MEDICINA DEL LAVORO

INAIL: COME GESTIRE UN FOCOLAIO A SCUOLA

Da Inail

Il presente rapporto è destinato alle istituzioni scolastiche e dei servizi educativi dell’infanzia nonché ai Dipartimenti di Prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale e a tutti coloro che potrebbero essere coinvolti nella risposta a livello di salute pubblica ai possibili casi e focolai di Covid-19 in ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia.

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Fornire un supporto operativo per la gestione dei casi di bambini con segni/sintomi Covid-19 correlati e per la preparazione, il monitoraggio e la risposta a potenziali focolai da Covid-19 collegati all’ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia, adottando modalità basate su evidenze e/o buone pratiche di sanità pubblica, razionali, condivise e coerenti sul territorio nazionale, evitando così frammentazione e disomogeneità.
A questo documento saranno correlati elementi/iniziative di tipo informativo/comunicativo/formativo rivolti a vari target e strumenti di indagine volti a fronteggiare la mancanza di evidenze scientifiche e la relativa difficoltà di stimare il reale ruolo che possono avere le attività in presenza nelle scuole nella trasmissione di SARS-CoV-2.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

RISCHI NELLA INDUSTRIA ESTRATTIVA E PETROLIFERA

Da oshonline.com

Il settore estrattivo del petrolio e del gas è sempre stato un settore ad alto rischio . Anche se grazie alla tecnologia tale rischio sia stato ridotto é difficile  ipotizzare  una riduzione assoluta dei pericoli. Qualsiasi attività che utilizzi macchinari pesanti come avrà  comunque sempre un rischio elevato.

Fortunatamente negli ultimi anni il settore ha compiuto enormi passi avanti per proteggere meglio i lavoratori di questo comparto, cosa che si riflette molto nel numero decrescente di decessi nel settore, anno dopo anno. Secondo il rapporto annuale 2019 di UK Oil & Gas, tra il 1996 e il 2007, ci sono stati 21 morti nel settore petrolifero britannico. Tra il 2007 e il 2018 sono stati solo cinque.

Le principali società  del settore sono costantemente alla ricerca di nuovi modi di incrementare gli standard di sicurezza..

. Un minor numero di incidenti si traduce invariabilmente anche in un minor numero di incidenti ambientali. L’industria petrolifera, tradizionalmente percepita dai massmedia  come uno dei settori che impattano maggiormente sull’inquinamento ambientale, sta cercando disperatamente di diventare più sostenibile dal punto di vista ambientale , e una riduzione degli incidenti certamente aiuta in tal senso.

Quali sono esattamente i rischi all’interno del settore?

Innanzitutto vale la pena esaminare più in dettaglio alcuni dei pericoli e dei rischi più comuni associati al settore.  La maggior parte delle persone penserà che la trivellazione petrolifera è l ‘attività piú pericolosa. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, emergono rischi differenti:

La forma più comune di incidenti che si verificano in loco (sia a terra che in mare aperto) é costituita da:

Incidenti da segregazione. . Si verificano quando qualcuno rimane intrappolato o bloccato da parti in movimento dalle quali non possono districarsi facilmente. Uno degli esempi più comuni di pericoli coinvolti è l’abbigliamento di un perforatore che rimane intrappolato in parti rotanti / rotanti come l’albero motore di un rig.

Incidenti e collisioni  di veicoli. Le collisioni tra veicoli rappresentano il pericolo con maggiore frequenza statistica di  casi mortali del settore. Tuttavia questo rischio é sottostimato è nonpercepito nella sua gravità. . La fatica e la scarsa pianificazione preliminare sono tra le principali cause di questi incidenti stradali.

Esplosioni / incendi. Gas e sostanze chimiche infiammabili vengono manipolati e trattati ogni giorno in un sito petrolifero. Questi composti volatili presentano un enorme rischio di incendio. Anche la minima perdita, ad esempio, ha conseguenze potenzialmente catastrofiche.

Fortunatamente, almeno nel Regno Unito, dal disastro del Piper Alpha nel 1988 in cui sono morti tragicamente 167 uomini, una legislazione più proattiva ha fatto sì che gli incidenti con incendi ed esplosioni siano effettivamente diminuiti.

Cadute . L’industria della perforazione spesso richiede che i lavoratori accedano a macchinari e piattaforme  elevate da terra, esponendoli a un maggiore rischio di caduta.

Rischi indiretti (problemi di salute legati al lavoro, sia fisici che mentali). . Altrettanto pericoloso per i lavoratori dell’industria è il rischio di sviluppare problemi di salute fisica e mentale a causa dell ‘intenso sforzo psicofisico sul posto di lavoro. Le condizioni cardiache e gli alti tassi di suicidio sono emblematici del settore.

Come preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori 

Riduzione degli incidenti e collisioni tra veicoli. Il più delle volte, gli incidenti di veicoli in collisione derivano dalla stanchezza del conducente. L’industria petrolifera necessita un numero enorme di componenti e di materiali di logistica diversi, di cui il trasporto a lunga distanza è uno dei principali. La posizione remota di molti siti di perforazione significa che guidare per lunghe distanze è semplicemente parte integrante del lavoro.

Per quanto semplice possa sembrare, uno dei modi migliori  di ridurre il rischio è attraverso una migliore istruzione e pianificazione del viaggio. Rendere il tuo personale consapevole dei vantaggi di un sonno adeguato  (e, al contrario, dei pericoli che derivano da una sua mancanza) e pianificare i viaggi che tengono conto delle potenziali soste di riposo sono fondamentali per ridurre il numero di incidenti sulla strada.

