TECNOLOGIA

Rita, l’app che ci mostra cosa sanno di noi i giganti del Web

Una nuova applicazione per iPhone si pone l’obiettivo di semplificare l’accesso ai dati personali, per mostrarci a colpo d’occhio il modo in cui i giganti del Web le usano per profilarci

Rita, l’app che ci mostra cosa sanno di noi Google e Facebook

Da fine marzo è disponibile su App Store una nuova app che semplifica l’accesso alle informazioni personali in possesso dei giganti del Web, in primis Google e Facebook. L’app si chiama Rita, dall’abbreviazione di “Right to Access”, cioè il diritto all’accesso ai propri dati garantito dalla GDPR. L’app non si limita a scaricare i dati sullo smartphone, salvandoli dagli account online, ma li organizza in grafici e liste facilmente comprensibili e consultabili anche da chi non possiede particolari conoscenze informatiche. Rita semplifica anche il processo di richiesta di rimozione dei dati personali automatizzando l’invio delle email agli inserzionisti pubblicitari che le hanno raccolte tramite gli strumenti di Facebook o Google (più avanti sarà possibile recuperare i dati anche da Instagram, Spotify e altri fra i servizi più diffusi). 

«L’app opera in totale trasparenza salvando le informazioni in locale, ma senza accedervi in alcun modo», spiega a La Stampa Guglielmo Schenardi, co-fondatore di Rita. «Il nostro modello di business si basa non sul tracciamento o sulla profilazione, ovviamente, ma sull’offerta di una versione premium dell’app che consente un controllo più avanzato dei dati».

Il team remoto
Rita nasce da un’idea di Schenardi e di John Arts, suo compagno di studi all’ESCP Business School. Oggi lavorano a Rita altre sette persone da Kazakistan, Brasile, Stati Uniti, Italia e Belgio, occupandosi chi di sviluppo, chi degli aspetti legali, chi della grafica e dell’esperienza utente, mentre i due fondatori mettono a frutto la propria esperienza di Business Developer. «John ed io abbiamo sempre seguito i temi legati alla privacy e alla protezione dei dati», spiega Schenardi. «L’arrivo della GDPR è stata una svolta importante, ma ci siamo accorti che riuscire a visualizzare i propri dati e capire come chiedere davvero alle varie aziende di rimuovere ciò che sapevano di noi rimane un processo alla portata di pochi. Con Rita vogliamo invece democratizzare questo passaggio, e consentire davvero a tutti di riprendere il controllo delle proprie informazioni personali». 

Rita, l’app che ci mostra cosa sanno di noi Google e Facebook

Per scaricare le informazioni all’interno di Rita basta selezionare uno dei servizi (Google o Facebook) al quale richiedere i dati ed effettuare l’accesso con le proprie credenziali. In qualche minuto la richiesta viene processata in automatico e Rita è in grado di scaricare ed elaborare il tutto generando un’interfaccia di facile consultazione.

La prova con i dati di Facebook
Nel caso dei dati ottenuti da Facebook, Rita mostra tre schermate principali. Data & Ads indica il valore monetario (stimato) dei nostri dati per Facebook nel corso dell’ultimo anno, il numero di pubblicità su cui abbiamo cliccato e le aziende con cui Facebook ha condiviso i nostri dati di profilazione. La schermata dedicata al tracciamento ci rivela invece a colpo d’occhio il numero di volte che siamo stati tracciati e i siti web che abbiamo visitato inviando informazioni a Facebook. La schermata sulla profilazione, infine, raccoglie ciò che Facebook crede di sapere di noi, cioè gli interessi che vengono assegnati al nostro account per affinare le pubblicità che ci vengono mostrate. 

Tutti questi dati, è bene dirlo, si possono in consultare e soprattutto scaricare manualmente anche dal sito di Facebook. L’accesso alla consultazione di ciò che si può vedere online però non è intuitivo, e dai dati scaricati è difficile inferire in maniera semplice il livello di profilazione e di diffusione dei nostri dati a fini pubblicitari. 

Richiedere la cancellazione dei dati
Oltre a semplificare l’organizzazione e la lettura dei dati, Rita si prefigge di aiutare l’utente a richiedere la rimozione delle informazioni, come previsto dalla GDPR.
Da un menu dedicato si può limitare l’accesso delle aziende alle nostre informazioni, disiscriversi dalle email promozionali, e personalizzare i propri interessi in modo da scombinare la profilazione pubblicitaria di Facebook. Con la versione pro dell’app è possibile anche tenere traccia dell’aggiornamento dello stato delle richieste di rimozione dei dati. La versione avanzata di Rita per ora non si paga, ma si può sbloccare invitando altri tre amici a provare l’applicazione. Sulla base di questo processo e in funzione della quantità dei dati controllati dalle aziende, Rita calcola infine un punteggio, il Privacy Score, allo scopo di rendere più intuitivo il livello di diffusione dei nostri dati personali.

