Monthly Archives: Maggio 2022

LANCET: SINTOMI POST COVID A 2 ANNI DI DISTANZA DAL RICOVERO NEL 55%.

da Doctor33.it

Più della metà (55%) di chi è stato ricoverato per Covid-19, dopo 2 anni presenta ancora almeno un sintomo della malattia. Mentre dopo 6 mesi mostrano strascichi dell’infezione quasi 7 pazienti su 10 (68%), segno di condizioni comunque in miglioramento nel tempo. È quanto emerge dallo studio con il follow-up più esteso condotto finora, pubblicato su ‘The Lancet Respiratory Medicine’. Gli autori hanno seguito 1.192 persone contagiate da Sars-CoV-2 e ricoverate tra il 7 gennaio e il 29 maggio 2020 al Jin Yin-tan Hospital di Wuhan, megalopoli epicentro della prima ondata pandemica. I pazienti, per il 54% uomini e con età mediana 57 anni, sono stati valutati a 6 mesi, a un anno e a 2.

A 24 mesi, dunque, più di un ex ricoverato su due lamenta ancora problemi come affaticamento e difficoltà di sonno, e rispetto ai guariti senza long Covid segnala una qualità di vita peggiore, ridotte performance nell’esercizio fisico, più disturbi di salute mentale e maggiore necessità di assistenza sanitaria. Stanchezza o debolezza muscolare sono stati i sintomi riferiti più spesso, riportati dal 52% a 6 mesi e dal 30% a 2 anni. Indipendentemente dalla gravità della malattia iniziale, tuttavia, dopo 2 anni l’89% dei pazienti risultava avere ripreso il lavoro.

Due anni dopo essersi ammalati, gli ex pazienti Covid sono in condizioni di salute generale peggiori rispetto alla popolazione generale, con il 31% che denuncia affaticamento, dolori muscolari e problemi del sonno. Fra i disturbi segnalati anche dolori articolari, palpitazioni, vertigini e mal di testa, dolore o disagio (23%), ansia o depressione (12%). Oltre la metà dei partecipanti allo studio a 2 anni presenta però veri e propri segni di long Covid, con una qualità di vita ancora più bassa per dolore e disagio (35%), ansia (13%) e depressione (11%).

“I nostri risultati indicano che per una certa percentuale di sopravvissuti a Covid-19”, contratto in forma tale da richiedere ospedalizzazione, “sono necessari più di 2 anni per riprendersi completamente”, sottolinea Bin Cao del China-Japan Friendship Hospital, autore principale dello studio. “C’è una chiara necessità di fornire supporto continuo a una percentuale significativa di persone che hanno avuto Covid-19 – aggiunge – e di capire come i vaccini, i trattamenti emergenti e le varianti” di Sars-CoV-2 “influenzano gli effetti sulla salute a lungo termine”.

LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI NEL SETTORE DEGLI ALLEVAMENTI.

da Inail.it

La resistenza agli antimicrobici è il fenomeno per il quale un microrganismo acquisisce la resistenza all’azione di farmaci antimicrobici, inclusi gli antibiotici, ai quali generalmente risulta sensibile per il trattamento per le infezioni da esso causate.

Prevenzione e controllo della resistenza Antimicrobica per i lavoratori esposti negli allevamenti avicoli e suinicoli

Attraverso la presentazione di schede tecniche contenenti suggerimenti per svolgere in sicurezza quelle attività che, a seguito di un processo valutativo, sono risultate a maggior rischio di esposizioni a batteri antibiotico-resistenti, questa monografia intende essere uno strumento di informazione per incrementare la conoscenza delle misure che possono contribuire a proteggere i lavoratori di allevamenti avicoli e suinicoli esposti a tale rischio.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

NUOVA NORMA UNI ISO 11228 MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

da assolombardaservizi.it

Novità in tema di movimentazione manuale dei carichi: il 24 marzo 2022 in Italia è entrata in vigore la Norma Tecnica UNI ISO 11228-1:2022 “Ergonomia-Movimentazione manuale-parte 1: sollevamento, abbassamento e trasporto”, che sostituisce integralmente la precedente UNI ISO 11228-1:2009.
L’allegato XXXIII del Testo Unico richiama espressamente la norma tecnica come “criterio di riferimento” per il datore di lavoro.

