Monthly Archives: Luglio 2020

MASCHERE FACCIALI E DERMATITE

Da dottnet.it

L’uso prolungato di maschere facciali può causare diversi problemi della pelle, principalmente dermatite da contatto irritante (ICD), ma anche riacutizzazioni di dermatosi preesistenti (ad es. Rosacea), orticaria da contatto e dermatite allergica da contatto (ACD).

Durante la precedente epidemia da sindrome respiratoria acuta grave (SARS), sono stati segnalati diversi problemi della pelle del viso e persino disturbi respiratori senza lesioni cutanee, dovuti all’uso di respiratori in polipropilene N95 (FFP2). I patch test hanno rivelato l’allergia da contatto alla formaldeide (rilascio) in alcuni di questi casi e analisi chimiche potrebbero confermare che tracce di formaldeide libera erano presenti in queste maschere come sottoprodotto della degradazione del polipropilene.

Poiché la formaldeide è un frequente sensibilizzatore di contatto e dato che gli operatori sanitari, i pazienti e i consumatori ora devono spesso indossare maschere chirurgiche (polipropilene) sul lavoro e nell’ambiente pubblico, casi simili potrebbero essere previsti in futuro.

Per proporre alternative più sicure, i sensibilizzanti da contatto potenzialmente presenti nelle maschere facciali e i relativi dispositivi medici dovrebbero essere etichettati.

Contact Dermatitis

Surgical mask dermatitis caused by formaldehyde (releasers) during the COVID‐19 pandemic

Aerts, O, Dendooven, E, Foubert, K, Stappers, S, Ulicki, M, Lambert, J.
Published: May 28, 2020

DOI: https://doi.org/10.1111/cod.13626

VISITA INAIL PER LAVORATORI ” FRAGILI”

Fermo restando quanto previsto per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio, l’art. 83 d.l. 34 del 19 maggio 2020 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti al rischio, in ragione dell’età, della condizione da immunodepressione e di una pregressa infezione da Covid-19 ovvero da altre patologie che determinano particolari situazioni di fragilità del lavoratore”. È quanto sottolinea l’Inail sul proprio sito.

“L’attività di sorveglianza sanitaria eccezionale – ricorda l’Istituto – si sostanzia in una visita medica sui lavoratori inquadrabili come “fragili” ovvero sui lavoratori che, per condizioni derivanti da immunodeficienze da malattie croniche, da patologie oncologiche con immunodepressione anche correlata a terapie salvavita in corso o da più co-morbilità, valutate anche in relazione dell’età,  ritengano di rientrare in tale condizione di fragilità”.L’Inail specifica poi che “per i datori di lavoro che non sono tenuti, ai sensi dell’art. 18, co. 1 lett. a), d.lgs. 81/2008, alla nomina di un medico competente, fermo restando la possibilità di nominarne uno per la durata dello stato di emergenza, la sorveglianza eccezionale può essere richiesta ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con i propri medici del lavoro”.

Una volta inoltrata la richiesta dal datore di lavoro o da un suo delegato, viene individuato il medico della sede territoriale più vicina al domicilio del lavoratore.

All’esito della visita medica per sorveglianza sanitaria eccezionale, è espresso un “parere conclusivo riferito esclusivamente alla possibilità per il lavoratore di riprendere l’attività lavorativa in presenza nonché alle eventuali misure preventive aggiuntive o alle modalità organizzative atte a garantire il contenimento del contagio”.
Successivamente all’invio del parere conclusivo, il datore di lavoro riceve una comunicazione con l’avviso di emissione della relativa fattura in esenzione da iva per il pagamento della prestazione effettuata. In attesa dell’emanazione di un decreto interministeriale per la definizione della tariffa, l’Inail ha stabilito in via provvisoria l’importo di € 50,85.

NUOVO TEST COVID 19 CON IGM QUALITATIVE.

DiaSorin annuncia il lancio del nuovo test Liaison Sars-CoV-2 IgM, marcato CE e reso disponibile negli Stati Uniti attraverso la notifica di validazione presentata alla Food and Drug Administration (Fda), alla quale conseguirà la richiesta di autorizzazione all’uso di emergenza. Il test è basato sulla tecnologia di immunodiagnostica Clia per l’identificazione qualitativa degli anticorpi specifici IgM sviluppati in risposta al SarsS-CoV-2 in campioni di siero o plasma umano e risponde alla necessità di identificare la presenza degli anticorpi IgM nelle persone infettate dal Sars-CoV-2, permettendo, inoltre, di distinguere se queste abbiano sviluppato l’infezione più o meno recentemente. Il test sierologico ha, inoltre, lo scopo di “supportare l’identificazione di individui con una risposta immunitaria adattiva al Sars-CoV-2 e di analizzare la risposta immunitaria dei pazienti affetti da Coronavirus”, afferma Diasorin. Il test sarà disponibile sulle oltre 5.000 piattaforme Liaison Xl già installate nel mondo.

