Monthly Archives: Giugno 2020

INQUINAMENTO E MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Lo smog e l’aria inquinata non favorirebbero solo l’insorgere di tumori, ma anche dell’Alzheimer. Secondo due distinti studi riportati dalla Stampa, quello che respiriamo inciderebbe in maniera decisiva sullo stato del nostro cervello. La prima ricerca, dell’istituto svedese Karolinska di Stoccolma e pubblicata su Jama Neurology, afferma che “l’esposizione allo smog aumenta il rischio di sviluppare demenza”. E questo in un ambiente come il centro di Stoccolma in cui “il livello medio annuo di particolato di Pm2,5 è ben al di sotto del limite in Europa e negli Usa”. Anche in condizioni dell’aria tutto sommato buone, insomma, “sono emersi effetti dannosi sulla salute: il rischio di demenza aumenta del 50% per un aumento di 0,88 microgrammi al metro cubo della concentrazione di Pm2.5 e del 14% per un incremento di 8,35 microgrammi al metro cubo della concentrazione di ossidi di azoto”.

Il peggioramento delle capacità cognitive “è mediato dagli effetti vascolari: quasi il 50% dei casi di demenza da inquinamento era dovuto a ictus“. In altre parole, le sostanze inquinanti sono “neurotossiche”, danneggiano il cervello ed hanno uno stretto legame con le malattie neurovascolari e neurodegenerative

Conferme in questo senso dal secondo studio, pubblicato su Neurology e realizzato in un contesto decisamente diverso, confrontando i residenti nell’area Nord di Manhattan e nei quartieri di Inwood e Washington Heights a New York: più la qualità dell’aria peggiora e più è evidente e rapido il deterioramento cognitivo. Secondo la responsabile dello studio, Erin Kulick della Brown University School of Public Health, questi risultati “sollevano la questione se i limiti imposti per legge siano sufficientemente bassi da proteggere la salute delle persone”. Nove cittadini europei su 10, ricorda la Stampa, “è esposta a concentrazioni di polveri fini superiori ai valori stabiliti dall’Oms e, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, l’Italia è la peggiore d’Europa con 76mila morti premature correlate all’inquinamento atmosferico da Pm2.5, ozono e biossido di azoto”. Da il giornale.it

NUOVE FACT SHEET DI INAIL SULL’AMIANTO

Nelle nuove pubblicazioni INAIL un elenco dettagliato delle misure di prevenzione e protezione da adottare nei siti inquinati e un approfondimento sulle nuove modalità per il riconoscimento delle diverse tipologie di minerale sviluppate con tecnologie innovative

L’INAIL ha pubblicato due nuove fact sheet su ricerca e innovazione tecnologica finalizzate alla tutela del lavoratore e degli ambienti di vita in relazione all’amianto:

  1. focus sulle misure di sicurezza per i lavoratori e per gli ambienti da adottare durante gli interventi di riqualificazione dei siti contaminati;
  2. nuove modalità̀ di riconoscimento e caratterizzazione di materiali contenenti amianto (mca) mediante l’impiego di tecnologie innovative non invasive e non distruttive, sviluppate nell’ambito del Bando di ricerca in collaborazione dell’Inail (Bric ID 58 – Programma speciale amianto).

La situazione in Italia

Durante gli interventi di riqualificazione dei siti contaminati è necessario adottare specifiche misure di prevenzione e protezione, per garantire la minima dispersione di fibre di amianto nell’ambiente.

L’Inail evidenzia che sui 41 siti da bonificare di interesse nazionale (sin) identificati in Italia dal Ministero dell’Ambiente, 11 sono principalmente contaminati da amianto, mentre in altri cinque esiste una contaminazione secondaria, accertata e quantificata, che riguarda una porzione significativa del perimetro. Inoltre, sono stati rilevati più di 12mila siti di interesse regionale (sir) e altri di competenza comunale (sic). Fino al 1992, anno in cui sono stati banditi sia l’estrazione sia l’impiego del minerale, l’Italia è stata tra i maggiori produttori mondiali di amianto e mca.

