MASCHERINE

EFFETTI A LUNGO TERMINE DEL COVID.

La sindrome da post-COVID, nota come «long COVID» può avere un impatto fortemente negativo sui lavoratori e sui luoghi di lavoro. Difficoltà respiratorie, stanchezza, mal di testa nonché problemi di memoria e concentrazione sono sintomi che possono durare settimane o addirittura mesi. I datori di lavori si trovano in difficoltà quando lavoratori che ricoprono una posizione chiave non riescono a tornare pienamente operativi a causa di sintomi da long COVID e pertanto possono rivelarsi necessari adeguamenti delle modalità di lavoro.

Questo documento di riflessione illustra le difficoltà nella prevenzione e nella gestione della sicurezza sul lavoro e dei rischi per la salute connessi alla long COVID. Passa inoltre in rassegna possibili misure a livello di politiche, ricerca e attuazione volte a ridurre l’impatto della long COVID e a offrire protezione da eventuali pandemie in futuro.

Consulta il documento di riflessione Impatto della long COVID sui lavoratori e sui luoghi di lavoro e ruolo della SSL

Scopri le altre risorse disponibili nell’apposita sezione tematica Ambienti di lavoro sani e sicuri fermano la pandemia.

da osha.eu

OBBLIGO DI MASCHERINE SUI LUOGHI DI LAVORO FINO A GIUGNO

È la posizione emersa alla riunione delle parti sociali con il ministero del Lavoro, Salute e Mise

Mantenere il protocollo di sicurezza per il contrasto al Covid nei luoghi di lavoro di aprile 2021 che tra l’altro prevede l’uso obbligatorio delle mascherine «in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto» (non necessario nel caso di attività svolte da soli) e poi una verifica entro fine giugno per un aggiornamento. È la posizione emersa alla riunione delle parti sociali con il ministero del Lavoro, Salute e Mise per la valutazione delle misure necessarie nell’ambito delle attività produttive.

A breve formalizzazione in un documento

Vengono confermate dunque tutte le misure di protezione previste: le mascherine continueranno ad essere fornite dai datori di lavoro come dispositivo di protezione individuale e anche le altre misure presenti dovranno essere rispettate così come i comitati aziendali o territoriali/settoriali continueranno a svolgere un importante ruolo attivo. La decisione – arrivata al termine di un tavolo in videoconferenza con Confindustria e le associazioni del mondo datoriale e Cgil, Cisl, Uil, Ugl – sarà formalizzata a breve in un verbale ad hoc. Prima di quella data è previsto comunque un nuovo giro di tavolo per una ulteriore valutazione che tenga conto dell’evoluzione della pandemia e di sempre possibili ricadute nel prossimo autunno.

operai coronavirus mascherine

Ministero: parti sociali confermano validità protocolli

Le parti sociali «dopo un approfondito confronto, hanno confermato unanimemente di ritenere operante il protocollo» sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro per il contrasto al Covid, l’ultimo sottoscritto il 6 aprile 2021, «nella sua interezza e di impegnarsi a garantirne l’applicazione, proseguendo dunque lungo la direzione dell’importante funzione di prevenzione che l’accordo ha consentito». Così il ministero del Lavoro, al termine della riunione, aggiungendo che si è deciso «di fissare un nuovo incontro entro il prossimo 30 giugno per verificare l’opportunità di apportare i necessari aggiornamenti al testo del Protocollo connessi all’evoluzione» della situazione epidemiologica. «Tutti i presenti – sottolinea il ministero – hanno rilevato che, nonostante la cessazione dello stato d’emergenza, persistano esigenze di contrasto del diffondersi della pandemia da Covid-19». La riunione si è svolta alla presenza di rappresentanti del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, del ministero della Salute, del ministero dello Sviluppo economico, dell’Inail e di tutte le parti sociali per valutare le misure di prevenzione previste dal Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro del 6 aprile 2021, che riguarda anche l’uso delle mascherine «obbligatorio in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto», mentre «non è necessario nel caso di attività svolte in condizioni di isolamento».

