CANCEROGENI E MUTAGENI

NUTRIZIONE E CANCRO

Segnalo un interessante sito web americano dell’NIH-National Cancer Institute .

L ‘NIH-National Cancer Institute ha un sito web per nutrizione per la cura del cancro per i pazienti che sono raccomandazioni generalizzate e non personalizzate per l’indicazione e il trattamento del cancro.

link: https://www.cancer.gov/about-cancer/treatment/side-effects/appetite-loss/nutrition-pdq

IMPATTO AMBIENTALE E LINFOMI

da dottnet.it

Durante il Convegno Nazionale AIL “Impatto ambientale e rischio sanitario”, abbiamo intervistato Vincenzo Pavone, Responsabile Ematologia e Trapianto Azienda Ospedaliera Panico di Tricase, che ci ha parlato di come prevenire il rischio di sviluppare malattie oncologiche a causa dell’ambiente: “Osserviamo negli ultimi anni l’incidenza incrementata di patologie neoplastiche del sistema, soprattutto di linfomi e mielomi. Una serie di studi dimostrano che l’incidenza è data dal tipo di vita lavorativa e dall’uso di sostanze chimiche, oppure la vicinanza a sorgenti di radiazioni ionizzanti ed eletromagnetiche, che possono danneggiare il DNA”.

DOTTNET | 05/05/2023

NUOVE SPERANZE PER IL MESOTELIOMA PLEURICO: IMMUNOTERAPIA E CHEMIOTERAPIA ASSOCIATE

da Pharmastar.it

In questa intervista, la Prof.ssa Giulia Pasello (ricercatrice in Oncologia all’Università di Padova e Dirigente medico dell’Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova) e il Dott. Alessandro Morabito (Direttore dell’UOC di Oncologia Clinica Sperimentale Toraco-Polmonare dell’Istituto nazionale Tumori ‘Fondazione G. Pascale’ di Napoli) parlano del mesotelioma e dei risultati e dell’importanza dello studio di fase 3 IND.227/KEYNOTE-483, presentato al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) durante la sessione orale dedicata ai tumori toracici.
Il trial ha valutato l’uso dell’immunoterapia con l’anti-PD-1 pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia con platino e pemetrexed come trattamento di prima linea per i pazienti con mesotelioma pleurico avanzato o metastatico non operabile, dimostrando che pembrolizumab in aggiunta alla chemioterapia prolunga la sopravvivenza di questi pazienti.

AGENTI CANCEROGENI: OLI MINERALI USATI NEI MOTORI A SCOPPIO E FUMI DI DIESEL.

Alessandro Guerri Medico Specialista in Medicina del Lavoro .

Sono state apportate ulteriori modifiche al Testo Unico D.Lgs. 81/08 nella sezione “agenti cancerogeni”, con l’aggiunta di nuove lavorazioni a specifico rischio cancerogeno. Per le attività svolte in officine di riparazione meccaniche sono stati aggiunti nuovi lavori a rischio cancerogeno, tra cui quelli che comportano la penetrazione cutanea degli oli minerali utilizzati nei motori a combustione interna per lubrificare e raffreddare le parti mobili all’interno del motore. Inoltre, a partire dal 21/02/2023, sarà necessario dimostrare che l’esposizione lavorativa alle emissioni di gas di scarico dei motori diesel sia inferiore a 0.05 mg/m3.

Si tratta di agenti cancerogeni accertati: gli esami condotti dall’IARC ( https://www.iarc.who.int/)hanno classificato il rischio di tumore al polmone come accertato per i gas di scarico dei motori diesel, mentre gli oli utilizzati sono stati classificati come cancerogeni accertati per le neoplasie cutanee e altri tipi di tumore.

Data la pericolosità e l’impossibilità di eliminare completamente tali esposizioni, è fondamentale valutare correttamente il rischio e applicare tempestivamente misure di prevenzione e protezione, considerando il tipo di lavoro svolto.Per la valutazione del rischio, la legge prevede che il datore di lavoro valuti le concentrazioni presenti in ambiente di lavoro tramite campionamenti specifici, al fine di dimostrare il rispetto dei limiti previsti per le emissioni di gas di scarico.

Elenchiamo alcune misure di protezione attuabili sin da ora per ridurre o eliminare l’esposizione ad agenti cancerogeni: Per gli oli minerali, è obbligatorio utilizzare rigorosamente e correttamente guanti in nitrile durante tutte le attività a rischio di contatto con oli esausti (cambio motore, gestione rifiuti, ecc.), rispettando le norme igieniche, effettuando una corretta pulizia degli indumenti da lavoro (tute, ecc.) e gestendo adeguatamente gli stracci usati per pulirsi e pulire i pezzi.