Rita è un’app ancora giovane, ci sono alcuni angoli da smussare nella user experience e qualche dettaglio da rivedere ma l’idea è promettente e il team determinato a portare avanti il progetto, aggiungendo nuovi servizi a cui accedere per scaricare le informazioni. «Oggi gli utenti non possiedono ancora i propri dati», conclude Schenardi. «Crediamo che semplificare tutte le procedure legate all’accesso ai dati sia fondamentale per consentire a chiunque di operare una scelta informata ed efficace sulle proprie informazioni. Sapere che i giganti del Web ci profilano e vedere in maniera chiara cosa questo significhi e cosa questo comporti sono due cose completamente diverse, anche per chi è già molto attento al tema della privacy».

da la lastampa.it

 

UNA APP RICONOSCE LA GRAVITÀ DELLE CADUTE A TERRA

FallCall Detect, é una tecnologia nata per rilevare la gravità delle cadute mediante una analisi combinata dei dati mediante intelligenza artificiale. Nata come un supporto alla gestione delle cadute degli anziani può rappresentare un ulteriore evoluzione dei sistemi di rilevamento del lavoro in solitario.

Da 001health.it

FallCall Solutions rilascerà FallCall Detect, tecnologia brevettata che combina il rilevamento intelligente delle cadute con un sistema completo di risposta alle emergenze personali (PERS).

Non tutte le cadute richiedono l’intervento di un medico, eppure i sistemi standard di rilevamento delle cadute spesso fanno scattare l’allarme di emergenza ogni volta che viene rilevata una caduta.

La tecnologia di FallCall Detect distingue tra le cadute con maggiore forza che hanno maggiori probabilità di causare lesioni e le cadute che avvengono da seduti.

Se viene rilevata una caduta ad alto impatto, il servizio di monitoraggio medico di FallCall viene automaticamente contattato e, se necessario, invierà i servizi di emergenza. Se viene rilevata una caduta a basso impatto, viene contattata solo la comunità di supporto predesignata dall’utente.

Un’app per Apple Watch

Disponibile come applicazione per Apple Watch, FallCall Detect permette agli anziani una maggiore libertà e la sicurezza di vivere uno stile di vita indipendente e attivo, sapendo che riceveranno un aiuto immediato in caso di caduta. Possono anche stare tranquilli sapendo che le possibilità di attivare inutili attivazioni di servizi di emergenza sono ridotte.

Secondo il Consiglio nazionale sull’invecchiamento, le cadute sono la principale causa di mortalità per gli anziani, con un morto per caduta ogni 19 minuti. FallCall Solutions, che è stata fondata da medici specializzati in traumatologia che hanno curato migliaia di vittime di cadute, ha l’obiettivo di ridurre radicalmente questo numero. L’azienda mira a sfruttare la crescente adozione della tecnologia intelligente da parte degli anziani per incoraggiare un maggiore utilizzo dei servizi di allerta medica.

Diversi anziani che ho curato per le cadute possedevano un dispositivo di allarme medico ma non lo hanno utilizzato. Hanno detto che era troppo ingombrante, stigmatizzante o scomodo, e hanno sperimentato falsi allarmi imbarazzanti – dice il co-fondatore di FallCall Solutions, il dottor Shea Gregg –. Offrendo una tecnologia semplice, sicura e intelligente combinata con le funzionalità PERS su un Apple Watch, crediamo che avremo un’adozione molto maggiore, un uso quotidiano e un trattamento più precoce delle lesioni da caduta“.

FallCall Detect si connette all’applicazione di assistenza per le emergenze della piattaforma FallCall Solution che fornisce una comunità di supporto agli utenti con avvisi per le cadute, indicando la posizione e la frequenza cardiaca. Offre anche indicazioni sugli aggiornamenti della batteria e si abbina al servizio di monitoraggio medico di FallCall a prezzi accessibili. Una volta attivato, gli utenti ricevono il rilevamento non invasivo e on-demand delle cadute con l’attivazione e la disattivazione della risposta di emergenza a un tocco, oltre alla possibilità di utilizzare comandi vocali su Apple Watch e iPhone.

