SICUREZZA LAVORO AUTONOMO

SCONTO FISCALE MA ANCHE TAGLIO DEI FONDI PER INFORTUNI E SICUREZZA

Per fare uno sconto fiscale agli imprenditori sono stati ridotti gli incentivi a migliorare la sicurezza sul lavoro, mentre rischiano di essere tagliati i rimborsi in caso di infortunio

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Questa settimana il vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha annunciato su Twitter un taglio delle imposte sul lavoro pagate dagli imprenditori che in alcuni casi arriverà fino al 30 per cento. Quello che non ha spiegato è che il taglio sarà finanziato da un taglio di circa mezzo miliardo in tre anni ai fondi che servono a incentivare gli imprenditori a migliorare la sicurezza sul posto di lavoro. Inoltre, secondo una recente sentenza della Cassazione, la nuova legge ridurrà le possibilità per i lavoratori di ottenere rimborsi in caso di infortunio.

Buongiorno a tutti, ma soprattutto alle aziende e agli imprenditori italiani. Da oggi entrano in vigore le nuove tariffe INAIL, più basse del 30%. Per la prima volta dare lavoro in Italia costerà meno! Meno grida, più azioni concrete!

— Luigi Di Maio (@luigidimaio) April 2, 2019

La misura annunciata da Di Maio era già presente nella legge di bilancio approvata a dicembre, ma è entrata in vigore soltanto questa settimana. Il taglio di cui parla il leader del Movimento 5 Stelle riguarda i premi INAIL, un’imposta pagata in parte dal datore di lavoro e in parte dal lavoratore che serve a finanziare l’assicurazione per malattia professionale dei lavoratori e i rimborsi in caso di infortunio (è un sistema che funziona, in sostanza, come quello di una normale assicurazione). Il sistema delle tabelle dei premi INAIL è particolarmente complicato e ogni categoria professionale ha la sua variante: più un lavoro è rischioso, più i premi INAIL sono alti.

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La revisione dei vecchi premi era attesa da molto tempo, sia dai sindacati che dalle imprese. La legge ha operato una revisione delle attività lavorative a cui si applicano i premi INAIL, eliminando quelle obsolete e aggiornandosi ai nuovi impieghi (introducendo per esempio la figura dei “rider” che si occupano di consegne a domicilio).
La nuova legge prevede anche un aumento di cento milioni di euro delle tabelle compensative per i danni biologici subiti dai lavoratori.

La novità principale della revisione però è il taglio dell’importo che dovrà essere pagato dagli imprenditori. Il tasso medio del premio è passato infatti dal 26 per mille al 17 per mille, una riduzione di circa il 30 per cento. L’entità del taglio, ha spiegato l’INAIL, è stata fatta tenendo presenti «i dati relativi all’andamento infortunistico e tecnopatico nel triennio 2013-2015 e le retribuzioni soggette a contribuzione di competenza nello stesso periodo». Questo taglio resterà in vigore per tre anni; nel 2021 si procederà a un nuovo esame della situazione ed eventualmente a una nuova revisione. Il taglio costerà alle casse dell’INAIL circa 1,7 miliardi di euro nei suoi primi tre anni di applicazione.

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Per ripianare questo buco nel bilancio dell’INAIL generato dal taglio delle tasse agli imprenditori, la legge di stabilità approvata lo scorso dicembre stabilisce esplicitamente, al comma 1.122, una serie di tagli ai fondi destinati a incentivare la prevenzione degli infortuni e agli sconti per chi migliorava la sicurezza nella propria azienda (che erano stati aumentati proprio nel 2018). Questi tagli ammontano a poco meno di 500 milioni di euro in tre anni.

Commentando la decisione del governo, Giovanni Luciano, presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INAIL, ha ricordato che l’INAIL è attualmente in attivo di 1,7 miliardi di euro e che quindi «le risorse si possono trovare altrove nel bilancio. Invece, adesso, abbiamo il taglio degli incentivi e delle premialità per la prevenzione, e l’aumento risibile e parziale delle prestazioni a favore dei lavoratori». A proposito dell’aumento delle tabelle per i compensi per danni biologici, Luciano afferma: «Aumentare di 100 milioni di euro l’anno le tabelle del solo danno biologico in capitale a fronte di 1,5 miliardi in tre anni di taglio delle tariffe è un’operazione iniqua, soprattutto se, ripeto, questo taglio è addirittura compensato parzialmente dai fondi a favore della prevenzione».

La revisione è invece apprezzata dalle associazioni degli imprenditori e dalla Lega. Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon è stato uno dei principali autori e sostenitori della revisione e il primo a descriverne il funzionamento alla stampa.

La decisione di ridurre i fondi per la prevenzione degli infortuni arriva mentre gli ultimi dati relativi al 2017 e al 2018 mostrano per la prima volta in più di un decennio che la diminuzione delle morti e degli incidenti sul lavoro si è fermata. Secondo gli ultimi dati INAIL, pubblicati proprio questa settimana, nel primo bimestre del 2019 il totale degli infortuni è in leggero aumento (complessivamente per quanto riguarda il numero di infortuni sul lavoro, l’Italia fa meglio di Germania, Francia e Spagna, ma peggio di circa metà degli altri paesi europei).