Con il termine “Movimentazione Manuale dei Carichi”, spesso abbreviato dall’acronimo MMC, si intendono tutte le attività che comportano sollevare, deporre, spingere, tirare, portare, spostare un “carico”, cioè un peso (secondo l’art. 167, comma 2, D. Lgs. 81/08).
Le modifiche apportate dalla nuova disciplina in tema di movimentazione manuale dei carichi sono impattanti, sia sull’approccio che sulle modalità di esecuzione della valutazione del rischio, obbligatoria ai sensi del Titolo VI del D. Lgs. 81/08

.

Movimentazione manuale dei carichi: applicazione della nuova UNI ISO 11228-1:2022

La norma appena entrata in vigore sostituisce la precedente versione.
Nello specifico, la parte 1 si riferisce alle attività di sollevamento di carichi e di sollevamento e trasporto.
Non tratta, invece, attività di traino e spinta, alle quali è dedicata la UNI ISO 11228-2, e le attività di sovraccarico degli arti superiori per i quali si applica la UNI ISO 11228-3.
Obiettivo della normativa è quello di fornire dei limiti raccomandati a fronte dei quali poter definire accettabile o meno una determinata situazione di lavoro connessa al rischio di sovraccarico. La norma risulta applicabile per sollevamento e sollevamento e trasporto di oggetti di peso uguale o superiore a 3 kg e con una velocità di spostamento compresa tra 0,5 e 1 metro al secondo su un percorso orizzontale.

Il processo di valutazione nella nuova normativa sulla movimentazione manuale

La nuova normativa prevede un processo di valutazione che è possibile riassumere secondo passaggi consequenziali.

Per le azioni che comportano sollevamento/abbassamento di un carico viene introdotto un processo di valutazione a step successivi e vengono ampliate le modalità di calcolo dell’Indice di Sollevamento nella fase di valutazione approfondita; vengono rivisti i pesi limite di riferimento e, infine, vengono modificate le fasce di rischio associate ai valori finali dell’Indice di Sollevamento.

Per le azioni che comportano trasporto in piano di un carico viene introdotto un processo di valutazione a step successivi che permette di verificare le condizioni di accettabilità del rischio.

Nuova UNI ISO 11228-1:2022: Assolombarda Servizi a supporto delle imprese

La movimentazione di carichi riguarda il personale delle aziende di qualsiasi dimensione e di qualsiasi settore.
Al fine di tutelare i propri collaboratori dall’insorgenza di disturbi e patologie muscoloscheletrici è indispensabile procedere a una corretta valutazione del rischio attraverso un corretto uso della nuova norma UNI, al fine dell’attuazione di idonei interventi di prevenzione e protezione che vadano a mitigare, se non annullare, eventuali danni a carico degli operatori.
Per la comprensione degli aspetti normativi e gestionali legati agli obblighi di tutela dei lavoratori in capo ai datori di lavoro, è opportuno consultare preliminarmente l’Area Salute e Sicurezza sul Lavoro di Assolombarda.
Assolombarda Servizi è a disposizione per supportare le aziende nell’aggiornamento ed eventuale integrazione della Valutazione del Rischio sulla base della nuova Norma Tecnica UNI ISO 11228-1:2022, a seconda delle situazioni specifiche. Le Norme Tecniche della serie ISO 11228 sono infatti indicate dal D. Lgs. 81/08 come criteri di riferimento per la valutazione e la riduzione del rischio da sovraccarico biomeccanico acuto e cronico legato alla movimentazione manuale dei carichi.

