LAVORO

FOCUS SULLE ALLERGOPATIE PROFESSIONALI

Intervista alla Professoressa

Gianna Moscato 

Presidente Associazione Italiana di Aerobiologia (AIA)
Direttore s.c. Servizio Autonomo di Allergologia e Immunologia Clinica
Fondazione Salvatore Maugeri, Istituto Scientifico di Pavia

dal sito: https://www.allergopharma.it

Professoressa quali sono i settori professionali  più esposti?

Molte attività lavorative comportano un’esposizione a fattori in grado di provocare un’allergia professionale. Per quanto concerne le malattie respiratorie, ossia l’asma e la rinite correlata al lavoro, i settori più a rischio sono attualmente quelli dei panettieri e pasticceri, gli addetti alle pulizie, i laboratoristi, i carrozzieri, i lavoratori del legno, i parrucchieri, i lavoratori sanitari. Oltre ai lavoratori, non va dimenticata la categoria degli apprendisti; anch’essi infatti sono esposti a rischi professionali, ma spesso sono meno considerati e protetti rispetto ai lavoratori

Che frequenza hanno le allergopatia professionali?

La frequenza delle varie patologie dipende dalle attività produttive e dai fattori di rischio specifici in esse contenuti. In generale, per quanto concerne l’asma si ritiene che il 10-15% di tutte le asme dell’adulto siano correlabili a fattori professionali. Per la rinite i dati sono meno certi, ma si ritiene che essa possa addirittura avere una frequenza doppia rispetto all’asma bronchiale.

Dopo quanto tempo possono comparire?

Dipende dal tipo di sostanza e dalle caratteristiche sia dell’esposizione che dell’ambiente di lavoro.

Se l’agente in causa è una sostanze chimica di solito i sintomi compaiono dopo qualche mese dall’inizio dell’attività lavorativa, nel caso invece di sostanze proteiche, come i derivati di animali di laboratorio o le farine, i sintomi possono comparire anche dopo qualche anno (ma raramente più di due) dopo l’inizio dell’esposizione. La rinite di solito compare circa 6-12 mesi prima dell’asma. Il periodo di massimo rischio per la comparsa di un’allergia professionale riguarda i primi due anni di esposizione, nei quali va intensificata al massimo la sorveglianza sanitaria dei lavoratori e dei giovani apprendisti.

Ci sono dei soggetti predisposti? Ci sono differenze nei due sessi?

I soggetti atopici, ossia con una predisposizione genetica a sviluppare una malattia allergica, hanno un più elevato rischio di sviluppare un’allergia professionale quando esposti a sostanze professionali proteiche ad alto peso molecolare, come ad esempio le farine o il latice di gomma. Anche la presenza di una forma di asma o rinite da allergeni comuni, come ad esempio pollini o acari domestici, preesistente all’esposizione lavorativa è un fattore di rischio per sviluppare una malattia allergica professionale. Il livello dell’esposizione in ambiente di lavoro è anch’esso importante per l’insorgenza delle patologie. Negli ultimi anni si è reso sempre più evidente che le donne hanno un più elevato rischio di sviluppare un’asma grave o non controllata, e diversi dati sembrano dimostrare un’associazione fra queste forme di asma grave e l’uso professionale (o anche individuale) di prodotti per le pulizie.

Quali sono le sostanze più pericolose e i principali allergeni? Come agiscono?

Fra le sostanze proteiche ad alto peso molecolare gli allergeni più pericolosi sono quelli derivati dalle farine di cereali, da animali usati nei laboratori di ricerca come ratti o topi, o dal latice di gomma che si usa in ambiente sanitario. Queste proteine allergeniche agiscono con meccanismi immunologici, inducendo nei soggetti esposti una sensibilizzazione con produzione di anticorpi (immunoglobuline E), i quali, ad ogni successiva esposizione, provocano lo scatenamento dei sintomi. Fra le sostanze chimiche restano molto importanti composti come gli isocianati, usati nell’industria plastica o presenti nelle vernici in uso nelle carrozzerie, o i persolfati usati dai parrucchieri per la decolorazione dei capelli, o gli spray a base di ammonio quaternario presenti nei prodotti per le pulizie. Queste sostanze agiscono a volte con meccanismi immunologici, altre volte con meccanismi di tipo irritativo.

Quali sono i sintomi? Ci sono dei segni spia?

I sintomi della rinite professionale sono starnuti, senso di prurito e di ostruzione al naso, secrezione dal naso, cui possono essere associati sintomi agli occhi (congiuntivite) come arrossamento, prurito, lacrimazione, fotofobia (fastidio in presenza di luce).