Soddisfatte le sigle sindacali

I sindacati plaudono alla conferma di un protocollo da loro fortemente voluto, che ha permesso di garantire la tutela dei lavoratori e reso i posti di lavoro, luoghi più sicuri e protetti dal pericolo di contagio. «Bene il mantenimento della validità del Protocollo così com’è in tutte le sue parti, e consideriamo utile fare una successiva e prima verifica a giugno», afferma la segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David. Il protocollo sicurezza anti-contagio Covid «vive» secondo la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese. «Certo – aggiunge – sarà necessario qualche aggiornamento rispetto a particolari misure prese durante il periodo peggiore della pandemia, ma il protocollo per la protezione dal contagio di lavoratrici e di lavoratori resta valido. Quindi le mascherine continueranno ad essere fornite dai datori di lavoro come dispositivo di protezione individuale e anche le altre misure presenti dovranno essere rispettate».

DOSSIER AMIANTO

in occasione della giornata mondiale delle vittime di amianto che viene celebrata il 28 aprile riportiamo uno speciale pubblicato dalla rivista Wired

A trent’anni dalla messa al bando in Italia della fibra minerale cancerogena, uno dei più pericolosi inquinanti, cosa è stato fatto? La mappatura dei siti contaminati resta incompleta, raddoppiano i morti causati dalle malattie asbesto-correlate. E le bonifiche vanno a rilento

Lo ha ribadito il Parlamento europeo, lo confermano gli ultimi dati epidemiologici raccolti in Italia. C’è un’altra “epidemia” in atto. È quella causata dall’amianto, minerale fibroso cancerogeno, usato in edilizia e nell’industria, ritenuto per troppo tempo indistruttibile ed “eterno”. Per aver respirato le sue fibre, mille volte più sottili di un capello, disperse dentro e fuori le abitazioni, scuole, ospedali, nei luoghi di lavoro, in Europa muoiono ogni anno almeno 80mila persone. In Italia, tra il 2010 e il 2016, sono stati 4.410 decessi all’anno, secondo quanto elaborato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), attribuibili all’esposizione da amianto, detto anche asbesto per tumori cancerogeni maligni come il mesotelioma, causato esclusivamente dall’amianto e le cosiddette malattie dette “asbesto-correlate”.

Tra queste l’asbestosi e i tumori ai polmoni e alle ovaie, a cui si aggiungono con il giudizio di “possibile cancerogenicità” i tumori della faringe, dello stomaco e del colon-retto. Malattie che non è possibile prevenire se non attraverso l’eliminazione delle fibre nocive dall’aria che respiriamo. Il lunghissimo tempo di latenza dell’insorgenza delle neoplasie, che possono manifestarsi tra i venti e i quarant’anni dall’esposizione ambientale alla polvere d’amianto, rende impossibile ogni altra forma di prevenzione. Sebbene il nostro Paese sia uno dei primi al mondo ad averlo messo al bando con la legge 257 del 27 marzo 1992, resta tuttora quello con il maggior numero di casi di mortalità ascrivibili alla fibra killer.

L’inchiesta:

Un problema sottostimato

Anche in tempo di pandemia, i dati epidemiologici sono più che allarmanti e restano tuttora sottostimati, anche perché permane, come commentano gli stessi addetti ai lavori, una diffusa negligenza nelle diagnosi. Secondo i dati storici raccolti da Inail nel registro nazionale sui mesoteliomi (Renam), tumori unicamente causati dalle fibre d’amianto, che possono colpire i tessuti molli del nostro organismo come il peritoneo, la pleura e il pericardio, sono stati diagnosticati tra il 1993 e il 2018, ben 31.572 casi. Il 56,7% dei quali è concentrato in Lombardia (6653), Piemonte (5084), Liguria (3263) ed Emilia-Romagna (2873).

Ma se quasi il 70% dei casi è riconducibile a coloro che hanno lavorato in ambienti di lavoro contaminati, il 10% è stato identificato tra chi ha respirato amianto solo per aver convissuto in ambito familiare con una persona esposta in ambito professionale, oppure per cause ambientali. Mentre per il 20% l’ambito di esposizione è completamente ignota.

Inoltre, gli epidemiologi dell’Iss hanno individuato la mortalità precoce per mesotelioma come “indicatore” di esposizione ambientale all’amianto nei bambini. Tra il 2003 e il 2016 sono stati registrati 487 decessi tra gli under 50, persone residenti in 357 comuni tra i circa 8.000 esistenti, situati all’interno delle regioni a maggior rischio per la presenza sul territorio di importanti sorgenti di asbesto, come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, ma anche nuove aree potenzialmente a rischio. Individui che hanno “respirato amianto” in età pediatrica senza saperlo. Ragione già di per sé sufficiente per accelerare mappatura e bonifiche.