Il rilevamento intelligente differenziato delle cadute è solo l’inizio per FallCall Solutions –afferma il Dr. Gregg –. Nel prossimo futuro arriveranno sulla nostra piattaforma  il rilevamento personalizzato delle cadute basato sull’IA, l’apprendimento del movimento delle cadute nel cloud e la previsione del rischio di cadute notturne“.

Gli attuali utenti di FallCall Lite e coloro che si iscrivono su smartfalldetection.com riceveranno un invito esclusivo per scaricare la versione beta di FallCall Detect e installarla sul loro Apple Watch.

URBAN SUN :UV CONTRO IL COVID

In Olanda la «sfera magica» che elimina il Covid dai luoghi pubblici

Si chiama Urban Sun ed è un’installazione che emette raggi UV da 222nm, innocui per l’uomo ma micidiali per il coronavirus. Restituendoci vie e piazze

di Enrico Marro

Illustrazione Maria  Limongelli/ Il Sole 24 Ore
Illustrazione Maria Limongelli/ Il Sole 24 Ore

Le torri che mangiano lo smog, l’aquilone che produce energia green, la pista ciclabile luminosa che si ricarica con il sole. E ancora: il ponte sulla diga che si accende con i fari delle auto, oppure il tracciamento di ottomila tonnellate di rifiuti spaziali progettato assieme all’Ente spaziale europeo e alla Nasa. Non è facile trovare una definizione per Daan Roosegaarde. Pluripremiato architetto, designer, scienziato e artista, il “Leonardo olandese” da ilsole24ore.

Si tratta di un’installazione sospesa che emana raggi ultravioletti Uvc ricalibrati secondo le linee guide della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti. In questo modo non causa danni a occhi e pelle, ma è in grado di debellare i virus, tra cui anche il Covid19. Si tratterebbe quindi di una rivoluzione.

Ma come dice lo stesso Daan Roosegaarde:

“L’installazione luminosa dovrebbe essere una difesa ulteriore contro la diffusione di virus durante eventi, nelle scuole, nei musei, nelle stazioni ferroviarie, in tutti gli spazi pubblici.

Non posso ancora dire se l’utilizzo di Urban Sun permetterà effettivamente alle persone di ri-abbracciarsi. Questo dipenderà dalle disposizioni dei governi. Non vuole certamente essere un’alternativa ai vaccini o alle mascherine, ma una delle misure contro il Covid-19. Sicuramente può rendere uno spazio più pulito e privo di virus. La Boeing, per esempio, utilizzerà questa tecnologia negli aeromobili”.

L’idea, come spiega il designer, è nata nel 2018, in tempi non ancora sospetti:

“Lessi sulla rivista Nature che le radiazioni ultraviolette a onda corta (Uvc) fossero un disinfettante efficace in grado di neutralizzare virus e batteri. Ma è risaputo che le lampade Uvc comunemente disponibili possono essere cancerogene e dannose per la pelle e gli occhi. Così ho creato un team insieme alla Columbia University (Radiogical research medical center) composto da designer, tecnici, scienziati ed esperti di virus per approfondire il tema e fare ricerche sull’applicazione di questa luce che già si usa da tempo nelle sale operatorie, ma, appunto, può provocare scottature ed è cancerogena.

La “ricetta” raggiante che abbiamo applicato al progetto Urban Sun è proprio l’utilizzo di “nuovi” Uvc 222 nm, ovvero che arrivano da una distanza non pericolosa, nel pieno rispetto delle linee guida dell’Icrnirp.

Gli scienziati hanno dimostrato che questi Uvc riveduti e alleggeriti con lunghezze d’onda inferiori non possono penetrare nella pelle umana o negli occhi ma possono uccidere i virus”.

Urban Sun
URBAN SUN, IL PROTOTIPO ANTI VIRUS DI DAAN ROOSEGAARDE

DAAN ROOSEGAARDE PROGETTI – GROW:

Tra gli altri progetti di Daan Roosegaarde indichiamo:  la torre che mangia lo smog, la pista ciclabile luminosa che si carica con il sole, l’aquilone che produce energia pulita e Grow. Quest’ultimo è un sistema più sostenibile di produrre cibo che migliorerà passo dopo passo.

DAAN ROOSEGAARDE IN ITALIA – LIQUID LANDSCAPE: 

E’ gia in lista la realizzazione di un progetto nel nostro paese. Si tratta di Liquid Landscape in Trentino Alto Adige e verrà realizzato nel contesto magnifico di Arte Sella, in Valsugana.

