OCULISTICA E LAVORO

STRESS E SINDROME DELL’OCCHIO SECCO

Questo studio è stato condotto per valutare la prevalenza e i fattori di rischio della sindrome dell’occhio secco (DED) tra i lavoratori paramedici in un ospedale universitario in Corea. Per questo motivo lo studio trasversale ha incluso 566 paramedici in un ospedale universitario in Corea.

I sintomi dell’occhio secco sono stati valutati usando un questionario con 9 domande e “DED” è stato definito come avere uno o più sintomi dell’occhio secco spesso o continuamente. Sono stati inoltre valutati i  dati demografici ed eventuali altri potenziali fattori di rischio di DED. Lo stress psicologico è stato misurato utilizzando VAS e questionari sulla scala di stress 4 (PSS-4). Dei 566 paramedici, 232 (35 maschi e 197 femmine) hanno completato il sondaggio. La prevalenza di DED era del 42,7% (99/232). L’analisi univariata ha rivelato che i punteggi di sesso femminile (P <0,001), uso prolungato del computer (P = 0,003) e stress VAS (P <0,001) e PSS-4 (P = 0,009) più elevati avevano una significativa associazione con DED.

Nell’analisi multivariata, la DED aveva un’associazione significativa con il sesso femminile (P = 0,003) e lo stress VAS (P = 0,013) dopo aggiustamento per il sesso, la durata dell’uso del computer e lo stress VAS, e aveva un’associazione significativa con il sesso femminile (P = 0,003) e durate dell’uso del computer (P = 0,029) dopo aggiustamento per sesso, durata dell’uso del computer e punteggio PSS-4. In conclusione, DED era prevalente tra i paramedici in Corea. Il suo rischio è aumentato tra donne e lavoratori con aumentato stress psicologico. L’uso prolungato del computer era probabilmente associato a DED.

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Da nature.com

Liberamente tradotto ed adattato da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

OCCHIO SECCO NELL’AREA METROPOLITANA MILANESE

Da Adnkronos

Occhio secco epidemia metropolitana, o meglio ancora padana. L’overdose digitale – con una tecno-dipendenza da computer, tablet e smartphone che supera le 6 ore al giorno – l’abuso di aria condizionata o riscaldamentoe lo smog ‘asciugano la vista’ al 75% degli italiani, con punte dell’83% fra chi abita in Pianura padana. E’ quanto emerge da uno screening nazionale che ha coinvolto 745 persone di 11 regioni della Penisola, sottoposte a controlli gratuiti nei 16 centri che lungo lo Stivale hanno aderito alla quarta campagna di prevenzione e diagnosi promossa dal Cios (Centro italiano occhio secco) di Milano diretto da Lucio Buratto, in collaborazione con la clinica Oculistica dell’università dell’Insubria di Varese diretta da Claudio Azzolini.

Risultati immagini per occhio secco

I risultati dell’iniziativa, patrocinata da ministero della Salute e Soi (Società oftalmologica italiana) vengono diffusi nel capoluogo lombardo insieme a quelli della prima campagna di prevenzione e diagnosi del cheratocono, che sempre con il patrocinio di ministero e Soi ha permesso di valutare 317 persone in 21 centri, ancora sotto l’egida di Buratto quale direttore del Camo (Centro ambrosiano oftalmico), con Neovision e in collaborazione con le università di Verona e di Chieti-Pescara. Ne è emerso che quasi 2 italiani su 10 soffrono o potrebbero ammalarsi di questa patologia progressiva della cornea, tipica dell’adolescenza e associata – se non trattata – a un crollo della capacità visiva.

“Quest’anno abbiamo organizzato tre campagne di diagnosi e prevenzione contro maculopatia diabetica (gennaio), occhio secco (maggio-giugno) e cheratocono (settembre-ottobre)”, ricorda Buratto, direttore scientifico di Cios e Camo. “E’ stato impegnativo, ma grazie alla collaborazione con università e centri d ricerca e con il sostegno delle istituzioni, in primis il ministero della Salute, abbiamo raggiunto ottimi risultati ed è stato centrato l’obiettivo: aiutare le persone a vivere meglio, diffondendo la cultura della prevenzione. Tutti gli esami sono stati completamente gratuiti – precisa l’esperto – e le tecnologie a disposizione all’avanguardia nel mondo della diagnostica”, anche con l’impiego di test genetici (test Avellino) e intelligenza artificiale per stanare il cheratocono.