INQUINAMENTO ED EPILESSIA

Elevate concentrazioni di monossido di carbonio (CO) dovute all’inquinamento atmosferico aumentano il rischio di convulsioni epilettiche, secondo uno studio pubblicato su Epilepsia. «I nostri risultati suggeriscono che le persone con epilessia dovrebbero evitare un’elevata esposizione al CO per ridurre il potenziale rischio di convulsioni» afferma Zhuying Chen, dell’Università di Melbourne, in Australia, che ha diretto il gruppo di lavoro. Prove emergenti indicano che l’inquinamento atmosferico influisce sulla salute del cervello e può aumentare il rischio di ricovero ospedaliero o visite ambulatoriali per l’epilessia.

Tuttavia, si sa poco sull’effetto dell’inquinamento sull’insorgenza di crisi epilettiche. Per approfondire l’argomento i ricercatori hanno utilizzato due set indipendenti di dati, lo studio NeuroVista (NV) e il diario delle crisi di Seer App (SD). Gli esperti hanno raccolto dati sulle concentrazioni orarie di CO all’aperto, biossido di azoto (NO2), particolato con diametro ≤10 μm (PM10), ozono (O3) e biossido di zolfo (SO2), e sottolineano che tutte le concentrazioni giornaliere di CO e SO2 e almeno il 95% delle concentrazioni giornaliere di NO2, O3 e PM10 rientravano negli standard di qualità dell’aria australiani. Lo studio ha incluso 49 partecipanti. Complessivamente, sono state registrate 6.692 crisi epilettiche in 3.639 giorni durante 23.349 giorni di follow-up dal 2010 al 2012 (set di dati NV) e dal 2018 al 2021 (set di dati SD). È emersa una significativa associazione positiva tra le concentrazioni di CO e i rischi di crisi epilettiche, ma nessuna relazione significativa per gli altri quattro inquinanti atmosferici. L’analisi dei dati ha mostrato che le donne avevano un rischio significativamente maggiore di convulsioni epilettiche quando esposte a concentrazioni di CO e NO2 elevate. Analizzando i due set di dati separatamente, è stata rilevata un’associazione significativa tra concentrazione di CO e rischio di crisi epilettiche nel set di dati NV, mentre questa non era presente nel set di dati SD. I meccanismi esatti che collegano l’inquinamento atmosferico alle convulsioni non sono chiari, ma probabilmente implicano l’interazione sinergica di più percorsi.

da dica33.it

Epilepsia 2022. Doi: 10.1111/epi.17253
https://doi.org/10.1111/epi.17253

OBBLIGO DI MASCHERINE SUI LUOGHI DI LAVORO FINO A GIUGNO

È la posizione emersa alla riunione delle parti sociali con il ministero del Lavoro, Salute e Mise

Mantenere il protocollo di sicurezza per il contrasto al Covid nei luoghi di lavoro di aprile 2021 che tra l’altro prevede l’uso obbligatorio delle mascherine «in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto» (non necessario nel caso di attività svolte da soli) e poi una verifica entro fine giugno per un aggiornamento. È la posizione emersa alla riunione delle parti sociali con il ministero del Lavoro, Salute e Mise per la valutazione delle misure necessarie nell’ambito delle attività produttive.

A breve formalizzazione in un documento

Vengono confermate dunque tutte le misure di protezione previste: le mascherine continueranno ad essere fornite dai datori di lavoro come dispositivo di protezione individuale e anche le altre misure presenti dovranno essere rispettate così come i comitati aziendali o territoriali/settoriali continueranno a svolgere un importante ruolo attivo. La decisione – arrivata al termine di un tavolo in videoconferenza con Confindustria e le associazioni del mondo datoriale e Cgil, Cisl, Uil, Ugl – sarà formalizzata a breve in un verbale ad hoc. Prima di quella data è previsto comunque un nuovo giro di tavolo per una ulteriore valutazione che tenga conto dell’evoluzione della pandemia e di sempre possibili ricadute nel prossimo autunno.