I sintomi bronchiali invece sono tosse secca o con catarro, e/o mancanza di fiato, e/o senso di chiusura al torace, e/o i caratteristici fischi espiratori. A volte i sintomi nasali e quelli bronchiali possono presentarsi contemporaneamente, più spesso i sintomi di rinite precedono quelli dell’asma bronchiale.

Come si fa a sospettare una allergia professionale? Quando è bene rivolgersi allo specialista?

Un paziente può sospettare di avere un’allergia correlata al lavoro quando inizia a lamentare sintomi nasali o bronchiali come quelli sopra descritti in relazione a una specifica attività lavorativa. E’ importante sapere che questi sintomi possono presentarsi durante le ore di lavoro, ma a volte anche quando il turno lavorativo è finito, la sera, a casa (reazioni ritardate) e in questo caso a volte è difficile per il paziente metterli in relazione con il lavoro.

Va sottolineato che i soggetti che lavorano in attività a rischio allergologico dovrebbero essere adeguatamente informati dai datori di lavoro sulla presenza di questi rischi e sulle mansioni più pericolose, e sul tipo di patologie che da essi possono essere provocate. Se un lavoratore inizia a lamentare sintomi come quelli sopra descritti correlati con il lavoro deve subito rivolgersi al medico del lavoro, o al medico di famiglia o allo specialista. Poiché, come già sottolineato, i sintomi di rinite spesso precedono quelli di asma bronchiale, se un lavoratore inizia a notare dei sintomi nasali correlati al lavoro che prima non aveva, non deve sottovalutarli, ma rivolgersi subito al medico o allo specialista per evitare che i sintomi nasali si aggravino poi con sintomi bronchiali.

Va ricordato infine che le allergie professionali possono comparire ex novo, causando sintomi che il paziente non aveva mai avuto, ma possono anche aggravare dei sintomi che il paziente aveva già, come per esempio una rinite o un’asma da pollini o da acari domestici. In questo caso, quando documentato questo peggioramento, si parla di asma o rinite professionale aggravata dall’ambiente di lavoro.

Come si fa la diagnosi?

La diagnosi di rinite o di asma professionale è un percorso complesso che inizia prima di tutto con la visita medica e la raccolta dell’anamnesi, sia clinica sia lavorativa, e prosegue poi con esami strumentali. Riguardo all’anamnesi, è importante sapere che i sintomi dell’asma o della rinite allergica professionali non sono diversi da quelli dell’asma o della rinite non professionali (ad esempio da pollini), pertanto nella sua pratica quotidiana un medico, di fronte a un paziente che riferisca dei sintomi nasali o bronchiali insorti in età adulta, in un soggetto che prima stava bene, deve sempre pensare che essi potrebbero essere correlati al lavoro, e interrogarlo accuratamente anche sulla sua attività lavorativa.

Come detto, può anche presentarsi il caso di un paziente con asma o rinite preesistente che peggiora in ambiente di lavoro. Il percorso diagnostico strumentale prevede gli esami allergologici tramite test cutanei, e la ricerca di anticorpi specifici nel siero del soggetto:

  • nella rinite l’esame diretto del naso tramite rinoscopia, l’eventuale studio dell’infiammazione nasale o bronchiale tramite l’esame delle secrezioni nasali o il test dell’espettorato indotto o la misura dell’ossido nitrico nell’aria espirata nasale o bronchiale, e infine il test di esposizione specifico, che è considerato l’esame più importante per la diagnosi di queste patologie.
  • nell’ asma i test di funzionalità respiratoria (spirometria, test di broncodilatazione, studio della reattività bronchiale aspecifica), il monitoraggio del picco del flusso espiratorio in un periodo al lavoro e in uno fuori lavoro (quando possibile).

L’obiettivo delle indagini diagnostiche non è solo di diagnosticare correttamente la patologia in atto, rinite e/o asma, e di valutarne la gravità, ma anche di identificare correttamente l’agente causale e la relazione con il lavoro.

Ogni medico che effettui una diagnosi di allergopatia professionale ha degli obblighi medico–legali in quanto deve effettuare una segnalazione/referto alle autorità competenti e all’ente assicuratore.

Quali sono le terapia? Si può continuare a lavorare?