Le misure di prevenzione

  • l’intera area da bonificare deve essere delimitata su tutti i lati del perimetro con una recinzione idonea, per impedire l’accesso agli estranei. Possono entrare, infatti, soltanto gli operai addetti alle lavorazioni e gli enti preposti al controllo.
  • tra le misure di prevenzione indicate nella fact sheet, oltre alla cartellonistica obbligatoria, che riguarda, tra le altre cose, l’adozione dei dispositivi di protezione individuale (dpi) e il pericolo di inalazione di fibre pericolose, si consiglia di installare, all’ingresso all’area di lavoro, un’unità di decontaminazione personale (udp) costituita almeno da quattro locali.
  • nel caso di interventi su aree vaste, devono essere previste due udp, una all’ingresso del sito e una in prossimità dell’area in lavorazione.

Misure di protezione

Le misure di protezione comprendono i dispositivi di protezione collettiva (dpc) e i dpi.

Nel caso dell’amianto, i dpc come le reti anticaduta e le linee vita risultano una soluzione efficace durante i lavori di bonifica delle coperture in cemento amianto, per la riduzione del rischio di caduta dall’alto per sfondamento delle lastre.

Nelle aree di bonifica, tutti coloro che accedono al cantiere devono sempre essere dotati di dispositivi di protezione individuale idonei. Il datore di lavoro deve quindi porre massima attenzione nella scelta della tipologia, delle misure e delle quantità dei dpi da fornire ai lavoratori, e prima di scegliere deve effettuare una specifica valutazione del rischio, realizzata anche sulla base dell’analisi delle mansioni degli operatori.

Riconoscimento mediante analisi d’immagine iperspettrale

La seconda pubblicazione illustra le nuove modalità di riconoscimento e caratterizzazione di materiali contenenti amianto sviluppate nell’ambito del bando Bric.

In particolare, è stata realizzata la mappatura 2D delle superfici dei materiali mediante analisi in microfluorescenza a raggi X (micro-Xrf) e imaging iperspettrale (hsi).

Sono state analizzate diverse tipologie di materiali, caratterizzati da matrici di natura differente (cementizie, resinoidi, cellulosiche, etc.) e dalla presenza di varie tipologie di minerali di amianto (crisotilo, crocidolite, amosite, tremolite, antofillite, actinolite).

I campioni esaminati sono stati prelevati da cantieri di bonifica in diverse regioni.(dai genio-web.it)

LE DUE FACT SHEET INTEGRALI SONO SCARICABILI IN FORMATO PDF

Fonte: INAIL

PULIRE LE MANI MEGLIO CHE USARE I GUANTI

L’OMS non raccomanda l’uso di guanti da parte di persone nella comunità. “L’uso di guanti – si legge in un aggiornamento sulle domande&risposte in merito all’epidemia – può aumentare il rischio di infezione, poiché può portare all’autocontaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”.

Pertanto l’Oms raccomanda “oltre al distanziamento fisico l’installazione di stazioni pubbliche di igiene delle mani all’ingresso e all’uscita in luoghi pubblici come supermercati”.

“Migliorando ampiamente le pratiche di igiene delle mani – rileva l’Oms – , i paesi possono aiutare a prevenire la diffusione del virus COVID-19”.

Da quotidianosanita.it

GUIDA USA COVID 19 E LAVORO

Da Dottnet.it

È stato proposto uno schema per aiutare i medici a consigliare i pazienti su come continuare a lavorare in corso di pandemia, in funzione del rischio professionale di contrarre il SARS-Cov-2.

Sebbene i dati sul rischio occupazionale siano limitati, l’Ente statunitense che amministra la sicurezza e la salute sul lavoro ha pubblicato orientamenti e proposto un sistema per classificare il rischio di infezione da SARS-Cov-2 come elevato, medio o basso, in base al potenziale contatto con persone che possono essere o sono infettate (www.osha.gov/Publications/OSHA3990.pdf). La definizione di basso, medio e alto rischio di decesso causato da Covid-19 si basa sull’età e sulla presenza di condizioni cliniche croniche. Le persone ad alto rischio per entrambe le condizioni dovrebbero prendere in considerazione di interrompere il lavoro e quelle con una condizione ad alto rischio ed una a rischio medio dovrebbero discuterne con il proprio medico. I medici debbono informare riguardo i rischi che corrono i contatti di infettarsi.