operai coronavirus mascherine

Ministero: parti sociali confermano validità protocolli

Le parti sociali «dopo un approfondito confronto, hanno confermato unanimemente di ritenere operante il protocollo» sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro per il contrasto al Covid, l’ultimo sottoscritto il 6 aprile 2021, «nella sua interezza e di impegnarsi a garantirne l’applicazione, proseguendo dunque lungo la direzione dell’importante funzione di prevenzione che l’accordo ha consentito». Così il ministero del Lavoro, al termine della riunione, aggiungendo che si è deciso «di fissare un nuovo incontro entro il prossimo 30 giugno per verificare l’opportunità di apportare i necessari aggiornamenti al testo del Protocollo connessi all’evoluzione» della situazione epidemiologica. «Tutti i presenti – sottolinea il ministero – hanno rilevato che, nonostante la cessazione dello stato d’emergenza, persistano esigenze di contrasto del diffondersi della pandemia da Covid-19». La riunione si è svolta alla presenza di rappresentanti del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, del ministero della Salute, del ministero dello Sviluppo economico, dell’Inail e di tutte le parti sociali per valutare le misure di prevenzione previste dal Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro del 6 aprile 2021, che riguarda anche l’uso delle mascherine «obbligatorio in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto», mentre «non è necessario nel caso di attività svolte in condizioni di isolamento».

Soddisfatte le sigle sindacali

I sindacati plaudono alla conferma di un protocollo da loro fortemente voluto, che ha permesso di garantire la tutela dei lavoratori e reso i posti di lavoro, luoghi più sicuri e protetti dal pericolo di contagio. «Bene il mantenimento della validità del Protocollo così com’è in tutte le sue parti, e consideriamo utile fare una successiva e prima verifica a giugno», afferma la segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David. Il protocollo sicurezza anti-contagio Covid «vive» secondo la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese. «Certo – aggiunge – sarà necessario qualche aggiornamento rispetto a particolari misure prese durante il periodo peggiore della pandemia, ma il protocollo per la protezione dal contagio di lavoratrici e di lavoratori resta valido. Quindi le mascherine continueranno ad essere fornite dai datori di lavoro come dispositivo di protezione individuale e anche le altre misure presenti dovranno essere rispettate».

PESTICIDI E IPOACUSIA

Si pensa che numerose sostanze chimiche siano ototossiche, inclusi il toluene, lo stirene, l’etilbenzene, il disolfuro di carbonio, il piombo, il mercurio e il monossido di carbonio. Diversi pesticidi sono sospettati di essere neurotossici per l’uomo, e possono quindi influenzare il sistema uditivo.

Studiosi del Dipartimento di Igiene del Lavoro dell’INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro di Monte Porzio Catone (Roma) e del Centro di Ricerca e Servizio per la Tutela della Salute e la Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona hanno analizzato i lavori scientifici sugli esseri umani e sperimentali sugli animali che hanno verificato l’ipotesi che l’esposizione ai pesticidi possa essere associata alla perdita dell’udito.

L’analisi si è concentrata sugli studi epidemiologici volti a valutare le associazioni fra ipoacusia ed esposizione ai pesticidi, e su studi relativi agli effetti dei pesticidi sul sistema uditivo negli animali di laboratorio. La ricerca nella letteratura del gruppo di scienziati ha prodotto circa settanta riferimenti, e gli antiparassitari sotto esame hanno incluso organofosfati (OP), piretroidi, composti dipiridilici ed esaclorobenzene (HCB).

I risultati di questa analisi sono stati pubblicati sulla rivista “NeuroToxicology” il mese scorso. Le conclusioni provenienti dagli studi sull’uomo suggeriscono che l’esposizione ai pesticidi neurotossici può indurre il danno al sistema uditivo centrale. Tuttavia, gli autori hanno verificato che nessuna conclusione significativa può essere tratta a causa di una serie di carenze in alcuni degli studi valutati, ad esempio la mancanza di informazioni dettagliate sul livello e la modalità dell’esposizione, e fattori di confusione, in particolare la contemporanea esposizione al rumore. Inoltre, non hanno trovato alcuna evidenza sul potenziamento delle menomazioni uditive indotte dal rumore.