Tra i fattori di rischio per l’occhio secco si confermano età (gli over 50 sono più colpiti), sesso (donne più esposte), alterazioni ormonali, malattie sistemiche, fumo e alcol. “Ma insieme a questi, e con un’incidenza sempre maggiore nell’insorgenza della sindrome – sottolineano gli specialisti – ci sono l’inquinamento atmosferico, il lavoro in ambienti con aria condizionata oppure molto ventilati o secchi, e l’uso prolungato di dispositivi dotati di schermo luminoso“. Condizioni che alterano la funzionalità lacrimale e che sono “riscontrabili nelle grandi città metropolitane, soprattutto del Nord, in percentuale doppia rispetto alle altre zone d’Italia”.

Per l’analisi dei dati raccolti grazie alla campagna sull’occhio secco, considerando anche la distribuzione dell’inquinamento sul territorio nazionale sono state individuate due categorie: informazioni provenienti dai centri situati in Pianura padana (gruppo A – Milano, Varese, Torino e Padova), o da altri territori (gruppo B – Napoli, Arezzo, Pisa, Bari, Catania, Sassari e Lecce). Si quindi calcolato che nel gruppo A più del 20% dei pazienti trascorre oltre 6 ore al giorno in un ambiente condizionato, contro meno del 10% nel gruppo B. Anche l’uso della tecnologia per più di 6 ore al giorno è maggiore nel gruppo A (47%) rispetto al B (33%). “Di fronte agli schermi luminosi – avvertono gli esperti – si tende a sbattere le palpebre (ammiccamento) molto meno frequentemente, con una ridotta produzione di lacrime e un’eccessiva evaporazione” che ‘desertificano’ l’occhio.

“L’aumento dei casi di secchezza oculare che si è registrato negli ultimi anni – aggiungono gli specialisti – è correlato anche alla crescita esponenziale dei casi di allergia“, riscontrata nel 18% dei pazienti di entrambi i gruppi A e B. Quanto infine alle patologie sistemiche, dagli screening condotti, solo per le tiroiditi il campione B conta più pazienti (20%) rispetto all’A (11%).

Immagine correlata

Dalla campagna dedicata al cheratocono è emerso invece che l’82% delle persone visitate non presenta alterazioni riconducibili alla patologia, il 10% mostra alterazioni sospette e l’8% modifiche corneali spia di un cheratocono già evidente e mai diagnosticato in precedenza. Un 18% che, riguardando una malattia di giovani e giovanissimi, desta negli addetti ai lavori “una certa preoccupazione”.

Nell’occhio affetto da cheratocono la cornea si assottiglia e cambia foggia. Spesso diventa miope, ma è l’astigmatismo irregolare a disturbare maggiormente la visione restituendo immagini sfocate e deformate. La patologia può esordire fin dalla pubertà e, se non viene immediatamente diagnosticata, diventa difficile da curare. Individuare precocemente il problema permette invece di trattarlo con il Cross linking, una tecnica para-chirurgica che si è dimostrata efficace nel rallentare e in molti casi fermare l’evoluzione del cheratocono. Si tratta di applicare sulla cornea un farmaco chiamato riboflavina, successivamente attivato da una luce ultravioletta Uva. L’azione combinata stimola la cornea a rinforzare i legami fra i tessuti che la compongono.

