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CALDO E LAVORO : IL PROGETTO DI INAIL E CNR

da inail.it

Il ruolo della ricerca scientifica per la predisposizione di strumenti operativi di allerta e la definizione di misure di prevenzione a tutela dei lavoratori nei cantieri, particolarmente esposti agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è stato discusso nel seminario che si è svolto presso il Conference Centre di via Quattro Novembre

Rischio caldo e lavoro, con il progetto Worklimate di Inail e Cnr un sistema di previsione dello stress termico

ROMA – In una capitale stretta da settimane nella morsa di un clima torrido, insieme al resto dell’Italia e a quasi tutta l’Europa, il tema del rischio caldo per la salute e la sicurezza dei lavoratori dell’edilizia, uno dei settori produttivi più esposti a temperature estreme, è stato affrontato nel seminario ospitato presso il Conference Centre Inail di via Quattro Novembre, che oltre al direttore generale, Andrea Tardiola, al presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza, Gugliemo Loy, e ai ricercatori dell’Istituto ha visto la partecipazione del direttore generale dell’Inps, Vincenzo Caridi, e dei rappresentanti dei sindacati degli edili e dell’Ance, l’associazione nazionale che raggruppa le imprese dell’edilizia.

In aumento frequenza e intensità delle ondate di calore. Al centro della discussione, le iniziative promosse dall’Inail per affrontare gli effetti del cambiamento climatico, che sta determinando un aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore durante il periodo estivo. Si stima, infatti, che circa il 30% della popolazione mondiale sia attualmente esposta per almeno 20 giorni all’anno a condizioni di caldo particolarmente critiche per la salute, con i lavoratori, a partire da quelli che svolgono la maggior parte delle loro attività all’aperto, tra i soggetti più vulnerabili agli effetti negativi dello stress termico. Di qui la scelta dell’Istituto di investire sulle attività di ricerca scientifica per la predisposizione di strumenti operativi di allerta e la definizione di misure di gestione dei rischi.

Tardiola: “Determinante il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e datoriali”. “La discussione di questo seminario – ha sottolineato il direttore generale dell’Inail nell’intervento di apertura – è figlia del dialogo intessuto da tempo dall’Istituto con le forze economiche e sociali per fare in modo che le soluzioni sviluppate dalla ricerca siano diffuse nei cantieri e in tutti gli altri luoghi del lavoro. Questo risultato lo possiamo conseguire con l’attività di disseminazione realizzata dall’Inail in giornate come questa e con l’approccio regolatorio esercitato da governo e istituzioni, però il modo più efficace passa attraverso il patto, la relazione e il protagonismo di chi rappresenta i lavoratori e le aziende. La consapevolezza e la corretta percezione del rischio da parte dei lavoratori, delle imprese e degli operatori della sicurezza è infatti uno degli aspetti determinanti per l’efficacia delle politiche di prevenzione”.

Gli studi finanziati con i bandi Bric del 2019 e del 2022. Dopo la proiezione del cortometraggio “Il vecchio e il muro”, che sottolinea l’importanza della prevenzione attraverso la storia di un operaio che ha lavorato per anni sotto il sole nei cantieri stradali in assenza di misure di protezione adeguate, la direttrice del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail, Giovanna Tranfo, e i ricercatori Alessandro Marinaccio e Michela Bonafede hanno illustrato caratteristiche e obiettivi del progetto Worklimate, finanziato inizialmente con il bando di ricerca in collaborazione (Bric) Inail 2019 e successivamente, nella sua versione 2.0, con il bando Bric 2022.

La web app calibrata su vari scenari di esposizione. Coordinato dall’Inail e dall’Istituto per la Bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche, con il contributo di altri enti partner, il progetto ha sviluppato e reso disponibile un prototipo di sistema di previsione dello stress da calore per lo screening dei rischi professionali a uso di lavoratori, datori di lavoro e addetti alla salute e sicurezza aziendali, che contiene anche una sezione specifica dedicata alla previsione delle aree geografiche in cui è possibile il superamento della soglia di temperatura giornaliera di 35 gradi, con mappe di previsione a livello italiano per tre giorni. È stata inoltre realizzata una web app, destinata ai datori di lavoro e alle figure della sicurezza aziendale, che permette una completa personalizzazione del rischio caldo per varie località, calibrata sulle caratteristiche dei lavoratori e su vari scenari di esposizione.