Considerati i dati limitati, gli autori suggeriscono ulteriori indagini sull’ototossicità dei pesticidi. Tuttavia, come misura precauzionale, raccomandano di considerare i pesticidi come possibili agenti ototossici, soprattutto in popolazioni vulnerabili come le donne in gravidanza e i bambini all’inizio dello sviluppo.

Fonte: Gatto MP et al. “Effects of potential neurotoxic pesticides on hearing loss: a review”. Neurotoxicology 2014;42C:24-32.

da Audio-infos.it

BUONE PRATICHE NEL LAVORO VETERINARIO

da Inail.it

Il lavoro, realizzato nell’ambito del progetto di prevenzione “Elaborazione e definizione di buone prassi per i lavoratori del settore veterinario operanti nei processi dei controlli ufficiali alle importazioni e agli scambi intracomunitari”, ha approfondito le problematiche inerenti i rischi cui sono esposti i lavoratori nel settore veterinario a contatto con animali e prodotti di origine animale destinati all’alimentazione umana e animale.

Sulla scorta di quanto emerso sono state elaborate buone prassi per il miglioramento della salute e sicurezza degli operatori del settore.


Prodotto: Oposculo
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

DOSSIER AMIANTO

in occasione della giornata mondiale delle vittime di amianto che viene celebrata il 28 aprile riportiamo uno speciale pubblicato dalla rivista Wired

A trent’anni dalla messa al bando in Italia della fibra minerale cancerogena, uno dei più pericolosi inquinanti, cosa è stato fatto? La mappatura dei siti contaminati resta incompleta, raddoppiano i morti causati dalle malattie asbesto-correlate. E le bonifiche vanno a rilento

Lo ha ribadito il Parlamento europeo, lo confermano gli ultimi dati epidemiologici raccolti in Italia. C’è un’altra “epidemia” in atto. È quella causata dall’amianto, minerale fibroso cancerogeno, usato in edilizia e nell’industria, ritenuto per troppo tempo indistruttibile ed “eterno”. Per aver respirato le sue fibre, mille volte più sottili di un capello, disperse dentro e fuori le abitazioni, scuole, ospedali, nei luoghi di lavoro, in Europa muoiono ogni anno almeno 80mila persone. In Italia, tra il 2010 e il 2016, sono stati 4.410 decessi all’anno, secondo quanto elaborato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), attribuibili all’esposizione da amianto, detto anche asbesto per tumori cancerogeni maligni come il mesotelioma, causato esclusivamente dall’amianto e le cosiddette malattie dette “asbesto-correlate”.

Tra queste l’asbestosi e i tumori ai polmoni e alle ovaie, a cui si aggiungono con il giudizio di “possibile cancerogenicità” i tumori della faringe, dello stomaco e del colon-retto. Malattie che non è possibile prevenire se non attraverso l’eliminazione delle fibre nocive dall’aria che respiriamo. Il lunghissimo tempo di latenza dell’insorgenza delle neoplasie, che possono manifestarsi tra i venti e i quarant’anni dall’esposizione ambientale alla polvere d’amianto, rende impossibile ogni altra forma di prevenzione. Sebbene il nostro Paese sia uno dei primi al mondo ad averlo messo al bando con la legge 257 del 27 marzo 1992, resta tuttora quello con il maggior numero di casi di mortalità ascrivibili alla fibra killer.

L’inchiesta:

Un problema sottostimato

Anche in tempo di pandemia, i dati epidemiologici sono più che allarmanti e restano tuttora sottostimati, anche perché permane, come commentano gli stessi addetti ai lavori, una diffusa negligenza nelle diagnosi. Secondo i dati storici raccolti da Inail nel registro nazionale sui mesoteliomi (Renam), tumori unicamente causati dalle fibre d’amianto, che possono colpire i tessuti molli del nostro organismo come il peritoneo, la pleura e il pericardio, sono stati diagnosticati tra il 1993 e il 2018, ben 31.572 casi. Il 56,7% dei quali è concentrato in Lombardia (6653), Piemonte (5084), Liguria (3263) ed Emilia-Romagna (2873).