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La revisione del sistema sembra inoltre introdurre anche un altro effetto negativo per i lavoratori. Marco Ruffolo ha raccontato su Repubblica che in base all’interpretazione data ad un passaggio particolarmente complicato delle norme contenute nella legge di bilancio in una recente sentenza della Corte di Cassazione, i lavoratori non potranno più richiedere ai propri datori di lavoro tutti gli indennizzi non coperti dell’assicurazione INAIL (che rimborsa i danni biologici permanenti e quelli patrimoniali). Se in passato quindi il lavoratore infortunato, o i suoi parenti in caso di decesso, potevano chiedere al datore di lavoro i danni morali e quelli biologici temporanei, ora questa possibilità rischia di scomparire. Secondo i calcoli riportati nell’articolo, in alcuni casi questa interpretazione potrebbe portare a rimborsi quasi dimezzati per i lavoratori.

L’INAIL respinge questa interpretazione restrittiva della legge, ma ha affermato in un comunicato che se questa interpretazione dovesse affermarsi chiederà una revisione della legge in modo da tornare a una situazione vantaggiosa per il lavoratore.

Da: www.ilpost.it

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LIMITE MASSIMO DI PARTECIPANTI AGLI EVENTI FORMATIVI

Sicurezza sul lavoro: i corsi di aggiornamento possono ospitare massimo 35 partecipanti, per convegni e seminari non ci sono vincoli. Lo stabilisce la risposta all’interpello numero 3 del 2019 del Ministero del Lavoro.

 

 Sicurezza sul lavoro: il limite massimo di partecipanti per gli eventi formativi

Sicurezza sul lavoro: i corsi di aggiornamento possono ospitare un numero massimo di 35 partecipanti, mentre per convegni e seminari non ci sono vincoli, a patto che sia previsto un registro delle presenze. Lo stabilisce la risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019 della Commissione in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro.

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Su aggiornamento e regole da rispettare per gli eventi formativi in materia di sicurezza sul lavoro si concentrano spesso una serie di dubbi. Già in passato, infatti, il Ministero ha chiarito gli standard a cui bisogna attenersi perché un evento formativo possa essere considerato valido per l’aggiornamento del Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione, RSPP, e dell’Addetto al Servizio di Protezione e Prevenzione, ASPP.

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Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019
Interpello ai sensi dell’articolo 12, d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni. Quesito in materia di salute e sicurezza del lavoro – aggiornamento per coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori – numero massimo di partecipanti a convegni o seminari validi ai fini dell’aggiornamento. Seduta della Commissione del 20 marzo 2019.
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Questa volta il quesito riguarda il numero massimo di partecipanti da rispettare per corsi, convegni o seminari di aggiornamento destinati a Coordinatori per la Sicurezza. La richiesta di chiarimento arriva al Ministero del Lavoro dalla Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza.

Il dubbio nasce dall’interpretazione di diversi punti dell’Accordo in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano del 7 luglio 2016.

La Federazione sottolinea due passaggi del documento:

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  • al punto 9.1 si legge che “l’aggiornamento può essere svolto anche attraverso la partecipazione a convegni o seminari, in tal caso è richiesta la tenuta del registro presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza l’iniziativa e non vi è alcun vincolo sul numero massimo di partecipanti”;
  • mentre nella Tabella riassuntiva inserita nell’Allegato V si legge che nei corsi di aggiornamento per la figura di Coordinatore per la sicurezza possono essere presenti un numero massimo di 35 partecipanti.

Sicurezza sul lavoro: il chiarimento del Ministero del Lavoro sul limite massimo di partecipanti negli eventi di formazione

Nella risposta all’interpello numero 3 del 20 marzo 2019, la Commissione in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro premette che nel punto 12.8 viene stabilito che “in tutti i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fatti salvi quelli nei quali vengono stabiliti criteri specifici relativi al numero dei partecipanti, è possibile ammettere un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35 unità.

Nel formulare il chiarimento, il Ministero del Lavoro ammette entrambe le possibilità, alternative e non in contraddizione tra loro. Nel documento si legge:

La Commissione, pertanto, sulla base del combinato disposto dei sopra citati punti 9.1 e 12.8 del menzionato Accordo del 7 luglio 2016, ritiene che l’aggiornamento dei coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori, possa essere svolto sia mediante la partecipazione a “corsi” di formazione ai quali possono essere presenti un numero massimo di 35 unità, sia attraverso la partecipazione a “convegni o seminari” senza vincoli sul numero massimo di partecipanti, purché venga prevista la “tenuta del registro di presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza l’iniziativa” .

Dopo circa due mesi, la Commissione degli interpelli del Ministero del Lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro torna a fornire chiarimenti sui requisiti a cui gli eventi formativi devono rispondere perché siano validi ai fini dell’aggiornamento.

Nella risposta all’interpello numero 1 del 31 gennaio 2019, si chiariva, infatti, che lo stesso evento di formazione di sicurezza sul lavoro non può essere valido per l’aggiornamento di qualifiche diverse né può essere classificato allo stesso tempo come convegno o seminario e corso di aggiornamento.

Tornando nuovamente sull’argomento, il Ministero sottolinea ancora una volta la differenza tra le due tipologie di eventi formativi e tra le regole che ne derivano.