Tecnologie GPS. Recentemente, sono stati notevolmente aumentati gli sforzi per migliorare la comunicazione in loco. Molte aziende stanno fornendo ai propri lavoratori la tecnologia GPS , in modo da rendere più tempestivo il soccorso.

Tecnologia dei droni. Prevenire è meglio che curare, come dice un vecchio proverbio. La soluzione ideale per ogni compagnia petrolifera è prevenire in primo luogo gli incidenti. I droni aiutano a offrire una visione completa a volo d’uccello di un sito, identificando potenziali pericoli in tempo reale. Ad esempio, i droni vengono ora utilizzati nell’ispezione degli oleodotti, individuando le perdite e offrendo alle compagnie petrolifere una visione più precisa ed evitando di dover inviare dipendenti per ispezionare una situazione potenzialmente rischiosa.

Stress e rischi associati. I disturbi cardiaci sono frequenti nei lavoratori del settore  dell’industria petrolifera e del gas. Tra le cause principali di tali  problemi cardiaci  sicuramente gioca un ruolo importante lo stress psicofisico Molte compagnie petrolifere hanno adottato per questo motivo  defibrillatori  per le emergenze cardiache a tutti i livelli produttivi.

Salute mentale. Tradizionalmente la salute viene intesa più sul piano fisico che mentale. , i disturbi psichiatrici sono però attualmente sempre più attentamente presi in considerazione.

Lunghi periodi lontano da casa, sentimenti di isolamento e un lavoro molto stressante possono portare a una seri problemi psicologici per i lavoratori dell’industria petrolifera. È imperativo che le compagnie petrolifere  implementino il supporto e le procedure  per la salute mentale esattamente nello stesso modo in cui lo fanno fisico. È anche importante che le aziende siano proactive nel ricercare i segnali di disagio  sapendo che i lavoratori potrebbero essere meno inclini a farlo di propria volontà.

Intelligenza artificiale robotica. Una delle aree industriali più avanzate tecnologicamente  è il campo della robotica e le  sue potenziali applicazioni. Sono già in fase di sviluppo (e in uso, ma solo su piccola scala) robot in grado di svolgere lavori di manutenzione potenzialmente pericolosi, come il monitoraggio dei gas nocivi. Il deep learning e i sistemi di intelligenza artificiale incorporati dalle grandi compagnie petrolifere forniranno anche un quadro più completo e olistico dei dati che vengono forniti. Queste tecnologie potrebbero fare emergere  precocemente i rischi potenziali.

Conclusione

Le prospettive generali di safety del settore  sono positive . Secondo il rapporto sulla sicurezza 2019 dell’International Association of Oil & Gas Producers, i decessi nel settore in tutto il mondo sono diminuiti da 30 nel 2017 a 27 nel 2018. Ció a monte di un aumento del numero medio di ore lavorate oltre . Finché gli organi di governo del settore continueranno a spingere  per standard sempre più elevati, non c’è motivo per cui questa cifra non debba continuare a diminuire con il passare degli anni. L’obiettivo é naturalmente una diminuzione generale degli infortuni e delle malattie ogni anno.

la chiave per migliorare gli standard di sicurezza del settore è  comunque essere proattivi, anziché reattivi. Una migliore ispezione delle attrezzature, pianificazione del viaggio, comunicazione e istruzione sono tutti modi in cui è possibile identificare i potenziali pericoli prima che si trasformino in minacce tangibili per la sicurezza personale.

Circa l’autore

Henry Berry è un direttore di Tristone Holdings, esperto di safety  nell’industria petrolifera .

Liberamente tradotto ed adattato da Dott. Alessandro Guerri specialista in medicina del lavoro

IDROSSICLOROCHINA E COVID: LE ULTIME SCOPERTE

Da il giornale

L’idrossiclorochina è un farmaco antimalarico salito alla ribalta dopo che il presidente americano Donald Trump aveva dichiarato in una conferenza stampa di prenderlo da due settimane a scopo profilattico contro il coronavirus. L’annuncio del tycoon creò un terremoto imponente, tra chi credeva alle parole dell’inquilino della Casa Bianca e chi lo criticava, accusandolo di proporre soluzioni pericolosissime per la salute dei cittadini. La rivista Lancet, prendendo come riferimento uno studio condotto su 96mila ammalati positivi al Sars-CoV-2, scrisse che il farmaco usato da Trump causerbbe un aumento del rischio di sviluppare malattie cardiache e morte improvvisa.

L’ultima scoperta

A distanza di qualche mese un report ha rimesso tutto in discussione. Uno studio osservazionale multicentrico coordinato dall’I.R.C.C.S. Neuromed, con la partecipazione di 33 centri ospedalieri italiani, ha mostrato come l’utilizzo dell’idrossiclorochina riduca del 30% il rischio di morte nei pazienti ospedalizzati per infezione da coronavirus.

Scendendo nel dettaglio, lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine, ed è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università di Pisa. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 3.451 pazienti ricoverati per COVID-19. Nella ricerca sono stati presi in esame vari parametri, tra cui le patologie pregresse, le terapie che seguivano prima di essere colpiti dall’infezione e le terapie intraprese in ospedale specificamente per il trattamento del COVID-19.

Tutte queste informazioni sono state confrontate con l’evoluzione e l’esito finale dell’infezione. Ebbene, è emerso che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto tale trattamento (a parità delle condizioni valutate). “Abbiamo potuto osservare – ha spiegato Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli – che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto questo trattamento”.