Tra i lavoratori maggiormente colpiti rimangono poi quelli edili, visto la presenza massiccia di amianto negli edifici costruiti prima del 1992. Un ulteriore approfondimento epidemiologico segnala come ci sia un trend crescente di mesoteliomi tra i lavoratori nel settore costruzioni, passato dal 15.8% dei casi nel periodo tra il 1992 e il 1998 al 23.9% tra il 2014 e il 2018.

Il Green deal passa anche dalla bonifica dell’amianto

Proprio il Parlamento europeo lo scorso 20 ottobre ha emesso una risoluzione che Commissione e stati membri dovranno fare propria quanto prima, a partire dalla sorveglianza epidemiologica sui lavoratori e tra tutti coloro che, per vari motivi, ne sono e ne saranno ancora a contatto. Il testo prevede il riconoscimento e indennizzo delle malattie correlate all’amianto, oltre che la verifica della presenza della fibra killer prima dei lavori di ristrutturazione energetica e della vendita o locazione di un immobile. Norme basilari, anche alla luce dell’ondata di riqualificazione degli edifici, innescata dal Green deal europeo e dal programma Next Generation Europe.

Una cosa è certa: il largo uso di amianto per l’edilizia in Italia, prima del divieto, rende la probabilità di esposizione per gli addetti alle bonifiche una preoccupazione reale ancora oggi. In particolare, per coloro che lavorano nella manutenzione e nella rimozione di vecchi edifici, senza sapere di venir a contatto con l’asbesto.

La risoluzione sottolinea, inoltre, che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) riconosce che l’amianto è un agente cancerogeno senza un livello soglia, (basta quindi potenzialmente una singola fibra per essere esposti), mentre il regolamento Reach ha specificato che la fabbricazione, la vendita e l’uso di fibre di amianto e di prodotti contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati e si dovrà garantire la completa eliminazione dei prodotti di amianto, dagli stati membri, a decorrere dal 1° luglio 2025.

La mappa dei siti contaminati che non c’è

L’amianto, quindi, non è solo una pesante eredità del nostro passato industriale, ma resta un dramma dei giorni nostri che ricade e ricadrà anch’esso, sulle spalle delle nuove generazioni. La diffusione della fibra minerale cancerogena, infatti, sembra ancora più estesa di quanto non avevamo scritto nel 2015, nell’inchiesta di Wired Italia Il prezzo dell’amianto. La mappatura dei siti contaminati, indispensabile per identificare le aree da bonificare con la massima urgenza tra cui scuole, ospedali, caserme, rimane ancora incompleta o non accessibile per i cittadini, le associazioni delle vittime e i giornalisti.

Secondo i calcoli della direzione prevenzione del ministero della Salute, per bonificare in un anno gli oltre 23 milioni di tonnellate da amianto, quantificate nel 1992, occorrerebbero circa un milione e 700mila operatori. Mentre attualmente gli addetti alle bonifiche in Italia sono meno di 30mila. Come a dire che, di questo passo, ci vorranno ancora tra i sessanta e cento anni per completare le bonifiche nel nostro Paese.

I dati che mancano

A oggi, le stime ufficiali riportate nelle sezioni del sito web del ministero della Transizione ecologica (Mite), sia quella dedicata ai siti contaminati di interesse nazionale (Sin) che quella dedicata al Piano nazionale amianto (Pna), varato nel 2012 e mai messo davvero in pratica, parlano ancora di 108mila siti contaminati e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020. Eppure già nel 2018 Legambiente con il rapporto Liberi dall’amianto era riuscita a quantificare, proprio dai dati ottenuti mediante dei questionari somministrati alle stesse regioni, una stima di 370mila siti contaminati, pari circa a 57 milioni di metri quadrati di coperture di cemento-amianto.

Dati che dovrebbero essere comunicati puntualmente dalle amministrazioni regionali al Mite il 30 giugno di ogni anno. Ma, mentre alcune regioni, come il Piemonte, hanno reso disponibili i dati in formato open data e geolocalizzato, in alcuni casi non sono mai stati aggiornati negli ultimi 5 anni, come per la Lombardia che pure da sola aveva quantificato, già nel 2013. Circa 149mila siti. Solo parzialmente, quindi, i cittadini possono reperire informazioni sui siti delle regioni, delle agenzie regionali per l’ambiente (Arpa) e del proprio comune di residenza, nell’attesa che il nuovo portale Info amianto pa, avviato nel 2020 dal Mite venga reso disponibile e aperto alla consultazione.