Marc R. Larochelle

“Is It Safe for Me to Go to Work?” Risk Stratification for Workers during the Covid-19 Pandemic

NEJM May 26, 2020

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2013413?query=C19&cid=DM92634_NEJM_Registered_Users_and_InActive&bid=205847043

Tieniti aggiornato sull’argomento. Accedi al portale dedicato

Pubblicato il 5/6/2020

COVID E DISABILITA’: ECCO LE FAQ DEL MINISTERO

Nuovo Coronavirus: domande frequenti sulle misure per le persone con disabilità

È disponibile un nuovo sito istituzionale con tutte le informazioni relative alle misure da attuarsi in condizioni di emergenza covid per le persone portatrici di disabilità. Il sito viene puntualmente aggiornato

Potete consultarlo al sito:

http://disabilita.governo.it/it/notizie/nuovo-coronavirus-domande-frequenti-sulle-misure-per-le-persone-con-disabilita/

LA NUOVA CIRCOLARE SU RICERCA E CONTATTI COVID 19

Ecco in sintesi la nuova circolare:

Tre gli interventi: rapida identificazione di caso probabile

1. fornire informazioni e indicazioni alle persone che sono entrate in contatto con soggetti positivi

2.tampone ma solo a chi sviluppa i sintomi.

3. Agli asintomatici solo a fine quarantena e se ci sono le risorse. Preminente il ruolo dei Dipartimenti di Prevenzione delle Asl.

LA CIRCOLARE

FORSE IMMUNITA’DI BREVE DURATA PER IL COVID19

Da il giornale.it

. La verità sullo scudo anti-virus

di "Dopo sei mesi torna l'incubo". La verità sullo scudo anti-virus31 Maggio 2020 – 21:06

Uno studio olandese su 10 pazienti di sesso maschile ha messo in luce come, dopo l’infezione con i 4 coronavirus più comuni, la maggior parte di essi ha perso il 50% degli anticorpi dopo 6 mesi ed il 75% entro un anno. Se ormai è ampiamente confermato che chiunque entri a contatto con il Coronavirus sviluppa gli anticorpi (ed è la buona notizia), molto meno si sa sulla durata degli stessi. Secondo uno studio dell’Universtità di Amsterdam, uno dei più recenti al mondo ed in fase di pre-pubblicazione, l’immunità al Sars-CoV-2 potrebbe durare solamente sei mesi (ed è la notizia meno buona). È per questo che gli olandesi mettono in dubbio l’utilità dell’introduzione dei cosiddetti “passaporti di immunità”, non ci sarebbero i presupposti per affermare con certezza che una persona guarita dal Covid-19 non possa esserne reinfettata.

Lo studio olandese

Nell’attuale pandemia di Sars-CoV-2, una domanda chiave irrisolta è la qualità e la durata dell’immunità acquisita negli individui guariti” si legge nella prefazione allo studio, interrogativo fondamentale per capire se il virus potrà fare meno paura o no. “Sembrano tutti indurre un’immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi” , hanno affermato i ricercatori, basandosi sullo studio di 10 persone per un periodo di 35 anni, dal 1985 al 2020 con un totale di 2473 tra osservazioni e monitoraggi a persona in ogni mese dell’anno, per determinare il livello di anticorpi in seguito all’infezione da uno dei quattro coronavirus stagionali, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, ed il periodo di tempo che è trascorso tra un’infezione ed un’altra dello stesso virus. Entrambe le analisi hanno riscontrato una durata definita “allarmante” per l’immunità protettiva nei confronti dei coronavirus, riscontrando nuove e frequenti infezioni a distanza di 12 mesi dalla prima ed una sostanziale riduzione dei livelli degli anticorpi appena sei mesi dopo aver contratto i virus.

