Monthly Archives: Novembre 2021

LO STRESS RADDOPPIA IL RISCHIO DI INFARTO

Da dottnet.it

Lo rivela uno studio internazionale coordinato dalla Emory University di Atlanta pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA)

Se si soffre di malattie cardiache lo stress può raddoppiare il rischio di morte o infarto, secondo uno studio internazionale coordinato dalla Emory University di Atlanta pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA).  “Ci sono prove crescenti di un legame tra stress psicologico e rischio di malattia coronarica”, spiegano i ricercatori.   Tuttavia, “sebbene l’ischemia indotta da stress mentale sia stata riconosciuta come un fenomeno comune nei pazienti con malattia coronarica stabile, sono disponibili poche informazioni sul suo significato prognostico”.

    Lo studio ha cercato di colmare questa lacuna valutando oltre 900 pazienti arruolati in due ricerche condotte tra il 2011 e il 2016 e seguendoli per circa 5 anni. Tutti avevano precedenti problemi cardiaci, ma una parte di essi presentava anche un’alta sensibilità allo stress mentale: quando sottoposti a pressione psicologica andavano incontro a ischemia, cioè un insufficiente apporto di sangue e ossigeno al cuore. La ricerca ha mostrato che questi pazienti, rispetto a quelli senza ischemia da stress, presentavano un rischio di due volte e mezzo più alto di andare incontro a infarto o morte nel periodo dello studio e due volte più alto di essere ricoverate per scompenso cardiaco. Il rischio è risultato essere più alto per gli uomini che per le donne e particolarmente accentuato per chi aveva avuto in precedenza un infarto o soffriva di scompenso cardiaco o diabete.

    I ricercatori chiariscono che “servono ulteriori ricerche per valutare se l’ischemia da stress mentale abbia un valore clinico”, ma questo fattore dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti con problemi cardiaci, “dato che è suscettibile di interventi medici e sullo stile di vita, come l’esercizio aerobico, la formazione per la gestione dello stress, fino all’assunzione di farmaci antidepressivi, beta-bloccanti e antianginosi”.

TERZA DOSE ANCHE PER GLI ULTRAQUARANTENNI

Dal primo dicembre terza dose di vaccino covid in Italia per i cittadini tra i 40 e i 60 anni di età. Lo annuncia il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel corso del Question time alla Camera. 

“Consideriamo la terza dose assolutamente strategica. A stamattina, la dose booster è stata offerta a 2.409.596 persone, oggi supereremo i 2,5 milioni. Abbiamo iniziato da immunodepressi, personale sanitario, fragili di ogni età, over 60 e da chi ha avuto la dose unica di Johnson & Johnson. Con il confronto svolto nelle ultime ore con la nostra comunità scientifica, voglio annunciare al Parlamento che facciamo l’ulteriore passo in avanti. La scelta è di proseguire per fasce anagrafiche: dal primo dicembre, nel nostro paese, saranno chiamati alla dose aggiuntiva, al richiamo, anche le fasce generazionali di chi ha tra i 40 e i 60 anni”, dice Speranza.

Sempre durante il question time, Speranza ha parlato del Green Pass per le persone guarite, che dura 6 mesi, cioè la metà di quello dei vaccinati. “Il governo intende avviare un percorso di approfondimento per acclarare se vi siano le condizioni per valutare diversamente il certificato verde rilasciato ai guariti. Le evidenze suggeriscono che il rischi di reinfezione è basso se esposizione a variante si verifica entro 3-6 mesi dalla diagnosi iniziale”.

Da avvenire.it

NIENTE CONTROLLI SE IL GREEN PASS VIENE DATO AL DATORE DI LAVORO

Con 199 voti favorevoli38 contrari e nessun astenuto, il Senato ha approvato il nuovo decreto legge contenente nuove semplificazioni sull’obbligo di Green pass sui luoghi di lavoro. Tra gli emendamenti approvati in commissione Affari costituzionali del Senato c’è la semplificazione delle verifiche della certificazione verde anche al settore privato. Sostanzialmente, i dipendenti delle aziende private potranno «richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro la copia della propria certificazione verde Covid-19» in modo tale che il datore, o chi ne ha la delega, non debba effettuare controlli sui dipendenti fino a quando il Green pass è valido.