Il provvedimento più efficace per un’allergia respiratoria professionale è togliere il paziente dall’esposizione all’agente che l’ha provocata. Per questo è così importante che esso venga correttamente identificato nel percorso diagnostico. E’ vero però che cambiare lavoro è oggi molto problematico, e per questo è importante che ogni qualvolta sia possibile, al paziente venga assegnata un’altra mansione all’interno della stessa azienda. Quando il ricollocamento in altra mansione non sia possibile, tutti gli sforzi devono essere effettuati per il controllo ambientale, ossia per ridurre al massimo la concentrazione nell’aria dell’agente che ha causato la malattia allergica.

Va sottolineato peraltro che il controllo ambientale è sempre imprescindibile in ogni ambiente lavorativo, non solo per la prevenzione terziaria, ossia per impedire il peggioramento di una malattia professionale quando essa si sia già instaurata, ma anche per la prevenzione primaria, ossia per impedire l’insorgenza delle malattie stesse.

Accanto ai provvedimenti ambientali, il trattamento farmacologico della rinite o dell’asma professionale, o comunque aggravata dal lavoro, non sono diversi da quelli delle stesse patologie non professionali, ossia:

  • nella rinite antistaminici per bocca o per via topica nasale , corticosteroidi inalatori nasali, e solo nei casi più gravi cicli di corticosteroidi per bocca, colliri antistaminici per la congiuntivite;
  • nell’ asma broncodilatatori a breve o a lunga durata di azione, associati a corticosteroidi inalatori bronchiali, a seconda della gravità della malattia, antileucotrienici, cicli di corticosteroidi per bocca, terapie biologiche con farmaci anti-IgE nei casi più gravi.

L’ immunoterapia specifica, terapia essenziale nelle malattie respiratorie allergiche non professionali, trova purtroppo indicazione solo in alcuni tipi di patologie professionali allergiche, e in particolare nell’asma o rinite da latice o da derivati di animali di laboratorio. Sono in corso molti studi per allestire dei vaccini efficaci e sicuri per le farine, dato il grave problema sociale legato all’elevata prevalenza delle allergopatie professionali provocate da questi agenti.

Ci sono effetti anche a casa?

Come già accennato, può accadere che i sintomi di rinite o asma professionale possano presentarsi a volte anche quando il turno lavorativo è finito, la sera, a casa (reazioni ritardate), e sono i casi in cui è più difficile per il paziente metterli in relazione con il lavoro. Può succedere inoltre che alcune sostanze, come il latice di gomma, diano delle caratteristiche reazioni chiamate “crociate “ con alcuni frutti, come: banana, ananas, castagna, kiwi, dovute alla presenza di proteine allergeniche comuni in tutti questi vegetali, per cui un paziente che ha sviluppato una rinite o asma professionale da latice può vedere comparire i sintomi anche a casa, quando mangia uno di questi frutti.

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Vi segnaliamo anche un pratico manuale divulgativo dell Inail

Allergia al lavoro? I principali allergeni presenti nei luoghi di lavoro

https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg_allergia_al_lavoro.pdf

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PRIMO SOCCORSO NEI LAVORI IN QUOTA

Da insic.it

Come soccorrere adeguatamente un lavoratore impegnato in lavori in quota che possa trovarsi sospeso o caduto?
Risponde un nuovo factsheet INAIL su “Il primo soccorso nei lavori in quota”.
La pubblicazione indica i rischi per la salute e le misure di primo soccorso in caso di trauma e di sospensione con utili infografiche sulla sequenza ABCDE, oltre ai riferimenti normativi.


Il lavoro in quota o in altezza riguarda tutte le attività lavorative che portano il lavoratore a operare a più di due metri di altezza rispetto al piano stabile (art. 107, d.lgs. 81/2008).
Questo espone i lavoratori a importati rischi per la salute e sicurezza.

Soccorso durante i lavori in altezza
In caso di trauma è fondamentale la precoce attivazione del sistema di primo soccorso. La difficoltà nel soccorso ad un paziente traumatizzato è data dalla enorme variabilità degli scenari, cioè delle condizioni in cui il trauma si è verificato e degli altri fattori intercorrenti.
In caso di caduta dall’alto inoltre le operazioni di soccorso potrebbero risultare ancora più complesse poiché la vittima potrebbe trovarsi sospesa o caduta su un piano posto ad una certa altezza. Le linee guida internazionali propongono una sequenza base che deve essere adattata momento per momento alle condizioni reali effettive presenti sul posto.