Commenta Buratto: “Gli screening hanno evidenziato come la sindrome dell’occhio secco sia una patologia in continuo aumento nella nostra società, in particolare nei grossi centri urbani e in maniera molto evidente nella Pianura padana, mentre il cheratocono è una grave patologia che colpisce in prevalenza gli adolescenti. Non ha un’incidenza altissima, ma se non diagnosticata può diventare un serio problema risolvibile solo con il trapianto di cornea. Per queste e altre patologie dell’occhio, e non solo – ammonisce l’esperto – la via maestra è quella della prevenzione. Una sempre più stretta collaborazione tra medici, ricercatori e istituzioni, in un’ottica di Welfare Community, è il modo migliore per garantire una diagnostica di alta qualità alle persone e per evitare impegni più gravosi in futuro”.

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OCCHIO SECCO : NON SOLO PER I VIDEOTERMINALI

E’ una disfunzione delle ghiandole presenti all’interno della palpebre la causa dell’occhio secco. E, a contribuire a questo problema molto diffuso tra gli adulti e anche nei giovani portatori di lenti a contatto, è anche un’alimentazione particolarmente povera di lipidi. A fare il punto sulle nuove conoscenze che emergono sulle ghiandole di Meibomio e sulle ripercussioni del loro mal funzionamento, è il 99/mo Congresso Nazionale Società Oftalmologica Italiana (Soi).

I fattori che possono diminuire l’efficienza di queste ghiandole, incaricate di secernere la sostanza grassa che riduce l’evaporazione delle lacrime, sono diversi e il primo è l’età.  “Con le modifiche ormonali dell’invecchiamento – spiega Pasquale Troiano, direttore Uoc di Oculistica dell’Ospedale Fatebenefratelli Sacra Famiglia di Erba e presidente del Comitato Tecnico Scientifico Soi – decade il ricambio dei meibociti. Questo è particolarmente evidente per la ridotta popolazione di cellule staminali associata a queste ghiandole”. Vi sono poi una serie di fattori che possono influire, come “bassa umidità, l’aumento della velocità dell’aria, l’uso di lenti a contatto, l’aumentato intervallo di ammiccamento tipico durante l’uso di video e gli interventi chirurgici oculari. Ma anche una dieta troppo povera di lipidi”.

Oltre a correggere questi fattori, il trattamento della disfunzione di queste ghiandole è basato prevalentemente su approcci fisici e meccanici. “La supplementazione di lipidi sia locali (colliri lipidici, spray con liposomi) sia a livello sistemico, può avere un ruolo importante. Inoltre, il rosiglitazone e altri farmaci tiazolidinedioni usati per il trattamento del diabete non insulino dipendente sembrano in grado di stimolare la sintesi di lipidi”. Intervenire è importante anche perché le conseguenze dell’occhio secco, conclude Troiano, “ricadono negativamente sui risultati attesi di chirurgia oculare, ad esempio nei pazienti con cataratta candidato all’impianto di lenti intraoculari ad alta tecnologia”. 

Da dottnet.it

PRIME VISITE OCULISTICHE IN 5 G

Da 01health.it

Dalla collaborazione tra due istituti del Regno Unito e dall’impiego in campo medico delle ultime tecnologie delle telecomunicazioni, arriva uno dei primi esempi di “tele-visita” oftalmologica al mondo: l’esame a distanza di un occhio effettuato in streaming dal vivo usando uno smartphone 5G.

È stato il sistema di test di tele-oftalmologia sperimentato dall’Università di Strathclyde di Glasgow e dal NHS Forth Valleyscozzese a spianare la strada a questa prova pionieristica. Il sistema utilizza un feed video in diretta per collegare in modo sicuro medici, ottici e pazienti attraverso una combinazione di tecnologia di stampa 3D sviluppata a Strathclyde e la piattaforma di Video Consultation Attend Anywhere, finanziata dal governo scozzese.

Tale tecnologia in fase di test è stata sfruttata per consentire un tele-esame live utilizzando uno smartphone connesso via 5G collegato a una lampada a fessura portatile che emette un intenso fascio di luce, per fornire un’immagine dal vivo di un occhio.