Con un altro emendamento, relativo alle aziende con meno di 15 dipendenti, viene prolungato il periodo in cui i datori di lavoro possono sospendere o sostituire un lavoratore privo di certificazione verde. Attualmente un dipendente privo di Green pass viene segnalato come assente ingiustificato e dopo cinque giorni d’assenza può rischiare di esser sospeso e rimanere senza paga per un massimo di dieci giorni, rinnovabili una volta sino al 31 dicembre 2021. Con l’emendamento viene specificato che i dieci giorni sono lavorativi, mentre viene meno la clausola del possibile rinnovo univoco.

Insomma, il lavoratore che ha accumulato cinque giorni di assenze ingiustificate potrà essere sospeso anche più di due volte, sempre però entro il 31 dicembre 2021. Salvo proroghe. Novità anche per i lavori in somministrazione. Attualmente il controllo del Green pass è in capo sia all’agenzia di somministrazione sia a carico dell’azienda dove il lavoratore effettua la propria prestazione. Con questo emendamento il duplice controllo verrebbe meno, poiché il controllo spetterebbe solo all’azienda presso cui il lavoratore svolge la propria prestazione lavorativa.

Un altro emendamento riguarda invece la scadenza del Green pass durante l’orario lavorativo. Qualora la certificazione verde dovesse scadere nel mezzo dell’orario di lavoro, il dipendente può continuare a lavorare sino alla fine del proprio turno e non viene applicata a suo carico alcuna sanzione amministrativa. Rischia invece una multa dai 600 ai 1500 euro il lavoratore che, in caso di controllo, viene trovato in possesso di un Green pass scaduto dopo un’ora dall’inizio della prestazione lavorativa. Nel dl sono inoltre state introdotte misure urgenti in materia di test antigenici rapidi, nonché la proroga fino al 31 dicembre 2021 dei prezzi calmierati dei test rapidi per rilevare l’eventuale contagio. Da open.online

NESSUN INDENNIZZO NELLA PAUSA CAFFÈ

Niente indennizzo per malattia nè riconoscimento di invalidità per i lavoratori ai quali capita un infortunio mentre consumano il ‘rito’ della pausa caffè in orario di servizio, anche se hanno il permesso del capo per andare al bar all’esterno dell’ufficio sguarnito di un punto ristoro. A stabilirlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso dell’Inail contro indennizzo e invalidità del 10% in favore di una impiegata della Procura di Firenze che si era rotta il polso cadendo per strada mentre, autorizzata, era uscita per un caffè.

Per gli ermellini, la ‘tazzina’ non è una esigenza impellente e legata al lavoro ma una libera scelta.  Da Ansa.it

ANTIVIRALI E MONOCLONALI PER COMBATTERE IL COVID

La lotta al virus Sars-CoV-2 è a una svolta. Perché ai vaccini, che hanno un ruolo insostituibile nella prevenzione, e agli anticorpi monoclonali – che però scontano un impiego marginale a causa dell’utilizzo solo ospedaliero e per endovena –, si stanno per affiancare le cosiddette pillole anti-Covid, cioè potenti farmaci antivirali. Che presentano indubbi vantaggi: intanto sono specifici, cioè molecole create esclusivamente contro il Sars-CoV-2, a differenza di quanto si è provato a fare sinora ricorrendo ad un ventaglio di medicinali, in passato impiegati per altre patologie, e non direttamente rivolti cioè contro questo parassita; i nuovi farmaci, poi, combattono anche tutte le varianti circolanti, così come altri coronavirus noti; infine, possono essere assunti per bocca, come una normale pillola antinfluenzale.

Quanto sono efficaci?

Nella corsa al farmaco antivirale – che ha previsto investimenti ingenti, visto che spesso è molto più difficile e lungo l’iter per realizzare un simile prodotto rispetto a un vaccino –, sono ormai al traguardo due colossi farmaceutici americani: Merck (in Europa presente con il marchio Msd), e Pfizer, l’azienda detentrice del primato mondiale nella produzione di vaccini anti-Covid, incensata, venerdì, da una sorta di preventivo “imprimatur” al nuovo prodotto nientemeno che dal presidente Usa Joe Biden, che aveva strizzato l’occhio all’azienda di New York anche sulla questione della terza dose. Ma se il farmaco di Merck, che si chiama Molnupiravir, realizzato con Ridgeback Biotherapeutics, sarebbe capace di ridurre, stando alle sperimentazioni presentate agli enti regolatori, di circa il 50% i rischi di ospedalizzazione e morte, quello approntato da Pfizer, il “Paxlovid”, raggiungerebbe un’efficacia dell’89%.