Da: https://www.informazionefiscale.it/

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LA SICUREZZA NEL COMPARTO PELLETTERIA ARTIGIANO

Da anfos.it

 

pelletteria
DEFINIZIONE DI ATTIVITA’ ARTIGIANA
Le specifiche disposizioni e le caratteristiche delle definizioni relative al settore dell’artigianato, all’interno del quale ricade anche il comparto della pelletteria, sono illustrate nella legge nr 443 del 8 Agosto 1985Legge-quadro per l’artigianato” pubblicata in gazzetta ufficiale nr 199 del 24 agosto dello stesso anno.
Il provvedimento, di carattere generale, definisce l’impresa artigiana come segue: “È artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni,[…]” e pone quindi i limiti giuridici all’interno dei quali si può parlare di impresa artigiana in termini di costituzione di impresa, esercizio di attività, tipologia di conduzione e numero dei collaboratori. All’interno del provvedimento stesso non sono esplicitati i riferimenti agli aspetti relativi alla salute e sicurezza dei lavoratori, mentre è opportuno sottolineare come siano date disposizioni e autonomia alle singole Regioni di emanare norme legislative in materia di artigianato, delegando normalmente le funzioni amministrative agli enti locali. In considerazione della definizione di cui sopra, e con riferimento all’art 21 del D.Lgs 81/08, le disposizioni in materia di salute e sicurezza sono quindi rintracciabili all’interno del Testo Unico stesso, e le aziende artigiane, nei limiti del suddetto articolo e di eventuali provvedimenti integrativi in carico alle singole Regioni, sono assimilabili alle attività commerciali più genericamente descritte.Per quanto riguarda in particolare il comparto della pelletteria, gli obblighi del Datore di Lavoro restano quelli definiti nell’art 18 del D.Lgs 81/08 e la valutazione dei rischi deve quindi prendere in esame le diverse attività aziendali, sia in riferimento ai rischi derivanti dalle attrezzature che quelli derivanti dai processi lavorativi.

I rischi nell’industria della pelletteria

Alla prima categoria appartengono quindi i rischi in cui si può incorrere durante la preparazione e l’utilizzo di strumentazioni taglienti così come durante l’utilizzo di strumentazioni impiegate per la cucitura meccanica (rischio di schiacciamento, tagli, e punture) e durante il processo di confezionamento.
Queste attività possono essere eseguite in alcuni casi ancora manualmente, o nella maggior parte delle situazioni lavorative più strutturate, con l’ausilio di attrezzature meccaniche che quindi necessitano di attenta supervisione, adeguata formazione e regolare manutenzione.

Vi sono poi da considerare i rischi legati ai processi lavorativi, quali ad esempio, la gestione del magazzino, con i rischi consueti di un locale di questo genere (movimentazione manuale dei carichi, caduta di oggetti, presenza di mezzi in movimento, incendio) e la possibilità che esistano rischi legati a movimenti ripetitivi degli arti superiori, con sovraffaticamento del cingolo scapolo-omerale e con conseguenze di natura ergonomica dovute a posture inadeguate o prolungate.

Oltre a questi citati non sono poi da dimenticare i rischi di tipo impiantistico/strutturale, riconducibili a difetti dell’impianto elettrico, a situazioni microclimatiche disagevoli e alla presenza di sorgenti acusticamente rumorose.

Il settore della pelletteria infine non può essere esente da una valutazione del rischio chimico, legato all’impiego di sostanze abrasive e solventi.
La valutazione del rischio chimico viene normalmente effettuata utilizzando linee guida consolidate che garantiscono alle aziende la conformità legislativa.
Il risultato, al netto delle misure preventive e protettive adottate, restituirà l’effettivo indice di rischio chimico aziendale.

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Un esempio: il calzaturificio

A titolo esemplificativo si cita il caso di una attività di calzaturificio in cui andranno presi in esami una serie di rischi specifici per l’attività quali:

  • rischi derivanti dalle attività di taglio del cuoio con attrezzature e strumenti;
  • presenza di polvere prodotta dalle attività lavorative;
  • rischi fisici da rumore, vibrazioni, scivolamento;
  • rischio chimico correlato all’uso di abrasivi e sigillanti (es colle siliconiche).

Nei confronti di ognuno di questi rischi sarà obbligatorio valutare le relativemisure di prevenzione e protezione e dunque i singoli Dispositivi di Protezione Individuali (guanti anti taglio, maschere con o senza filtri, cuffie o tappi per la protezione acustica), nella valutazione dei dispositivi più adeguati il Datore di Lavoro dovrà tenere in considerazione i riferimenti normativi nonché i processi di lavoro, adottando misure organizzative di tipo tecnico o procedurale in base all’esperienza ed all’evoluzione del mercato.

 


ANFOS: Associazione Nazionale Formatori Sicurezza sul Lavoro

CELEBRATA IL 3 MARZO LA GIORNATA MONDIALE DELL’UDITO

In Italia circa 3,1 milioni di persone convivono con invalidanti problemi di udito senza alcun trattamento. Più che mai importante è dunque l’appuntamento di domenica 3 marzo, Giornata Mondiale dell’Udito: l’evento promosso ogni anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per sensibilizzare l’opinione pubblica su come prevenire la sordità e la perdita dell’udito e promuovere le cure in tutto il mondo. Il tema della Giornata Mondiale dell’Udito 2019 (World Hearing Day), la quarta dalla sua istituzione, è “Check Your Hearing”, cioè “controlla il tuo udito”.

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Giornata Mondiale dell’Udito, “in Italia 4,8 milioni di persone con ipoacusia invalidante”

La perdita di udito non trattata e invalidante in Italia comporta ogni anno costi pari a 24 miliardi di euro, che salgono a 185 miliardi se si considera tutta l’Europa. Si spendono, da noi, 7.700 euro all’anno per ogni persona affetta da tali disturbi. I costi sono legati al peggioramento della qualità di vita dei pazienti e all’aumento della percentuale di disoccupazione tra le persone che soffrono di ipoacusia.