“Un percorso di scambio circolare, un processo creativo in cui l’opera di ogni artista prende forma giorno per giorno sul luogo, cogliendo dalla natura stessa materiali e ispirazioni. Nella grande maggioranza dei casi, infatti, le opere sono ottenute attraverso l’uso esclusivo di materiali naturali come foglie, rami, legno, sassi e così via. Liquid Landscape, come si intuisce dal nome, sarà composto dall’acqua e altri elementi naturali come l’erba e la terra, ma di più non posso svelare”.

CHI È DAAN ROOSEGAARDE? 

Daan ha fondato il suo studio nel 2007.  E’ un’artista, architetto, designer, inventore, ma come afferma lui stesso non ama definirsi architetto perché nonostante sia sempre proiettato verso il futuro, considera la tecnologia “solo uno strumento per fare emergere la poesia” con acqua, energia e aria puliti come valori del futuro.

Inoltre, secondo Forbes e Wired il nome Roosegaarde è tra quelli degli innovatori del nostro tempo. E’ infatti uno dei leader globali del World Economic Forum nonché membro del Nasa Innovation team.

Urban Sun
URBAN SUN IL PROTOTIPO ANTI VIRUS DI DAAN ROOSEGAARDE

Da https://www.mam-e.it/design/urban-sun-prototipo-anti-virus-roosegaarde-debellera-il-covid/

Usa, studio rivela: l’Apple Watch può «predire» il coronavirus fino a una settimana prima dei tamponi

Lo afferma una ricerca del Mount Sinai Health System pubblicata sul Journal of Medical Internet Research. L’indicatore chiave è la variabilità della frequenza cardiaca.

La fonte è autorevole: nel Journal of Medical Internet Research, un’istituzione nel campo dell’informatica medica, si legge che l’Apple Watch può aiutare a rilevare il coronavirus fino a una settimana prima dei classici tamponi molecolari. È l’esito a cui è giunto uno studio condotto nei mesi scorsi da un team di ricercatori del Mount Sinai Health System, network di otto ospedali dell’area di New York, e pubblicato a gennaio proprio dall’autorevole rivista canadese. Com’è possibile? Semplice: attraverso l’accurato monitoraggio del battito cardiaco che l’orologio hi-tech della Mela è in grado di offrire ai suoi utilizzatori.

Risultato immagini per apple watch heart
L’indicatore chiave del dispositivo

Come si legge nel paper, la ricerca – del tutto indipendente da Cupertino – è stata condotta su 297 operatori sanitari che hanno indossato un Apple Watch Series 4 o Series 5 tra il 29 aprile e il 29 settembre. A tutti è stato chiesto di compilare un sondaggio giornaliero sul proprio stato di salute per tenere traccia dell’insorgere di eventuali sintomi, e come prevedibile alcuni di essi (13, per la precisione) sono risultati positivi al virus proprio nel periodo di osservazione. Ebbene, una volta incrociati i dati dei loro Apple Watch con quelli dei partecipanti rimasti negativi, ad attirare l’attenzione dei ricercatori è stato un indicatore su tutti: quello relativo alla variabilità della frequenza cardiaca (ossia il tempo che intercorre tra un battito e l’altro, metrica chiave per valutare il buono o cattivo funzionamento del sistema nervoso). Questo perché i valori dei soggetti positivi si sono dimostrati significativamente inferiori rispetto a quelli dei negativi. Un esito effettivamente in linea con le conseguenze del Covid-19: «Sapevamo già che i marker di variabilità della frequenza cardiaca cambiano quando un’infiammazione si sviluppa nel corpo – ha spiegato alla Cbs Rob Hirten –, e il Covid è un evento incredibilmente infiammatorio. Questo ci permette di inferire che le persone sono infette prima ancora che lo sappiano».

L’allerta fino a 7 giorni prima della conferma del contagio

A ben vedere, proprio quest’ultimo è il punto più sorprendente dello studio. Come accennato, infatti, «cambiamenti significativi» nella variabilità della frequenza cardiaca sono stati registrati «fino a 7 giorni prima» dell’effettiva conferma del contagio da parte dei tamponi, che rilevano il virus soltanto dopo alcuni giorni dall’infezione. Ciò significa che pur limitandosi a «predire» (non certo a rilevare) la presenza del Sars-CoV-2 nel corpo dell’utente, gli Apple Watch possono risultare un prezioso alleato per far sì che individui potenzialmente positivi adottino tutte le cautele necessarie a non diffondere il patogeno. In aggiunta, la ricerca ha anche rivelato che la variabilità della frequenza cardiaca dei partecipanti infetti si è normalizzata piuttosto rapidamente dopo la diagnosi, tornando nei consueti limiti nel giro di una-due settimane dopo i test molecolari.

