanti a carico della cute sono anche il fotoinvecchiamento e la foto carcinogenesi, effetti cronici che derivano dall’accumularsi dei danni causati da esposizioni prolungate nel tempo (anni), al sole e/o a fonti artificiali e sono tanto più precoci e marcati quanto più la pelle è chiara o non adeguatamente protetta. Le neoplasie cutanee possono essere di origine epiteliale come le cheratosi solari, gli epiteliomi spinocellulari (o squamocellulari) e gli epiteliomi basocellulari e di origine melanocitica, come il melanoma. L’esposizione cumulativa ai raggi ultravioletti favorisce l’instaurarsi dell’epitelioma (o carcinoma) squamocellulare. Questa neoplasia infatti presenta un’incidenza massima nelle persone con una esposizione ai raggi Uv cumulativa elevata nel corso della propria vita e tipicamente in chi svolge un’attività lavorativa all’aperto – come marinai e agricoltori – e le sedi più frequentemente colpite sono quelle più esposte al sole (volto, cuoio capelluto, dorso delle mani).  Per quanto riguarda invece la relazione esistente tra esposizione a raggi Uv e insorgenza del carcinoma basocellulare e del melanoma maligno, gli studi indicano che le due neoplasie sono legate a un’esposizione massiva al sole, soprattutto in chi tende più a scottarsi. Il rischio di melanoma è maggiore nelle aree corporee coperte, cioè non abituate al sole e, sottolineano gli esperti, per i soggetti che normalmente non si espongono al sole per motivi professionali.

Ma quanto sono esposti i lavoratori outdoor? La ricerca “Neoplasie cutanee non-melanoma nei lavoratori professionalmente esposti a radiazione solare ultravioletta”, condotta (nel 2007) dalle sezioni di Medicina del lavoro e tossicologia occupazionale e di Dermatologia dell’Università degli studi di Siena, in collaborazione con il dipartimento di Medicina del Lavoro Inail (ex Ispesl) e il Dipartimento di Prevenzione della Ausl n.7 di Siena, ha evidenziato che i lavoratori outdoor del comparto agricolo della Toscana sono esposti a dosi elevate di radiazione solare ultravioletta. Tipici valori di Med (minima dose d’esposizione alla radiazione solare per produrre arrossamento entro le 24 ore successive) per un individuo caucasico, debolmente pigmentato, vengono largamente superati (per un fattore da 6 a 30 volte) anche all’inizio della stagione lavorativa outdoor (Aprile). L’età media dei casi epitelioma riscontrati occorsi nella popolazione agricola studiata si è rivelata molto alta, compatibile con il lungo periodo di latenza della neoplasia, con un’esposizione lavorativa media alle radiazioni solari molto lunga (42,9 anni nei maschi e 36,3 anni nelle femmine).

Le tutele legislative: un aggiornamento. La legislazione riguardante la protezione dagli Uv risale al 1956. La protezione dei lavoratori nei confronti degli agenti fisici è oggi disciplinata al titolo VIII del D.lgs 81/2008. Il capo V del titolo VIII del D.lgs 81/2008 recepisce la direttiva 2006/25/CE e si applica solo ai lavoratori esposti a radiazioni ottiche artificiali durante il lavoro. Visto che il campo di applicazione del D.lgs 81/2008 è esteso a tutti i rischi per i lavoratori, la valutazione dei rischi e le relative misure di tutela vanno poste in atto anche per i lavoratori esposti a radiazioni ottiche di origine naturale, in pratica alla radiazione solare. La norma Uni En 14255 “Misura e valutazione dell’esposizione personale a radiazioni ottiche incoerenti” è composta da 4 norme che trattano le sorgenti articiali; tra queste la terza, la Uni En 14255-3, si applica, invece, al caso di esposizione residenziale e lavorativa alla radiazione solare e può essere utilizzata come indicazione per effettuare una valutazione del rischio occupazione alla radiazione naturale. Attualmente il decreto ministeriale 9 aprile 2008 (G.U. n. 169 del 21 luglio 2008) “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura” ha inserito la seguente voce tra le malattie tabellate “malattie causate da radiazioni solari”: cheratosi attiniche; epiteliomi cutanei delle sedi fotoesposte; altre malattie causate dalla esposizione professionale alle radiazioni solari.