Secondo Nicola Pondrano, già presidente nazionale del Fondo nazionale vittime amianto e responsabile della sezione previdenza dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato, come riferito recentemente in audizione al senato, una stima reale, conteggiando tutti gli immobili industriali, potrebbe essere, circa un milione di siti contaminati.

Tuttora, infatti, è in corso alla Corte di cassazione di Novara, uno dei processi Eternit Bis, che vede sul banco degli imputati il magnate svizzero Schmidheiny, patron della multinazionale, per la morte di 392 cittadini e lavoratori di Casale Monferrato. Procedimento avviato nel 2015, dopo che, un anno prima, la prescrizione aveva invalidato il primo processo per disastro innominato con 2889 parti lese. È invece dello scorso 6 aprile la sentenza di condanna per omicidio colposo in primo grado, a suo carico, per un solo lavoratore, deceduto a causa del mesotelioma per l’Eternit di Bagnoli (Napoli), dove esisteva un’altra sede dello stabilimento, così come a Cavagnolo (Torino) e Rubiera (Reggio Emilia).

Lo scheletro della Fibronit di Bari non esiste più

Bari, lo scheletro della Fibronit, copertina dell’inchiesta Il prezzo dell’amianto, è stato abbattuto. Finalmente, come abbiamo appreso dal Comitato cittadino Fibronit, verranno avviati i lavori per la realizzazione del “Parco della rinascita”, intitolato alle vittime.

Broni, in Lombardia, minuscola cittadina della provincia pavese, ma con la più alta incidenza di mortalità per mesotelioma d’Italia, cinquanta vittime all’anno per poco più di novemila abitanti nel 2021, è stata completata la messa in sicurezza dello stabilimento Fibronit. Oltre altri due importanti poli contaminati, quali l’ospedale e il polo scolastico Biffi. Solo qualche anno fa, i ragazzi si recavano ancora a scuola nelle aule ricoperte d’amianto. Bologna, invece, a causa dell’inquinamento da asbesto alle Officine Grandi Riparazioni, di proprietà di Ferrovie dello Stato, è stata anch’essa riconosciuta come sito di interesse nazionale. Ma le bonifiche devono ancora iniziare.

DERMATITE DA MASCHERINE NEGLI OPERATORI SANITARI

Da DentalAcademy.it

In tempo di pandemia, i dispositivi di protezione individuale (Dpi), in particolare le mascherine, sono quanto mai essenziali per la sicurezza degli operatori sanitari. È stato però dimostrato che l’uso prolungato dei Dpi aumenta il rischio di dermatosi professionali. Tra le dermatiti professionali figurano la dermatite da contatto irritativa – a cui sono dovuti quattro casi su cinque – e la dermatite allergica da contatto.

Una revisione sistematica delle dermatosi professionali derivate dall’uso prolungato delle mascherine chirurgiche e dei respiratori FFP3 (N95) è stata recentemente pubblicata sul Journal of the American Academy of Dermatology a cura di un variegato team di studiosi di diversi ospedali e università statunitensi. «Abbiamo identificato – riassumono gli autori – 344 articoli, di cui 16 erano adatti per essere inclusi nella nostra revisione. Gli articoli selezionati erano incentrati sulle dermatosi professionali del viso negli operatori sanitari. È stata segnalata l’insorgenza di dermatite allergica in diversi soggetti, mentre la dermatite da contatto irritativa è risultata comune sulle guance e sul dorso del naso a causa della pressione e dell’attrito».

La dermatite da contatto irritativa, la forma più comune tra le malattie della pelle professionale, deriva da lesioni citotossiche dovute al contatto diretto con sostanze chimiche o irritanti fisici. Le manifestazioni si presentano clinicamente come eritema, desquamazione, edema e vescicole insieme a ulcerazioni e fessure nell’area di contatto. I sintomi riportati spesso includono dolore, pizzicore o bruciore più che prurito. I pazienti con una storia di dermatite atopica sono più suscettibili agli irritanti perché hanno difetti di barriera cutanea. I ricercatori americani hanno rilevato un’associazione della dermatite irritativa con un utilizzo prolungato della mascherina (più di sei ore).

Sono stati anche segnalati casi di eruzioni acneiformi dovute probabilmente a sfregamento o a occlusione (acne meccanica) in pazienti che in passato avevano già sofferto di acne. L’orticaria da contatto è stata piuttosto rara.