Come usare l’idrossiclorochina

L’idrossiclorochina non è certo il Santo Graal capace di sconfiggere una volta per tutte il nuovo coronavirus. Tuttavia il suo utilizzo, a dispetto di quanto alcuni sostenevano in un primo momento, ha mostrato segnali positivi. In particolare l’uso del farmaco si è rivelato particolarmente efficace in quei pazienti che, ricoverati, mostravano uno stato infiammatorio più evidente della norma.

Certo, saranno svolti altri studi e trial clinici per capire con esattezza il ruolo dell’idrossiclorochina e le sue modalità di somministrazione più adeguate. Intanto, però, la ricerca ha aggiunto un ulteriore tassello nella battaglia contro il virus. E in attesa di un vaccino non è roba da poco. Bisogna ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato uno stop all’uso dell’idrossiclorochina, facendo affidamento a uno studio osservazionale poi ritirato dagli autori della stessa ricerca. I nuovi dati suggeriscono un approccio differente.

Idrossiclorochina

Solitamente il farmaco antimalarico viene usato per curare l’artrite rematoide e il lupus erimateoso sistemico. In un futuro non troppo lontano potrebbe rappresentare anche un valido alleato nella sfida al Covid. “In attesa di un vaccino, identificare terapie efficaci contro il COVID-19 rappresenta una priorità assoluta – ha dichiarato Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – e siamo convinti che questa ricerca darà un contributo importante al dibattito internazionale sul ruolo dell’idrossiclorochina nella terapia dei pazienti ospedalizzati per coronavirus”.

COME DISTINGUERE UNA ANOSMIA DA COVID

Da il corriere della sera

La perdita dell’olfatto che può accompagnare il coronavirus è unica e diversa da quella vissuta da qualcuno con un «brutto» raffreddore

Caratteristiche peculiari

Lo dimostra una ricerca effettuata su 30 volontari da Carl Philpott dell’Università dell’East Anglia in Gran Bretagna. Le persone prese in esame erano così divise: 10 con Covid-19, 10 con un «brutto» raffreddore e 10 sane senza sintomi di raffreddore o influenza. La perdita dell’olfatto era molto più profonda nelle persone con Covid-19, cioè erano meno in grado di identificare gli odori. Di solito – è stato stimato – è una perdita improvvisa e grave e non si accompagna a naso chiuso o naso che colala maggior parte delle persone colpite da coronavirus può ancora respirare liberamente. «Sembra che ci siano davvero caratteristiche specifiche che distinguono il coronavirus dagli altri virus respiratori. Questo è molto importante perché significa che i test dell’olfatto e del gusto potrebbero essere utilizzati per separare pazienti con Covid-19 e persone con un raffreddore o influenza normali», scrivono gli autori dello studio.

Fare test a casa

Un altro segno caratteristico del Covid sembra essere, insieme alla perdita dell’olfatto, quella del gusto: anche in questo caso le differenze tra la «normale» perdita di gusto dovuta a congestione nasale e il sintomo del coronavirus paiono essere abbastanza marcate: in particolare, i pazienti affetti da coronavirus con perdita del gusto non sono davvero in grado di distinguere tra amaro o dolceGli esperti sospettano che questo sia dovuto al fatto che il virus pandemico colpisce le cellule nervose direttamente coinvolte con l’olfatto e la sensazione del gusto. Gli autori della ricerca esortano chiunque abbia questi sintomi ad auto isolarsi e sottoporsi a un tampone. Anche i membri della famiglia dovrebbero isolarsi per prevenire una possibile diffusione. «Chi sospetta un contagio potrebbe anche – continuano gli scienziati – fare da solo test dell’olfatto e del gusto a casa usando prodotti come caffè, aglio, arance o limoni e zucchero»

I sensi dell’olfatto e del gusto ritornano normali entro poche settimane nella maggior parte delle persone che si riprendono dal coronavirus.

Il sintomo in più della metà dei positivi

I principali sintomi del coronavirus sono: febbre sopra i 37,5 gradi, tosse secca continua e affaticamento. Raffreddore, o meglio, congestione nasale classica non è comune nel Covid-19, come invece paiono la perdita di gusto e olfatto. Uno studio pubblicato su Nature, che haanalizzato i disturbi riportati dai pazienti nel Regno Unito, ha calcolato che 6 positivi su 10 hanno sofferto di perdita dell’olfatto, in alcuni casi associata ad alterazione del gusto (disgeusia); ma sono stati descritti casi di anosmia anche come unico segnale di positività al coronavirus. Un altro studio, italiano, condotto «sul campo» dall’Università Statale di Milano e coordinato da Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, ci dice che in realtà questi disturbi possono rappresentare campanelli di allarme dell’infezione in arrivo, perché molto spesso vengono riportati già nella fase precoce della malattia e colpiscono soprattutto giovani e donne. E il problema è tutt’altro che raro: colpirebbe un paziente su tre.

INAIL: FOCUS SULL’ USO DI OZONO

Il presente documento ha la finalità di fornire le evidenze tecnico – scientifiche ad oggi disponibili sull’ozono nel contesto epidemico COVID-19

Focus on: utilizzo professionale dell’ozono anche in riferimento a COVID-19

A tale scopo riporta lo stato dell’arte con particolare riferimento a: status regolatorio, valutazioni disponibili a livello nazionale e internazionale, informazioni sui pericoli e rischi connessi all’uso dell’ozono, informazioni sulla tossicità e l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente, efficacia della sostanza come virucida, sicurezza d’uso e precauzioni da adottare nella generazione in situ di ozono nel campo della prevenzione e controllo del SARS-CoV-2. Tratta inoltre le diverse applicazioni dell’ozono, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque. Il documento, sulla base delle evidenze scientifiche, esamina inoltre l’efficacia terapeutica dell’ozonoterapia valutandone la sicurezza d’uso, le criticità e gli sviluppi in divenire. L’elaborato non prende in esame l’esposizione all’ozono quale prodotto involontario da irraggiamento UV dell’atmosfera né di sistemi per la purificazione dell’aria. Il documento inoltre non prende in esame altre sostanze generate in situ ad azione disinfettante o comunque sanitizzanti o altri processi in uso nel contesto epidemico COVID-19 e pertanto non consente una esaustiva valutazione del rapporto costo/beneficio rispetto agli altri sistemi disponibili.