Per le emissioni di gas di scarico, in tutte le attività di prova motore o nelle riparazioni che prevedono l’accensione, il riscaldamento del motore e quindi la produzione di emissioni all’interno dell’officina, è obbligatorio utilizzare un sistema di aspirazione collegato direttamente al tubo di scappamento che possa espellere i gas di scarico all’esterno dell’ambiente di lavoro.

Non è sufficiente lavorare a portoni aperti.

È importante fornire formazione, informazione e addestramento ai lavoratori sulle misure di protezione da adottare e sulla corretta gestione degli agenti cancerogeni.

Infine, è opportuno effettuare una sorveglianza sanitaria per il rischio chimico non irrilevante per la salute e mantenere un registro degli esposti ad agenti cancerogeni.In questo modo, è possibile ridurre il rischio di esposizione ad agenti cancerogeni e tutelare la salute dei lavoro.

GLI IPA AUMENTANO IL RISCHIO DI ARTRITE REUMATOIDE.

Secondo uno studio pubblicato su BMJ Open, l’esposizione ambientale ad idrocarburi policiclici aromatici (PAH) è strettamente legata all’aumento del rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. Queste sostanze chimiche sono prodotte dalla combustione di diversi materiali come carbone, petrolio, gas, legno e tabacco, ma anche dalla grigliatura alla fiamma di cibi come carne e altri alimenti. Lo studio ha inoltre rilevato che l’esposizione ai PAH rappresenta la maggior parte dell’impatto del fumo sul rischio di sviluppare la malattia.

Michelle Beidelschies, del Center for Functional Medicine di Cleveland Clinic negli USA e autrice principale dello studio, ha spiegato che sebbene ci siano già prove che legano alcune sostanze tossiche ad alcune malattie croniche, sono stati pochi gli studi che hanno esplorato l’associazione tra queste sostanze e malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide, che si crede dipenda dall’interazione tra fattori genetici, ambientali come il fumo, l’alimentazione e lo stile di vita.

Per comprendere meglio il ruolo dell’esposizione ambientale nel rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, i ricercatori hanno esaminato i dati di 21.987 adulti, di cui 1.418 affetti dalla malattia e 20.569 senza, che avevano partecipato al National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES). Lo studio ha preso in considerazione una vasta gamma di sostanze tossiche, tra cui i PAH, i PHTHTE (sostanze chimiche utilizzate nella produzione di plastica e altri prodotti di consumo) e i COV (composti organici volatili derivanti da vernici, detergenti e pesticidi). Sono stati prelevati campioni di sangue e urina per misurare la quantità totale di PAH (7.090 partecipanti), PHTHTE (7.024) e COV (7.129) nel corpo.

I risultati dello studio hanno mostrato che le probabilità di sviluppare l’artrite reumatoide sono più alte tra le persone che hanno livelli più elevati di PAH nel corpo, indipendentemente dal fatto che fossero fumatori o meno. Al contrario, i metaboliti PHTHTE e COV non sono stati associati ad un aumento del rischio di artrite reumatoide, e neanche il fumo è risultato essere associato ad un aumento del rischio, dopo aver tenuto conto dei livelli di PAH. Ulteriori analisi hanno dimostrato che il livello corporeo di PAH rappresenta il 90% dell’impatto dell’esposizione al fumo sul rischio di artrite reumatoide.

dott. Alessandro Guerri medico , specialista in Medicina del Lavoro

fonti :

BMJ Open 2023. Doi: 10.1136/bmjopen-2022-071514http://doi.org/10.1136/bmjopen-2022-071514.

doctot33.it

ANCORA TROPPO NEOPLASIE PROFESSIONALI IN LOMBARDIA

da “il giorno”

Sono 38.560 i lavoratori esposti o che hanno lavorato a contatto con sostanze cancerogene. Il problema legato ad amianto, cobalto, cadmio e polvere di legno duro. Un lavoratore (foto di repertorio)Un lavoratore (foto di repertorio)Sono oltre 38mila i lavoratori in Lombardia esposti o che hanno lavorato a contatto con sostanze cancerogene, il numero più elevato nel contesto nazionale. È quanto emerge dal Sistema informativo di registrazione delle esposizioni professionali (Sirep) dell’Inail, che raccoglie i flussi pervenuti dai datori di lavoro. L’articolo 243 del decreto legislativo 81/2008 prevede, infatti, che i lavoratori esposti al rischio di sviluppare neoplasie correlate al contatto con sostanze impiegate nel proprio lavoro siano iscritti in un registro istituito dal datore di lavoro, in cui viene riportata l’attività svolta, l’agente cancerogeno utilizzato e, se noto, il valore dell’esposizione a tale agente. I flussi informativi sono raccolti nel Sirep, per il monitoraggio delle malattie professionali di grande rilevanza per ragioni epidemiologiche, medico-legali, storiche e sociali.