A chi si rivolgono?

Questi nuovi farmaci si rivelano efficaci se assunti nei primi giorni di insorgenza dell’infezione, e si rivolgono a pazienti considerati vulnerabili ma non ospedalizzati, con patologia da lieve a moderata confermata da test di laboratorio.

Quando li avremo a disposizione?

Merck ha presentato l’autorizzazione all’immissione in commercio all’ente regolatore degli Stati Uniti (l’Fda), che potrebbe approvarlo entro fine anno, e ha già ottenuto il semaforo verde da quello della Gran Bretagna. L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha deciso di affrettare i tempi per rendere disponibile Molnupiravir nel nostro Paese acquisendo una quantità adeguata, come ha annunciato il presidente del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli. I tempi per l’ok di Ema al farmaco, infatti, «non sono prevedibili – aveva sottolineato nei giorni scorsi la stessa Agenzia – ma siamo pronti a dare assistenza agli Stati che vogliano dare il via libera all’uso di emergenza prima dell’autorizzazione Ue». Insomma, in questo caso l’ok italiano potrebbe precedere quello dell’Agenzia dell’Unione con sede ad Amsterdam. Per quanto riguarda Paxlovid, invece, Pfizer prevede di inviare «il prima possibile» i dati all’Fda per «l’autorizzazione all’uso di emergenza».

Merck ha già firmato 9 accordi per la vendita di più di 3 milioni di pillole. La Gran Bretagna ha prenotato 480mila trattamenti. Ad aver confermato interesse per il Molnupiravir sono anche l’Australia, per 300 mila dosi, la Francia (50mila), l’Indonesia e la Malesia (150mila), le Filippine (300mila), Singapore e Sud Corea (20mila) e la Thailandia che vuole 200mila confezioni. Gli Stati Uniti puntano invece all’acquisto di 1,7 milioni di dosi della cura Pfizer, al prezzo di 700 dollari l’unità, mentre la Gran Bretagna ha approvato un ordine per 250mila dosi.

Ma le novità dell’arsenale terapeutico anti-Covid non finisce qui, visto che, a breve, come ha annunciato il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, sono attesi anche monoclonali iniettabili a livello intramuscolare che faciliteranno ulteriormente le cure domiciliari.

Da Avvenire.it

TU 81/08 INASPRITE LE SANZIONI.

l recente D.L. 146/2021, emanato lo scorso 21/10/2021 contiene, tra le altre, una serie di disposizioni assai rilevanti con le quali si intende porre un argine alla catena ininterrotta di morti sul lavoro che ha caratterizzato, ancor più che nel recente passato, questo 2021.

Si tratta di un provvedimento assai importante che richiama l’esigenza, che sottolineiamo all’attenzione di tutte le imprese associate, a considerare la questione della prevenzione degli infortuni sul lavoro e la messa in opera di ogni necessaria misura di sicurezza, come questione fondamentale e un impegno prioritario, non soltanto per il rischio che da una inadempienza possano scaturire conseguenze assai pesanti sul piano sanzionatorio, sino alla sospensione dell’attività dell’impresa, ma per consentire che, prima di tutto per le giovani generazioni, il lavoro, soprattutto quello manuale, torni ad apparire un’esperienza da vivere con interesse ed una strada alla propria realizzazione come cittadino e non, come troppo spesso rischia di apparire, una sorta di “dannazione” da cui cercare di defilarsi, magari rifugiandosi nella schiera degli inattivi, cioè di quei cittadini che il lavoro neppure lo cercano più.

In particolare, l’art 13 del D.L. 146 – che alleghiamo – sostituisce interamente l’art. 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro)

Il Governo ha scelto sostanzialmente due strade per combattere l’insicurezza che ancora appare troppo diffusa:

  • da un lato il rafforzamento dell’attività di coordinamento ed ispettiva, tesa a prevenire le situazioni di illegalità e di pericolo;
  • dall’altro l’inasprimento delle sanzioni nei confronti delle imprese inadempienti, sia di quelle che non abbiano posto in essere le misure previste dal D.lgs. 81/2008, sia di quelle presso le quali siano individuati lavoratori irregolarmente assunti o addirittura “al nero”

Per la prevenzione, l’art. 13 del D.L. 146/2021 prevede un rafforzamento del ruolo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Tra le misure, il coordinamento di INL e Asl dell’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro svolta a livello provinciale, apportando conseguenti modifiche al DPCM del 21 dicembre 2007.