Le strategie di protezione: i consigli degli esperti. La fotoprotezione ambientale, come sottolinea Papale, consiste nell’attuare una sorta di schermatura con teli e con coperture, ove possibile, e fornire cabine schermate per i lavoratori che devono sostare a lungo all’aperto. Per creare zone d’ombra esistono anche strutture portatili (simili a ombrelloni) che il lavoratore sposta secondo le proprie esigenze. Bisognerebbe poi sfruttare le ombre degli alberi o di costruzioni vicine e fornire al lavoratore un luogo ombreggiato per le pause.  Un altro consiglio è l’organizzazione dell’orario di lavoro: durante le ore della giornata in cui gli Uv sono più intensi (ore 10/14 oppure 11/15 con l’ora legale) dedicarsi ai compiti svolti all’interno, riservando quelli all’esterno per gli orari mattutini e serali.

L’importanza di creme solari, abiti adeguati e occhiali. Anche i prodotti antisolari (creme con filtri solari) hanno dimostrato la loro validità nel ridurre l’incidenza sia di alterazioni neoplastiche epiteliali della cute sia il fotoinvecchiamento. E ancora indossare un cappello in tessuto anti Uv, a tesa larga e circolare (di almeno 8 cm.) per proteggere capo e viso. Quando si lavora al sole, anche se fa caldo non bisogna scoprirsi, vanno usati invece abiti leggeri e larghi, maniche e pantaloni lunghi e tessuti che proteggano dai raggi Uv. Non dimentichiamo infine di proteggere gli occhi. Infatti l’esposizione per una o due ore senza protezione, può determinare arrossamento e bruciore (cheratite) dovuta alla radiazione Uva che può favorire, soprattutto nei più giovani, la formazione precoce di cataratta. Gli occhiali da sole proteggono anche da quella parte dello spettro visibile ancora molto energetica (luce blu) che, raggiungendo la retina e contrariamente agli Uva assorbiti tra la cornea e il cristallino, può provocare, reazioni fototossiche alla base di potenziali effetti di degenerazione maculare senile.

La prevenzione più efficace? Un po’ di “buon senso”. Insomma, come rileva Massimo Borra, l’esposizione alla radiazione solare deve essere “pensata” per poterne godere degli aspetti benefici e salutari senza incorrere, o perlomeno rendendo minimi, gli immancabili ma “naturali” effetti dannosi. “Per lavorare correttamente all’aperto limitando i rischi di esposizione alla radiazione solare dobbiamo solo ritrovare il “buon senso al sole” dei nostri nonni e bisnonni contadini, che si alzavano all’alba per mietere il grano, riposavano all’ombra durante le ore di canicola e vestivano camicie e cappelloni di paglia”, conclude Borra. “Se poi consideriamo che forse non sapevano neppure leggere e che “sicurezza del lavoro” forse significava solamente “certezza di un salario” alla fine della giornata, allora possiamo essere sicuri che, se ci sono riusciti loro, con un po’ di “buon senso” anche noi, oggi, possiamo lavorare nel modo corretto “alla luce del sole”. (fonte Inail)

UN MURALES MANGIA SMOG A MILANO

Da il sole24ore

Murales, realizzato con una pittura che purifica l’aria , dell’ artista Iena Cruz . in via Viotti a Lambrate (Maurizio Maule/Fotogramma, Milano – 2019-11-15)

Si chiama «Anthropoceano», il murale mangia-smog creato a Milano. L’iniziativa, promossa dalla onlus Worldrise, in collaborazione con l’artista Federico Massa Iena Cruz, è stata realizzata con Airlite, una pittura che attraverso la luce riduce dell’88% la percentuale di biossido di azoto nell’aria.

Il murale
Il murale è stato disegnato sul muro di un edificio di via Viotti, davanti alla stazione di Lambrate, a Milano. «Con questo murale – ha scritto su Facebook l’associazione che ha promosso questa iniziativa – abbiamo voluto portare il mare a Milano, per ricordare ai cittadini che anche se invisibile, esiste un legame fra noi e lui, un legame fatto di responsabilità e amore. Perchè se il cuore del mare smetterà di battere, il silenzio arriverà molto più lontano del rumore delle onde».

Bisogna dire che questa volta Roma ha battuto Milano di qualche mese . È stato infatti inaugurato proprio nella capitale nel 2018 il primo grande murales di questo tipo come nella cronaca tratta dal sito archiportale.com

07/11/2018 – È stato inaugurato il 26 ottobre 2018 a Roma il più grande murales d’Europa realizzato con pitture eco-sostenibili, al 100% naturali, che purificano l’aria. Hunting Pollution, questo il titolo che lo street artist Federico Massa, ha dato alla sua opera, sostenuta ed ideata da Yourban2030, no-profit nata con l’obiettivo di contribuire a tracciare un percorso verso lo sviluppo sostenibile utilizzando il linguaggio artistico.