La dermatite da contatto allergica è invece una reazione di ipersensibilità di tipo IV ritardata che può svilupparsi in risposta agli allergeni nell’ambiente. In questo caso, i fattori di rischio sono i materiali di cui è composta la mascherina o che sono stati utilizzati per la sua realizzazione e sono ovviamente esacerbati dall’uso prolungato. La divulgazione incompleta e talvolta assente delle sostanze chimiche impiegate nella produzione dei Dpi rende difficile l’identificazione degli allergeni rilevanti. Gli autori hanno comunque identificato diverse fonti possibili di dermatite allergica, come i lacci elastici, la colla e la formaldeide rilasciata da questi dispositivi. Fili o cerchi metallici vengono utilizzati per modellare la mascherina sul viso; anche se è improbabile che questi fili siano a diretto contatto con la pelle, l’uso ripetuto o per lunghi periodi, lo sfregamento e la sudorazione possono provocare il rilascio e il trasferimento degli ioni metallici sulla pelle e scatenare reazioni allergiche in alcune persone predisposte.

Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal

1. Yu J, Chen JK, Mowad CM et al. Occupational dermatitis to facial personal protective equipment in health care workers: a systematic review. J Am Acad Dermatol. 2021 Feb;84(2):486-494.

NUOVO STUDIO SULL’EFFICACIA DELLE MASCHERINE

Da dottnet.it

Le mascherine rappresentano uno dei più efficaci mezzi preventivi di salute pubblica contro il Covid: riducono del 53% l’incidenza della malattia, quindi i contagi. È quanto emerso da una vasta meta-analisi pubblicata sul British Medical Journal e condotta da Stella Talic della Monash University in Australia, rianalizzando i dati di 72 studi pubblicati sull’efficacia dei metodi non farmacologici contro il Covid (come ad esempio il distanziamento). 

Importante è risultata anche l’igiene delle mani, che a sua volta riduce le infezioni del 53%, anche se non vi sono dati sufficienti da un punto di vista statistico; mentre il distanziamento fisico ha un’efficacia più limitata: riduce l’incidenza del Covid del 25%.   “E’ plausibile che per aumentare il controllo della pandemia è necessaria non solo un’elevata copertura vaccinale e la sua efficacia, ma anche l’aderenza continua a misure di salute pubblica efficaci e sostenibili”, ha concluso Talic.

INDICAZIONI INAIL CONTROLLO INFEZIONE COVID IN AMBITO SCOLASTICO

Il documento “Indicazioni strategiche ad interim per la prevenzione e il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito scolastico (a.s. 2021-2022)” intende  presentare le possibili misure di mitigazione/controllo da adottare in relazione ai possibili scenari epidemiologici di diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 nelle comunità scolastiche (inclusi i percorsi di istruzione e formazione professionale – IeFP) nel 2021-2022 alla luce dell’impatto delle misure intraprese nella stagione 2020-2021, dei cambiamenti epidemiologici e dello stato di avanzamento della campagna vaccinale.


Le misure di prevenzione e contrasto alla trasmissione di SARS-CoV-2 si sono basate principalmente su interventi di prevenzione non farmacologica, di contact tracing e di testing per la didattica in presenza, tra cui, il distanziamento fisico, l’utilizzo delle mascherine, la sanificazione degli ambienti, il ricambio d’aria, l’igiene delle mani e l’etichetta respiratoria.
Il documento fa anche il punto sulle evidenze scientifiche finora prodotte in Italia dalle istituzioni sanitarie che dimostrano come la trasmissione del virus fra i giovani sia legata più alla comunità che alla frequenza e alla sede scolastica.


Prodotto: Opuscolo
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

TUTTE LE FFP2 DA EVITARE

Emergono nuovi dettagli riguardo alle mascherine difettose provenienti dalla cina. Secondo quanto riporta la Repubblica, la procura di Gorizia ha decretato che la metà dei dispositivi individuali provenienti dalla Cina non sono efficaci. Uno su due non filtra a sufficienza. La documentazione turca che ne attesta la conformità delle direttive Ue (già al centro degli scandali da alcuni mesi), sarebbe contraffatta. Dodici interi lotti di facciali modello Ffp2 e Ffp3 sono ora sotto inchiesta. Si tratta dei dpi ad alta protezione utilizzati direttamente dal personale sanitario in ospedali, ambulatori e Residenze per anziani (fonte il. Giornale).