Caduta dall’alto e azioni da intraprendere
La successione delle azioni da intraprendere è la seguente:
• allertare immediatamente i soccorsi (112);
• verificare che esistano le condizioni per agire in sicurezza e in particolare: DPI anticaduta per i soccorritori, sistemi di ancoraggio, attrezzatura necessaria per raggiungere l’infortunato;
• dopo il recupero dell’infortunato e in attesa dell’arrivo dei soccorsi avanzati, in caso di addetti al primo soccorso formati appositamente per il trauma, è possibile applicare la sequenza ABCDE.
Se il paziente non presenta segni vitali (coscienza, respiro) va immediatamente iniziata la rianimazione cardiopolmonare (RCP), con l’uso del defibrillatore (DAE) se disponibile, avendo l’accortezza di tenere in asse testa-collo-tronco.


In caso di infortunato in sospensione
Nel caso in cui il soggetto rimanga sospeso, ma cosciente, i disturbi non dovrebbero verificarsi in quanto egli modifica da solo continuamente i punti di contatto dell’imbracatura con il corpo. È comunque necessario chiamare il 112 e tenersi pronti ad un intervento. Se la sospensione diviene inerte, per perdita di coscienza, i tempi di soccorso da parte degli addetti devono essere brevi:
• chiamare immediatamente il 112 descrivendo lo scenario dell’infortunio;
• togliere il prima possibile l’infortunato dalla sospensione, dopo un’attenta valutazione dell’ambiente e con i necessari DPI;
• se il soggetto non respira, una volta a terra, iniziare immediatamente la rianimazione cardiopolmonare (RCP), con l’uso del defibrillatore (DAE) se disponibile.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2019
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

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L ‘INAIL PUNTA ALLA REALTÀ AUMENTATA

Da”quotidianosanità.it”

28 agosto – L’Istituto ha avviato na intensa attività di ricerca, riconducibile alla progettazione e realizzazione prototipale di dispositivi di nuova generazione per la prevenzione del rischio individuale, collettivo e ambientale. L’obiettivo è valutare la fruibilità delle innovazioni per il controllo del pericolo di incidenti ed infortuni sia “tradizionali”, che “emergenti”.

Digitalizzazione dei processi di produzione, imprese sempre più connesse, nuove tecnologie per abbattere i costi e incrementare efficienza e produttività: tra gli scenari aperti dall’industria 4.0, la nuova sfida dell’INAIL è coniugare innovazione tecnologica e sicurezza del lavoro adottando gli strumenti più evoluti per migliorare la tutela della salute dei lavoratori che quotidianamente interagiscono con le macchine negli impianti industriali, attraverso la realtà aumentata (AR), virtuale (VR) e immersiva (IV). Ecco il motivo per cui è in corso una intensa attività di ricerca, recentemente avviata da Inail, riconducibile alla progettazione e realizzazione prototipale di dispositivi di nuova generazione per la prevenzione del rischio individuale, collettivo e ambientale. “In modo – ha spiegato con soddisfazione Giuseppe Lucibello, Direttore Generale dell’Istituto – da valutare la fruibilità proprio delle innovazioni al controllo del pericolo di incidenti ed infortuni sia ‘tradizionali’, che ‘emergenti”’introdotti dal cambiamento”.

“Le attività di ricerca – precisa Lucibello – analizzeranno i vantaggi e le possibili criticità che devono essere considerate dall’implementazione di sistemi che”, ha illustrato:

possono supportare in tempo reale gli operatori durante lo svolgimento delle attività lavorative sia ordinarie che a carattere manutentivo, rilevando potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori legati alla presenza di campi fisici e di contaminazione ambientale non compatibili o alle errate o pericolose posizioni reciproche tra lavoratori ed attrezzature di lavoro”;

–    “sostituire l’uomo, dove possibile in attività ad alto rischio”;

–    “promuovere una formazione più “realistica” sia nella sua erogazione che negli esiti di valutazione della adeguatezza per particolari categorie di lavoratori”.

Augmented reality in construction

“Le linee di indirizzo – prosegue il direttore generale – intendono utilizzare gli stessi strumenti innovativi e abilitanti dell’Industria 4.0 per attualizzare le modalità di gestione della sicurezza dei lavoratori nei loro ambienti di lavoro secondo logiche dinamiche, integrate, e in piena coerenza con l’approccio di sistematico improvement dei sistemi produttivi. Simmetricamente, si vuole indagare sui rischi emergenti dovuti ad interferenze sia di carattere endogeno (fisiologici rispetto ai mutamenti tecnologici), che esogeno (determinati dalla imprevedibilità del contesto)”.