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PROBIOTICI NEL CONTROLLO DELL’INQUINAMENTO INDOR

Le caratteristiche degli ambienti  INDOR hanno un impatto significativo sulla salute umana e sulla produttività. Se da un lato i datori di lavoro si sforzano di creare ambienti più salutari per i propri lavoratori, dall’altro emerge la domanda di servizi di pulizia “ecologica “ a bassa tossicità .

Cresce infatti nei lavoratori  la consapevolezza di un potenziale impatto sulla salute e sull’ambiente dei prodotti per la pulizia utilizzati nelle aree di lavoro. È quindi fondamentale che i gestori ripensino le modalità dei metodi di pulizia . Secondo la US Environmental Protection Agency, la disinfezione da agenti infettivi è uno dei passaggi cruciali per mantenere un ambiente interno sano. Una nuova frontiera è rappresentata da detergenti “ verdi” che contengono probiotici in grado di rimuovere gli agenti infettivi e che riducono notevolmente il rischio tossicologico dei tradizionali detergenti

Numerose indagini hanno indagato il problema dei microrganismi dannosi nelle aree di lavoro. Un report della CBS News si concentrava su aree critiche dal punto di vista infettivo  come le  maniglie delle porte, lavelli da cucina e pulsanti dell’ascensore che sono i più comuni habitat batterici. Vi sono ovviamente altri habitat  critici che vanno dai sanitari alle tastiere dei computer. Uno studio  condotto da ricercatori dell’Università dell’Arizona ha dimostrato che la tipica scrivania da lavoro ospita centinaia di batteri in più per pollice quadrato rispetto a un sedile del water dell’ufficio. Di conseguenza, è ragionevole che le imprese e le istituzioni debbano investire in programmi per ridurre la presenza di microrganismi dannosi.

Tuttavia, i tradizionali pilastri della pulizia che utilizzano antibatterici o altre sostanze per l’eliminazione  dei microrganismi dannosi corrono però il rischio di selezionare  la crescita di ceppi di batteri più forti, come i tanto noti “superbatteri” che mostrano resistenza agli antibiotici. Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), le infezioni innescate da organismi resistenti agli antibiotici sono difficili da trattare, comportando l’uso di farmaci di seconda o terza scelta per trattamenti che  meno efficaci, più tossici e più costoso.

I probiotici ambientali creano un sistema di purificazione rivoluzionario per i luoghi di lavoro

In alternativa all’approccio tradizionale  nella lotta contro i microrganismi tossici nei luoghi di lavoro, negli ultimi anni è emersa una tendenza verso l’implementazione dei probiotici come strumenti di pulizia. Come notato dal National Institutes of Health (NIH), i probiotici sono microrganismi vivi, incorporati a lungo in alcuni alimenti e integratori alimentari, che hanno effetti benefici sulla salute. Sebbene i batteri e altri microrganismi siano spesso considerati germi nocivi, molti microrganismi possono aiutare il corpo a funzionare correttamente. Ad esempio, i batteri normalmente presenti nell’intestino possono aiutare a digerire il cibo, distruggere i microrganismi patogeni e produrre vitamine.

Alla luce di ciò che è noto per quanto riguarda l’attività dei probiotici e la presenza di microrganismi nei luoghi di lavoro, sono stati condotti studi che dimostrano con successo il potenziale dei probiotici, come purificatori di aria e di superficie, per controllare la crescita di microrganismi cattivi mantenendo le varietà benefiche.

La logica alla base dell’uso dei probiotici è semplice. Gli spray e i dispositivi di depurazione tradizionali uccidono indiscriminatamente tutti i batteri, sia dannosi che benefici, provocando un ambiente sterile e squilibrato che potrebbe aumentare il rischio di evoluzione della resistenza dei patogeni. Al contrario, i probiotici offrono una soluzione naturale, priva di sostanze chimiche e rispettosa dell’ambiente per combattere la sindrome degli edifici malati: i probiotici consumano rifiuti contaminanti come acari della polvere materia fecale, polline, cellule morte della pelle e peli di animali domestici, mantenendo l’equilibrio dei batteri essenziali in gli ambienti in cui le persone lavorano, riducendo ulteriormente i cattivi odori causati da batteri e muffe.

Un esempio di “disinfezione verde”a base  di probiotici è commercializzata, n come Enviro-Biotics (abbreviazione di “Probiotici ambientali”) e  comprende acqua e Bacillus Subtilis. Questa tecnologia funziona a livello microscopico e rilascia ripetutamente miliardi di particelle probiotiche di dimensioni di micron in grado di purificare l’aria e pulire la superficie e gli oggetti.