PRECEDENTEMENTE RICORDIAMO LE MASCHERINE CON MARCATURA CE 2163 COME DI DUBBIA EFFICIENZA.

12 modelli attualmente bloccati sono: 

  • FACCIALE SCYFKZ KN95 GB2626~2006 FILTRANTE FFP2 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE (UNECH KN95) FILTRANTE FFP2 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE (ANHUI ZHONGNAN) FILTRANTE FFPZ GB2626-2006 EN149 S/V AL VOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE (JY-JUNYUE) FILTRANTE KN95 GB/2626-2006 EN 149 FFP2 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE (WENZHOU XILIAN) FILTRANTE FFP2 KN95 GB2626-2006 EN 149 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE {ZHONGKANG) FILTRANTE FFP2 KN95 GB2626″2006 EN 149 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • FACCIALE WENZHOU HUASAI FILTRANTE KN95 GB/2626-2006 EN 149 FFP2 S/VALVOLA DPI MONOUSO;
  • MASCHERINE FILTRANTI WENXIN FFP2 – KN 95 PRODOTTE DALLA TONGCHENG WENXIN LABOR PROTECTION PRODUCTS CO. LTD;
  • FACCIALE – MASCHERINE FILTRANTI BI WEI KANG® CE 1282-9600 TYPE FILTER RESPIRATOR PRODOTTE DALLA YIWU BIWEIKANG LABOR PROTECTION PRODUCT CO. LTD;
  • FACCIALE (SIMFO KN95 – ZHYI- SURGIKA) FILTRANTE FFP2 DPI S/VALVOLA DPI EN 149 MONOUSO PER PROTEZIONE, DISTRIBUITE DALLA SOCIETÀ SURGIKA SRL CON SEDE IN LEV ANE BUCINE (AR);
  • FACCIALE (WENZHOU LEIKANG) FILTRANTE FFP3 S/VALVOLA EN149, PRODOTTE DALLA WENZHOU LEIKANG MEDICAI. TECNOLOGY CO.LTD;
  • FACCIALE (XINNUOZI) FILTRANTE FFP3 S/VALVOLA GB2626-2006 EN149, PRODOTTE DALLA HAINING NUOZI MEDICAL EQUIPEMEN’T CO. LTD

NUOVO PROTOCOLLO 6 APRILE 2021 PER IL CONTRASTO AL COVID

Il nuovo protocollo per la sicurezza e il contrasto al Covid all’interno delle aziende è stato firmato il 6 aprile. Ecco cosa prevede: Particolare attenzione per il distanziamento: all’interno degli spazi condivisi i dispositivi di protezione sono individuati in base al rischio della mansione. La mascherina chirurgica è da adottare fatto salvo la necessità di dispositivi di livello superiore. Le trasferte sono possibili dopo una valutazione con il medico delle condizioni epidemiologiche delle destinazioni. Riammessi stage e tirocini formativi, sospesi nella prima fase della pandemia. Nuovamente concesse le attività formative in presenza, ma rimane possibile anche effettuarle a distanza. Nuova centralità al medico competente: potrà suggerire alle aziende testing e screening che ritiene utili per limitare la diffusione del virus. Le imprese che lo vorranno potranno organizzare la vaccinazione per i dipendenti che lo desiderano. Rimane necessario un tampone negativo per il rientro al lavoro dopo la positività. Il test molecolare va eseguito dopo 10 giorni per gli asintomatici e dopo 3 giorni senza sintomi e almeno 10 di isolamento per i sintomatici.

GUIDA ALLA MASCHERINA CERTIFICATA CE GIUSTA

Da Dottnet.it

Continua la polemica sulle mascherine con il costante apporto da parte degli esperti per identificare i prodotti “irregolari”. Nel mirino sono finite quelle con la marchiatura CE 2163, certificate dal laboratorio turco Universalcert e vendute anche in alcune farmacie italiane, su cui sono ancora in corso indagini. Al momento sono ancora nel database UE: l’obiettivo è ora capire se i dispositivi fossero non a norma già dopo aver ottenuto il “bollino” CE oppure se le modalità di produzione siano cambiate successivamente.  Ci sono però altri codici che sono considerati certamente non sicuri, a cui gli acquirenti devono fare attenzione. Queste le sigle “sospette”, come riporta Il Giorno:

ICR Polska (Polonia) – CE 2703

CELAB (Italia) – CE 2037

ECM (Italia) – CE 1282

ISET (Italia) – CE 0865

TSU Slovakia (Slovacchia) – CE 1299

Chiunque sia in possesso di mascherine Ffp2 con questo marchio, quindi, fa meglio a liberarsene. Intanto la Comunità Europea ha realizzato un database in cui si può inserire il codice della propria mascherina e verificare se questa è in regola o meno e se la società che l’ha venduta abbia o meno i requisiti per farlo.