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L’ipoacusia invalidante (cioè la perdita dell’udito superiore a 35 dB, secondo il Global Burden of Disease research group) da noi riguarda 4,8 milioni di persone, di cui 3,1 milioni restano senza alcun trattamento. E in Europa, solo una persona su tre utilizza apparecchi acustici o altre soluzioni per l’udito. Con una popolazione in costante invecchiamento, che vive sempre più a lungo e con una precoce perdita dell’udito dovuta a una maggiore esposizione al rumore, questa tendenza è destinata ad aumentare ulteriormente negli anni a venire. I dati arrivano da un nuovo ed esauriente rapporto scientifico, “Hearing Loss – Numbers and Costs” (Ipoacusia – Numeri e costi), i cui risultati saranno presentati il prossimo 6 marzo, proprio in occasione della Giornata Mondiale dell’Udito, in un dibattito al Parlamento europeo a Bruxelles, in Belgio.

Il segretario generale Kim Ruberg, dell’organizzazione non profit hear-it Aisbl, che ha pubblicato il rapporto, sottolinea che

“la perdita dell’udito non curata è un problema serio con un enorme impatto economico e sociale e che il controllo dell’udito e il trattamento per la perdita dell’udito sono vantaggiosi sia per l’individuo che per la società”.

E suggerisce:

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“Se pensate di avere una perdita dell’udito, vi consiglio di farlo controllare. È possibile avviare il controllo dell’udito utilizzando l’app ‘Controlla il tuo udito’ dell’Oms, oppure fare un test online. Se sospettate di avere problemi di udito, il consiglio migliore è di sottoporvi a un vero e proprio test dell’udito eseguito da un audioprotesista”.

Giornata Mondiale dell’Udito: due giornata di dibattiti a Roma

In occasione del World Hearing Day 2019, l’associazione Nonno Ascoltami – Udito Italia Onlus, con il sostegno del ministero della Salute promuove  due iniziative a Roma, in programma per il 28 febbraio e il 1 marzo. Giovedì 28, dalle 15 alle 18, ci sarà “Check your hearing – tavoli di lavoro”, al Ministero della Salute, in via Ribotta. Durante il convegno verrà letto il messaggio dell’Oms per la Giornata Mondiale dell’Udito di quest’anno e si parlerà dell’importanza della diagnosi precoce nella lotta ai disturbi uditivi come impegno dei Governi mondiali e il ruolo dell’Italia.

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Al centro anche il World Hearing Forum e la partecipazione dell’Italia alla rete globale per la promozione della salute dell’udito, oltre all’attuazione della Risoluzione WHA70.13 adottata dall’Assemblea Mondiale della Sanità sulla prevenzione della sordità. Sotto la lente anche il ruolo delle associazioni nella difesa dei diritti dei deboli di uditoi problemi di equilibrio nell’anziano, e l’esperienza di “Nonno Ascoltami onlus”. Interverranno ai tavoli le istituzioni e gli esperti.

Venerdì 1 marzo, invece, è previsto, nella Sala Auditorium, il consueto Meeting degli Esperti, moderati dal giornalista Luciano Onder. Parteciperanno, fra gli altri, i vertici dell’associazione, il ministro della Salute, Giulia Grillo, il direttore del dipartimento Prevenzione dell’Oms, Shelly Chada.

Nel corso della giornata sarà presentato il “Manifesto della prevenzione” promosso dall’Oms. Il documento verrà sottoscritto da tutti i referenti scientifici e i rappresentanti istituzionali e sarà consegnato nella sede di Ginevra.

 

Per approfondire guarda anche: “L’audiometria infantile: diagnosi di ipoacusia nel bambino”

DA un articolo di Mara Pitari su  PAGINEMEDICHE.IT

DIECI CONSIGLI PER SALVARE IL TUO UDITO:

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Fate attenzione al rumore. Se dovete urlare per farvi sentire da qualcuno che si trova a pochi passi da voi, significa che vi trovate in un luogo troppo rumoroso.

Indossate tappi per le orecchie ai concerti o in altre situazioni rumorose. Non preoccupatevi, riuscirete comunque ad ascoltare la musica, anzi con i tappi giusti anche meglio.

Usate cuffie piuttosto che auricolari interni

Le cuffie isolano meglio dal rumore esterno e consentono di ascoltare con un volume più basso del dispositivo. Inoltre, usando le cuffie, c’è più distanza tra la fonte sonora e l’orecchio interno.

Se il vostro dispositivo è dotato di un sistema di notifica che vi avvisa se il volume è troppo alto, attivatelo e fatene buon uso.

Regolate il volume del vostro dispositivo quando vi trovate in un ambiente silenzioso. Se dovete abbassare il volume per poter ascoltare e parlare con un’altra persona, significa che era già troppo alto! Nel mondo, oltre 12 bambini su 100, tra i 6 e i 19 anni, soffrono di perdita dell’udito causata dall’utilizzo di auricolari ad un volume troppo alto.

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Mai addormentarsi mentre si sta ascoltando la musica. Un’esposizione prolungata aumenta il rischio di danni all’udito.

Fate riposare le orecchie. Se avete trascorso la serata in discoteca, la mattina dopo evitate di ascoltare musica ad alto volume.

Non sottovalutate i fischi alle orecchie. Può essere un segnale che il vostro udito è stato messo a dura prova. Se vi capita spesso state rischiando un danno permanente!