Particolarmente importante è la decisione che gli introiti derivanti dall’adozione delle sanzioni emanate dal personale dell’Ispettorato in materia prevenzionistica – analogamente a quanto già avviene per le sanzioni adottate dal personale ispettivo delle Asl – vadano a integrare un apposito capitolo dell’INL stesso, finalizzato a finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.

In tale ottica, le modifiche del Decreto legislativo 81/2008 includono anche il rafforzamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), per il quale si punta a una definitiva messa a regime e a una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute.

All’estensione delle competenze attribuite all’INL si accompagneranno un rilevante aumento dell’organico – è prevista l’assunzione di 1.024 unità – e un investimento in tecnologie di oltre 3,7 milioni di euro nel biennio 2022/2023 per dotare il nuovo personale ispettivo della strumentazione informatica necessaria a svolgere l’attività di vigilanza.

Previsto anche l’aumento del personale del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro che passerà dalle attuali 570 a 660 unità dal 1° gennaio 2022.

Per il capitolo Sanzioni degli inadempimenti, le misure sono particolarmente pesanti:

Cambiano, in particolare, le condizioni necessarie per l’adozione del provvedimento cautelare della sospensione dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazionibasterà che venga riscontrata la presenza del 10% (e non più 20%) del personale “in nero” presente sul luogo di lavoro.

Non solo, il D.L. precisa che gli Ispettori, constatato l’illecito “adottano” – senza nessuna discrezionalità, come invece recitava il precedente testo: “possono adottare” – le misure di sospensione dell’attività.

Vengono anche meglio definiti gli illeciti in materia di salute e sicurezza da considerarsi gravi e per i quali non sarà più richiesta alcuna “recidiva” ai fini della adozione del provvedimento che, pertanto, scatterà subito a fronte di gravi violazioni prevenzionistiche individuate con decreto ministeriale e, nelle more della sua adozione, individuate dalla tabella contenuta nell’Allegato I al D.L. che modifica la corrispondente tabella allegata al D.lgs. n. 81/2008.

Così, ad esempio, la norma prevede che la sospensione per ragioni di sicurezza è adottata in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni o alle attività svolte dai lavoratori privi di formazione ed addestramento o del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto, cosa che, per il settore dell’autotrasporto ha una particolare ed oggettiva rilevanza.

Inoltre, insieme al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale l’INL “può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”

Beninteso, su istanza dell’impresa interessata, l’Ispettorato può decidere la revoca della sospensione. Ma anche in ciò, il D.L. 146/2021 introduce novità: infatti l’Ispettorato potrà revocare la sospensione, solo se sussistano le seguenti condizioni:

– regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, anche sotto il profilo degli adempimenti in materia di salute e sicurezza (almeno in riferimento alla sorveglianza sanitaria ed alla formazione ed informazione);

– accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

– rimozione delle conseguenze pericolose delle gravi violazioni di sicurezza.

Per la parte pecuniaria delle sanzioni il D.L. introduce la previsione dell’obbligo del pagamento di una somma aggiuntiva per ottenere la revoca e riprendere lo svolgimento delle attività sospese:

nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare il soggetto sospeso deve pagare una somma pari a 2.500 euro fino a cinque lavoratori irregolari ed a 5.000 euro se sono impiegati più di cinque lavoratori irregolari. Ricordiamo come, finora, la sanzione era pari a euro 2.000, a prescindere dal numero dei lavoratori;

– nelle ipotesi di sospensione in materia di salute e sicurezza la somma aggiuntiva da pagare varia a seconda delle violazioni riscontrate secondo quanto indicato nell’adottando decreto ministeriale e, nelle more, nell’Allegato I al D.lgs. n. 81/2008 con riferimento a ciascuna fattispecie di illecito.

A tal fine sono individuate tre soglie: euro 3.000, euro 2.500 oppure euro 300 per ciascun lavoratore interessato, anche qui con un notevole aggravio rispetto alla situazione precedente, quando la sanzione era pari a euro 3.200 a prescindere dal tipo di violazione accertata.

