IL PUNTO SUI TESTs SIEROLOGICI PER COVID 19

6 Aprile 2020

da il corriere.it

test sierologici sono eseguiti a partire dal sangue e ci dicono se (ora o in precedenza) siamo venuti a contatto con il Sars-CoV-2. Cercano gli anticorpi che l’organismo produce in risposta a un virus specifico e non sostituiscono gli ormai famosi «tamponi» che servono a capire se una persona è infetta e contagiosa. Gli anticorpi che i test cercano sono essenzialmente di due tipi: IgM (Immunoglobuline M), che si manifestano entro 7 giorni circa dalla comparsa dei sintomi e permettono di confermare la diagnosi di infezione con grande precisione e IgG (Immunoglobuline G), prodotti dopo 14 giorni, che sono la nostra «memoria immunitaria» e ci proteggono anche se, nel caso del Sars-CoV-2, non sappiamo bene per quanto tempo e in quale misura.

Le tipologie di test

A oggi sono disponibili tre tipi di test sierologici: due «quantitativi» da laboratorio con due tipologie di metodo diverse (in chemiluminescenza e in EIA) e uno «qualitativo» ad immunocromatografia, definibile «rapido» (con tempi di risposta di circa 15 minuti). I test rapidi hanno una minore precisione. Nella fase attuale dell’epidemia utilizzare solo questi test comporterebbe un problema importante: la diagnosi non rileverebbe un’infezione nelle sue fasi iniziali e la prima settimana spesso è quella in cui le persone rilasciano il virus nella massima concentrazione. Avere prodotto gli anticorpi, infatti, non significa non essere contagiosi. «Ecco perché questi test vanno bene per valutare gruppi di popolazione, ma sono pericolosi su una singola persona — sostiene Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano —: se ho un falso positivo, il soggetto penserà di essere immune e potrebbe infettare altre persone. Anche se si parla del 3% è comunque un rischio: non può essere l’unico paramento per programmare la ripartenza».
«Alla ripresa o facciamo milioni di tamponi, e non è sostenibile, o troviamo una via alternativa — conferma Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano —. Per risolvere il problema dei falsi positivi e dare la patente di immunità potremmo sottoporre a tampone tutte le persone che hanno sviluppato gli anticorpi. Se si saranno anche negativizzate, potranno tornare operative senza prendere precauzioni. Verosimilmente sono guarite e non contagiose».

La patente di immunità

È proprio la cosiddetta «patente di immunità» quella su cui si punta per la ripartenza. Non basta però essere immuni, bisogna anche capire per quanto tempo gli anticorpi ci proteggeranno. Ci sono infatti virus, per esempio l’Hiv, verso cui l’organismo sviluppa anticorpi utili a fini diagnostici, ma che non forniscono immunità. In base all’esperienza con altri coronavirus, ci si aspetta che le persone guarite da Covid-19 siano protette per almeno un anno o due, ma lo capiremo solo facendo altri test a cadenza fissa, come hanno deciso di fare in Germania, dove serviranno tre test prima di assegnare il «passaporto di immunità». «Giusto ripetere i test periodicamente e quelli rapidi sono meno invasivi e costosi dal punto di vista organizzativo — dice Galli —. Noi li stiamo provando: se avremo le autorizzazioni li useremo anche per la valutazione a tappeto della popolazione di Castiglione d’Adda dove il 70% dei donatori di sangue era positivo a Covid-19. Questo ha dimostrato che in quel paese l’infezione era molto diffusa. Vogliamo capire quante persone si sono infettate, quanti sono i guariti e quanti sono attualmente positivi».

I vantaggi futuri

Anche in altri Paesi i ricercatori hanno iniziato a lanciare «serosurveys»: i test sierologici su campioni rappresentativi servono a misurare quanto si sia vicini all’immunità di gregge. Ultima frontiera, il vaccino: i test su larga scala potranno indicare quali persone avranno la priorità nella programmazione della vaccinazione di massa.

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