MASCHERINE E DISAGIO TERMICO

LA PREVENZIONE DEL DISAGIO TERMICO CAUSATO DAI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE DELLE VIE RESPIRATORIE

I dispositivi o apparecchi di protezione delle vie respiratorie (APVR) sono progettati per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose come polveri, fibre, fumi, vapori, gas, microrganismi e particolati che possono essere presenti nell’ambiente di lavoro e provocare patologie a carico delle vie respiratorie. Un’eccessiva esposizione a sostanze pericolose può causare danni significativi alla salute. I dati INAIL (INAIL, 2019) mostrano che nel 2019 le malattie professionali a carico dell’apparato respiratorio occupano il quarto posto per le denunce protocollate (2809), facendo registrare un trend in aumento rispetto al 2018 (2613).
Si ricorre all’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (ovvero ai dispositivi di protezione individuale, DPI) quando non è possibile applicare mezzi di protezione collettiva (art.75 del D.Lgs. 81/2008) ovvero misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare l’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose.
La scelta del corretto dispositivo dovrebbe avvenire solo dopo il completamento della valutazione dei rischi e dovrebbe tener conto di diversi fattori. Secondo la UNI EN 529:2006, infatti, accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo. Tra questi sono inclusi fattori ergonomici come, ad esempio, l’aspetto termico.
Al punto D.5 si pone l’attenzione sull’affaticamento termico che potrebbe causare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie in zone come la testa, dovuto ad un effetto barriera rispetto agli scambi termici e che potrebbe determinare un discomfort per il lavoratore che lo indossa.
Questo fattore diventa più evidente in presenza di condizioni microclimatiche sfavorevoli e di attività lavorative più intense, e rappresenta un problema di interesse igienistico emergente alla luce dei cambiamenti climatici in corso e delle ondate di calore sempre più intense e frequenti. (WMO 2015).
Il discomfort dovuto all’accumulo di calore percepito sul viso, o sulla parte di esso coperto dal facciale è uno dei motivi di intolleranza per chi indossa il dispositivo (Roberge et al, 2012a; Laird et al. 2002; Radonovich et al. 2009). Tener conto di questo aspetto vuol dire ridurre i fattori di non accettabilità del dispositivo ed evitare che il lavoratore decida arbitrariamente di rimuoverlo e/o di non utilizzarlo o di utilizzarlo in maniera inappropriata
Nell’ambito della letteratura scientifica internazionale alcuni studi hanno evidenziato che il dispositivo di protezione delle vie respiratorie può avere un impatto sulla temperatura del viso o sulla parte di esso coperto dal facciale (Roberge et al. 2012a; Roberge et al. 2012b; Du Bois et al. 1990; Del Ferraro et al., 2017; Del Ferraro et al. 2020) ed un effetto molto minore sulla temperatura interna (Roberge et al. 2012b). Altri studi hanno cercato di correlare il giudizio soggettivo associato al discomfort con la temperatura superficiale del viso sotto la maschera quando il lavoratore indossa ed utilizza un tale dispositivo (Nielsen et al. 1987, Du Bois et al. 1990). I risultati ottenuti mostrano che il lavoratore percepisce come calde, e quindi non confortevoli, temperature della pelle del viso sotto la maschera superiori ai 34,5°C (Du Bois et al. 1990).
Un altro fattore che può aumentare la sensazione di discomfort durante l’utilizzo del dispositivo è il cambiamento del modo di respirare. In condizioni di riposo la maggior parte degli adulti ha una respirazione nasale (inspirazione ed espirazione attraverso il naso).
Con l’intensificarsi dell’attività fisica può accadere che la respirazione da nasale diventi oronasale. Questo cambiamento incide sulle due componenti degli scambi di calore legati alla respirazione (per evaporazione, Eres e convezione, Cres): la respirazione oro-nasale, infatti, prevede una maggiore dispersione del calore verso l’ambiente rispetto alla respirazione nasale. L’aria espirata rimane bloccata dal facciale e si percepisce maggiormente il calore a seguito dell’aumentata presenza di vapore acqueo.
Infine non va dimenticato il fattore psicologico, che può avere un impatto indiretto sul carico termico associato all’uso del dispositivo di protezione delle vie respiratorie. L’uso del dispositivo può causare una sensazione di claustrofobia. Alcuni soggetti affetti da disturbi di ansia mostrano un disturbo d’ansia “respiratorio”, caratterizzato da un’attività respiratoria intensa durante un attacco di panico che è probabilmente legata ad un falso allarme di soffocamento proveniente dal Sistema Nervoso Centrale (Roberge et al. 2012a; Freire et al., 2010) e sono molto sensibili agli aumenti dei livelli di CO2 nell’organismo.
La risposta abituale all’insorgenza di un attacco di panico o di una reazione claustrofobica, indipendentemente dall’evento scatenante, è una risposta simpaticomimetica provocata dal rilascio di neurotrasmettitori (ad es. catecolamine come l’adrenalina e la noradrenalina). Tale rilascio causa un aumento dell’attività metabolica che si manifesta con un’elevata frequenza cardiaca e respiratoria, palpitazioni, pressione sanguigna elevata, ecc. Una sensazione di calore associata a questi eventi può essere dovuta all’aumento dello sforzo respiratorio dovuto ad una maggiore resistenza respiratoria percepita del dispositivo, oppure all’aumento della sudorazione nel microambiente del facciale dovuto allo stress psicologico che potrebbe aumentare la temperatura di quella zona del viso.
Una delle strategie che può essere messa in atto per alleviare l’impatto dell’uso del dispositivo delle vie respiratorie è il raffreddamento del viso, che risulta essere una delle più efficaci, insieme ad una attenta programmazione di pause di recupero e reidratazione durante il lavoro.
Prima della pandemia l’uso dei dispositivi delle vie respiratorie era previsto per un numero limitato di attività professionali. La recente emergenza sanitaria da COVID 19 ha reso obbligatorio o consigliato l’uso dei DPI (maschere) nella maggior parte degli ambienti di lavoro al chiuso o all’aperto.
È da evidenziare che attività lavorative che in assenza di DPI non presentano particolari criticità di natura ergonomica o termica possono diventare critiche sotto tale aspetto, soprattutto per soggetti particolarmente sensibili.
È pertanto indispensabile che l’introduzione di tali dispositivi negli ambienti di lavoro sia sempre accompagnata da un’attenta valutazione dell’accettazione e delle potenziali ricadute sulle condizioni ergonomiche dell’attività lavorativa svolta, prendendo in esame:
  • l’adattabilità dei DPI alle caratteristiche fisiche e alle condizioni individuali di tutte le lavoratrici e lavoratori, con particolare riferimento ai soggetti sensibili;
  • il comfort termico del DPI, in considerazione della durata dell’impiego e del contesto d’uso.
Si raccomanda l’istituzione di procedure ad hoc relative all’impiego del DPI che prevedano tra l’altro:
  • graduale adattamento all’impiego del DPI in relazione alla tipologia di attività svolta
  • effettuazione di specifiche pause durante il lavoro per la rimozione del DPI e la reidratazione;
  • individuazione di adeguate aree di riposo al fresco ove togliere il DPI e rinfrescare il viso;
Un elenco non esaustivo di soggetti particolarmente sensibili per cui potrebbe essere richiesto di istituire procedure ad hoc relative all’uso del DPI delle vie respiratorie è di seguito riportato:
  • Gravidanza
  • Ipertensione e malattie cardiovascolari
  • Disturbi della coagulazione
  • Patologie neurologiche o assunzione di psicofarmaci
  • Disturbi della tiroide
  • Malattie respiratorie croniche
  • Claustrofobia o attacchi di panico.