Ma se quasi il 70% dei casi è riconducibile a coloro che hanno lavorato in ambienti di lavoro contaminati, il 10% è stato identificato tra chi ha respirato amianto solo per aver convissuto in ambito familiare con una persona esposta in ambito professionale, oppure per cause ambientali. Mentre per il 20% l’ambito di esposizione è completamente ignota.

Inoltre, gli epidemiologi dell’Iss hanno individuato la mortalità precoce per mesotelioma come “indicatore” di esposizione ambientale all’amianto nei bambini. Tra il 2003 e il 2016 sono stati registrati 487 decessi tra gli under 50, persone residenti in 357 comuni tra i circa 8.000 esistenti, situati all’interno delle regioni a maggior rischio per la presenza sul territorio di importanti sorgenti di asbesto, come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, ma anche nuove aree potenzialmente a rischio. Individui che hanno “respirato amianto” in età pediatrica senza saperlo. Ragione già di per sé sufficiente per accelerare mappatura e bonifiche.

Tra i lavoratori maggiormente colpiti rimangono poi quelli edili, visto la presenza massiccia di amianto negli edifici costruiti prima del 1992. Un ulteriore approfondimento epidemiologico segnala come ci sia un trend crescente di mesoteliomi tra i lavoratori nel settore costruzioni, passato dal 15.8% dei casi nel periodo tra il 1992 e il 1998 al 23.9% tra il 2014 e il 2018.

Il Green deal passa anche dalla bonifica dell’amianto

Proprio il Parlamento europeo lo scorso 20 ottobre ha emesso una risoluzione che Commissione e stati membri dovranno fare propria quanto prima, a partire dalla sorveglianza epidemiologica sui lavoratori e tra tutti coloro che, per vari motivi, ne sono e ne saranno ancora a contatto. Il testo prevede il riconoscimento e indennizzo delle malattie correlate all’amianto, oltre che la verifica della presenza della fibra killer prima dei lavori di ristrutturazione energetica e della vendita o locazione di un immobile. Norme basilari, anche alla luce dell’ondata di riqualificazione degli edifici, innescata dal Green deal europeo e dal programma Next Generation Europe.

Una cosa è certa: il largo uso di amianto per l’edilizia in Italia, prima del divieto, rende la probabilità di esposizione per gli addetti alle bonifiche una preoccupazione reale ancora oggi. In particolare, per coloro che lavorano nella manutenzione e nella rimozione di vecchi edifici, senza sapere di venir a contatto con l’asbesto.

La risoluzione sottolinea, inoltre, che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) riconosce che l’amianto è un agente cancerogeno senza un livello soglia, (basta quindi potenzialmente una singola fibra per essere esposti), mentre il regolamento Reach ha specificato che la fabbricazione, la vendita e l’uso di fibre di amianto e di prodotti contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati e si dovrà garantire la completa eliminazione dei prodotti di amianto, dagli stati membri, a decorrere dal 1° luglio 2025.

La mappa dei siti contaminati che non c’è

L’amianto, quindi, non è solo una pesante eredità del nostro passato industriale, ma resta un dramma dei giorni nostri che ricade e ricadrà anch’esso, sulle spalle delle nuove generazioni. La diffusione della fibra minerale cancerogena, infatti, sembra ancora più estesa di quanto non avevamo scritto nel 2015, nell’inchiesta di Wired Italia Il prezzo dell’amianto. La mappatura dei siti contaminati, indispensabile per identificare le aree da bonificare con la massima urgenza tra cui scuole, ospedali, caserme, rimane ancora incompleta o non accessibile per i cittadini, le associazioni delle vittime e i giornalisti.