Se lavorate in un ambiente rumoroso, dotatevi delle giuste protezioni. Per legge, se il rumore a cui si è esposti quotidianamente supera gli 80 dB, il vostro datore di lavoro è obbligato a prendere provvedimenti.

Eseguite il test dell’udito. Per il test dell’udito gratuito clicca qui

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I COMPOSTI PERCLORATI( Pfas) PERICOLOSI PER LA FERTILITA’ DELLE DONNE

Studio-choc del gruppo di ricerca del professor Carlo Foresta,  dell’Università di Padova, sulle ventenni residenti nell’area rossa ad alto inquinamento Pfas. Emerge che i Pfas bloccano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, l’annidamento dell’embrione e il decorso della gravidanza. I risultati dello studio saranno presentati al convegno di Medicina della Riproduzione dal 28 febbraio al 2 marzo

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Quattro mesi fa era stata diffusa la prima scoperta del gruppo del professor Carlo Foresta dell’Università di Padova, quella che definiva il meccanismo attraverso il quale i Pfas alterano lo sviluppo del sistema uro-genitale del maschio e la fertilità interferendo con l’attività del testosterone. Sostanzialmente, l’organismo li scambia per ormoni: inevitabilmente mutano l’azione delle ghiandole endocrine, causando una serie di malattie. Dopo quella pubblicazione nel “Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism”, rivista di endocrinologia clinica sperimentale di fama mondiale, adesso il gruppo di ricerca dell’Università di Padova propone alla comunità scientifica una nuova evidenza: le patologie riproduttive femminili (ad esempio alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nati pre-termine e sottopeso) possono essere correlate all’azione dei Pfas sulla funzione ormonale del progesterone, ormone femminile che regola la funzione dell’utero.

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A questo risultato è giunto dopo due anni di lavoro il gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dal professor Carlo Foresta e dal dottor Andrea Di Nisio, che ha valutato l’effetto dei Pfas sul progesterone analizzando, in cellule endometriali in vitro, come i Pfas interferiscano vistosamente sulla attivazione dei geni endometriali attivati dal progesterone.

«In particolare è stato dimostrato che, su più di 20.000 geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati e tra questi quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione e quindi alla fertilità – spiega il professor Foresta – La mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione e quindi giustificano il ritardo nella gravidanza, la poliabortività e la nascita pre-termine. Nella donna il progesterone svolge un ruolo fondamentale nel regolare finemente lo stato maturativo dell’endometrio attraverso lo stimolo di diverse cascate di geni. La riduzione nell’espressione di questi geni da parte dei Pfas è dunque indicativa di una possibile alterazione della funzione endometriale».

Risultati immagini per PFAS

Le conseguenze cliniche di questi risultati sono state peraltro confermate da un recente studio della Regione Veneto sugli esiti materni e neonatali, che ha riportato un incremento di pre-eclampsia (edemi o ipertensioni nelle donne gravide), diabete gravidico, di nati con basso peso alla nascita, di anomalie congenite al sistema nervoso e di difetti congeniti al cuore nelle aree a maggiore esposizione a Pfas. La svolta dello studio del team di Padova è appunto quella di aver individuato un meccanismo che è alla base dello sviluppo di questi fenomeni.

«A questo punto la comprensione di una interferenza importante dei Pfas sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati – spiega il professor Foresta – suggerisce l’urgenza di ricerche che favoriscano la eliminazione di queste sostanze dall’organismo, soprattutto in soggetti che rientrano nelle categorie a rischio. Allo stato attuale a livello internazionale non ci sono ancora segnalazioni, pertanto è preoccupante pensare che la lunga emivita di queste sostanze possa influenzare negativamente a lungo tutti questi processi, forse anche nelle generazioni future».

La conferma deriva anche dalla analisi dei questionari sulla salute riproduttiva ai quali sono state sottoposte 115 ragazze ventenni residenti nell’area rossa veneta, confrontando le risposte con un gruppo di 1.504 giovani donne di pari età non esposte a questo inquinamento.

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«Dall’analisi su questo campione di ragazze esposte a Pfas probabilmente già in fase embrionale – conclude il professor Foresta – è emerso un significativo ritardo della prima mestruazione di almeno sei mesi e una maggior frequenza di alterazioni del ciclo mestruale (ritardi del 30% nelle esposte rispetto al 20% della media). Tutti questi segni depongono per una interferenza da parte di questi inquinanti ambientali sull’attività degli ormoni sessuali nella donna. Pertanto la comprensione del meccanismo d’azione dei Pfas sulla funzione endometriale è importante dal punto di vista clinico e sperimentale».

C’è dunque molta attesa nella comunità scientifica per conoscere i dettagli di questo nuovo lavoro del gruppo del professor Foresta. Lo studio sarà presentato all’interno del trentaquattresimo convegno di Medicina della Riproduzione che inizia oggi ad Abano Terme e si concluderà sabato 2 marzo. In particolare, la scoperta sarà oggetto della tavola rotonda “Interferenze ambientali sullo sviluppo del sistema endocrino-riproduttivo: evidenze cliniche e sperimentali” che si terrà alle ore 15.30 di venerdì 1 marzo al centro congressi Pietro D’Abano. Tra i relatori, oltre al professor Foresta, anche il professor Carlo Alberto Redi di Pavia, noto accademico dei Lincei.