Uno strumento di supporto alle decisioni che integra le misure esistenti. La piattaforma integrata con le ordinanze regionali e con le istruzioni dell’Inps in caso di superamento dei 35 gradi. La piattaforma Inail-Cnr deve esser considerata come uno strumento di supporto alle decisioni a integrazione delle misure già esistenti e dell’osservazione meteo-climatica fatta direttamente sul luogo di lavoro. Nello specifico, integra quanto contenuto nelle recenti ordinanze regionali “anti caldo” firmate dai presidenti delle Regioni Puglia, Basilicata e Calabria, che vietano il lavoro agricolo in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12,30 alle ore 16,00, nei giorni in cui il rischio è classificato alto dal progetto Worklimate, e le istruzioni già fornite dall’Inps per la cassa integrazione ordinaria, in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa a causa di temperature elevate che superino la soglia dei 35 gradi….

  • gestione del rischio

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Cambiamenti climatici e lavoro: ricerca scientifica e progetti di intervento. Le iniziative dell’Inail per il settore dell’edilizia

Live streaming – seminario “Cambiamenti climatici e lavoro: ricerca scientifica e progetti di intervento. Le iniziative dell’Inail per il settore dell’edilizia”

Seminario –

Seminario – “Cambiamenti climatici e lavoro: ricerca scientifica e progetti di intervento. Le iniziative dell’Inail per il settore dell’edilizia”

PFAS PRIMO STUDIO COMPARATIVO

L’esposizione a queste sostanze chimiche artificiali, ampiamente utilizzate, viene conservata a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, con effetti cancerogeni e conseguenze negative sulla fertilità, sulla ris

Si chiamano PFASsostanze perfluoroalchiliche: sono composti chimici ampiamente utilizzati in un gran numero di prodotti e materiali per le loro capacità di resistenza e proprietà ignifughe. Ma sono anche da tempo sotto indagine per gli effetti negativi che la loro persistenza nell’ambiente produce sulla salute di animali e persone.

Un’analisi comparativa trascrizionale – pubblicata sulla rivista Toxics e realizzata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova – ha ora confermato che gli effetti dell’esposizione ai PFAS vengono conservati a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, e produce conseguenze sia nell’uomo che in altre specie animali.

“Dalla nostra analisi abbiamo identificato e riportato diversi geni che mostrano una risposta trascrizionale coerente ed evolutivamente conservata ai PFAS”, dice Federico Manuel Giorgi, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “Questi risultati mostrano per la prima volta che diverse molecole di PFAS influenzano vie ormonali e vie metaboliche, aumentando ad esempio i meccanismi di accumulo degli acidi grassi e indebolendo il sistema immunitario”.

I PFAS, composti chimici molto resistenti, ignifughi e idrorepellenti, sono utilizzati da oltre 60 anni in rivestimenti antiaderenti, schiumogeni antincendio, tessuti impermeabili, pesticidi, materiali per l’edilizia e prodotti per la pulizia e l’igiene personale. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) fa rientrare all’interno di questa categoria 4.730 diverse molecole, rendendo questo gruppo la più estesa famiglia di inquinanti emergenti.

A causa della loro alta stabilità molecolare, infatti, questi materiali finiscono per diffondersi ampiamente nell’ambiente, dove possono permanere per anni. In particolare, i PFAS si riversano in grandi quantità nei bacini idrici, da dove possono percorrere grandi distanze, entrando nell’ecosistema acquatico e risalendo la catena alimentare fino agli esseri umani. Tracce di queste sostanze sono state individuate nel latte materno, nella placenta, nel siero, nel liquido seminale e nei capelli.

Nonostante queste evidenze e le conseguenze negative dei PFAS per la salute umana messe in luce da diversi studi, fino ad oggi non era stata realizzata un’analisi complessiva di tutti i dati raccolti sul tema. Gli studiosi hanno quindi raccolto 2.144 campioni di sette diverse specie animali per esaminare le risposte a livello molecolare dell’esposizione ai PFAS.