Secondo i calcoli della direzione prevenzione del ministero della Salute, per bonificare in un anno gli oltre 23 milioni di tonnellate da amianto, quantificate nel 1992, occorrerebbero circa un milione e 700mila operatori. Mentre attualmente gli addetti alle bonifiche in Italia sono meno di 30mila. Come a dire che, di questo passo, ci vorranno ancora tra i sessanta e cento anni per completare le bonifiche nel nostro Paese.

I dati che mancano

A oggi, le stime ufficiali riportate nelle sezioni del sito web del ministero della Transizione ecologica (Mite), sia quella dedicata ai siti contaminati di interesse nazionale (Sin) che quella dedicata al Piano nazionale amianto (Pna), varato nel 2012 e mai messo davvero in pratica, parlano ancora di 108mila siti contaminati e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020. Eppure già nel 2018 Legambiente con il rapporto Liberi dall’amianto era riuscita a quantificare, proprio dai dati ottenuti mediante dei questionari somministrati alle stesse regioni, una stima di 370mila siti contaminati, pari circa a 57 milioni di metri quadrati di coperture di cemento-amianto.

Dati che dovrebbero essere comunicati puntualmente dalle amministrazioni regionali al Mite il 30 giugno di ogni anno. Ma, mentre alcune regioni, come il Piemonte, hanno reso disponibili i dati in formato open data e geolocalizzato, in alcuni casi non sono mai stati aggiornati negli ultimi 5 anni, come per la Lombardia che pure da sola aveva quantificato, già nel 2013. Circa 149mila siti. Solo parzialmente, quindi, i cittadini possono reperire informazioni sui siti delle regioni, delle agenzie regionali per l’ambiente (Arpa) e del proprio comune di residenza, nell’attesa che il nuovo portale Info amianto pa, avviato nel 2020 dal Mite venga reso disponibile e aperto alla consultazione.

Secondo Nicola Pondrano, già presidente nazionale del Fondo nazionale vittime amianto e responsabile della sezione previdenza dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato, come riferito recentemente in audizione al senato, una stima reale, conteggiando tutti gli immobili industriali, potrebbe essere, circa un milione di siti contaminati.

Tuttora, infatti, è in corso alla Corte di cassazione di Novara, uno dei processi Eternit Bis, che vede sul banco degli imputati il magnate svizzero Schmidheiny, patron della multinazionale, per la morte di 392 cittadini e lavoratori di Casale Monferrato. Procedimento avviato nel 2015, dopo che, un anno prima, la prescrizione aveva invalidato il primo processo per disastro innominato con 2889 parti lese. È invece dello scorso 6 aprile la sentenza di condanna per omicidio colposo in primo grado, a suo carico, per un solo lavoratore, deceduto a causa del mesotelioma per l’Eternit di Bagnoli (Napoli), dove esisteva un’altra sede dello stabilimento, così come a Cavagnolo (Torino) e Rubiera (Reggio Emilia).

Lo scheletro della Fibronit di Bari non esiste più

Bari, lo scheletro della Fibronit, copertina dell’inchiesta Il prezzo dell’amianto, è stato abbattuto. Finalmente, come abbiamo appreso dal Comitato cittadino Fibronit, verranno avviati i lavori per la realizzazione del “Parco della rinascita”, intitolato alle vittime.

Broni, in Lombardia, minuscola cittadina della provincia pavese, ma con la più alta incidenza di mortalità per mesotelioma d’Italia, cinquanta vittime all’anno per poco più di novemila abitanti nel 2021, è stata completata la messa in sicurezza dello stabilimento Fibronit. Oltre altri due importanti poli contaminati, quali l’ospedale e il polo scolastico Biffi. Solo qualche anno fa, i ragazzi si recavano ancora a scuola nelle aule ricoperte d’amianto. Bologna, invece, a causa dell’inquinamento da asbesto alle Officine Grandi Riparazioni, di proprietà di Ferrovie dello Stato, è stata anch’essa riconosciuta come sito di interesse nazionale. Ma le bonifiche devono ancora iniziare.