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Edizioni: Iss – Inail – 2020
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MEDICO COMPETENTE E CLASSI RIDOTTE:LE REGOLE PER TORNARE A SCUOLA

Da il sole 24ore

Un numero verde attivo dal 24 agosto. Tavoli nazionali e territoriali per monitorare la situazione scuola per scuola. Un medico competente per ogni istituto e accordi con gli psicologi per il sostegno a docenti e studenti. Sono alcuni delle soluzioni messe nero su bianco dalla ministra Lucia Azzolina per consentire il rientro in classe a settembre di oltre 8 milioni di alunni. Tra le novità delle ultime ore l’impegno di ridurre le classi pollaio e ad assicurare la continuità didattica sui posti di sostegno. In calce al testo anche la firma dei sindacati che hanno apprezzato gli ultimi impegni della titolare dell’Istruzione su risorse e personale.

Il documento di 12 pagine sottoscritto dalla ministra e dai sindacati indica le principali regole da seguire per la riapertura. Tra le novità dell’ultim’ora spiccano due promesse aggiunte nella parte finale dell’intesa, quella più politica: l’impegno a lavorare per reperire ulteriori risorse con «investimenti che consentano di intervenire sul fenomeno del
sovraffollamento delle classi e a una revisione ragionata dei parametri del Dpr 81/2009», la volontà di «garantire anche in sede di reclutamento, la necessaria continuità didattica, con particolare attenzione all’insegnamento di sostegno».

Per il resto il documento ricalca le anticipazioni dei giorni scorsi. A cominciare dalla presenza, a partire dal 24 agosto, di un help desk per le scuole (al numero verde 800903080) attivo dal lunedì al sabato, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00. Confermati poi il tavolo nazionale di monitoraggio tra ministero e sindacati e quelli attivati presso ogni Ufficio scolastico territoriale.

Decisiva per evitare l’esplosione di tanti piccoli cluster sarà, a livello centrale, la collaborazione con il ministero della Salute e, in ambito periferico, tra le scuole e i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Prima dell’inizio dell’anno scolastico quando bisognerà organizzare i test sierologici su 2 milioni di prof e personale scolastico (da svolgersi su base volontaria, a titolo gratuito e presso strutture mediche di base) e soprattutto dopo quando bisognerà individuare eventuali casi di positività al Covid-19 e tracciare tutti i contatti. Ma su questo si aspetta un’ordinanza ad hoc del ministro della Salute, Roberto Speranza.

Sempre nell’ottica di prevenire eventuali focolai il documento pone l’accento sulla centralità del medico competente. Ce ne potrà essere uno in ogni scuola o in una rete di scuole. Per dare supporto psicologico a docenti e studenti in arrivo c’è poi un accordo tra il ministero dell’Istruzione e il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi per rafforzare gli sportelli di ascolto negli istituti oppure attivare forme di aiuto in presenza o a distanza.

Ricalcando quanto già previsto dalle linee guida emanate il mese scorso il protocollo si sofferma sulla riorganizzazione degli spazi interni alle scuole. Con ingressi e uscite differenziate (e se possibili scaglionate), obbligo di rispettare il distanziamento di un metro sia nelle classi che nei corridoi, nelle mense e nelle sale professori e pulizia accurata delle classi e dei bagni (dove le finestre andranno mantenute aperte il più possibile per assicurare la ventilazione).

Nessuna novità per ora sul fronte mascherine. Il testo ribadisce l’obbligatorietà per il personale scolastico e per gli accompagnatori degli alunni (massimo uno per volta). Per gli studenti dai 6 anni in su (al di sotto non va portata) l’ultima parola spetta al Comitato tecnico-scientifico (Cts) del ministero della Salute che è chiamato a pronunciarsi nell’ultima settimana di agosto. Alla vigilia della riapertura.

In un posto sul suo profilo Facebook la ministra Azzolina giudica l’intesa «un accordo importante che contiene le misure da adottare per garantire la tutela della salute di studentesse, studenti e personale, ma anche impegni che guardano al futuro e al miglioramento della scuola come il contrasto delle classi cosiddette “pollaio”, una battaglia che porto avanti da tempo e che rappresenta per me una priorità». Definendo «particolarmente importante» l’help desk per le scuole: «È la dimostrazione – dice – che non vogliamo lasciarle sole. Che saremo al loro fianco in ogni momento supportandole in caso di difficoltà, così come abbiamo già fatto durante gli esami di Stato».

.”

PROTOCOLLO DI SICUREZZA (clicca qui)

I CONSIGLI PER LO SMART WORKING IN SALUTE

Da “la stampa”

I consigli della dottoressa Calcinoni, responsabile del Servizio Orl per il Teatro alla Scala di Milano

Per alcuni lavoratori, lo smartworking non è più soltanto la modalità di lavoro legata all’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese negli ultimi mesi. Per molti, la nuova impostazione, è ormai una realtà definitiva. Riuscire a lavorare senza doversi recare in ufficio ogni giorno, sicuramente aiuta a ottimizzare i tempi, ma anche questa abitudine tutta nuova, può nascondere insidie per la salute. Alcune più scontate, come il mal di schiena, altre meno.