Il precedente di Stanford

Non è la prima volta che la scienza mette in luce come gli smartwatch possano giocare un ruolo importante nel contrasto al Covid-19. Già a novembre, infatti, cambiamenti precoci nella frequenza cardiaca di soggetti poi dimostratisi positivi erano stati segnalati anche da uno studio dell’Università di Stanford pubblicato su Nature Biomedical Engineering. In quel caso, oltre agli Apple Watch, erano stati impiegati anche tracker di Garmin, Fitbit e di altri marchi del settore. I risultati erano stati altrettanto degni di attenzione, in quanto l’81% dei contagiati aveva manifestato modifiche nella frequenza cardiaca fino a nove giorni e mezzo prima della comparsa dei sintomi. Sarà ora compito degli esperti, e in particolare delle aziende produttrici, capire in che modo abilitare il singolo utente ad accorgersi dei cambiamenti «sospetti» in piena autonomia. Solo in questo modo tali evidenze potranno apportare concreti benefici nel mondo reale.

da www.corriere.it/

INAIL : LA VALUTAZIONE DELLA TEMPERATURA CON TERMOCAMERA

La misurazione della temperatura corporea rappresenta uno degli strumenti in grado di prevenire e contenere il contagio da Covid-19, consentendo di individuare i pazienti ai primi segni di esordio dell’infezione.

In linea con le indicazioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 da Governo e parti sociali, il controllo della temperatura può essere svolto all’ingresso dei luoghi di lavoro come misura accessoria per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.

La scheda informativa contiene le indicazioni d’uso e gli accorgimenti da adottare per misurare la temperatura con le termocamere.




Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

EFFETTI SUL FISICO DI 25 ANNI DI SMART WORKING

Obesi, con la gobba e gli occhi affaticati per il lavoro al computer. Così diventeranno le persone che lavorano da casa secondo l’elaborazione grafica di un modello fatta dalla piattaforma di ricerca del lavoro DirectlyApply. Con l’aiuto di esperti, la società ha creato Susan, smart worker del 2045, per sensibilizzare il pubblico sui problemi per la salute del lavoro da remoto, diventato una prassi per molti con la pandemia.

“Il tuo tragitto quotidiano per andare al lavoro, dal letto alla scrivania, ti può far guadagnare più tempo libero e indipendenza, ma le ripercussioni fisiche per la mente e il corpo sono molte. Ne varrà la pena per il futuro?”, scrivono i responsabili di DirectlyApply.

Vedere Susan fa piuttosto impressione. Molti smart worker che in questi mesi stanno facendo esperienza di una vita con solo cinquanta passi al giorno (quelli dalla camera alla cucina) e con pochissime interazioni sociali si scopriranno già sulla buona strada per diventare molto simili a Susan.

Immagine: DirectyApply

La mancanza di movimento può portare a una postura sbagliata, con la schiena curva e il collo allungato in avanti. La posizione sbagliata può provocare la sindrome del “tech neck”, con la cervicale infiammata e il doppio mento. Lo sguardo sempre fisso sul computer può far venire gli occhi rossi e nel lungo periodo avere effetti negativi sulla vista. In più stringere gli occhi per vedere meglio può far aumentare le rughe. Scrivere sulla tastiera per lungo tempo può portare dolori al polso e alle mani. La scarsa esposizione al sole può causare la mancanza di vitamina D e la conseguente perdita di capelli. Le occhiaie, quelle le conosciamo già tutti. A tutto questo si aggiungono pallore, obesità, stress. I pantaloni del pigiama non sono un problema di salute, ma mostrano la scarsa vita sociale di chi lavora da casa, che non è un fattore irrilevante per il benessere psico fisico.

Immagine: Directy Apply

Sono tutti problemi di cui soffre Susan e di cui finiranno per soffrire molti lavoratori da casa se non adottano alcune buone abitudini. DirectlyApply ne elenca alcune che vi riportiamo qui:

  • Mantenere una routine aiuta a gestire il tempo e a conservare la salute psicologica
  • Coltivare le relazioni social
  • Fare esercizio fisico, in particolare esercizi o discipline come lo yoga, per la postura corretta
  • Separare la vita privata da quella professionale (una, divisione difficile per molti) lavoratori da casa che da quando è cominciata la pandemia lavorano più ore del previsto, non riescono mai a staccare e arrivano sull ‘orlo del burn out).
  • Utilizzare con saggezza il proprio tempo libero
  • Collaborare con i colleghi, anche se a distanza

Da it.mashable.it

Immagine di copertina: DirectlyApply

C’È ANCHE BURNOUT DA SMART WORKING

Da huffingonpost.it

Pare che l’idillio sia finito. Lavorare da casa non è così bello come poteva sembrare all’inizio. E se prima ai piani alti ci si interrogava se fosse altrettanto produttivo, se il lavoratore facesse comunque il suo dovere anche lontano dall’ufficio, ora la questione è un’altra. Pare che da casa si sia esagerato, tanto da parlare di burnout.