“Il nostro obiettivo – spiega Giorgi – era evidenziare gli effetti molecolari indotti dai PFAS non solo al livello dei singoli geni, ma anche su varie vie molecolari e tipologie cellulari. La nostra ricerca offre così una visione completa dei meccanismi molecolari alla base della tossicità dei PFAS, in modo da offrire dati solidi su cui basare le scelte necessarie per la salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente”.

I risultati ottenuti confermano infatti una serie di effetti negativi sulla salute prodotti dall’esposizione ai PFAS. Ad esempio, una forte regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile. Tutti elementi che possono spiegare gli effetti dannosi dei PFAS sulla fertilità e sullo sviluppo fetale.

I dati raccolti mostrano inoltre che l’esposizione ai PFAS produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di cancro, tra cui leucemia, cancro al seno e al pancreas. I dati epidemiologici suggeriscono inoltre che un’elevata esposizione a questi materiali possa aumentare significativamente la mortalità di individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo.

Lo studio sembra inoltre confermare l’effetto tossico dei PFAS sul sistema immunitario. I ricercatori hanno infatti messo in luce il meccanismo che potrebbe spiegare l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle risposte alle vaccinazioni, osservato in particolare nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale. L’esposizione ai PFAS aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo e favorisce così lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.

Attraverso l’analisi bioinformatica dei dati e grazie ai recenti sviluppi nel data mining dell’espressione genica, gli studiosi sono inoltre riusciti ad analizzare ulteriormente le possibili conseguenze dell’esposizione ai PFAS attraverso la previsione dei loro effetti sul metaboloma (l’insieme di tutte le piccole molecole presenti in una cellula coinvolte nei processi dell’organismo). In particolare, è emerso che le molecole di PFAS sono collegate a un aumento dei livelli di diversi tipi di lipidi: un’evidenza che conferma come l’esposizione a queste sostanze aumenti la concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

“Questo studio è la più ampia analisi della risposta trascrizionale ai PFAS mai realizzata, con implicazioni significative per la comprensione dell’impatto dell’esposizione di queste sostanze sugli organismi viventi e sull’ambiente”, conclude Giorgi. “Riteniamo che i risultati ottenuti possano offrire una nuova prospettiva sulle risposte molecolari all’esposizione ai PFAS e ci auguriamo che possano fornire le basi per lo sviluppo di strategie di mitigazione degli effetti dannosi di queste sostanze”. Fonte: LE SCIENZE

QUALITA’ DELL’ ARIA E RISCHIO BPCO


La Società Italiana di Pneumologia (SIP-IRS) ha avviato una campagna di sensibilizzazione su territorio e social media. Ad oggi le ricerche mostrano come l’esposizione cronica al particolato Pm10 aumenta di 2,96 volte il rischio di sviluppare Bpco; quella al PM 2.5 fa crescere di 2,25 volte il rischio di rinite e di 4,17 volte quello di espettorato cronico. A rischio soprattutto la Pianura Padana, che secondo il rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente risulta fra le aree con la qualità dell’aria peggiore in Europa. “La salute respiratoria degli italiani sta peggiorando ed esiste un diretto collegamento tra l’esposizione prolungata all’inquinamento e le malattie respiratorie”, queste le parole del dott. Francesco Pistelli, dirigente medico della U.O. di Pneumologia dell’A.O.U. Pisana.
Da sanitapubblicaonline.it

INQUINAMENTO ATMOSFERICO ED ESITI FATALI NELLE BPCO.

La Società Italiana di Pneumologia – Italian Respiratory Society SIP/IRS ha incrociato i dati di diversi studi in Italia e all’estero e il verdetto è inequivocabile: l’inquinamento atmosferico è con certezza la prima causa di “decessi anticipati” per malattie respiratorie croniche.
Un recente rapporto dell’American Thoracic Society ha concluso che l’esposizione all’inquinamento atmosferico provoca il rimodellamento delle vie aeree, che può portare all’insorgenza di asma o BPCO, nonché a fenotipi asmatici che peggiorano dopo l’esposizione a lungo termine agli inquinanti atmosferici, nello specifico il particolato fine (PM2.5) e l’ozono (O3).
Anche in Italia studi recentissimi hanno portato ancora nuove evidenze sull’associazione fra inquinamento e ospedalizzazione e mortalità per malattie respiratorie non solo nelle aree urbanizzate, ma anche nelle suburbane. Gli stessi studi hanno mostrato incrementi statisticamente significativi di pazienti affetti da rinite allergica e asma a causa dell’esposizione a particolato (il 17% e il 25%, rispettivamente) e a NO2 (7% per entrambe le malattie) e di bronchite cronica/BPCO per esposizione a NO2 (22%). Infine, è stata confermata l’associazione fra esposizione cronica a PM10 e un rischio di 2,96 di sviluppare la BPCO e fra esposizione a PM2.5 e un rischio di 2,25 di sviluppare la rinite e di 4,17 di sviluppare espettorato cronico. (fonte : doctor33.it )