Mascherine Ffp2: la guida

Ma come si è arrivati a questa confusione su uno strumento giudicato fra le protezioni fondamentali dal contagio? Il sito altroconsumo.it ha fatto chiarezza sulla natura delle Ffp2 e su come verificare la loro correttezza. Le mascherine Ffp2 (come le sorelle Ffp3) sono mascherine filtranti facciali. Per essere messe in commercio devono essere prima analizzate da un organismo terzo che ne certifichi l’aderenza ai requisiti della norma tecnica EN 149:2001 sulla protezione delle vie respiratorie. Ottenuto il via libera il produttore potrà “fregiarsi” del marchio CE. Come riconoscere le mascherine a norma? Sulla confezione e sul prodotto deve essere riportato il marchio CE accompagnato da un codice di quattro numeri. Questo identifica il laboratorio o un altro soggetto che ha dato il via libera al prodotto perché questo è in linea con la norma EN 149:2001. Il marchio CE, per altro, deve avere proporzioni precise. Se è diverso o ha dimensioni differenti può essere contraffatto e quindi non rispettare gli standard di sicurezza europei.

Come valutare se le mascherine Ffp2 acquistate sono regolari

Le informazioni che servono sono due: il codice di 4 lettere che si abbina al marchio CE e il certificato che accompagna il dispositivo di protezione. L’elenco completo di tutti gli enti certificatori compare sul database “Nando” della Commissione Europea. In questa lista possiamo controllare se il numero che accompagna il marchio CE della nostra mascherina Ffp2 corrisponde a un laboratorio autorizzato a valutare i dispositivi di protezione e a certificarli. Basta cercare il codice di 4 numeri e aprire la scheda dell’organismo. Qui troveremo quali prodotti può certificare. Nel caso delle Ffp2 devono essere citati il “personal protective equipment” e il Regolamento EU 2016/425. E tra i prodotti valutati deve essere presente il riferimento a “Equipment providing respiratory system protection”. Se non compare in questo elenco, il certificato che accompagna le nostre mascherine è quasi sicuramente un falso.

Le informazioni obbligatorie del certificatore

Il certificato di conformità emesso da un laboratorio autorizzato deve contenere informazioni obbligatorie. Se non ci sono è molto probabile che il certificato sia contraffatto. Queste le informazioni indispensabili:

  • nome e codice numerico dell’organismo notificato che certifica;
  • nome e indirizzo del fabbricante o del mandatario;
  • tipologia di DPI;
  • riferimento alle norme tecniche considerate per la certificazione della conformità
  • data di rilascio.

Sempre nel database Nando sono presenti gli indirizzi dei siti web degli enti certificatori. Qui, solitamente, si può verificare se i certificati sono autentici e si può anche individuare il produttore della mascherina per cui è stata chiesta la certificazione, a cui poi si può scrivere un’email. Attenzione anche al QR Code di cui sono dotate alcune confezioni o imballaggi di dispositivi di protezione individuale. Questi QR Code rimandano direttamente al sito dell’ente su cui verificare la validità della certificazione.

Mascherine commercializzate in deroga

Data la “fame” di mascherine nei mesi scorsi il governo, con il decreto Cura Italia, ha consentito la vendita in deroga – solo per quanto riguarda le tempistiche di autorizzazione – di alcuni dispositivi di protezione individuale privi di marchio CE. Detto che gli standard della norma EN 149:2001 devono essere comunque rispettati anche da queste mascherine, i produttori devono inviare all’Inail la documentazione riguardo l’aderenza dei loro dispositivi a tutte le specifiche tecniche e di qualità previste attraverso l’autocertificazione. Sarà l’Inail, a questo punto, una volta analizzata la documentazione, ad autorizzarne la vendita. Sul sito dell’Inail c’è una pagina dove si può trovare l’elenco dei dispositivi di protezione individuali che hanno ricevuto il via libera.