rapporto appena pubblicato dall’Inail, che ha estrapolato i dati del periodo 1994 e 2021, emerge come in Lombardia siano 3.239 le unità produttive e 38.560 i lavoratori coinvolti, per un totale di 80mila esposizioni registrate. Il numero di lavoratori è il più elevato in Italia (al secondo posto il Veneto con circa 34mila) così come quello delle unità produttive (poco meno di 2.800 in Veneto), mentre il numero di esposizioni è leggermente inferiore alle 90mila del Veneto, ma le misurazioni (i campionamenti personali o ambientali) sono la metà (72mila in Lombardia, 114mila in Veneto).

Tra le province lombarde, a Milano si rileva il maggior numero di lavoratori esposti a sostanze cancerogene (8.375), seguita da Bergamo (6.467) e Como (5.413); sono 4539 a Brescia, 1.071 a Lecco e 451 a Sondrio. Il maggior numero di misurazioni è a Milano (16.534) e Bergamo (14.665). In generale, sono le aziende più grandi ad apportare il maggior numero di dati. Il dossier rileva che “la loro costante diminuzione non ha inciso sul monitoraggio mentre ha sicuramente inciso sui grandi Servizi salute e sicurezza che al loro interno producevano indagini di igiene industriale, campionamenti e analisi propri.

Polvere di legno duro, cromo, benzene, nichel composti, formaldeide, amianto, cobalto, polvere di silice e idrocarburi sono le sostanze a cui sono esposti i numeri più elevati; la regione è al primo posto in Italia per unità produttive e lavoratori esposti a polvere di legno, amianto, idrocarburi policiclici aromatici, cobalto, cadmio. “Per il lento manifestarsi del fenomeno causa-effetto – spiega Stefano Signorini, direttore del Dipartimento di igiene del lavoro e ambientale dell’Inail – l’esposizione ad agenti cancerogeni non permette un’immediata correlazione con le cause lavorative, per cui la sorveglianza sanitaria diventa essenziale per la definizione degli interventi di prevenzione”.

AGENTI CHIMICI PERICOLOSI – ISTRUZIONI PER I LAVORATORI EDIZIONE 2023.

Da Inail.it

L’opuscolo, aggiornato rispetto all’edizione precedente, contiene una sintesi dei regolamenti REACH, CLP, SDS e fa riferimento al d.lgs. 81/2008 e s.m.i.

Immagine Agenti chimici pericolosi - Istruzioni ad uso dei lavoratori

Approfondendo tematiche come la valutazione e gestione del rischio chimico, i valori limite di esposizione professionale, i DPI, la segnaletica di sicurezza, l’informazione e formazione e la sorveglianza sanitaria.


Prodotto: Opuscolo
Edizioni Inail – 2023
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

LAVORO NOTTURNO E TUMORE AL SENO: SENTENZA STORICA IN FRANCIA.

da dottnet.it

A distanza di 14 anni, il Consiglio dei Medici francese ha stabilito il legame diretto tra la patologia contratta dall’infermiera e la gran quantità di turni di notte svolti durante il servizio

Una sentenza storica in Francia che potrebbe avere ripercussioni anche nel resto dell’Europa. Per la prima volta è stato riconosciuto un legame diretto tra il lavoro notturno e il rischio di sviluppare tumori al seno per le donne. Lo ha stabilito afine marzo il Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici francese, che ha esaminato il caso di un’ex infermiera (ora in pensione) dell’ospedale di Sarreguemines, piccolo comune transalpino situato al confine con la Germania.

Nel corso dei suoi 28 anni trascorsi nei reparti di cardiologia e ginecologia, l’infermiera Martine (nome di fantasia), riporta il Messaggero, oggi 61enne, ha trascorso in totale 873 turni di lavoro notturno. Nel 2009, a 48 anni, ha chiesto e ottenuto dalla direzione ospedaliera di lavorare soltanto di giorno, poco prima di scoprire di essere afflitta da un tumore al seno. A distanza di 14 anni, il Consiglio dei Medici francese ha stabilito il legame diretto tra la patologia contratta dall’infermiera e la gran quantità di turni di notte svolti durante il servizio. Il suo tumore, in altre parole, è annoverabile come malattia contratta sul posto di lavoro. Una sentenza storica, grazie alla quale la donna potrà chiedere un risarcimento all’assicurazione sanitaria. Cosa in precedenza negata ad altre due sue colleghe in passato.