PFAS E INQUINAMENTO ACQUE POTABILI IN LOMBARDIA

da greenpeace.it

In Lombardia nell’acqua destinata al consumo umano sono presenti PFAS (composti poli e perfluoroalchilici), sostanze chimiche artificiali altamente persistenti prodotte da alcune attività industriali. Si tratta di un ampio gruppo di molecole (oltre 10 mila) associate a numerosi impatti sulla salute, tra cui alcune forme tumorali, talmente pericolose che diversi Stati in Europa hanno deciso di chiederne la messa al bando. Per rispondere a richieste crescenti della popolazione, Greenpeace Italia, tramite istanza di accesso agli atti, ha ottenuto i risultati di analisi fatte dai gestori e dalle autorità sanitarie lombarde su campioni di acqua destinata ad uso potabile. I risultati evidenziano un quadro allarmante: in Lombardia è stata registrata la presenza di PFAS in quasi il 20% delle analisi condotte dalle autorità a partire dal 2018. Ma non solo: in diversi casi le autorità erano al corrente da anni di questa contaminazione, eppure non risultano campagne informative rivolte alla popolazione, che non è stata quindi avvertita dei rischi a cui è esposta.

Clean water (healthy concept)

È quanto ha scoperto l’Unità Investigativa di Greenpeace Italia in un’inchiesta condotta grazie all’invio, tra ottobre 2022 e gennaio 2023, di numerose richieste di accesso agli atti generalizzato (FOIA), indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) ed enti gestori delle acque lombarde. Grazie a questa campagna di trasparenza e di accesso all’informazione, per la prima volta è stato possibile visionare le analisi eseguite sugli acquedotti lombardi. E il risultato è sconcertante: si può dire con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini. Ma non solo: non si può escludere che queste contaminazioni stiano andando avanti tuttora.

Scarica l’elenco dei cento comuni in cui sono stati trovati i valori di contaminazione più elevati

Scarica la classifica delle province lombarde

Leggi il briefing “PFAS: GLI INQUINANTI ETERNI

GLI IPA AUMENTANO IL RISCHIO DI ARTRITE REUMATOIDE.

Secondo uno studio pubblicato su BMJ Open, l’esposizione ambientale ad idrocarburi policiclici aromatici (PAH) è strettamente legata all’aumento del rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. Queste sostanze chimiche sono prodotte dalla combustione di diversi materiali come carbone, petrolio, gas, legno e tabacco, ma anche dalla grigliatura alla fiamma di cibi come carne e altri alimenti. Lo studio ha inoltre rilevato che l’esposizione ai PAH rappresenta la maggior parte dell’impatto del fumo sul rischio di sviluppare la malattia.

Michelle Beidelschies, del Center for Functional Medicine di Cleveland Clinic negli USA e autrice principale dello studio, ha spiegato che sebbene ci siano già prove che legano alcune sostanze tossiche ad alcune malattie croniche, sono stati pochi gli studi che hanno esplorato l’associazione tra queste sostanze e malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide, che si crede dipenda dall’interazione tra fattori genetici, ambientali come il fumo, l’alimentazione e lo stile di vita.

Per comprendere meglio il ruolo dell’esposizione ambientale nel rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, i ricercatori hanno esaminato i dati di 21.987 adulti, di cui 1.418 affetti dalla malattia e 20.569 senza, che avevano partecipato al National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES). Lo studio ha preso in considerazione una vasta gamma di sostanze tossiche, tra cui i PAH, i PHTHTE (sostanze chimiche utilizzate nella produzione di plastica e altri prodotti di consumo) e i COV (composti organici volatili derivanti da vernici, detergenti e pesticidi). Sono stati prelevati campioni di sangue e urina per misurare la quantità totale di PAH (7.090 partecipanti), PHTHTE (7.024) e COV (7.129) nel corpo.