PFAS, LA SCHEDA

I composti perfluorurati (Pfas) sono sostanze chimiche di sintesi che vengono utilizzate per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa; possono essere presenti in pitture e vernici, farmaci e presidi medici. I Pfas sono ritenuti contaminanti emergenti dell’ecosistema data la loro elevata resistenza termica e chimica, che ne impedisce qualsiasi forma di eliminazione favorendone l’accumulo negli organismi. In alcune regioni del mondo (Mid-Ohio valley negli USA, Dordrecht in Olanda, e Shandong in Cina) ed in particolare in alcune zone della Regione Veneto, soprattutto nelle falde acquifere delle Province di Vicenza, Padova e Verona, è stato rilevato un importante inquinamento da Pfas nel territorio.

da http://www.ilcambiamento.it

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NEL SALENTO CONTAMINAZIONE DEL SUOLO CON METALLI PESANTI

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Arsenico e Berillio nei terreni: la ricerca Geneo su inquinamento e tumori
„ Una curva rossa nel grafico presentato dalla Lilt dimostra ciò che si sapeva, e si temeva, da anni: la Provincia di Lecce, da isola felice, ha fatto un salto in alto sulla linea delle patologie tumorali. La crescita in 14 anni, a partire dai ridenti ’90, è stata tale da allineare il territorio alla media nazionale. E, di fatto, si è esaurita quella differenza virtuosa nei confronti del Nord del Paese.

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I dati hanno spinto la Lega per lotta contro i tumori ad approfondire cause e concause del fenomeno per puntare sulla prevenzione primaria, attraverso il progetto di ricerca Geneo, condotto in partenariato con Università del Salento, Provincia di Lecce e Asl di Lecce. Al progetto hanno collaborato anche i responsabili del Registro tumori di Lecce e del Laboratorio Alfa di Poggiardo.

Lo studio mirava a trovare una correlazione tra le matrici ambientali e la grave situazione epidemiologia. In altre parole, gli enti coinvolti hanno messo in piedi una squadra di esperti chiamata a scovare i fattori dell’inquinamento dei suoli che agiscono nello sviluppo di patologie tumorali, di tipo immunitario e genetiche.

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I risultati, per quanto ancora parziali, sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta presso Palazzo Adorno a Lecce alla presenza, tra gli altri, del presidente della Provincia, Antonio Gabellone, del direttore del dipartimento di Prevenzione della Asl di Lecce, Giovanni De Filippis, del docente dell’Università del Salento, Angelo Corallo, del responsabile dello sviluppo Dss, Antonio Calisi, del responsabile di Ecotossicologia, Antonio Calisi, dell’oncologo Giuseppe Serravezza.

Lo studio Geneo si è basato sull’analisi dei campioni di terra prelevati dai suoli di 32 Comuni del Salento: è stato sondato un terzo del territorio, ma la ricerca è suscettibile di estendersi agli altri territori che ne hanno fatto richiesta.I primi risultati non lasciano sereni, per quanto dalla Lilt non abbiano lanciato un vero e proprio allarme. I testi di biotossicità hanno rivelato in alcune aree verdi (come Cutrofiano, Giuggianello e Botrugno) una possibile correlazione tra inquinamento ambientale e situazione epidemiologica della popolazione.

In più, nei suoli presi a campione, è stata trovata una presenza significativa di alcuni contaminanti (Arsenico e Berillio) e, in misura minore, del Vanadio.

Arsenico e Berillio nei terreni: la ricerca Geneo su inquinamento e tumori
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Metalli pesanti, quindi, che rivelano uno stato di contaminazione che non è compatibile con le aree verdi prese a campione. Neppure scontato. Per quanto riguarda l’Arsenico e le sue possibili sorgenti, i ricercatori spiegano che la ricerca dei pesticidi è risultata negativa.

L’analisi delle diossine, furani e Pcb (i cui livelli sono nei limiti di legge), suggerisce possibili sorgenti di contaminazione che dovranno essere oggetto di ulteriori approfondimenti.

In altre parole l’inquinamento di alcune aree verdi è stato accertato e la circostanza non lascia sereni, come spiegato dal responsabile scientifico del progetto, Giuseppe Serravezza: “Lo studio Geneo ha rivelato un preoccupante stato di contaminazione del suolo in molte parti del Salento: ciò fa temere un peggioramento della situazione epidemiologica nel prossimo futuro. Pertanto, alla luce delle ben note emergenze ambientali gravanti sul nostro territorio, riteniamo non più rinviabile il monitoraggio ambientale a salvaguardia della salute della popolazione”.

Infine un appello rivolto alle istituzioni: “Devono attivarsi quanto prima per individuare le possibili sorgenti del grave inquinamento da noi riscontrato, e predisporre tutti gli interventi tecnici, amministrativi e politici necessari”.

Arsenico e Berillio nei terreni: la ricerca Geneo su inquinamento e tumori

La ricerca nel dettaglio

Il gruppo di esperti ha ricercato le caratteristiche pedologiche fondamentali (tessitura, pH, Carbonio organico, rH), i metalli pesanti e gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), i pesticidi (insetticidi, fungicidi) e le diossine (Pcdd, Pcdf e Pcb). In seconda battuta sono stati effettuati dei test ecotossicologici, utilizzando un sistema sperimentale e innovativo, al fine di rilevare gli effetti dei contaminanti chimici negli ecosistemi. I test sono stati compiuti su “organismi sentinella”, cioè sui lombrichi, messi a contatto con i vari terreni.