La causa legale di Martine è stata sostenuta da un’ex infermiera della regione francese della Mosella (dove si trova il comune di Sarreguemines), Josiane Clavelin, ora sindacalista di categoria, che ha testimoniato: «Ho lavorato in pediatria, un servizio di pronto soccorso, e regolarmente un radiologo entrava nella stanza per fare i raggi X. Con le conseguenze che questo può avere. Allo stesso tempo, ho notato che emergevano molti più tumori al seno nel personale infermieristico che lavorava turni notturni».

Accompagnata da medici nucleari, epidemiologi, medici del lavoro, Clavelin ha redatto un questionario di 124 domande distribuito in tutti gli ospedali della Mosella, rivolto a circa 700 persone, congedando tutto il personale ospedaliero che correva il rischio di sviluppare un cancro a causa degli orari di lavoro. «La comunità scientifica ha stabilito che il lavoro notturno e l’inversione di ritmo sonno-veglia hanno conseguenze sulla salute, con un possibile aumento dei tumori al seno», ha dichiarato Clavelin.

Il fatto è stato confermato da un rapporto, pubblicato a marzo 2016, dell’Agenzia nazionale francese per la salute e la sicurezza alimentare, l’ambiente e il lavoro (ANSES), intitolato “Valutazione dei rischi per la salute connessi al lavoro notturno”. A pagina 124 si legge: «I lavoratori notturni devono sopportare condizioni di lavoro molto più difficili rispetto agli altri dipendenti. I principali studi hanno dimostrato l’esistenza di associazioni statistiche, generalmente deboli, tra cancro al seno e turni di notte».

Un anno fa i  ricercatori dell’Università Paris-Saclay, con i loro colleghi dell’Inserm e dell’Inrae, pubblicarono i risultati di questa ricerca su Nature Communications: l’interruzione del ritmo circadiano, quindi del ritmo-sonno veglia, può aumentare il rischio di cancro al seno.  Il tumore al seno è la forma di cancro più comune tra le donne. Nella maggior parte dei casi, i vari fattori di rischio sono comportamentali e legati, per esempio, a una cattiva alimentazione o al consumo di alcol, a fattori ormonali correlati all’assunzione di una pillola contraccettiva o a trattamenti ormonali in menopausa, oltre che a fattori ambientali come l’inquinamento atmosferico o le modifiche dei cicli luce/buio.

In uno lavoro condotto sui topi gli studiosi hanno sottoposto gli animali a un jet lag continuo che riproduceva un cambio di ritmo di lavoro tra il giorno e la notte.  E’ grazie a questa attività sperimentale che hanno osservato come il disturbo circadiano abbia avuto un impatto significativo sullo sviluppo di tumori al seno. Questa interruzione del ritmo sonno/veglia ha aumentato la diffusione delle cellule tumorali e la formazione di metastasi. E’ stato notato come la maggiore espressione della una chemochina nei tumori, porti a una maggiore infiltrazione di alcune cellule mieloidi che permettono lo sviluppo di un microambiente che sopprime il sistema immunitario.

Gli effetti negativi possono essere però corretti con l’uso di un inibitore e quindi limitare l’effetto dello stress circadiano sulla progressione del tumore. Queste ricerche sperimentali, secondo gli studiosi, rafforzano i risultati di studi epidemiologici che dimostrano che le donne in pre-menopausa esposte per lunghi periodi a cambi del loro ritmo di lavoro, sarebbero particolarmente esposte a tumori mammari più aggressivi.

PFAS NELLA CARTA IGIENICA

da Agi.com

La carta igienica è tossica e inquina? Per il momento i suoi rotoli sono sotto osservazione in tutto il mondo, perché un recente studio ha stabilito che “la carta igienica dovrebbe essere considerata come una fonte importante di Pfas che entra nei sistemi di trattamento delle acque reflue”.

Pfas, nella fattispecie, sono sostanze perfluoroalchiliche, dette anche acidi perfluoroacrilici, che appartengono ad una famiglia di composti chimici molto utilizzati dall’industria. Ovvero, acidi forti, resistenti ai principali processi naturali di degradazione. Di fatto, sono “una classe di circa 14.000 sostanze chimiche tipicamente utilizzate per rendere migliaia di prodotti di consumo resistenti all’acqua, alle macchie e al calore” e che possono essere portatori di cancro, complicazioni fetali, malattie del fegato, malattie renali, malattie autoimmuni e comportare altri gravi problemi di salute.