I risultati dello studio hanno mostrato che le probabilità di sviluppare l’artrite reumatoide sono più alte tra le persone che hanno livelli più elevati di PAH nel corpo, indipendentemente dal fatto che fossero fumatori o meno. Al contrario, i metaboliti PHTHTE e COV non sono stati associati ad un aumento del rischio di artrite reumatoide, e neanche il fumo è risultato essere associato ad un aumento del rischio, dopo aver tenuto conto dei livelli di PAH. Ulteriori analisi hanno dimostrato che il livello corporeo di PAH rappresenta il 90% dell’impatto dell’esposizione al fumo sul rischio di artrite reumatoide.

dott. Alessandro Guerri medico , specialista in Medicina del Lavoro

fonti :

BMJ Open 2023. Doi: 10.1136/bmjopen-2022-071514http://doi.org/10.1136/bmjopen-2022-071514.

doctot33.it

BISFENOLO A: RIDOTTA DA EFSA LA SOGLIA DI ASSUNZIONE DI 20.000 VOLTE

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha pubblicato un nuovo parere scientifico sulla valutazione ex novo dei rischi per la salute pubblica relativi alla presenza di bisfenolo A negli alimenti riducendo significativamente la soglia di assunzione giornaliera tollerabile stabilita nella sua precedente valutazione del 2015: la nuova dose è di circa 20mila volte inferiore a quella precedente. Sulla base di tutte le nuove evidenze scientifiche valutate, infatti, gli esperti dell’Efsa hanno stabilito un valore-soglia di 0,2 nanogrammi (0,2 miliardesimi di grammo) per chilogrammo di peso corporeo di una persona al giorno, in sostituzione della precedente soglia temporanea di 4 microgrammi (4 milionesimi di grammo). Sostanze chimiche come il bisfenolo A, utilizzato nei recipienti per alimenti, possono migrare in quantità minime negli alimenti e bevande in essi contenuti, per cui gli scienziati dell’Efsa ne rivedono periodicamente la sicurezza.

Dove si trova il bisfenolo A e dove è vietato

Il bisfenolo A (o BPA) è una sostanza chimica usata prevalentemente in associazione con altre sostanze per produrre alcune plastiche e resine. Viene utilizzato ad esempio nel policarbonato, un tipo di plastica trasparente e rigida impiegata per la realizzazione di contenitori di stoccaggio e bottiglie riutilizzabili per bevande (assai raramente è presente nelle comuni bottiglie di plastica di acqua minerale). Il BPA serve anche per produrre certe resine presenti in pellicole e rivestimenti per lattine e contenitori per bevande e alimenti.  Il bisfenolo A era già stato al centro dell’attenzione nel gennaio 2011 quando era stato messo al bando dalle tettarelle e dai biberon europei per la sua azione sul sistema endocrino, quello che regola molte funzioni del nostro organismo tramite la corretta produzione degli ormoni. Se ne è poi parlato diverse volte, anche in merito alla sua presenza nei cartoni di pizza.  Nel febbraio 2018 l’Ue ha introdotto limiti più severi sul contenuto di BPA nei materiali a contatto con gli alimenti: limiti ricavati dalla soglia giornaliera temporanea tollerabile stabilita dall’Efsa nel 2015. Dal settembre 2018 è vietato l’uso del BPA in bottiglie di plastica e imballaggi contenenti alimenti per neonati e bambini di età inferiore a tre anni. ( Da il corriere.it)

EFFETTI METABOLICI DEL FUMO PASSIVO.

È risaputo che fumare fa male, nuoce gravemente alla salute. I benefici ottenuti da ex fumatori sono molteplici; infatti, dopo poco tempo dall’astensione, la pressione e il ritmo cardiaco tornano ai valori normali, i polmoni lavorano meglio, i sensi del gusto e del tatto si affinano. Migliorano anche la circolazione sanguigna e la capacità polmonare. Cala il rischio d’infezioni respiratorie e d’ictus. Dimezza l’incidenza d’infarto. Anche il rischio di carcinoma polmonare cala. Diminuisce il pericolo di cancro all’esofago, al cavo orale e alla vescica.