Grazie a queste tecnologie avanzate, per altro, è possibile emulare ambienti di lavoro virtuali, in particolare quelli più ostili o particolarmente complessi, dei quali sono noti i rischi per i lavoratori, che spesso determinano motivo ricorrente d’infortunio.

I corsi, riprogrammati attraverso l’utilizzo di tali tecnologie, sono attualizzati proponendo situazioni “reali” che consentono la pratica delle procedure a fini addestrativi del lavoratore, con particolare riguardo a due categorie problematiche: i giovani e gli anziani. I primi hanno di frequente forme contrattuali temporanee (tra loro gli stagionali) e spesso minore esperienza, tendono a sopravvalutare le capacità fisiche o a sottovalutare i rischi per la sicurezza e la salute associati ai loro compiti. I secondi soffrono della diminuzione delle capacità cognitive e fisiche (tra cui aerobiche, tolleranza al calore, forza, tempi di reazione, capacità visiva ed uditiva) a cui si sovrappongono i fattori ambientali determinati dalle più o meno severe condizioni quali rumore, illuminazione, temperature, ecc.. In entrambi i casi, la formazione erogata attraverso sistemi di realtà immersiva permette la valutazione dell’adeguatezza di tali lavoratori ai compiti ai quali sarebbero poi indirizzati.

Si vogliono, inoltre, investigare i diversi ambiti delle attività produttive e delle professioni per i quali gli strumenti di Vr, Ar e Ir, costituiscono un importante valore aggiunto per la salvaguardia della salute e la tutela della sicurezza dei lavoratori. Lo sviluppo di piattaforme dedicate, in relazione alla loro finalità, esige studi orientati a scenari di lavoro diversificati, dall’industria manifatturiera e di processo a quella dei servizi, per i quali gli investimenti per la loro implementazione siano ampiamente giustificati. È altresì importante approfondire, in maniera organica e strutturata, le caratteristiche funzionali e di compatibilità di tali sistemi per ottimizzarne l’efficacia e la susseguente fruizione da parte di piccole e medie imprese, ad oggi ancora escluse.

L’istituto ha quindi individuato, e sono di seguito elencate, alcune direttrici di ricerca rispetto alle quali avremo soluzioni concrete in un arco temporale medio-breve:

–  sviluppo di normativa dedicata, vista l’assenza di uno specifico quadro di riferimento, all’uso in sicurezza dei dispositivi (Ar, Vr e Ir) e loro regolamentazione applicativa alla luce di un mercato in crescita e in continua evoluzione.

–  sviluppo di piattaforme educazionali per l’apprendimento delle procedure di lavoro in sicurezza, utilizzabili durante l’addestramento delle diverse figure professionali a vario titolo coinvolte (manutentori, operatori, verificatori, ed altri), per simulare situazioni di pericolo con possibilità di fallimento senza rischio. Esse possono anche costituire una modalità mirata ed innovativa di formazione per le categorie di lavoratori vulnerabili.

–  supporto operativo da remoto per attività di manutenzione, controllo/sorveglianza e verifica di attrezzature di lavoro e impianti con relativo sviluppo di piattaforme tecniche e gestionali.

–  monitoraggio e rappresentazione grafica innovativa dei potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori legati alla presenza di campi fisici e di contaminazione ambientale non compatibili (elettromagnetico, ionizzante e non ionizzante, rumore e vibrazioni, termico, chimico, ecc.): studio e realizzazione di dispositivi Ar e Vr che, tramite l’ausilio di sensori indossabili e/o di “remote sensing”, permettano la visualizzazione delle misure effettuate con grafiche evolute di facile e immediata interpretazione. Non ultimo, la possibilità di combinare molteplici informazioni sui potenziali rischi per lo specifico ambiente di lavoro.” Per l’Inail il futuro è già presente.

Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Facoltà di Giurisprudenza Uninettuno – Roma

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CONTRORDINE IL LAVORO SEDENTARIO NON PROVOCA IL MAL DI SCHIENA

  • Da dottnet.it

Buone notizie per chi rimane legato a un lavoro sedentario: un mega-studio sulle cause del dolore alla schiena esclude ogni associazione fra la prolungata posizione seduta e il dolore lombare.

Ricercatori dell’Istituto per l’Attività Fisica dell’università Deakin di Melbourne hanno passato al vaglio 41 differenti revisioni sistematiche di ricerche, per meglio comprendere quali movimenti o funzioni sono fattori per il dolore alla schiena. I risultati, pubblicati sul Journal of Biomechanics, sono basati su tre decenni di dati raccolti esaminando oltre un milione di soggetti e offrono il quadro finora più accurato della relazione fra diverse attività e il dolore alla schiena. “L’evidenza più forte – scrive Daniel Belavy, docente di Esercizio e di Salute Muscoloscheletrica, responsabile dello studio – è l’assenza di ogni associazione fra la posizione seduta, prolungata o occupazionale, e il dolore lombare”.