A molti sarà successo ad esempio di riscontrare a fine giornata una voce affaticata. A spiegare perché è buona norma per chi lavora in smartworking curare anche l’igiene della voce è la dottoressa Orietta Calcinoni responsabile del Servizio Orl per il Teatro alla Scala di Milano.

Lavorare da casa avvalendosi dei migliori e più avanzati dispositivi tecnologici. Perché affatica tanto?

«Stare seduti è un lavoro per il nostro corpo: le gambe riducono la loro attività motoria e la circolazione ristagna con rischio, alla lunga,  di sviluppare varici. Dopo alcune ore si riducono la produzione del colesterolo e aumenta la resistenza all’insulina; l’attività dei muscoli del cingolo superiore , l’anello che descrivono spalle, base del collo, sterno, comincia a ridurre flusso vascolare ed efficienza cardiopolmonare; non ultimo il peso della testa e del collo aumentano, mentre i dischi vertebrali vanno in sofferenza».

Quando si sta seduti a lungo è come se la nostra testa pesasse di più?

«Quando siamo ben eretti quando cioè assumiamo la posizione dell’Uomo di Vitruvio nel verso della moneta da un euro la testa pesa circa 5-6 kg. Se la flettiamo ovvero la pieghiamo avanti  di 15°, come quando ci mettiamo a camminare lungo una strada e guardiamo nella direzione del cammino, il peso raddoppia. La posizione che in genere si assume per mangiare implica per la testa un’angolatura di circa 30° e in questa posizione la testa, supera i 18 chili, a 45° arriva a 22 ed a 60° la testa può arrivare a pesare 27 kg!! Quando si lavora davanti a uno smartphone o un tablet la testa fa un angolo che può andare dai 45 ai 60°, dipende dalla posizione assunta, mentre davanti a un computer, specie se portatile, siamo più spesso tra i 30° ed i 45°.

Passare 2-4 ore al giorno al giorno davanti a questi device significa trascorrervi 700-1400 ore/anno: 60 giorni (e notti) della nostra vita. Per chi supera le 12 ore al giorno al computer, nell’anno è come se si lavorasse 208 giorni di fila. La testa flessa avanti, e il relativo aumento di peso, mette in tensione tutta la muscolatura non solo del collo, ma anche della schiena, dove alcuni tiranti muscolari si inseriscono dalle ultime vertebre del collo ed alla base della schiena».

Stare seduti a lungo influenza anche il modo di respirare?

«Quando si sta seduti a lungo il mento si avvicina al petto e questa normale curvatura specie in persone sovrappeso, può favorire la cosiddetta respirazione alta, costale che implica un atto respiratorio fatto inalando meno aria di quella che servirebbe. Ora la nostra voce è fatta solo di aria, avere meno aria significa due cose: o pronunciare frasi più brevi e fare pause più frequenti oppure forzare la voce, con un’inevitabile fatica vocale».

E’ questo uno dei motivi per i quali i cantanti durante i concerti assumono per lo più una posizione eretta?

«Cantare a testa flessa, se non per brevi fraseggi  è molto difficile e faticoso: la posizione della testa di fatto limita se non incarcera i movimenti della laringe, così necessari per cambiare intonazione e dare il giusto colore, il giusto timbro ad un’aria; fare  un madrigale, per esempio, diventa pressoché impossibile. Più in generale non è mai salutare effettuare spesso forzatura vocale, poiché, ormai è un dato di fatto che forzare la voce favorisce la comparsa di reflusso».

Ci sono altri rischi che lo smartworking può comportare per la nostra voce?

«L’uso della voce al computer ha almeno altri tre rischi per un professionista in voce, ma più in generale per tutti noi: visivo, vestibolare, acustico».

Partiamo dal rischio visivo: quali sono le sofferenze per la vista?

«Il collo e tutto il corpo sono fatti per tenere la nostra testa in modo tale che gli occhi controllino la mira: terrò le cose che mi interessano nel punto di mira del mio campo visivo. Se per i nostri antenati era “prendi la gazzella e scappa dal leone”, per un portiere può essere l’attaccante che tira il rigore e il pallone, per un autista la strada davanti a sé e via dicendo. Quante cose “guardiamo” a casa mentre siamo in smart-working? Il monitor, i messaggi che arrivano sullo smartphone accanto, il gatto, il figlio che gioca, l’altro che non studia e dovrebbe studiare, la televisione. A seconda di dove vanno i miei occhi , segue la tensione emilingua – collo – mandibola. Attenzione quindi, a guardare e concentrarsi, su una cosa per volta».

Per rischio vestibolare invece, cosa si intende?

«Si intende che le braccia che battono sulla tastiera dovrebbero essere correttamente allineate con lo schermo. Un cantante o un musicista che si esercitano devono seguire la partitura;  in genere un musicista guarda 1 misura avanti, ma i cantanti e i direttori guardano 3-4 misure avanti. Se si mette la partitura di lato o ci si mette a suonare su una tastiera messa di fianco vi è uno sbilancio, una torsione che si riflette sulla dinamica della laringe e del tratto vocale, alterando l’armonia del sistema, dalla lingua che articola i suoni o produce il soffio adatto a uno strumento a fiato. Gli  effetti distorcenti ed affaticanti sono creati non da cattiva tecnica ma solo da cattiva postura. Vale per i musicisti, ma più in generale per tutti quelli che non riescono ad allinearsi correttamente con il device di lavoro».