I dispositivi offrono una soluzione automatica per ogni spazio: alcuni sistemi attingono ai condotti dell’aria esistenti; altri sono plug-and-play e sono progettati per rilasciare probiotici direttamente nell’aria. Questi sono trasportati dal flusso d’aria attraverso lo spazio interno, successivamente disperdendosi  su ogni superficie interna. Sono state sviluppate linee di prodotti che trattano spazi di varie dimensioni, da 800 piedi quadrati a 45.000 piedi quadrati. I sistemi sono progettati per il bilanciamento ecologico e sono completamente programmabili e personalizzabili. Non è richiesta alcuna infrastruttura speciale.

Oltre a fornire un microambiente più confortevole  e salutare per gli impiegati, il sistema fornisce una pulizia automatica e continua all’interno dei condotti dell’aria, migliorando così la qualità dell’aria che li attraversa.

Il potere dei probiotici, sostenuto dalla ricerca

Diversi studi hanno confermato la base scientifica per un uso  dei probiotici per migliorare l’ambiente nelle aree di lavoro. Ad esempio, come riportato nel Journal of Microbiology & Experimentation, uno studio di ricerca ha valutato l’efficacia dei prodotti per la pulizia contenenti forme di spore di Bacillus spp rispetto a un trattamento tradizionale a base di cloro. In un ospedale, il conteggio microbico totale, nonché Staphylococcus aureus, Coliforms, Pseudomonas spp e Candida spp sono stati monitorati per quattro mesi su diverse superfici. Sono stati raccolti 11.223 campioni microbiologici, sia sette che 24 ore dopo le procedure di pulizia programmate. I dati hanno mostrato che, diversamente dai tradizionali disinfettanti a base chimica, l’effetto del prodotto a base di probiotici ha portato a una riduzione di oltre l’80% del carico microbico di Staphylococcus aureus, Coliforms, Pseudomonas spp e Candida spp. I ricercatori hanno concluso che la strategia proposta di utilizzare detergenti a base di probiotici è un’alternativa affidabile alla tradizionale disinfezione chimica delle superfici.

In uno studio separato, un sistema di probiotici è stato installato in otto zone strategiche (tra cui un salotto, una sala di risveglio e una sala d’attesa) all’interno di un centro medico in Israele. L’aria e le superfici sono state campionate prima dell’installazione e dopo un periodo di trattamento di circa tre settimane. Inizialmente, tra le specie problematiche aggiuntive, sono stati rilevati conteggi significativi di agenti patogeni, tra cui Staphylococcus e Pseudomonas, su varie superfici e nell’aria. Al termine del periodo di prova, non sono stati rilevati funghi o batteri sulle superfici e sono stati rilevati nell’aria solo i probiotici Bacillus rilasciati dal sistema.

Date le prove presentate da questi e altri studi sul campo, sembra che vi sia un ampio potenziale per i probiotici da utilizzare come una classe efficace di strumenti di pulizia e rifornimento negli spazi di lavoro commerciali. Il risultato finale del loro utilizzo potrebbe includere non solo aree di lavoro più pulite, ma anche dipendenti più sani e produttivi.

Da ohsonline.com

liberamente tradotto da dott. Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

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I VANTAGGI DI UN UFFICIO “GREEN”

È cosa ben nota che l’avere intorno a noi piante in vaso apporti benefici per la purificazione degli ambienti e la qualità della vita. Esse interagiscono regolarmente con l’ambiente che le circonda e con i suoi frequentatori, con ottimi influssi sull’equilibrio biologico e sul reciproco stato di salute.L’aggiunta di piante negli spazi interni, che sia a casa o in ufficio, non serve solo alla funzione estetica tipica delle piante da appartamento, ma contribuisce a purificare l’aria da una serie di agenti  inquinanti, ad ossigenare l’ambiente ed a ripristinare il giusto equilibrio d’umidità.

Si è notato come la presenza di piante nelle stanze d’ospedale acceleri i tempi di recupero dei pazienti chirurgici, e di come questi ultimi richiedano minor uso di antidolorifici, abbiano frequenze cardiache più basse ed una migliore pressione sanguigna, rispetto ai malati alloggiati nelle camere prive di verde.Altri studi confermano i benefici su psiche e sistema immunitario dati dalla presenza di vegetali in ambienti di lavoro o studio: si parla di una diminuzione delle assenze per malattia degli impiegati degli uffici e di un aumento significativo della produttività e della capacità di concentrazione.