Bloomberg ha fatto i conti: in media la giornata lavorativa dura da una a tre ore in più, si fanno più riunioni e si mandano anche più mail, almeno 8 al giorno fuori dall’orario di lavoro.
Secondo Forbes questo non è positivo neppure per i datori di lavoro: i manager dovrebbero preoccuparsi di alcuni piccoli segnali che si possono vedere nei team anche a distanza, nelle call o nelle chat.
Il primo campanello di allarme riguarda la gestione delle chiamate, delle mail. Chi non riesce mai ad arrivare in tempo al telefono, chi non risponde alle mail o rimanda sempre una consegna è probabilmente sopraffatto dal lavoro, è esausto. Se poi la qualità del lavoro è scesa, se non si accetta di aver fatto un errore e si tende a dare la colpa agli altri, in tutta probabilità si è entrati nella prima fase del burn out. Il passo successivo porta all’ “esaurimento” completo: il silenzio alle riunioni, la mancanza di pazienza, ma anche l’amarezza, la mancanza di orgoglio per i risultati ottenuti.
Un passo che purtroppo hanno fatto in molti. Secondo una ricerca di Monster.com soffrono di burn out due lavoratori su tre, ovvero il 69 per cento dei lavoratori, il 20 per cento in più rispetto ai mesi che hanno preceduto il lockdown.
Tutto nasce dall’incapacità di disconnettersi dal lavoro, di avere orari precisi come quando si andava in ufficio.

David Burkus, psicologo del lavoro e delle organizzazioni, autore di 5 best seller, in un suo recente intervento per Tedx è partito proprio da questo aspetto per spiegare come si possa stare efficacemente alla larga dal burnout.

Il primo e più semplice consiglio è quello di organizzare la giornata secondo orari prestabiliti ed assicurarsi che vengano rispettati anche dagli altri. Non si accende il laptop mentre si guarda un film alla sera, e non si risponde neppure a mail o a messaggi dopo o durante la cena.
Per chiudere la giornata lavorativa Bukus consiglia di inserire un rituale, un’azione da compiere quasi in automatico, ogni sera. Come controllare la lista degli impegni dei prossimi giorni e verificare che ogni lavoro stia procedendo. Dopo di che, meglio cambiare stanza. E anche device. Si potrebbe usare il laptop solo per il lavoro e lo smartphone o il tablet solo per lo svago. Oppure cambiare utente. Così sul pc ci saranno due desk diversi a seconda delle attività e dei momenti della giornata. Infine l’azione più importante, quella che durante il lockdown abbiamo più desiderato: quando hai bisogno di una pausa, di un po’ di energia extra, non affidarti all’ennesima tazza di caffè ma esci. Fuori, in quartiere, al parchetto, poco importa, stare all’aria aperta sarà un’ottima soluzione contro lo stress.
Laurel Farrel, presidente della Remote Work Association e CEO della Distribute Consulting su Forbes suggerisce, quando compaiono i primi sintomi, di parlarne al più presto con il proprio capo e con il resto del team. Potrebbe essere utile anche agli altri ridistribuire gli incarichi, cambiare gli step di approvazione o le modalità di consegna della pratica.

Su come sono cambiate le modalità di lavoro è intervenuta Laura Vanderkam su Fortune: ha segnalato, tramite le testimonianze degli ascoltatori del suo podcast – The New Corner Office, dedicato proprio al lavoro da casa -, che in alcune società si è passati a fare una sorta di appello. Ogni giorno alle 9 in punto una chiamata per verificare che gli impiegati siano effettivamente al lavoro alla loro scrivania da casa. Una situazione che evidentemente ci riporta al punto di partenza, al dubbio che da casa si lavori di meno. Così crescono gli impiegati che non staccano mai, che rispondono al primo squillo, che non dimenticano le mail e che lavorano senza un orario. Sempre la Vanderkam, autrice anche di diversi libri sul tema dell’home working propone una semplice soluzione: prevedere anche una chiamata di saluti a fine giornata, un via libera a tutti fino al giorno dopo. Una chiamata – badate bene all’orario – che arrivi alle 16,45.