TLB courtesy: 23/04/2020 – iStockphoto|

E per rischio acustico?

«Ascoltare la nostra voce o quella di altri con cuffie o auricolari, specie se non si dispone di sistemi professionali e spesso “la rete è debole, incostante”, può essere un altro rischio di affaticamento. Per molti, parlare a qualcuno che sappiamo lontano o che ascoltiamo con difficoltà, innesca un immediato, pur se immotivato, innalzamento del tono vocale, una voce più scandita, spesso più acuta, più faticosa da tenere a lungo. Peggio ancora, se la comunicazione diventa difficile o incostante durante la riunione, la relazione, l’esame, il webinar per cui ci eravamo preparati tanto! L’irrigidimento più o meno evidente partirà dalla nostra schiena, “incarcerando” ancora di più braccia, collo, laringe , riducendo la respirazione … con una voce meno timbrata e meno convincente per chi ci ascolta».

Per tutti quelli che continueranno a lavorare in smartworking cosa consiglia per preservare uno stato di salute adeguato?

«Ogni volta che è possibile bisognerebbe inclinare la seduta indietro (a 135°) o spostarsi in una seduta più comoda e senza dover bloccare di nuovo la testa in una posizione di visione. Quando non necessario, bisognerebbe spostare le mani dalla tastiera e  rilasciare le braccia e le spalle. Trovare sempre un motivo per alzarsi dal computer e fare almeno pochi passi, per riattivare la circolazione nelle gambe. Prima di iniziare a lavorare verificare che il monitor resti entro i 15° dal nostro orizzonte visivo, a costo di alzarlo con scatole o libri se non si dispone di un leggio. La sedia utilizzata dovrebbe  permettere una postura con schiena eretta, ma non rigida.  Le braccia e le mani dovrebbero posarsi sulla tastiera mantenendo un angolo di almeno 90° ai gomiti.  Se possibile munirsi di un poggiapiedi (basta una scatola a volte o un predellino).

Sul tavolo di lavoro bisognerebbe disporre tutto quello che potrebbe servire, compresa l’acqua. Non dimenticare mai l’uso degli occhiali se servono per evitare di doversi avvicinare troppo al computer. Da ultimo, è bene regolare con attenzione i dispositivi audio, per ascoltare a un tono comprensibile e trasmettere la nostra voce in modo affidabile. Lavorare da casa può essere una scelta o un obbligo: non deve diventare un danno».

CANCRO : TEST IDENTIFICA 5 TUMORI 4 ANNI PRIMA

Da ilsole24ore.it

Cancro, l’esame del sangue riconosce 5 tumori in anticipo di quattro anni

di Francesca Cerati

 

La tecnica, chiamata PanSeer, riconosce precocemente nel 91% dei casi, i tumori di stomaco, esofago, colon retto, polmoni e fegato in persone senza sintomi, e in futuro potrebbe entrare nella routine delle analisi di controllo. 

Una tecnica basata sull’analisi del sangue riconosce cinque forme di tumore comuni con un anticipo di quattro anni rispetto alle tecniche tradizionali. Lo indica un’ultima ricerca internazionale pubblicata su Nature Communications e coordinata dall’Università della California a San Diego. La tecnica, chiamata PanSeer, riconosce precocemente nel 91% dei casi, i tumori di stomaco, esofago, colon retto, polmoni e fegato in persone senza sintomi, e in futuro potrebbe entrare nella routine delle analisi di controllo.

Nello studio Taizhou longitudinal study (Tzl), sono stati conservati campioni di plasma dal 2007 al 2014 di 123.115 soggetti sani di età compresa tra 25 e 90 poi monitorati per l’insorgenza del cancro. L’impiego del test PanSeer, un esame del sangue non invasivo basato sulla metilazione del Dna tumorale circolante, su campioni di plasma di 605 individui asintomatici, ha rilevato che 191 di questi hanno poi avuto entro quattro anni dalla prelievo di sangue una diagnosi di cancro allo stomaco, all’esofago, al colon-retto, al polmone o al fegato . I ricercatori hanno analizzato anche campioni di plasma di altri 223 pazienti affetti da cancro, oltre a 200 tumori primari e tessuti normali.

I risultati preliminari mostrano che PanSeer rileva cinque tipi comuni di cancro nell’88% dei pazienti post-diagnosi con una specificità del 96%. E dimostrano anche che PanSeer rileva il cancro nel 95% di individui asintomatici a cui poi è stata fatta una diagnosi di cancro.

Anche se sono necessari futuri studi longitudinali per confermare questi risultati, la ricerca dimostra che il cancro può essere rilevato in modo non invasivo fino a quattro anni prima.

La notizia è l’ultima di una serie di indagini che negli ultimi anni ha avuto come oggetto di studio la cosiddetta biopsia liquida, ovvero una metodica altamente sensibile (basata su un semplice prelievo di sangue periferico) per l’isolamento e l’analisi del Dna libero circolante, che può contenere anche il Dna tumorale circolante e le cellule tumorali  circolanti Ctc. I tumori solidi sono prevalentemente asintomatici e clinicamente non rilevabili fino alla loro vascolarizzazione e fino a quando non raggiungono una massa considerevole (normalmente 1-2 cm in diametro). C’è quindi urgente bisogno di migliori strumenti diagnostici per il cancro. Troppo spesso, gli operatori sanitari possono fare una diagnosi solo dopo che i sintomi si sono sviluppati – a quel punto potrebbe essere troppo tardi l’intervento terapeutico.