Il rischio di malattie cardiache coronariche dopo 15 anni dall’ultima sigaretta è lo stesso di un non fumatore. È necessario sottolineare che il fumo passivo può innescare lo sviluppo di gran parte delle malattie cui è soggetto il fumatore attivo. Anche chi non fuma ma respira fumo va incontro a rischi gravi per la salute, ecco perché nei locali pubblici è obbligatorio la presenza di spazi adibiti per i fumatori.

Uno studio pubblicato sull’American Journal Of Physiology Endocrinology And Metabolism spiega una strana ma concreta correlazione tra fumo passivo e aumento di peso. L’esposizione al fumo di sigaretta secondo lo studio aumenta la biosintesi polmonare di alcune molecole lipidiche (le ceramidi) che alterano alcune funzioni metaboliche. Elevati livelli di ceramidi, nel muscolo scheletrico dei topi esposti al fumo passivo, altera i mitocondri delle cellule e conseguentemente provoca disordini metabolici. L’impiego di modelli cellulari e animali, ha consentito di studiare l’effetto del fumo di sigaretta sulsegnale dell’insulina delle cellule muscolari e sulla respirazione mitocondriale.

Gli studiosi hanno visto che iniettando una sostanza che inibisce le ceramidi, i topi non aumentavano di peso né sviluppavano un disordine metabolico. Questa sostanza inibitoria non è stata però utile a prevenire l’insulino resistenza nei roditori che, oltre ad essere esposti al fumo passivo, erano alimentati con una dieta ricca di zuccheri e di grassi. Chi subisce il fumo passivo, dunque ha un maggiore rischio di problemi cardiovascolari e metabolici.

In particolare, secondo lo studio americano, il fumo di sigaretta aumenterebbe il rischio di sviluppare resistenza insulinica, cioè abbasserebbe la sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina, e quindi predisporrebbe all’insorgenza del diabete. L’insulina è un ormone essenziale prodotto da alcune cellule specializzate del pancreas quando le concentrazioni ematiche di glucosio aumentano. L’ insulino-resistenza si presenta quando le cellule non assorbono il glucosio quindi esse mostrano una bassa sensibilità all’azione dell’insulina, che nel tempo può provocare il diabete mellito di tipo 2. Quando tale condizione si presenta viene rilasciato nell’organismo insulina in dosi elevate, producendo un effetto biologico nettamente inferiore a quanto previsto e che al tempo stesso crea disordini importanti: l’insulina aumenta il deposito di grasso, aumenta la sintesi di ormoni androgeni che possono causare disordini ovarici e irsutismo, steatosi epatica, ipertensione da ritenzione di sodio.

Nella fase conclamata l’insulino resistenza causa:

• Aumento dell’idrolisi e dei trigliceridi nel tessuto adiposo a di acidi grassi nel plasma.
• Diminuzione del glucosio a livello muscolare con la conseguente diminuzione di depositi di glicogeno.
• Maggiore sintesi epatica dovuta all’aumento della concentrazione degli acidi grassi nel sangue e del venir meno dei processi che la inibiscono, con la conseguenza di innalzamento dei livelli di glicemia a digiuno.
• Incapacità da parte delle beta-cellula di attivare tutti i meccanismi molecolari che servono al suo corretto funzionamento ed alla sua sopravvivenza. Tale funzionalità ormai diminuita da parte delle cellule del pancreas, sono i maggiori responsabili del diabete mellito di tipo 2.
Mangiare correttamente in maniera sana ed equilibrata, praticare un’attività fisica regolare e naturalmente evitare di assorbire passivamente fumo di sigaretta possono essere validi alleati per fronteggiare la progressione dell’ insulino resistenza a diabete. (Da interris.it)

“Ceramides mediate cigarette smoke-induced metabolic disruption in mice”. Thatcher Mo et al. American Journal Of Physiology Endocrinology And Metabolism- novembre 2014

“Insulino resistenza, quando le cellule non assorbono il glucosio” – Inran

http://www.inran.it