Le piante da interni contribuiscono a:

  1. ridurre i livelli di biossido di carbonio nell’aria (ossigenazione)
  2. ridurre i livelli di alcuni inquinanti volatili (purificazione)
  3. ridurre i livelli di polveri nell’aria (purificazione)
  4. aumentare l’umidità degli ambienti(umidificazione)
  5. attutire il rumore di fondo (insonorizzazione)
  6. ridurre la pressione sanguigna e gli stati ansiosi e di stress (azione sulla fisiologia e sulla psiche umana).

 

Ossigenazione dell’aria

L’uomo prende ossigeno e rilascia anidride carbonica nell’ambiente, le piante di giorno col processo di fotosintesi fanno l’esatto contrario. Assorbono biossido di carbonio e aumentando i livelli d’ossigeno nell’aria. Alcune specie – come le orchidee e le succulente –rilasciano ossigeno durante la notte e sono le uniche consigliabili per le stanze da letto.

 

Umidificazione degli ambienti

Con il rilascio fisiologico di vapore acqueo le piante aumentano l’umidità degli ambienti ed abbattono le particelle di polvere presenti nell’aria. Ciò aiuta a prevenire allergie e mali di stagione, facilita la respirazione ed aiuta a mantenere sgombre le prime vie respiratorie.

Purificazione dell’aria

Lo sapevate che secondo una ricerca della NASA le piante possono eliminare fino all’87% dei composti organici volatili (COV) nelle 24 ore?  Sostanze inquinanti come formaldeide, benzene, tricloroetilene e xilene, comunemente rilasciate negli ambienti da mobili, vernici e suppellettili, vengono assorbite, riciclate e “digerite” dai microrganismi del terriccio dei vasi.

Riduzione del rumore di fondo

Già utilizzate per ridurre l’inquinamento acustico nelle vie trafficate, le piante d’appartamento possono abbassare i livelli di rumore all’interno degli edifici, assorbendo, riflettendo o diffrangendo soprattutto le alte frequenze.Tra le specie amiche del nostro benessere citiamo il Chlorophytum comosum, le Dracaena marginata, fragrans e deremensis, molte varietà di Chamaedorea (palme minori), di Pothos, di Ficus; l’Hedera helix, la Nephrolepis exaltata Bostoniensis, la Sansevieria trifasciata, il Philodendron, lo Spathiphyllume l’albero di giada (Crassula Ovata).

da biopianeta.t

PROPOSTA DI ALGORITMO PER LA VALUTAZIONE DEGLI ESPOSTI A RUMORE

OBIETTIVI: L’esposizione al rumore sul lavoro è una delle principali cause di perdita dell’udito in tutto il mondo. Al fine di rendere più semplici  le strategie preventive, è importante identificare rapidamente quali lavoratori sono maggiormente a rischio

METODI: abbiamo sviluppato un nuovo algoritmo basato su questionario che valuta l’esposizione al rumore di un singolo lavoratore. Il questionario e gli algoritmi di supporto sono integrati nella piattaforma software esistente, OccIDEAS. Sulla base delle attività svolte da un lavoratore durante il suo turno di lavoro più recente e utilizzando una data base con i livelli di esposizione al rumore basata su attività, OccIDEAS stima se un lavoratore ha superato il limite di esposizione al rumore sul posto di lavoro a pieno turno (LAeq, 8h≥85 dBA). Abbiamo valutato la validità del sistema su un campione di 100 operai edili. Ogni lavoratore indossava un dosimetro per un intero turno di lavoro e veniva quindi intervistato utilizzando il software OccIDEAS.

RISULTATI: L’area sotto la curva caratteristica operativa del ricevitore era 0,81 (IC 95% da 0,72 a 0,90) indicando che la capacità di OccIDEAS di identificare i lavoratori edili con un LAeq, 8h≥85 dBA era eccellente.

CONCLUSIONE: Il questionario proposto sul rumore validato può essere utile negli studi epidemiologici e per le applicazioni di salute e sicurezza sul lavoro.

liberamente tradotto da Dott Alessandro Guerri  medico del lavoro

LANA DI VETRO: QUALI RISCHI SULLA SALUTE ?

Arch. Mariangela Martellotta da architetturaecosostenibile

La lana di vetro e la lana di roccia sono Fibre Artificiali Vetrose (FAV) e risultano tra i prodotti più diffusi per l’isolamento termico e acustico degli edifici. Il motivo della loro vasta diffusione è da rintracciare nelle loro ottime prestazioni termiche e acustiche, economicità e reperibilità, inattaccabilità da umidità, microrganismi e agenti chimici.