Non solo: le somme aggiuntive così determinate sono raddoppiate se, nei cinque anni precedenti alla adozione del provvedimento, la stessa impresa è stata destinataria di un provvedimento di sospensione (art. 14, comma 9, D.lgs. n. 81/2008).

Continua ad esserci la possibilità di ottenere la revoca della sospensione senza pagare subito l’intera somma prevista, se su istanza di parte e fermo restando il rispetto delle altre condizioni richiamate, l’imprenditore sospeso paga immediatamente il 20% della somma aggiuntiva dovuta (era il 25% nel testo precedente), mentre l’importo residuo, con una maggiorazione del 5%, va versato entro i sei mesi successivi alla presentazione dell’istanza di revoca: in caso di omesso o di parziale versamento dell’importo residuo nel termine fissato, il provvedimento di revoca costituisce titolo esecutivo per la riscossione dell’importo non versato (art. 14, comma 10, D.lgs. n. 81/2008).

L’imprenditore sospeso che non chieda la revoca e non rispetti la sospensione è punito:

– con l’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

– con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.

La nuova disciplina del provvedimento cautelare prevede infine ì l’impossibilità, per l’impresa destinataria del provvedimento, di contrattare con la pubblica amministrazione per tutto il periodo di sospensione.

Il Ministero del Lavoro ha, proprio allo scopo di illustrare le misure contenute nel D.L. 146/2021, realizzato una serie di slides che pure alleghiamo.

I VANTAGGI DELLA TERZA DOSE

Da doctor33

Secondo uno studio pubblicato su medRxiv (non sottoposto a peer-review), una terza dose del vaccino Pfizer potrebbe porre un freno alla trasmissione di SARS-CoV-2, riducendo la possibilità di infezione negli individui non vaccinati e le infezioni saltuarie negli individui vaccinati. «I vaccini hanno notevolmente ridotto l’impatto del COVID-19 a livello globale. Sfortunatamente, le prove indicano che l’immunità diminuisce dopo la vaccinazione, specialmente con la variante Delta. La protezione contro le malattie gravi e il decesso rimane elevate, ma quella contro le malattie e le infezioni più lievi diminuisce in modo significativo» spiega Billy Gardner, della University of California, Santa Cruz, primo autore dello studio.

Una terza dose di richiamo dei vaccini a due dosi è stata approvata in diversi paesi per gli individui a più ad alto rischio di forme gravi della malattia, ma il vantaggio di aumentare l’immunità negli individui sani più giovani e gli effetti sulla trasmissione sono meno chiari. I ricercatori hanno utilizzato le relazioni tra i titoli anticorpali neutralizzanti e la protezione del vaccino contro l’infezione e la trasmissione, combinati con i dati sulla diminuzione e l’aumento dei titoli anticorpali neutralizzanti, per esaminare l’impatto di una terza dose del vaccino Pfizer su infezione e su trasmissione, e sull’indice Rt. Ebbene, dopo otto mesi la protezione del vaccino Pfizer contro tutte le infezioni si è ridotta dall’80,0% al 60,4%, mentre una terza dose ha aumentato la protezione fino all’87,2%. L’aumento della protezione contro l’infezione e la trasmissione delle terze dosi ha ridotto l’indice Rt di una quota che andava dal 21% al 66% a seconda della copertura vaccinale e dell’infezione precedente, e l’ha portato al di sotto di 1 quando la copertura vaccinale era alta o i tassi di contatto erano ben al di sotto dei livelli pre-pandemici. «Anche se la vaccinazione di individui non coperti del tutto, specialmente nei paesi in via di sviluppo, sarebbe più efficace per ridurre la malattia rispetto a fornire una terza dose agli individui vaccinati, il beneficio di una terza dose nel ridurre la trasmissione è considerevole, e aumenta con la copertura vaccinale e i tassi di contatto tra gli individui» concludono gli autori.