Il dott. Mario Giardini e il dott. Iain Livingstone con parte dell’apparecchiatura utilizzata nelle consultazioni virtuali

L’esame è stato trasmesso in streaming in diretta dal consulente oftalmologo del NHS Forth Valley Iain Livingstone, durante una conferenza tenutasi alla fine di settembre a Edimburgo, dal direttore dell’innovazione digitale al Moorfields Eye Hospital di Londra, Peter Thomas, che ha usato un’immagine del proprio occhio.

Il dott. Livingstone, ha reso noto il team dell’Università di Strathclyde, è stato in grado di eseguire un esame virtuale, mostrando che un’immagine di qualità abbastanza elevata potrebbe essere trasmessa in tempo reale, aprendo le porte a grandi potenzialità per la telemedicina in futuro.

Il tele-esame ha sfruttato la nuova rete 5G di Londra ed Edimburgo e ha permesso una consulenza completa senza la necessità di una clinica. Il test mette in evidenza come l’emergere della tecnologia 5G possa offrire ampie opportunità per la medicina e l’assistenza sanitaria.

Secondo il Dott. Mario Giardini del Dipartimento di Ingegneria Biomedica dell’Università di Strathclyde, la qualità delle telecomunicazioni di ultima generazione ora consente la trasmissione di immagini molto dettagliate e la telemedicina potrebbe raggiungere presto la stessa chiarezza delle consultazioni di persona, collegando aree remote ai medici e promuovendo l’eguaglianza nell’accesso all’assistenza sanitaria.

INTERVENTO CATARATTA E GUIDA SICURA

Da quotidianosanità.it

14 ottobre – Gli interventi di cataratta contribuiscono a rendere le strade più sicure perché dimezzano incidenti stradali e situazioni a rischio incidente (i cosiddetti ‘near miss’). Lo stabilisce una ricerca australiana appena presentata a San Francisco al congresso dell’American Academy of Opthalmogy. E secondo gli esperti, per definire l’idoneità alla guida dei pazienti più avanti negli anni, andrebbe introdotta, accanto alla tradizionale valutazione dell’acuità visiva, anche una valutazione ‘qualitativa’.

Che la chirurgia della cataratta fosse in grado di restituire ai pazienti il piacere di vedere i colori in tutto il loro splendore e di migliorare la visione notturna è cosa nota da tempo, ma che potesse avere delle ricadute sulla sicurezza stradale non era stato finora dimostrato.

La cataratta è un pegno comune da pagare all’invecchiamento: un 80enne su due presenta questo problema. I colori perdono le loro note vibranti, di notte si vede peggio perché le luci si sfrangiano in mille raggi che disturbano la visione, si fa più fatica a vedere gli oggetti da vicino. Tutto perché il cristallino, che dovrebbe essere limpido come suggerisce il suo nome, si opaca. Il rimedio c’è ed è (almeno per ora) affidato alla chirurgia: il cristallino opacato viene sostituito da una lente artificiale e si torna a vedere. Spesso anche senza occhiali.
Un intervento dai tempi contenuti, che viene effettuato quasi sempre in day hospital, in anestesia locale. Rapido e risolutivo. Ma non tutte le persone con cataratta decidono di affrontarlo.  Qualcuno ritiene che non interferendo troppo con le attività del vivere quotidiano, si possa vivere bene anche senza correggere la cataratta. Ma è davvero così?

Jonathon Nge colleghi della University of Western Australia hanno deciso di oggettivare l’impatto della cataratta sulla qualità di vita, in un contesto particolare: guidare la macchina. A tale proposito hanno arruolato 44 pazienti candidati all’intervento di cataratta e li hanno sottoposti ad un test di guida con un simulatore che proponeva loro varie situazioni:  limiti di velocità, traffico, incroci non controllati e attraversamenti pedonali.
I pazienti venivano nuovamente sottoposti al test di guida simulato dopo l’intervento di cataratta al primo occhio, poi dopo il secondo intervento (in genere viene operato prima un occhio, iniziando con quello con la cataratta più ‘densa’, poi l’altro occhio).
I risultati ottenuti si commentano da soli. Dopo il primo intervento, incidenti e situazioni al limite dell’incidente (i cosiddetti ‘near miss’) sono risultati ridotti del 35%; dopo il secondo intervento si arriva  a ridurli del 48%.