La sicurezza della lana di vetro e di roccia

Di recente il Ministero della Salute  ha fatto luce sulla sicurezza dei materiali isolanti maggiormente diffusi al mondo, con la redazione di un testo dal titolo: “Le Fibre Artificiali Vetrose  (FAV) – Linee guida per l’applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute”.

Al momento non esistono prove certe che la lana di vetro e la lana di roccia siano sostanze cancerogene, tanto è vero che negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi sugli addetti alla produzione delle lane minerali ma questi non dimostrano né patologie correlate all’apparato respiratorio né altri sintomi collegati a tumori. Anche l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha classificato le lane minerali come non cancerogene per gli esseri umani, ma ha classificato la lana di vetro per scopi speciali come possibile cancerogeno per gli esseri umani.

I requisiti di sicurezza delle fibre artificiali vetrose

Per verificare se una fibra artificiale vetrosa è o meno cancerogena, il Regolamento (CE) n.1272/2008 ha definito due parametri: il fattore della bio-solubilità e il diametro geometrico medio ponderale.

  • Il fattore della bio-solubilità 

Il fattore della bio-solubilità è descritto nella “Nota Q” del Regolamento CE. È stato stabilito che le fibre classificate come “bio-solubili” – quelle con alta concentrazione di ossidi alcalini e alcalino-terrosi – sono smaltite dall’organismo prima che causino effetti nocivi perché, come dice anche il termine, sono decomponibili in natura. Quando le fibre minerali rispondono in maniera positiva ai test di bio-solubilità vengono classificate come “non cancerogene”. Bisogna fare attenzione anche al contenuto di sostanze chimiche fra le quali gli ossidi alcalino terrosi che, sebbene come detto poc’anzi contribuiscano alla “bio-solubilità” delle lane, devono essere contenuti in quantità inferiori al 18%.

  • Il diametro geometrico medio ponderale

Altro parametro cui far riferimento è il diametro geometrico medio ponderale che determina la respirabilità delle fibre: più piccole sono e più facilmente penetrano nelle vie respiratorie. Tale parametro è trattato nella “Nota R” del Regolamento per cui il valore del diametro geometrico medio ponderale deve essere superiore ai 6 micron.

In sintesi le fibre artificiali vetrose non sono considerate cancerogene se superano il fattore della bio-solubilità e hanno diametri geometrici medi ponderali superiori ai 6 micron.

Le prescrizioni per chi manipola lane di vetro o di roccia

La produzione della lana di vetro inizia con la fusione a 1400°C di composto di vetro riciclato (80%), silice, calcare, carbonato di sodio e boro. Dopo il passaggio nel forno, il mix viene centrifugato, impastato con resine ed inserito in un forno di polimerizzazione per consentire l’indurimento delle resine.

La produzione della lana di rocciainizia con la fusione a 1500°C di roccia basaltica, calcare, coke e “briquette” (che deriva dal mix di lana di roccia di riciclo con una pasta cementizia). L’impasto fuso è trasformato in fibre e cosparso di resina e olio e poi inserito in un forno di polimerizzazione dove il legante si indurisce.

In entrambi i casi, dopo il passaggio nel forno di polimerizzazione, la lana, sia di vetro che di roccia, può essere tagliata e imballata e inviata ai cantieri dove gli operatori si occuperanno della messa in opera.

Chi lavora in stabilimenti in cui si produce lana di vetro e di roccia e chi si occupa della messa in opera di questi materiali o chiunque debba manipolare lane minerali rispondenti alla “Nota Q” o alla “Nota R” (classificate come “non pericolose”), deve adeguarsi alle norme base di prudenza indicate dalle linee guida secondo le quali l’operatore deve indossare guanti e occhiali protettivi e idonei indumenti, oltre a una maschera protettiva contro la possibile inalazione di particolato. 

Per quanto riguarda la fase di smaltimento delle lane minerali le Linee guida del Ministero attestano che tali rifiuti, se classificati come bio-solubili non rientrano nella casistica dei rifiuti pericolosi ma verranno trattati come “rifiuti speciali non pericolosi” – a volte anche gestibili in maniera ecosostenibile –  il cui deposito deve avvenire in apposita discarica in celle simile a quella per i rifiuti inerti.

Come prescritto dalle Linee guida del Ministero della Salute, in occasione di eventuali lavori di ristrutturazione o di demolizione di parte di immobili, per essere sicuri che le lane minerali rinvenute non siano pericolose bisogna conoscerne la composizione chimica (tenore degli ossidi alcalino e alcalino terrosi e diametro delle fibre). In questi casi il progettista o l’impresa devono poter accertare la sussistenza di pericolosità dei materiali presenti in un cantiere pertanto, in diverse regioni d’Italia, vige la prassi che ci si possa rivolgere a laboratori pubblici e ad Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente per avere riscontri utili e attendibili.