UN ANTIDEPRESSIVO CONTRO IL COVID

La fluvoxamina, un farmaco impiegato contro depressione e disturbi d’ansia, ha dato risultati incoraggianti in un test clinico per trattare la COVID-19, riducendo sensibilmente i rischi di sviluppare sintomi gravi che possono rivelarsi letali. Il principio attivo non è più coperto da brevetto ed è piuttosto economico, quindi il suo impiego potrebbe rivelarsi ideale soprattutto nei paesi più poveri. Lo studio ha però interessato un numero limitato di pazienti e saranno quindi necessari ulteriori approfondimenti, per quanto il primo test clinico sia stato definito promettente da vari osservatori.

Angela Reiersen, una psichiatra statunitense parte del gruppo di ricerca che ha partecipato alla sperimentazione, aveva iniziato a studiare la fluvoxamina ben prima della pandemia e nel 2019 si era imbattuta in uno studio sul suo impiego su cavie di laboratorio per trattare la sepsi, un’infiammazione molto forte e diffusa innescata da vari tipi di infezioni e causata da una risposta fuori misura del sistema immunitario. Quando erano emersi i primi studi sugli effetti della COVID-19, che in alcuni casi spinge l’organismo ad avere una risposta di questo tipo, Reiersen pensò di riprendere quello studio per approfondirlo.

Insieme ad altri colleghi fece domanda per partecipare a TOGETHER Trial, un ambizioso progetto organizzato durante la pandemia per sperimentare farmaci già esistenti – e sviluppati per altre malattie – contro la COVID-19.

Ottenuti i permessi e avviate le collaborazioni con altre istituzioni, lo studio era stato poi svolto in Brasile utilizzando un campione di circa 1.500 partecipanti, selezionato perché ad alto rischio di sviluppare forme gravi della malattia. A circa metà dei volontari era stata somministrata la fluvoxamina, mentre ai restanti una sostanza che non faceva nulla (placebo).

Stando ai risultati pubblicati a fine ottobre sulla rivista medica Lancet, nel gruppo che aveva assunto il farmaco nelle prime fasi della malattia le morti per COVID-19 sono diminuite del 90 per cento rispetto al gruppo di controllo con il placebo. È stata inoltre rilevata una riduzione del 65 per cento dei casi che hanno reso necessarie cure ospedaliere e più invasive, rispetto a chi non aveva assunto il farmaco vero e proprio.

Nel complesso, dice lo studio, la fluvoxamina si è rivelata utile nel ridurre la risposta immunitaria quando questa rischia di finire fuori controllo, portando più danni che benefici all’organismo. Il farmaco ha anche ridotto il rischio di subire danni ai tessuti, sempre indotti dalla eccessiva risposta immunitaria.

A oggi pochi farmaci sviluppati per altre malattie si sono rivelati effettivamente utili nel trattare le forme iniziali di COVID-19, riducendo i rischi di sintomi gravi tra le persone che potrebbero risentirne di più come gli anziani. In alcuni paesi si impiegano terapie a base di anticorpi monoclonali, ma queste sono costose, richiedono una somministrazione in ospedale e non sempre danno gli effetti sperati. Le compresse di fluvoxamina costano pochi decimi di euro e per un ciclo completo di dieci giorni, in caso di COVID-19 lieve, il costo complessivo potrebbe aggirarsi intorno ai 3-4 euro. Non essendo più coperto da brevetto, il farmaco può essere inoltre prodotto a costi bassi e venduto come generico.

La fluvoxamina potrebbe essere somministrata insieme ad altri farmaci che agiscono invece sul coronavirus, impedendogli di replicarsi facilmente nelle cellule portando avanti l’infezione virale. L’azienda farmaceutica Merck, al di fuori di Stati Uniti e Canada conosciuta come MSD (Merck Sharp Dome), ha da poco annunciato risultati molto promettenti del molnupiravir, un farmaco antivirale sviluppato specificamente che riduce la replicazione del virus, per il quale sono in corso le ultime verifiche per autorizzarne l’impiego sui malati a rischio.

Nel frattempo la fluvoxamina dovrà comunque essere sottoposta ad altri test clinici e ricerche. I risultati dello studio svolto in Brasile sono promettenti, ma contengono alcuni elementi da chiarire legati a come sono trattati i casi di COVID-19 nel paese, molto spesso con trattamenti ambulatoriali e non ricoveri in ospedale. Il gruppo di ricerca ha quindi avuto a disposizione sistemi per valutare la gravità dei pazienti diversi da quelli più diffusi negli Stati Uniti e in Europa, basati per lo più sulla permanenza ospedaliera. Da il post)