 

Conclusioni

I dispositivi di protezione delle vie respiratorie sono introdotti per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose che possono essere presenti nei luoghi di lavoro, quando non è possibile ricorrere ad altri metodi tecnici, organizzativi e procedurali efficaci ai fini della protezione. La scelta del corretto dispositivo dovrebbe avvenire solo a seguito di un’attenta valutazione dei rischi. Accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo, tra cui i fattori ergonomici, termici.

 

L’utilizzo del dispositivo può determinare un accumulo di calore percepito sul viso, o sulla parte di esso coperto dal facciale, che può causare disagi di varia natura, e può comportare l’insorgenza di stress termico in relazione alla tipologia di attività svolta, all’ambiente termico e alle condizioni individuali della lavoratrice o del lavoratore.

 

E’ importante tener presente che attività lavorative generalmente non considerate critiche sotto il profilo microclimatico possono diventare tali se è richiesto l’impiego protratto e continuativo di DPI delle vie respiratorie, soprattutto in ambienti indoor privi di condizionamento adeguato, in caso di ondate di calore o in presenza di condizioni di suscettibilità individuale.

 

E’ indispensabile che l’impiego dei DPI delle vie respiratorie sia sempre accompagnato da una idonea formazione volta al corretto impiego degli stessi ed a migliorarne l’accettabilità e l’adattabilità alle condizioni individuali di ciascun lavoratore.