In parole povere, contando il numero dei lombrichi morti entro 14 giorni, si è giunti alla conclusione che i terreni non hanno una tossicità acuta, cioè immediata. Per quanto riguarda la tossicità cronica, sul lungo periodo, alcuni terreni si sono avvicinati alla soglia limite: è il caso di Cutrofiano e Maglie.

I risultati nel complesso non sono allarmanti, ma “essere posizionati sotto la soglia non vuol dire sentirsi tranquilli”, commentano i responsabili Lilt che premono per proseguire nella ricerca scientifica così da monitorare la situazione.

Arsenico e Berillio nei terreni: la ricerca Geneo su inquinamento e tumori

La Provincia di Lecce, intanto, è stata suddivisa in tre aree che presentando, rispettivamente, un rischio epidemiologico alto, intermedio e basso. I Comuni in cui l’incidenza dei tumori è maggiore sono Zollino, Caprarica di Lecce, Calimera, Martignano, Castrì di Lecce, Sannicola, Tuglie, Sogliano Cavour, Cutrofiano, Melpignano, Maglie e Galatina. E ancora: Giuggianello, Minervino di Lecce, Sanarica, Nociglia, Botrugno, Diso, Santa Cesarea Terme, Ortelle, Morciano di Leuca, Patù, Salve, Castrignano del Capo e Gagliano del Capo.

Novoli, Campi Salentina, Squinzano si collocano nella fascia intermedia. Infine i Comuni che presentano un rischio basso sono Porto Cesareo, Leverano, Miggiano, Montesano Salentino.

Nelle 9 aree selezionate, gli esperti non hanno trovato una correlazione diretta e significativa tra situazione epidemiologica e contaminazione del suolo. La vera sorpresa è stata il rilevamento dei metalli pesanti già menzionato.

Arsenico e Berillio nei terreni: la ricerca Geneo su inquinamento e tumori
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l progetto Geneo

Geneo inaugura la linea di ricerca in Oncologia ambientale del nascente Centro Ilma Llt, l’Istituto Scientifico in via di ultimazione a Gallipoli interamente ed esclusivamente finanziato dalla comunità locale per dotare il territorio di una struttura sanitaria ispirata a criteri di sostenibilità e di sicurezza per la salute degli organismi viventi.

La presentazione del report finale, oltre che per la valenza scientifica di conoscere lo stato di salute dei suoli posti a studio e le sue implicazioni prospettiche, è occasione di condivisione sociale di rilievo per l’ufficializzazione del primo lavoro scientifico del Centro Ilma, opera di solidarietà comunitaria ed esempio di investimento dal basso.

articolo di marina Schirinzi su lecceprima

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note :

il berillio. Il berillio è un metallo alcalino terroso color grigio acciaio, rigido, leggero ma fragile. E’ usato principalmente come agente rafforzante nelle leghe (rame-berillio) ed è da considerarsi un carcinogeno per l’uomo. Il berillio e i suoi sali sono sostanze tossiche e cancerogene riconosciute. La berilliosi cronica è una malattia polmonare granulomatosa causata dall’esposizione al berillio. Il berillio è dannoso se inalato, gli effetti dipendono dai tempi e dalla quantità di esposizione. Se i livelli di berillio nell’aria sono sufficientemente alti, si può andare incontro a una condizione che ricorda la polmonite ed è chiamata berilliosi acuta. L’esposizione al berillio per lunghi periodi può incrementare i rischi di sviluppare il cancro ai polmoni. L’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha stabilito che il berillio è una sostanza cancerogena.

Il vanadio. Il vanadio è un elemento raro, duro e duttile, che si trova sotto forma di composto in certi minerali. Si usa soprattutto in metallurgia, per la produzione di leghe.Il vanadio in polvere è infiammabile e tutti i suoi composti sono considerati altamente tossici, causa di cancro alle vie respiratorie quando vengono inalati. Il più pericoloso è il pentossido di vanadio. L’OSHA (l’ente statunitense per la sicurezza sul lavoro) ha fissato un limite di esposizione per il pentossido di vanadio in polvere e di per i vapori del medesimo. Un limite di 35 mg/m³ di composti di vanadio è considerato critico; non va mai superato in quanto è alta la probabilità che causi danni permanenti o la morte.

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TURNI IRREGOLARI INVECCHIANO IL CERVELLO

Da La Repubblica

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TURNI di lavoro irregolari, magari con orari estremi, si sa possono essere fonte di stress. Ora uno studio francese, pubblicato sul Journal of occupational medicine, rivela che chi è sottoposto a turnazioni che impongono un’alterazione del naturale ritmo sonno-veglia, invecchia più velocemente.  Il lavoro sui turni infatti disorganizzerebbe il ritmo circadiano – l’orologio interno del corpo – nello stesso modo in cui agisce il jet lag, ed era già stato associato ad un più elevato rischio di problemi cardiaci e alcuni generi di tumore.
Lo rivela uno studio francese, pubblicato sul Journal of occupational medicine. Il declino in persone che prestano servizio in orari ‘irregolari’ da almeno 10 anni equivale a sei anni e mezzo di invecchiamento naturale
La ricerca è stata condotta su un campione di 3.000 persone. In particolare, il livello di declino cognitivo riscontrato in persone che lavoravano su turni irregolari da almeno dieci anni era equivalente a sei anni e mezzo di invecchiamento naturale. Tuttavia l’esatto meccanismo con cui questo succede non è ancora stato compreso: una teoria punta il dito contro l’eccessiva produzione di ormoni dello stress, che causerebbero la distruzione o il malfunzionamento di alcune strutture neuronali.