Lo studio ha analizzato 21 tra i principali marchi di carta igienica nel Nord America, in Europa occidentale, Africa, America centrale e Sud America, senza menzionare nello specifico i loro nomi, ma scoprendo che le sostanze tossiche Pfas contenute nella carta igienica una volta che finiscono “negli impianti di trattamento delle acque reflue probabilmente creano una fonte significativa di inquinamento idrico”.

Il rapporto dell’Università della Florida, sottolinea il Guardian, non ha tuttavia preso in considerazione “le implicazioni per la salute delle persone che si puliscono con carta igienica contaminata”, anche perché non esiste alcuna ricerca su come queste sostanze possano essere assorbite epidermicamente.

Però vale sicuramente la pena indagare”, afferma David Andrews, scienziato senior dell’Environmental Working Group, organizzazione no-profit per la salute pubblica che monitora l’inquinamento da Pfas. I marchi che utilizzavano carta riciclata contenevano tanto Pfas quanto quelli che non la utilizzavano, al punto che “potrebbe essere che non si possa evitare il Pfas nella carta igienica”, ha affermato Jake Thompson, autore principale dello studio dell’Università della Florida.

“Non c’è fretta di cambiare la carta igienica e non sto dicendo che le persone dovrebbero smettere di usarla o ridurne la quantità”, ha poi aggiunto, ma il punto è che “stiamo identificando un’altra fonte di Pfas e ciò mette in evidenza che le sostanze chimiche sono comunque onnipresenti”.

Tuttavia, sostiene il Guardian, i livelli di Pfas rilevati “sono sufficientemente bassi da suggerire che le sostanze chimiche vengano utilizzate nel processo di produzione per evitare che la pasta di carta si attacchi ai macchinari”, come evidenziato dallo stesso Thompson, anche perché sono spesso usati come lubrificanti nel processo di produzione e alcuni dei prodotti chimici “sono comunemente lasciati sui o nei generi di consumo”.

Secondo la ricerca, l’americano medio utilizza 57 libbre di carta igienica all’anno e più di 19 miliardi di libbre di carta igienica vengono “scaricate” ogni anno nei gabinetti degli Stati Uniti.

AGENTI CANCEROGENI E MUTAGENI.

da Inail (Aggiornato il 23/02/2023)

Sono diverse centinaia gli agenti, identificati dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), classificabili come cancerogeni, probabilmente cancerogeni o possibilmente cancerogeni per l’uomo. Esistono agenti cancerogeni e/o mutageni fisici, biologici e chimici; la presente area tematica è dedicata in maniera specifica agli agenti chimici, ad esclusione del radon e dell’amianto, per i quali si rimanda alle specifiche sezioni. Gli agenti cancerogeni e mutageni sono in grado di provocare alterazioni genetiche e neoplasie nei soggetti esposti. Il tema dell’epidemiologia dell’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni in ambito professionale e delle neoplasie correlate è complesso per diverse ragioni, fra le quali il lungo periodo di latenza tra esposizione ed insorgenza dei sintomi patologici, la multifattorialità nell’eziopatogenesi tumorale che non consente di isolare facilmente il rischio esclusivamente professionale e la difficoltà nel redigere anamnesi accurate. Sostanze o miscele cancerogene e/o mutagene sono presenti in diversi settori: le si può trovare come materie prime (es. agricoltura, industria petrolchimica e farmaceutica, trattamenti galvanici, laboratori di ricerca) o come sottoprodotti derivati da alcune attività (es. saldatura degli acciai inox, asfaltatura stradale, produzione della gomma). La normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008 e s.m.i.) contiene prescrizioni specifiche e rigorose per la tutela dei lavoratori potenzialmente esposti ad agenti cancerogeni e mutageni, considerata la loro pericolosità per la salute umana. Queste, in sintesi, le principali informazioni disponibili all’interno dell’area:

  • cosa si intende per agenti cancerogeni e mutageni;
  • quali sono gli agenti chimici classificati come cancerogeni e mutageni e come identificarli;
  • come effettuare la valutazione del rischio da esposizione a tali agenti;
  • come tutelare la salute dei lavoratori esposti;
  • quali sono gli ambienti di lavoro maggiormente a rischio di esposizione a tali agenti.

ALLEGATI