COME SARA’ LA FORMAZIONE ED IL LAVORO POST COVID

Financialounge.it

A seguito della pandemia l’intero comparto EdTech, tutti quei servizi che si propongono di facilitare l’apprendimento tramite l’uso e la gestione di appositi processi tecnologici e risorse innovative, ha ricevuto uno straordinario impulso in termini sia di attenzione che di gradimento. “Con ogni probabilità, la pandemia accelererà lo sviluppo dell’EdTech e molte aziende del comparto anticiperanno gli investimenti in nuove funzionalità”, fa sapere il team di gestione di Credit Suisse (Lux) Edutainment Equity Fund.

PROMOSSO IL MODELLO DIDATTICO MISTO

Emerge infatti la convinzione che l’EdTech possa trasformare l’istruzione così come la conosciamo oggi alla luce del fatto che studenti, educatori, manager aziendali e famiglie, si sono resi conto che molte delle applicazioni di formazione e apprendimento online sono efficaci quanto la didattica tradizionale promuovendo il modello didattico misto, che non sostituisce ma piuttosto conferisce autorità agli educatori.

LE APP DI DIDATTICA DELL’EDTECH

“È probabile che quando gli studenti di tutto il mondo torneranno in classe, continueranno a utilizzare l’insieme più coinvolgente delle app di didattica dell’EdTech. Inoltre, una volta che gli studenti si avvalgono della flessibilità e dei vantaggi della didattica online, è probabile che molte di queste tecnologie diventino integrate nelle classi fisiche o nelle aule universitarie riservate ai seminari”, spiega il team del comparto di Credit Suisse.

CAMBIAMENTI RADICALI DELLA FORZA LAVORO

La “nuova normalità” che si delinea nel post Covid-19 potrebbe comportare anche profonde modifiche della forza lavoro. “La quota di lavoro flessibile è destinata ad aumentare e con essa la necessità di tecnologia e automazione. La crisi causata dalla pandemia ha provocato una grave recessione mondiale, con una conseguente importante perdita di posti di lavoro. Questo accelera l’esigenza di riqualificazione di coloro che vengono licenziati affinché possano essere reintegrati rapidamente nella forza lavoro. Assisteremo pertanto a un boom della domanda nel settore della formazione professionale e della certificazione online”, sottolineano i manager di Credit Suisse

INAIL: TELERILEVAMENTO AMIANTO

Superfici contenenti amianto: il telerilevamento per una mappatura in sicurezza

L’Italia, in passato, è stata tra i maggiori produttori e utilizzatori mondiali di amianto e di Materiali Contenenti Amianto (MCA).

Immagine Superfici contenenti amianto: il telerilevamento per una mappatura in sicurezza

Successivamente, la legge 257/92, pur mettendo al bando la loro produzione, importazione e commercializzazione, non ne ha vietato l’utilizzo. Con il d.m. 101/03 le regioni hanno iniziato a mappare i siti con presenza di superfici in cemento amianto (Ca) e i dati fin qui raccolti e trasmessi al Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare, hanno permesso di evidenziare una disomogeneità nell’espletamento di tale compito.

Ciò ha portato il Dit dell’Inail a realizzare, con questo lavoro, una disamina sulle piattaforme, i sensori, gli algoritmi e le principali tecniche per l’identificazione e il riconoscimento delle superfici in Ca da remoto. Il documento illustra, inoltre, le varie criticità che si possono presentare nell’acquisizione e nel processamento dei dati da remoto, siano essi riferibili alla presenza di amianto di origine antropica che naturale.

Tali elementi conoscitivi potranno risultare di supporto alle pubbliche amministrazioni al fine di una mappatura più omogenea, più attendibile e a più ampia scala.

Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

RX COME TAC CON IL SOFTWARE PACE

Da le scienze

(a) radiografia tradizionale, (b) immagine ottenuta con la TAC e (c) immagine radiografica elaborata con PACE. Grazie ad un miglioramento dei contrasti, è possibile riconoscere come l’elaborazione con PACE metta in evidenza un numero di lesioni polmonari, indicate con la freccia nera, non presenti nella radiografia tradizionale. Gli ingrandimenti (d, e, f) rendono ancora più visibile il confronto e la potenza del metodo, confermato dalle immagini TAC.