Negli ultimi anni sono diversi i team di ricerca che si sono concentrati sulla biopsia liquida. Nel 2018 i ricercatori di Johns Hopkins hanno sviluppato un esame del sangue unico e non invasivo che rileva proteine ​​e mutazioni genetiche di otto tumori comuni. Il test, chiamato CancerSeek, controlla i tumori che rappresentano oltre il 60% dei decessi per cancro negli Stati Uniti.

Pubblicato sulla rivista Science, la ricerca ha studiato campioni di sangue di oltre 1.000 pazienti con tumori non metastatici, da stadio I a III di ovaio, fegato, stomaco, pancreas, esofago, colon-retto, polmone e seno. La sensibilità globale mediana, o la capacità di scovare il cancro, era del 70% e variava da un massimo del 98% per il carcinoma ovarico a un minimo del 33% per il carcinoma mammario.Per i cinque tumori che non hanno test di screening – tumori alle ovaie, al fegato, allo stomaco, al pancreas e all’esofago – la sensibilità variava dal 69% al 98%. Il test è stato eseguito su 812 persone sane e ha prodotto solo sette risultati falsi positivi.

Ad aprile di quest’anno anche una collaborazione tra ricercatori americani e del Regno Unito hanno sviluppato un test che addirittura è in grado di rilevare oltre 50 diversi tipi di cancro, in molti casi prima che si sviluppino segni o sintomi clinici,e hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista Annals of Oncology. Il test funziona utilizzando un tipo di Dna rilasciato dalle cellule tumorali. Questo si riversa nel sangue, dove è noto come Dna privo di cellula (cfDNA). Tuttavia, può essere difficile identificare il cfDNA specifico del tumore, poiché molte altre cellule rilasciano Dna nel sangue.

Questo test invece rileva il Dna che proviene specificamente dalle cellule tumorali mediante l’aggiunta di una sostanza chimica (gruppo metilico), che è associata alla crescita del tumore.Dopo aver isolato il cfDNA dal campione di sangue e averlo sequenziato per trovare le parti metilate, gli operatori sanitari possono inserire i risultati in un computer in grado di riconoscere il Dna derivante da cellule cancerose o non cancerose e quindi prevedere se la persona ha il cancro e anche di che tipo potrebbe essere.

Lo studio ha testato il sangue di oltre 4.000 persone, circa la metà delle quali aveva il cancro (i ricercatori hanno incluso oltre 50 tipi di cancro nello studio). Il test è stato accurato nel 93% dei campioni e ha potuto prevedere con precisione il punto in cui il cancro si era sviluppato per la prima volta nel 96% dei campioni.
Il tasso di falsi positivi è stato solo dello 0,7%, il che significa che meno dell’1% delle persone avrebbe avuto una diagnosi imprecisa usando questo test.

INFORTUNIO O MALATTIA COVID 19 : INAIL E ASSICURAZIONI DUE MONDI DIVERSI

Da ilsole24ore

Alcune categorie di operatori sanitari – i medici di medicina generale e i farmacisti su tutti – contestano il fatto di non godere di adeguate tutele risarcitorie nel caso abbiano contratto il Covid-19 in occasione della loro attività professionale. Lamentano, in particolare, di esser discriminati rispetto ad altri professionisti della sanità che, esposti a un rischio di contagio sostanzialmente analogo, operano con regolare contratto all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata e beneficiano, proprio per questo, degli indennizzi previsti dall’Inail in caso di morte o di invalidità permanente.

Cosa prevedono le polizze sanitarie

Il reclamo sembra poi estendersi fino a riguardare l’operatività delle polizze private infortuni che ciascun professionista ha personalmente stipulato: polizze che, in linea di principio, non coprono – almeno secondo gli assicuratori – il rischio Covid. Il problema nasce dal fatto che durante l’emergenza il legislatore è intervenuto ponendo espressamente a carico dell’Inail la tutela dei lavoratori colpiti dall’infezione da coronavirus in occasione di lavoro. La norma in questione è l’articolo 42 del decreto 18/2020 (convertito nella legge 27/2020) che tratta il coronavirus come un vero e proprio infortunio e non invece come malattia. In seguito a tale disposizione, si è posto l’interrogativo su se l’equiparazione normativa del Covid-19 a un infortunio costituisca una regola generale – applicabile anche al campo delle polizze private – oppure esprima un principio speciale, proprio della normativa emergenziale e valido soltanto in ambito Inail. Il dubbio, che ha ricadute operative molto rilevanti, ha alimentato un acceso dibattito. Alcuni punti fermi meritano di essere ricordate:

Cinque cose da sapere su infortuni e malattie

1. in campo assicurativo si definiscono infortuni gli «eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna che provocano lesioni corporali oggettivamente constatabili». Il che evoca, intuitivamente, l’idea di danni alla salute di carattere traumatico, a seguito di episodi violenti, provocati da forze esterne e ad immediata o rapida consumazione temporale;

2. diversa è invece la definizione di malattia, che si caratterizza per esser conseguenza di determinate cause patogene interne, ad azione spesso lenta e comunque progressiva;

3. l’idea di equiparare un’infezione come il Covid-19 all’infortunio non costituisce una novità in ambito Inail. Come indicato dallo stesso istituto in alcune sue circolari, la scelta di «stressare» il concetto di infortunio sino a estenderlo a fenomeni di contagio da virus, risponde a scelte di sostegno sociale e ad esigenze di maggior protezione del lavoratore, specie al cospetto di taluni vuoti di tutela di cui anche la Consulta, già negli anni Ottanta, si era occupata. Ed è in quest’ottica che il coronavirus è stato fatto rientrare apertamente tra gli infortuni indennizzabili dall’Inail.