Secondo gli autori dello studio, l’acuità visiva (quella misurata con le tavole optometriche per la patente) rappresenta un importante esame per definire l’idoneità alla guida di una persona , ma dà comunque una valutazione incompleta. Un indicatore altrettanto importante è la qualità della visione. Una migliore sensibilità al contrasto e una migliore visione crepuscolare possono avere ricadute importanti sulla sicurezza alla guida.

“In Australia e in altri Paesi – commenta il dottor Ng – i pazienti spesso aspettano mesi prima di essere operati, dopo la diagnosi di cataratta. I risultati di questo studio sottolineano invece l’importanza di sottoporsi tempestivamente all’intervento, per garantire la sicurezza e l’indipendenza negli spostamenti in auto anche nei guidatori più avanti con gli anni”.

Maria Rita Montebelli

COMPUTER E LAVORO I CONSIGLI DELL ‘ESPERTO

Dal quotidiano “La Repubblica”
Con la ripresa delle attività lavorative e anche delle scuole, gli occhi tornano incollati a computer e vari dispositivi che li affaticano a causa del cosiddetto ‘stress accomodativo’. I consigli dell’esperto per lavorare prendendosi cura degli occhi

Dopo un periodo di relax estivo, con lo sguardo rivolto verso il mare e l’orizzonte, siamo tornati alla vita di tutti i giorni. La maggioranza degli italiani è rientrato in ufficio o sui banchi di scuola, con la solita routine quotidiana e gli occhi sempre incollati ad uno schermo, che sia computer, tablet o smartphone. Con l’aiuto di Matteo Piovella, presidente della Società Oftalmologica Italiana, vediamo come tornare al lavoro e allo studio proteggendo gli occhi.

Stimoli digitali che affaticano la vista  

Ogni giorno i nostri occhi rispondono a migliaia di stimoli digitali. Secondo una ricerca condotta da Captain Cook Research per conto di Hoya – azienda giapponese nel settore delle lenti da vista – ogni giorno tra utilizzo di smartphone, computer, tablet, tv e altri dispositivi, la maggior parte delle persone trascorre in media 8-10 ore (con picchi fino a 15 ore) guardando schermi a distanza ravvicinata (il 33% da 3 a 5 ore, il 32% da 6 a 9 ore e il 28% oltre le 10 ore). La prolungata esposizione agli schermi digitali è accentuata dalla pratica sempre più diffusa di utilizzare contemporaneamente più dispositivi: smartphone e portatile (64%), smartphone e pc (56%), smartphone e tablet (50%). Una consuetudine che, tra continue messe a fuoco e cambi di intensità della luce, richiede costanti e rapidi adattamenti visivi, causando il cosiddetto stress accomodativo.

Il passaggio dall’aria aperta al chiuso è piuttosto impegnativo anche per gli occhi: “Di solito in vacanza siamo meno stressati e anche la vista è impegnata solo a vedere cose belle”, esordisce Piovella che spiega: “Invece, quando si guarda un computer gli occhi funzionano in modo differente perché lo sguardo resta a lungo fisso sullo schermo o su altri dispositivi”. Come reagiscono i nostri occhi ai continui stimoli digitali? I sintomi più frequenti sono irritazione degli occhi per la visione prolungata di schermi retroilluminati e secchezza oculare causata dalla scarsa lubrificazione dovuta al ridotto ammiccamento. “Molte persone avvertono anche una riduzione della sensibilità al contrasto quindi hanno bisogno di più luce per vedere, ma per fortuna oggi la tecnologia ci aiuta a risolvere questo problema perché basta andare sulle impostazioni di luminosità e contrasto per regolarle in modo tale che risultino meno faticose per la vista”, spiega Piovella.