Nonostante un crescente numero di studi colleghi la sedentarietà con altri effetti negativi sulla salute – aggiunge – questa non sembra essere un fattore di rischio per il dolore alla schiena. Si può subire rigidità muscolare se si resta seduti a lungo, ma stare seduti di per sé non danneggia direttamente la struttura spinale, come invece avviene con molti lavori pesanti“.  Anche se stare seduti non sembra essere un problema per il mal di schiena, sottolinea Belavy, vi sono molte ragioni per interrompere lunghi periodi seduti. “Da altri studi sappiamo che l’attività fisica regolare è importante per ridurre il rischio di dolore alla schiena”, aggiunge.

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RISCHIO DEPRESSIONE SE LA DONNA LAVORA TROPPO

Sentirsi intrappolate dietro una scrivania, un bancone o in fabbrica non fa bene al benessere psicologico delle donne: quelle con lavori che richiedono impegno settimanale prolungato possono infatti essere più inclini alla depressione.

Lo rileva una ricerca dello University College London, pubblicata sul Journal of Epidemiology and Community Health. Secondo i risultati dello studio, rispetto alle donne che lavorano in una settimana standard di 40 ore, quelle che totalizzano invece 55 ore di impegno o più mostrano maggiori sintomi depressivi.

Lo stesso può accadere anche agli uomini, ma solo se devono lavorare nel fine settimana. Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno preso in esame i dati relativi a oltre 23.000 adulti statunitensi che hanno partecipato ad un sondaggio nazionale sulla salute; hanno risposto ad un questionario standard sui sintomi depressivi che ha posto domande sulla fiducia in se stessi e l’autostima, la perdita del sonno rispetto alle preoccupazioni e la capacità di concentrarsi e affrontare i problemi della vita.

Un punteggio di 12 o superiore può segnalare casi di depressione e in media, lo studio ha rilevato che le donne che lavorano per 55 ore o più a settimana totalizzano in media 11,8, contro l’11 di quelle che hanno un impegno standard da 35 a 40 ore.

Tra gli uomini, coloro che lavorano nei fine settimana tendono a manifestare più sintomi, rispetto a quelli che lavorano solo nei giorni feriali, una volta presa in considerazione la soddisfazione lavorativa. C’è anche un risvolto positivo: le persone con settimane di lavoro molto lunghe hanno alti redditi familiari e la massima libertà sul lavoro. (ANSA)

RISCHIO STROKE SE L’ORARIO DI LAVORO È PROLUNGATO

Da nurse24.it

Sull American Hert Journal di giugno 2019  è stato pubblicato un articolo che mette in relazione l’orario di lavoro prolungato (più di 10 ore al giorno) con un aumentato rischio di stroke.

Alla base di questo report c’è l’assunto che il Long Working Hours (LHW), cioè l’attività lavorativa che supera le 10 ore al giorno condotta per almeno 50 giorni all’anno, sia un potenziale fattore di rischio per lo stroke.

Sono stati condotti altri studi sulla relazione diretta o indiretta delle condizioni di lavoro sull’aumento del rischio di stroke, aritmie cardiache o coagulopatie in soggetti in LWH e viene sottolineato che turni irregolari, lavoro notturno e lavori particolarmente stressanti (fisicamente e mentalmente) non sono condizioni lavorative salutari.

COME PROTEGGERSI DAL SOLE SUL LAVORO

Gli esperti li chiamano “lavoratori outdoor” perché svolgono una frazione significativa del proprio orario lavorativo all’aperto e sono interessati dalle patologie correlate con l’esposizione a luce solare.