4. non altrettanto può dirsi per le polizze private infortuni. Al contrario, il perimetro di copertura di quelle polizze – rimesso alla libera determinazione di ciascun assicuratore, in assenza di obblighi di legge – è da sempre stato circoscritto a ciò che nel linguaggio comune si intende per infortunio, inteso come evento traumatico e non certo come malattia infettiva. Se si considera che anche l’influenza o il morbillo sono un’infezione, non vi è dubbio che le assicurazioni private le abbiano trattate come malattie (infettive) e non certo come infortuni. Sembrano qui mancare, peraltro, quei requisiti di «violenza» ed esternalità, trattandosi di fenomeni la cui propagazione sintomatica dipende anche dalla reazione immunitaria individuale;

5. la copertura delle malattie infettive è del resto propria delle polizze malattia, mentre nelle polizze infortuni le infezioni sono talvolta oggetto di garanzia solo in ipotesi particolari, di solito quando si tratta di infezioni contratte a seguito di veri e propri infortuni. Il Covid-19 non sembra, dunque, tipicamente riconducibile entro il normale ambito di copertura dell’assicurazione infortuni.

Questo il quadro della situazione e queste le ragioni per cui i lavoratori colpiti dal Covid-19 possono essere indennizzati dall’Inail a titolo di infortunio, mentre i medici di medicina generale e gli altri operatori della sanità non coperti dall’Inail che abbiano stipulato polizze private infortuni si sentono oggi normalmente rifiutare le loro richieste di risarcimento per il medesimo titolo. Non è del resto semplice ipotizzare che una polizza privata, stipulata e quotata per un rischio diverso dalle malattie infettive, possa oggi esser forzata per ricomprendere il Covid.

Le regole da applicare

Il ruolo di sostegno socio economico riconosciuto al comparto assicurativo privato sarà certamente enfatizzato nei prossimi mesi, durante i quali potrà esser presa in considerazione l’idea di ampliare l’ambito di protezione delle polizze della salute in caso di Covid. Ma ciò non potrebbe che valere per il futuro, dal momento che per tutti i contratti privati già in essere dovranno essere applicate le regole di copertura stabilite al momento della stipula, indipendentemente da quanto il legislatore possa aver stabilito per il ben diverso contesto Inail.

QUANDO I DPI ERANO A FORMA DI BECCO

Da National Geografic

Durante la peste europea del XVII secolo, i medici indossavano maschere con il becco, guanti in pelle e lunghi cappotti, nel tentativo di respingere la malattia. Il loro look iconico e minaccioso, così come ritratto in questa incisione del 1656 di un medico Romano, è riconoscibile ancora oggi.
FOTOGRAFIA DI ARTEFACT, ALAMY

Un tempo la peste era una delle malattie più temute al mondo. Una malattia in grado di spazzare via centinaia di milioni di persone in una pandemia globale apparentemente inarrestabile che affliggeva le sue vittime con dolorosi linfonodi ingrossati, pelle annerita, e altri macabri sintomi.

Nell’Europa del XVII secolo i medici che si prendevano cura delle vittime indossavano un abito che da allora ha assunto connotazioni sinistre: si vestivano dalla testa ai piedi e indossavano una maschera con un lungo becco d’uccello. La ragione dietro a queste maschere anti-peste a becco era dovuta all’errata convinzione sulla reale natura della malattia.

Durante quel periodo di focolai di peste bubbonica – una pandemia che si ripresentò in Europa per diversi secoli – le città agguantate dalla malattia assumevano medici per la peste che praticavano a residenti ricchi e poveri quella che loro facevano passare per “medicina”. Questi esperti di scienza prescrivevano quelle che erano ritenute invenzioni protettive e antidoti alla peste, erano testimoni dei desideri dei malati e svolgevano le autopsie sui cadaveri – e alcuni facevano tutto questo indossando delle maschere con il becco.

A Charles de Lorme, un medico della peste che curò i reali del XVII secolo, viene ...
A Charles de Lorme, un medico della peste che curò i reali del XVII secolo, viene spesso attribuita questa uniforme.
FOTOGRAFIA DI THE PICTURE ART COLLECTION, ALAMY

Questo “costume” è solitamente attribuito a Charles de Lorme, un medico che riuscì a curare molti reali europei durante il XVII secolo, inclusi re Luigi XIII e Gastone di Francia, figlio di Maria de’ Medici. Lui descrisse un abbigliamento composto da un cappotto ricoperto di cera profumata, calzoni alla zuava legati agli stivali, una camicia infilata nei pantaloni, e cappello e guanti in pelle di capra. I medici della peste portavano anche una verga che permetteva loro di colpire (o allontanare) gli appestati.

L’abbigliamento del capo era particolarmente insolito: i medici della peste dovevano infatti indossare occhiali, spiegava de Lorme, e una maschera con un naso “lungo una ventina di centimetri, a forma di becco, pieno di profumo e con due soli buchi – uno per lato accanto alla rispettiva narice – ma che era sufficiente a respirare, e che portava insieme all’aria l’effluvio delle erbe contenute lungo il becco”.

Anche se i medici della peste in tutta Europa indossavano questo abbigliamento, il look era così iconico in Italia che “il medico della peste” divenne un simbolo della commedia dell’arte italiana e delle celebrazioni del carnevale – tanto è vero che è un costume popolare ancora oggi