 

Si richiama infine quanto espresso dall’OMS (WHO, 2020) in merito agli aspetti di criticità legati all’impiego di DPI facciali per la popolazione generale, che è sempre opportuno siano tenuti sotto stretto controllo negli ambienti di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi:

Potenziale rischio di auto-contaminazione a seguito della manipolazione della mascherina e successivo contatto delle mani contaminate con viso ed occhi;

  • Potenziale rischio di auto-contaminazione se non si provvede alla sostituzione di maschere inumidite o sporche;
  • Emicrania o difficoltà di respirazione in relazione alle caratteristiche individuali;
  • Sviluppo di lesioni cutanee o dermatiti o peggioramento di patologie dermatologiche;
  • Difficoltà di comunicazione verbale chiara, soprattutto per attività al pubblico;
  • Disagio termico, anche in relazione alle caratteristiche di suscettibilità individuale;
  • Difficoltà di comprensione della comunicazione verbale per persone con problemi uditivi per impossibilità di leggere il movimento delle labbra, anche in relazione alle caratteristiche acustiche dell’ambiente.
A cura di:
Vincenzo Molinaro, Tiziana Falcone, Simona Del Ferraro
INAIL Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale Laboratorio di Ergonomia e Fisiologia
Iole Pinto
Azienda Usl Toscana Sud-Est – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici
Francesco Picciolo
Dipartimento di Scienze della Terra, Fisiche e Naturali Università degli Studi di Siena

FOTO INVECCHIAMENTO CUTANEO E VIDEOTERMINALI

Da Dottnet.it

Rughe e colorito spento del viso e persino il collo che finisce vittima dell’utilizzo eccessivo di smartphone e tablet, con la formazione delle cosiddette “Collane di Venere”, linee che decorrono in parallelo, circolari, chiamate collane perché le mimano. Ecco alcuni degli effetti del digital aging, l’invecchiamento digitale, che per gli esperti rappresenta la “malattia del millennio e della generazione dei Millenials in particolar modo ” e che con il lockdown legato all’emergenza coronavirus ha visto un’amplificazione, legata al fatto che i device hanno rappresentato una forma quasi esclusiva di contatto con il mondo esterno, sia per lavoro che nella vita privata.

Oltre a interrompere i normali ritmi sonno-veglia, a,provocare dolore a collo, testa e spalle, persino problemi ai pollici legati alla digitazione, tablet e telefonini tendono quindi sempre più a invecchiare la pelle. “I danni- spiega Marco Iera, del team di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva della Breast Unit dell’Ospedale Maggiore Policlinico Universitario di Milano, IRCCS Fondazione Cà Grande, che esercita anche presso L’Istituto Clinico Brera- sono provocati dalle radiazioni emesse da questi device che in pratica emettono una luce blu , che si può dire sia pericolosa quanto quella emessa dal sole. Ciò provoca un precoce invecchiamento cutaneo, perché penetra in profondo del derma provocando un grande sviluppo di radicali liberi dannosi”. Il danno, spiega l’esperto, e’ appunto multi organo: dalla pelle del viso su cui compaiono rughe, perché “le onde elettromagnetiche aumentano la temperatura dei tessuti, favorendo così il surriscaldamento dei tessuti stessi ricchi di acqua come il derma e portano a un deterioramento delle fibre collagene” al collo, con la comparsa di righe sempre più evidenti in virtù della postura che assumiamo. I rimedi sono vari, e vanno da un sano stile di vita ad alcuni possibili interventi del medico.

“Staccare gli occhi dal monitor almeno ogni venti minuti- sottolinea Iera- una dieta ricca di antiossidanti che comprende soprattutto frutta e verdura, alimenti ricchi di omega 3 come il pesce azzurro, poi salmone, noci. Inoltre, e’ importante un’idratazione corretta della pelle : per questi problemi si consigliano dei sieri a base di vitamina C ed E e anche in medicina estetica quella che viene denominata biorivitalizzazione, che rallenta l’invecchiamento e riattiva il microcircolo, andando a nutrire”. Si può poi eseguire ginnastica facciale e muscolare per il collo, e sempre per il collo “vi è anche il mesobotox, procedura in chirurgia ambulatoriale, che prevede l’applicazione di una tossina botulinica più diluita rispetto al normale e infiltrata in un piano più superficiale con la funzione di distendere la pelle”.  Il sole, in generale ma soprattutto quest’anno che nei primi mesi di primavera si è usciti poco, va bene “in piccole dosi, meglio se non nelle ore centrali della giornata, perché innesca la produzione di vitamina d, sempre con una crema protettiva.  Dipende dal tipo di pelle si inizia in genere da una protezione 50 per poi scalare , ma è bene utilizzare anche creme anti aging DA giorno o notte, che hanno polipeptidi o fattori di crescita e che aiutano il processo di riparazione del danno cellulare”