da tomshw.it
L’amministratore delegato di una startup indiana ha licenziato il 90% (23 persone) dello staff dedicato all’assistenza clienti e lo ha sostituito con un chatbot, spiegando che quest’ultimo è molto più veloce ed efficiente degli esseri umani.
Summit Shah dirige una piccola società di e-commerce, al cui interno è stato sviluppato anche il chatbot in questione – a quanto pare è bastato il lavoro di una sola persona per un paio di giorni.
Stando a un recente tweet di Shah il miglioramento è stato immediato, con un netto incremento di tutte le statistiche rilevanti. Shah ha dichiarato che i tagli ai posti di lavoro sono stati “duri” ma “necessari”.Visto lo stato dell’economia, le startup danno la priorità alla redditività piuttosto che agli sforzi per diventare unicorni (superare un miliardo di dollari in valutazione), e lo stesso vale per noi”, ha twittato lunedì Shah.
A proposito di redditività, il dato cruciale è che i costi per l’assistenza clienti sono stati ridotti dell’85%, un dato che può fare la differenza tra la vita e la morte per una piccola startup che sta cercando il modo di far quadrare i conti. I posti persi sono in parte compensati da nuove assunzioni: l’azienda sta cercando persone per ingegneria, marketing e vendite.
Shah ha dichiarato alla CNN di credere “in un futuro in cui l’IA e gli esseri umani lavorino insieme, ognuno facendo ciò che sa fare meglio” e di stare esplorando le opportunità di utilizzare l’IA in lavori che riguardano il design grafico, l’illustrazione e la scienza dei dati.Sicuramente quello descritto da Shah è un bel sogno, ma è difficile crederci appieno mentre tutto intorno è pieno di allarmi riguardo al fatto che le IA porteranno alla perdita di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Solo ieri l’OCSE ha rinnovato l’allarme, sottolineando come medici, avvocati e operatori della finanza siano particolarmente a rischio.
Il mondo per il momento è ancora diviso tra ottimisti e pessimisti, tra bicchieri mezzi pieni e mezzi vuoti. Tuttavia un po’ di prudenza non sembra fuori luogo: in un mondo dove quasi tutti sono poveri perché non c’è più lavoro disponibile, a che serve anche una società di ecommerce super efficiente? Chi dovrebbe comprare i suoi prodotti? Con quale denaro? Dobbiamo fare affidamento sul buon cuore dei più ricchi o imporre delle regole affinché i più poveri non soffrano ingiustamente? È preferibile sposare l’idea secondo cui chi è povero si merita la sua sfortuna e chi è ricco è stato bravo, oppure sarebbe più consigliabile seguire una diversa idea di giustizia sociale?In tutto questo, come dovremmo integrare i nuovi algoritmi, che già oggi pesano così tanto nella nostra vita quotidiana?Il CEO di una piccola startup asiatica naturalmente non può rispondere a queste grandi domande, non più di quanto possa farlo un giornalista italiano di una testata specializzata. Ci sono think tank nel mondo, gruppi di interesse, associazioni, governi ed esperti in tutto il mondo che si interrogano sulla questione, e uno dei grandi temi è il reddito di base universale (UIB)Potrebbe essere la risposta, ma la strada per arrivarci è piena di insidie, possibili errori disastrosi, abusi, deformazioni politiche, tribalismi e molto altro ancora. Forse ci servirebbe un chatbot in grado di guidarci con precisione verso un futuro dove le macchine fanno quasi tutto il lavoro e a noi non resta che goderci la vita. Ma chi lo programma? Con quali dati lo dovremmo addestrare?