Sono gli agricoltori, i giardinieri, i portuali, gli operai, ma anche gli istruttori di sport all’aperto, i benzinai, i portalettere, i bagnini, i vigili urbani e l’elenco non finisce qui. Sono tutte persone che per lavoro devono stare sotto il sole, spesso troppe ore e senza protezione. A loro e ai datori di lavoro è stato dedicato in passato un opuscolo, curato da Adriano Papale, medico ricercatore dell’Inail (ex Ispesl), “La radiazione solare ultravioletta: un rischio per i lavoratori all’aperto”, una guida sempre utile con consigli e le valutazioni sul rischio da esposizione solare…

Le strategie di protezione: i consigli degli esperti. La fotoprotezione ambientale, come sottolinea Papale, consiste nell’attuare una sorta di schermatura con teli e con coperture, ove possibile, e fornire cabine schermate per i lavoratori che devono sostare a lungo all’aperto. Per creare zone d’ombra esistono anche strutture portatili (simili a ombrelloni) che il lavoratore sposta secondo le proprie esigenze. Bisognerebbe poi sfruttare le ombre degli alberi o di costruzioni vicine e fornire al lavoratore un luogo ombreggiato per le pause.  Un altro consiglio è l’organizzazione dell’orario di lavoro: durante le ore della giornata in cui gli Uv sono più intensi (ore 10/14 oppure 11/15 con l’ora legale) dedicarsi ai compiti svolti all’interno, riservando quelli all’esterno per gli orari mattutini e serali.

L’importanza di creme solari, abiti adeguati e occhiali. Anche i prodotti antisolari (creme con filtri solari) hanno dimostrato la loro validità nel ridurre l’incidenza sia di alterazioni neoplastiche epiteliali della cute sia il fotoinvecchiamento. E ancora indossare un cappello in tessuto anti Uv, a tesa larga e circolare (di almeno 8 cm.) per proteggere capo e viso. Quando si lavora al sole, anche se fa caldo non bisogna scoprirsi, vanno usati invece abiti leggeri e larghi, maniche e pantaloni lunghi e tessuti che proteggano dai raggi Uv. Non dimentichiamo infine di proteggere gli occhi. Infatti l’esposizione per una o due ore senza protezione, può determinare arrossamento e bruciore (cheratite) dovuta alla radiazione Uva che può favorire, soprattutto nei più giovani, la formazione precoce di cataratta. Gli occhiali da sole proteggono anche da quella parte dello spettro visibile ancora molto energetica (luce blu) che, raggiungendo la retina e contrariamente agli Uva assorbiti tra la cornea e il cristallino, può provocare, reazioni fototossiche alla base di potenziali effetti di degenerazione maculare senile.

La prevenzione più efficace? Un po’ di “buon senso”. Insomma, come rileva Massimo Borra, l’esposizione alla radiazione solare deve essere “pensata” per poterne godere degli aspetti benefici e salutari senza incorrere, o perlomeno rendendo minimi, gli immancabili ma “naturali” effetti dannosi.

“Per lavorare correttamente all’aperto limitando i rischi di esposizione alla radiazione solare dobbiamo solo ritrovare il “buon senso al sole” dei nostri nonni e bisnonni contadini, che si alzavano all’alba per mietere il grano, riposavano all’ombra durante le ore di canicola e vestivano camicie e cappelloni di paglia”, conclude Borra. “Se poi consideriamo che forse non sapevano neppure leggere e che “sicurezza del lavoro” forse significava solamente “certezza di un salario” alla fine della giornata, allora possiamo essere sicuri che, se ci sono riusciti loro, con un po’ di “buon senso” anche noi, oggi, possiamo lavorare nel modo corretto “alla luce del sole”. (fonte Inail)

di d.marsicano

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LA NORMA ISO PER LE POSTURE STATICHE SUL LAVORO

Da insic.it

In vigore dal 6 giugno la UNI ISO 11226:2019 che, in materia di Ergonomia riguarda la valutazione delle posture statiche di lavoro: adotta lo standard ISO 11226:2000 (Ergonomics — Evaluation of static working postures)
Spiega UNI che la norma stabilisce raccomandazioni di tipo ergonomico per attività lavorative di diverso genere e fornisce indicazioni a coloro che si occupano della progettazione, o della riprogettazione, del lavoro, dei lavori e dei prodotti basate sui concetti di base dell’ergonomia in generale, e, in particolare, alle posture assunte per motivi di lavoro.

La UNI ISO 11226:2019 specifica i limiti raccomandati per le posture statiche di lavoro senza alcuno sforzo o con il minimo sforzo esterno, tenendo conto degli angoli assunti dalle varie articolazioni del corpo sia della durata del tempo. La norma è stata elaborata per fornire una guida sulla valutazione delle variabili delle diverse attività lavorative, che consentisse di valutare il rischio per la salute della popolazione attiva adulta.


Le raccomandazioni forniscono una protezione ragionevole per la maggior parte dei soggetti adulti sani. Quelle relative ai rischi e alla protezione della salute sono principalmente basate su studi sperimentali riguardanti il carico muscoloscheletrico, il disagio/dolore e la resistenza/fatica legati alle posture di lavoro statico.