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Lo sviluppo della ricerca e delle alte tecnologie realizzato dall’INGV trova applicazione anche in molte altre branche della ricerca scientifica. È il caso dello studio “Pipeline for Advanced Contrast Enhancement (PACE) of Chest X-ray in Evaluating COVID-19 Patients by Combining Bidimensional Empirical Mode Decomposition and Contrast Limited Adaptive Histogram Equalization (CLAHE)” recentemente pubblicato sulla rivista ‘Sustainability’ di MDPI, condotto in collaborazione con l’Università di Messina e l’Università di Catania, per lo sviluppo di un applicativo software chiamato “PACE” prodotto per offrire un importantissimo supporto ai radiologi nella diagnosi e nella cura delle patologie polmonari gravi come quelle causate dal COVID-19.
Infatti, è venuta in aiuto alla diagnostica per immagini applicata ai pazienti affetti da patologie polmonari quella normalmente utilizzata dall’INGV per caratterizzare lo “stato di salute” della crosta terrestre.

“L’analogia tra l’interno della Terra e interno dei polmoni può apparire alquanto audace”, afferma Massimo Chiappini, ricercatore dell’INGV e coautore dell’iniziativa. “Tuttavia questa ricerca nasce proprio dall’intuizione di utilizzare su immagini mediche le stesse tecniche di trattamento delle immagini che utilizziamo normalmente per la rappresentazione del sottosuolo nelle aree soggette a rischio sismico, vulcanico o ambientale”.

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È noto infatti che per i pazienti affetti da gravi patologie polmonari come, negli ultimi tempi il COVID-19, la valutazione radiologica di lesioni polmonari è indispensabile sia per il monitoraggio dell’evoluzione della malattia sia per valutare la risposta alle specifiche terapie. Tuttavia, quest’attività è resa complessa dal fatto che i pazienti, specialmente nelle fasi acute della malattia, non sono collaborativi e/o si trovano in terapia intensiva. In tali situazioni, inoltre, i radiogrammi sono effettuati spesso con strumenti radiografici portatili che, spesso, producono immagini artefatte che ne riducono la leggibilità.

Pertanto, il software PACE, sviluppato dal team multidisciplinare dei ricercatori dell’INGV, dell’Università di Messina (guidato dal prof. Giovanni Finocchio del Dipartimento di Scienze Matematiche e Informatiche, Scienze Fisiche e Scienze della Terra (MIFT) e dal prof. Giuseppe Cicero del Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali) e dell’Università di Catania (guidato dai proff.i Giulio Siracusano e Aurelio La Corte), è stato ideato per risolvere questi problemi di rappresentazione grafica ottimizzando al massimo il contrasto delle immagini radiografiche del torace.

Ad oggi, vista l’urgenza, i medici l’hanno applicato alle immagini raccolte sui pazienti COVID-19 del Policlinico Universitario “G. Martino” di Messina: con PACE è migliorata significativamente la lettura del radiogramma da parte del radiologo. L’algoritmo, infatti, combina lo stato dell’arte di applicativi numerici di elaborazione delle immagini, quali la decomposizione empirica bi-dimensionale, il filtro omomorfico e l’equalizzazione adattiva dell’istogramma in modo opportuno.
“Dal punto di vista clinico” – afferma il prof. Gaeta del Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali dell’Ateneo di Messina, “è stato fondamentale verificare che le informazioni aggiuntive prodotte da PACE fossero reali. Per far questo, sono state effettuate e confrontate congiuntamente le radiografie del torace e quelle delle TAC tradizionali: il grande successo è stato quello di verificare che le lesioni aggiuntive che il software PACE rilevava nelle semplici immagini radiografiche fossero tutte confermate dalle TAC”.

“La ricaduta del software ideato da INGV e dalle Università siciliane è rilevantissima in ambito sociale” afferma Massimo Chiappini.  “Tra i vantaggi, infatti, oltre la evidente riduzione dei costi e di tempi derivante dalla non indispensabilità dei macchinari per la TAC per avere identici risultati diagnostici utili, con l’uso di PACE è sufficiente effettuare un solo intervento sul paziente per l’esame radiografico con un minor rischio di diffusione di malattie virali anche tra gli operatori sanitari come nel caso del COVID-19. Inoltre, questa tecnologia offre la possibilità di applicarla anche in condizioni limite dove l’accesso alla diagnostica TAC non è agevole sia per l’alto numero di degenti interessati sia per i costi della macchina stessa che, nelle aree economicamente poco sviluppate, quali l’Africa ed il Sud America, rappresenta una strumentazione proibitiva”.
Dato l’alto interesse riscontrato in ambito medico, tutti i risultati della ricerca sono a stati messi a disposizione della comunità scientifica liberamente.

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