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Coloro che lavorano di notte, poi, sarebbero più vulnerabili ai deficit di vitamina D, a causa della ridotta esposizione alla luce diurna, deficit che è stato associato da alcuni studi a un calo delle capacità cerebrali. La situazione tuttavia non sarebbe irreversibile: tornare al lavoro a orari regolari migliorerebbe le facoltà cognitive, anche se il tempo di recupero non è certo breve; per tornare alla normalità servirebbero infatti almeno cinque anni.

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Nell’ambito di questo studio parte dei partecipanti sono stati seguiti in tre differenti fasi: nel 1996, 2001 e 2006. Un quinto di queste persone avevano turni che variavano fra la mattina, i pomeriggi e la notte.

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RIDERS E LAVORO AUTONOMO : GLI OBBLIGHI DELLA SICUREZZA

 da http://www.quotidianosanita.it
Dopo la decisione deL Governo di riconoscere a questi lavoratori lo status di lavoro autonomo con paga minima e assicurazione infortuni e malattia occorre che datore di lavoro e lavoratore si mettano anche in regola con le normative per la tutela della salute e la sicurezza del lavoro. Ecco come
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15 GEN – Riconoscere ai riders lo status di lavoratori autonomi con assicurazione e tutele su malattie, infortuni e paga minima è importante. Ma non basta. Per  i cosiddetti ciclofattorini, occorre portare avanti anche il discorso della tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

La normativa parla chiaro  ed elenca gli obblighi e la documentazione necessaria per scongiurare infortuni sul lavoro e malattie professionali  anche a questa categoria di lavoratori.

Per rendersi conto della delicatezza della questione, basta considerare che in questi anni il numero di lavoratori autonomi è andato via via aumentando, in particolar modo nei comparti delle costruzioni, dei trasporti e dell’agricoltura.

I pericoli a cui tali lavoratori sono esposti sono gli stessi dei lavoratori dipendenti, il rischio di infortuni con lesioni invalidanti o mortali è tuttavia doppio rispetto a tutte le altre categorie di lavoratori. Secondo  il D. Lgs. n. 81/08. le regole sulla sicurezza nei luoghi di lavoro si applicano a tutti i tipi di lavoratori (subordinati, autonomi e soggetti equiparati).

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I lavoratori autonomi vengono considerati al pari di altre categorie di lavoratori e per questo sono tenuti a rispettare gli stessi obblighi previsti dalla legge.  Se si pensa ad esempio ai contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione, anche in questi casi la normativa da utilizzare come riferimento è la stessa per tutti tipi di lavoratori. Questo significa che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e salute e delle persone che si trovano sul luogo di lavoro e sulle quali ricadono gli effetti delle proprie azioni.

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Per il  lavoratore autonomo in materia di salute e sicurezza troviamo  sia  adempimenti obbligatori sia quelli facoltativi.

Tra i primi occorre utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III del D.Lgs. 81/2008 (significa che le attrezzature di lavoro (biclette) devono: possedere i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa, ovvero devono rispondere alle disposizioni previste dalle norme di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto – es. marcatura CE – oppure, qualora costruite in assenza o precedentemente all’emanazione di tali direttive, rispettare i requisiti generali di sicurezza di cui all’allegato V al D.Lgs. 81/2008.

Poi queste devono essere mantenute in perfetto stato di efficienza e sottoposte alle verifiche periodiche previste dalla legge e comunque, se non specificato altrimenti, dal costruttore ed essere utilizzate esclusivamente da personale adeguatamente informato, formato e addestrato.

Poi occorre munirsi di dispositivi di protezione individuale (scarpe antinfortunistiche, casco di protezione, guanti,   conformi alle norme di legge, essere idonei e adeguati all’uso specifico, essere integri e in perfetto stato di efficienza, essere indossati previo informazione, formazione e addestramento specifici).

E ancora munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.

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Il lavoratore autonomo può scegliere inoltre di osservare alcuni adempimenti facoltativi. Tra questi troviamo: la partecipazione a corsi di formazione e di addestramento abilitanti e i controlli sanitari (ad esclusione di quelli previsti per ottenere l’idoneità sanitaria che rimangono obbligatori per legge).

Il datore di lavoro  che  si affida alle prestazioni di un lavoratore autonomo, è tenuto inoltre a rispettare alcuni adempimenti per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.

Sempre secondo il Decreto Legislativo n. 81/08, infatti, il datore di lavoro dovrà:
verificare l’idoneità tecnico-professionale del lavoratore (certificato camerale, DURC, elenco DPI, idoneità sanitaria, dichiarazione sulla conformità delle attrezzature, attestati di formazione e così via);
fornire le informazioni dettagliate sui rischi specifici dell’ambiente in cui andrà a operare, sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in base alla propria attività;
rendere sicuri tutti gli ambienti nei quali si svolgeranno le attività del lavoratore autonomo;
coordinare gli interventi di prevenzione e protezione (riunioni preliminari e periodiche, attività di vigilanza e controllo).

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Questi obblighi si riferiscono tanto ai dipendenti dell’azienda quanto ai lavoratori autonomi chiamati a svolgere l’attività lavorativa, anche se solo parzialmente, nell’azienda).

Domenico Della Porta
Docente di Medicina del Lavoro Università Telematica Internazionale Uninettuno Roma

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