Palpebre come tergicristalli

Quando guardiamo una persona – senza rendercene conto – apriamo e chiudiamo le palbebre. Si tratta dell’ammiccamento che avviene con molta frequenza. “Le palpebre si comportano come dei tergicristalli che spalmano il lubrificante naturalmente presente nell’occhio”, prosegue l’oculista. “Ma quando lavoriamo al computer i nostri occhi fissano sempre un punto e quindi l’ammiccamento si riduce di tre volte e specie se si lavora per molte ore di seguito il disagio può essere forte perché quando l’occhio resta aperto a lungo l’evaporazione aumenta e fa diminuire la lubrificazione”.

Luce blu e possibili danni alla retina

Stare tante ore al computer o su altri dispositivi può danneggiare anche la retina accelerando l’insorgenza di maculopatie? La questione non è ancora del tutto chiara. Secondo i ricercatori dell’Università di Toledo è possibile. Loro hanno scoperto il meccanismo che conduce alla morte dei fotorecettori della retina che ci consentono di vedere: la luce blu trasformerebbe una molecola chiamata retinale, indispensabile per la vista, in un killer cellulare.Ma l’American Academy of Ophtalmology (Aao), l’organizzazione no-profit che rappresenta gli oftalmologi statunitensi, è intervenuta in merito chiarendo che l’esperimento non riproduce ciò che realmente avviene nell’occhio umano perché le cellule testate nello studio sono esposte alla luce in laboratorio, dunque non come avviene quando si sta naturalmente sotto la luce del sole o al computer. Proprio per questo, secondo gli oftalmologi americani da questa ricerca non si può trarre la conclusione che la luce degli schermi faccia male.

Le precauzioni per lavorare senza stressare gli occhi

Visto che non possiamo evitare di lavorare (e i ragazzi di studiare), quali precauzioni adottare? “E’ buona abitudine utilizzare dei lubrificanti al bisogno ma anche controllare che il luogo in cui lavoriamo non abbia un ambiente troppo secco dovuto ad un eccesso di calore quando saranno accesi i termosifoni o di aria condizionata ora che fa ancora caldo”, suggerisce Piovella. A volte può essere utile mettere in ufficio un piccolo umidificatore perché rende l’ambiente più sano e confortevole anche per la vista.

Allenare gli occhi per mantenerli in buona salute

Il fatto è che ad un certo punto dovremmo concederci delle pause durante il lavoro e non tirare a lungo per ore ed ore: “Lo prevede anche la legge 626 sulla sicurezza del lavoro: basterebbe fare altro e staccarsi per almeno 10-15 minuti dal computer”, dice l’esperto. Naturalmente il tempo di pausa andrà personalizzato anche in base alle condizioni della vista e alla presenza di altri eventuali disturbi. “E’ un po’ come andare in palestra per mantenere una buona forma fisica: allo stesso modo cerchiamo di ‘allenare’ gli occhi per mantenerli in buona salute”.

Il check up della vista: mai online

La ripresa dell’attività lavorativa e della scuola può essere un’occasione utile per fare un check up dall’oculista: “E’ bene fare dei controlli adeguati per verificare le condizioni dell’occhio e anche per farsi consigliare eventualmente il tipo di lubrificante più adatto alle proprie esigenze oppure degli occhiali cosiddetti riposanti”, suggerisce l’esperto. La visita oculistica andrebbe programmata, specie in presenza di problemi specifici come miopia o cataratta: “La visita oculistica è l’unica prestazione medica che fa prevenzione, diagnosi precoce, prescrizione e cura nello stesso momento. Questo è un grande impegno per il medico ed è necessario diffondere la cultura della prevenzione anche dei disturbi della vista”, fa notare Piovella. Spesso, invece, quando ci sono dei disturbi lievi la gente se li porta dietro sopportandoli e rimandando sempre un controllo: “Ma gli occhi sono delicati e quando ci sono dei disturbi è bene farsi vedere dal medico”, avverte l’esperto che mette in guardia anche dai check up online sempre più diffusi: “E’ come voler risolvere un problema di ortopedia andando in un negozio di scarpe: sono strumenti inaffidabili soprattutto perché non c’è un medico che si prende la responsabilità della diagnosi”.