Il parere del medico del lavoro

Dott  Domenico Spinoso da medicitalia.it

Prendendo spunto da un recente consulto a cui ho risposto dal quale si evidenzia un diffuso timore, vorrei dare alcuni chiarimenti sulla paventata cancerogenicitá delle cosiddette fibre artificiali vetrose e nello specifico la lana di vetro e la lana di roccia che oggi risultano tra i prodotti più diffusi per l’isolamento termico e acustico.

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2002 ha inserito le lane minerali nel Gruppo 3, cioè fra le sostanze “non classificabili quanto alla cancerogenicità per l’uomo”

Il Ministero della Salute ha redatto un testo dal titolo: “Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV) – Linee guida per l’applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute”.

Anche il Ministero conclude che al momento non esistono prove certe che la lana di vetro e la lana di roccia siano cancerogene.

Per verificare se una fibra artificiale vetrosa è o meno cancerogena, bisogna rifarsi a due parametri definiti dal Regolamento (CE) n.1272/2008: il fattore della bio-solubilità e il diametro geometrico medio ponderale.

Il fattore della bio-solubilità, descritto nella “Nota Q” del regolamento, stabilisce che le fibre classificate come “bio-solubili”, quelle cioè con alta concentrazione di ossidi alcalini e alcalino-terrosi, vengono smaltite dall’organismo prima che causino effetti nocivi.

Il diametro geometrico è il parametro che determina la respirabilità delle fibre: più piccole sono e più facilmente penetrano nelle vie respiratorie. 

Tale parametro, trattato nella “Nota R” del Regolamento, deve essere superiore ai 6 micron per garantirne la sicurezza.

Quindi le fibre artificiali vetrose non sono considerate cancerogene se rispettano il fattore della bio-solubilità e hanno diametri geometrici medi ponderali superiori ai 6 micron.

In conclusione possiamo dunque dire che chi lavora in aziende di produzione, chi si occupa della posa in opera o comunque chi manipola lane di vetro o di roccia conformi alla “Nota Q” o alla “Nota R” (e quindi classificate come “non pericolose”), deve soltanto rispettare le norme base di prudenza (indossare guanti e occhiali protettivi e idonei indumenti, oltre a una maschera protettiva contro la possibile inalazione di particolato).

Anche in ambito hobbystico e del bricolage è necessario che gli interessati in fase di acquisto del materiale si assicurino che questo risponda ai requisiti di non pericolosità sopra richiamati e segua durante l’utilizzo, le norme base di prudenza come per gli operatori professionali.

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NUOVI MANUALI INAIL: TRANSPALLET, MANUTENZIONE, TUBATURE IDRICHE

  L inail ha recentemente pubblicato ed aggiornato questi interessanti manuali e documenti , un prezioso strumento per chi si occupa di sicurezza

  1. I transpallet manuali: approfondisce le principali misure di prevenzione atte ad impedire il verificarsi di infortuni e/o incidenti che vedano il coinvolgimento di transpallet manuali;
  2. La manutenzione per la sicurezza sul lavoro e la sicurezza nella manutenzione: che tratta il tema dei problemi specifici che si pongono dove le operazioni di manutenzione sono esternalizzate con affidamento in appalto. In tal caso si aggiungono i rischi da interferenza dovuti alla compresenza di lavoratori di più imprese. Il lavoro manutentivo sottopone i lavoratori che lo fanno a rischi superiori a quelli cui sono sottoposti gli altri. La pubblicazione è utile per i lavoratori della manutenzione nonché per i loro datori di lavoro e committenti;
  3. Rimozione in sicurezza delle tubazioni idriche interrate in cemento amianto: le istruzioni operative sono state elaborate al fine di indicare una procedura di intervento in sicurezza, omogenea a scala nazionale, ai fini della tutela dei lavoratori del settore e degli ambienti di vita;
  4. Infor.MO, Approfondimento delle dinamiche, dei fattori di rischio e delle cause – Schede: obiettivo delle schede informative pubblicate è quello di analizzare le principali modalità di accadimento degli infortuni mortaliriportando, per la tematica analizzata, le principali caratteristiche descrittive, l’analisi puntuale delle dinamiche infortunistiche e, a partire dai fattori di rischio evidenziati, alcune delle possibili misure preventive da adottare per ridurre il rischio di infortuni.