Riferimenti normativi:
Norma numero : UNI ISO 11226:2019
Data entrata in vigore : 06 giugno 2019

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LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA SE IL LAVORATORE NON PARTECIPA ALLA FORMAZIONE

Una sentenza della cassazione fa riflettere sulla centralità della formazione sulla sicurezza.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 7 gennaio 2019, n. 138, ha stabilito che chi non partecipa alla formazione per la sicurezza è licenziabile.
Il ricorso di un lavoratore, messo alla porta per non aver partecipato a un corso aziendale (obbligatorio) in materia di prevenzione, è stato respinto. Per questo motivo, la lettera di licenziamento è stata ritenuta legittima.

Si tratta di una sentenza che sottolinea due concetti chiave.
Il primo: la tutela della propria incolumità è un dovere, così come è stato sancito dal testo unico della sicurezza (D.Lgs. 81/2008). Il secondo: non aderire alla formazione in materia sicurezza fa venir meno il rapporto di fiducia fra datore di lavoro e lavoratore. Se vengono meno questi due presupposti può scattare il licenziamento per giusta causa. Cosa che è puntualmente avvenuta. E la suprema Corte ha messo il timbro dopo tutti i gradi di giudizio.


L’orientamento seguito dai giudici di legittimità si pone in sintonia con il D.Lgs. n. 81/2008, con il quale, per altro, è stato definitivamente consacrato l’abbandono del cosiddetto modello “iperprotettivo” del lavoratore.
L’art. 20, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 81/2008, stabilisce l’obbligo da parte del lavoratore di «osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale»; queste disposizioni sono espressione tipica del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro, funzionali all’assolvimento dell’obbligazione di sicurezza (art. 2087 del codice civile).
L’inosservanza, quindi, della disposizione aziendale di partecipare a un corso di formazione in materia di sicurezza costituisce, secondo l’art. 2119 del codice civile, una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Tratto da sef

FESTIVAL DEL LAVORO A MILANO 20/22GIUGNO 2019

Daipsoa.it
Torna a Milano, dal 20 al 22 giugno presso il centro congressi Mi.Co., il Festival del Lavoro 2019.
La manifestazione, organizzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine e dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, vedrà la partecipazione di politici, istituzioni, professionisti, imprese, responsabili delle risorse umane, lavoratori, giovani e cittadini.
Nella decima edizione, dal titolo “Lavoro, innovazione e crescita”, il dibattito verterà sul futuro dell’occupazione in Italia e sulle opportunità offerte dal lavoro 4.0 e dalle nuove tecnologie quale strumento di crescita, di efficienza e di incremento della produttività: un obiettivo che può essere raggiunto attraverso la formazione e lo sviluppo di nuove competenze.

I temi chiave

Sono quattro i temi principali in discussione. Il primo verte sul lavoro nell’era della rivoluzione digitale, il secondo, invece, attraverso il confronto tra esperti di risorse umane e direttori del personale vuole porre nuovamente al centro il lavoro e la persona alla luce delle ultime novità normative.
Nel terzo verrà effettuata un’analisi delle opportunità professionali dei Consulenti del Lavoro, mentre il quarto sarà dedicato all’orientamento degli studenti e dei giovani laureati, che al Festival potranno scoprire le proprie competenze, capacità e attitudini personali e confrontarsi con un orientatore sulla ricerca di un lavoro.

Confronto con le istituzioni

Personalità del mondo della politica, dell’economia, delle professioni e della società civile, nonché accademici, esperti di diritto del lavoro, ispettori del lavoro, responsabili delle risorse umane si confronteranno nell’Aula del diritto sulle più recenti novità normative e di prassi:
– smart working;
– decreto Dignità e contratti a termine;
– blockchain e smart contract;
– DURC;
– sostegno al lavoro etico e regolare.

Professionisti

Grande spazio al mondo dei professionisti al MiCo. Le tematiche e le novità riguardanti l’attività degli studi professionali saranno trattate in tre specifiche aree: “Laboratorio delle Idee”, “Laboratorio Professione 2030” e “Aula delle Opportunità”.
Nel “Laboratorio Lavoro” Consulenti del Lavoro ed esperti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro si confronteranno per chiarire alcuni dubbi normativi e risolvere casi concreti.

Come partecipare

Per partecipare alla decima edizione basta iscriversi, gratuitamente, sul sito www.festivaldellavoro.it.