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PIÙ SICUREZZA SUI CANTIERI IN PIEMONTE

Migliorare la sicurezza sul lavoro nei cantieri edili è l’obiettivo che si pone un protocollo d’intesa, firmato il 10 maggio dall’assessore alla Sanità della Regione Piemonte e dai vertici di Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, che rappresenta un importante passo in avanti verso la legalità e la trasparenza, la riduzione del rischio di infortuni e incidenti gravi, l’insorgenza di malattie professionali.

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Sarà infatti più semplice e immediato lo scambio dei dati sui cantieri avviati in Piemonte fra gli Spresal (Servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) delle Asl e gli organismi paritetici e bilaterali del settore edile (Casse edili, Scuole edili Cpt, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza). Questa condivisione di informazioni consentirà una più efficace programmazione degli interventi e permetterà di individuare in modo puntuale le situazioni che possono presentare particolari criticità, sia dal punto di vista della sicurezza che del rispetto delle norme contrattuali, anche attraverso l’incrocio dei dati con Inps, Inail e Casse edili. Verrà anche agevolato il monitoraggio dell’andamento del settore e delle tipologie di lavoratori impiegati.

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Gli aspetti legati alla prevenzione e alla formazione saranno approfonditi in appositi tavoli tecnici. In particolare, è prevista l’organizzazione di incontri con medici competenti, datori di lavoro e responsabili della sicurezza per una corretta valutazione dei rischi e una migliore sorveglianza sanitaria. I servizi Spresal delle Asl e il sistema bilaterale edile si occuperanno inoltre di promuovere campagne informative rivolte a tutte le figure del settore.

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AUTORIZZAZIONE PONTEGGI: LA NUOVA CIRCOLARE

I titolari di autorizzazioni ministeriali dovranno trasmettere al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali apposite istanze di rinnovo delle autorizzazioni in corso, corredando tale richiesta da una copia delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate dall’Amministrazione, da una dichiarazione resa dal legale rappresentante, ai sensi del DPR n. 445/2000, circa il mantenimento dei requisiti di sicurezza del ponteggio e da una dichiarazione, anch’essa resa ai sensi del DPR n. 445/2000, da cui risulti che la produzione del ponteggio è tuttora in corso.

Al fine di definire le norme tecniche specifiche, riguardanti i ponteggi fissi di cui agli articoli 131 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008 e provvedere all’aggiornamento delle istruzioni per la costruzione e l’impiego dei ponteggi innanzi richiamati, la Direzione Generale del Ministero del Lavoro ha recentemente costituito un apposito Gruppo di lavoro tecnico composto da rappresentanti dell’Amministrazione, del Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dell’INAIL e dell’Istituto per le tecnologie della costruzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Nelle more della definizione delle nuovi norme specifiche, il titolare dell’autorizzazione ministeriale dovrà trasmettere al Ministero del Lavoro una apposita istanza di rinnovo delle autorizzazioni stesse, corredando la richiesta da una copia delle singole autorizzazioni a suo tempo rilasciate dal ministero e da una dichiarazione resa dal legale rappresentante, ai sensi del DPR n. 445/2000, circa il mantenimento dei requisiti di sicurezza del ponteggio nonché da una dichiarazione, anch’essa resa ai sensi del medesimo DPR n. 445/2000, dalla quale risulti che la produzione del ponteggio è tuttora in corso.

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nuova circolare ponteggi

L’istanza dovrà pervenire alla direzione generale del Ministero del Lavoro entro il 15 giugno 2018, al seguente indirizzo pec: dgrapportilavoro.div3@pec.lavoro.gov.it.

Nel caso di istanze di rinnovo già presentate all’Amministrazione precedentemente all’adozione della circolare n. 10 del 28 maggio 2018, le stesse dovranno essere integrate secondo le istruzioni ed entro il medesimo termine riportate nella stessa circolare.

È precisato, poi, che l’autorizzazione ministeriale si intenderà automaticamente revocata nei confronti del titolare dell’autorizzazione medesima qualora, per quest’ultima, non sia stata trasmessa regolare istanza di rinnovo entro il richiamato termine del 15 giugno 2018.

Pertanto, nelle more che siano elaborate le nuove indicazioni tecniche applicabili ai ponteggi metallici, le autorizzazioni per le quali sia stata regolarmente presentata istanza di rinnovo saranno decise sulla base delle indicazioni tecniche attualmente vigenti.

In allegato il testo integrale della Circolare 28 maggio 2018, n. 10.

A cura di Redazione LavoriPubblici

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