Molte incertezze. I ricercatori sottolineano come non sia ancora chiaro quanto possa durare l’immunità protettiva derivata dal Covid-19. Secondo lo studio, le reinfezioni saranno probabilmente dettate da due variabili: “l’esposizione al virus e la qualità di immunità sostenuta“, scrivono i ricercatori. In parole povere, si valuta quanto tempo un paziente è stato sotto attacco del Covid (se l’infezione è passata in poco tempo o se si è guariti dopo molte settimane) e quanti anticorpi ha prodotto l’organismo. La risposta anticorpale non è uguale per tutti: c’è chi ne produce di più e chi meno. Chiaramente, chi ha più anticorpi potrebbe avere una “tenuta” più estesa nel tempo, ma non infinita.

I coronavirus stagionali. Esistono quattro specie di coronavirus stagionali, tutti associati ad infezioni lungo le vie respiratorie ma prevalentemente di lieve entità. Oltre a provocare i comuni raffreddori, i quattro virus sono biologicamente diversi: due di loro appartengono al genere Alphacoronavirus, gli altri due ai Betacoronavirus. Questi virus usano molecole recettoriali caratteristiche per entrare in una cellula “bersaglio”, ma non tutti entrano nello stesso tipo di cellula epiteliale nei polmoni. Per questa loro variabilità, i coronavirus stagionali sono il gruppo virale più rappresentativo da cui ricavare le caratteristiche generali, i punti chiave sono l’immunità protettiva e la suscettibilità alla reinfezione. Dal momento che la maggior parte delle persone, spiegano i ricercatori, sperimenta la prima infezione da coronavirus stagionale durante la prima infanzia (4-6 anni), da quel momento possono essere studiate le reinfezioni che accadono negli anni successivi. Lo scopo dello studio è di mettere in luce il periodo di tempo che passa tra le reinfezioni dei coronavirus e la dinamica degli anticorpi, come questi diminuiscano dopo l’infezione. Questi parametri sono stati valutati misurando la risposta immunitaria ad ogni singolo coronavirus stagionale per un periodo prolungato.

Frequenza di infezioni e reinfezioni. Lo studio è stato condotto su 10 maschi adulti, iniziato nel 1985 e continuato fino al 2020 a intervalli regolari (ogni 3 mesi prima del 1989 ed ogni 6 mesi successivamente). All’inizio dello studio, l’età dei soggetti variava da 27 a 40 anni; prima della fine del follow-up (monitoraggio), i soggetti avevano dai 49 ai 66 anni. Questa ricerca è stata approvata dal Comitato di etica medica del Centro medico dell’Università di Amsterdam.

Dinamica degli anticorpi dopo l’infezione. In alcuni casi, le reinfezioni si sono già verificate sei mesi dopo la prima (su due pazienti) e 9 mesi dopo (in un altro paziente) ma la maggior parte delle volte i nuovi contagi avvenivano a partire dal dodicesimo mese in poi, un po’ come capita a tantissima gente con le influenze stagionali. L’unica “certezza”, quindi, che non ci reinfetta prima di sei mesi. La dinamica più importante è rappresentata dalla tabella allegata in basso con la lettera C che mostra come, entro i 6 mesi dall’infezione, la maggioranza delle persone ha perso il 50% dei loro anticorpi, arrivando al 75% dopo un anno. Un ritorno completo ai livelli base si è verificato entro 4 anni per la metà delle infezioni dei coronavirus stagionali. Quindi, l’immunità protettiva può essere compresa in un intervallo di tempo che va, mediamente, dai 6 ai 12 mesi. Allo scadere dell’anno, si sarebbe nuovamente esposti come la prima volta.

Caratteristiche d’infezione e perdita di anticorpi nel tempo

Infezioni da coronavirus in stagioni variabili. I ricercatori sottolineano come, ad oggi, non sia chiaro se anche Sars-Cov-2 diventerà stagionale ed avrà un picco di prevalenza invernale come osservato per i coronavirus stagionali nei Paesi non equatoriali. Le 4 tipologie di coronavirus oggetto del loro studio, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, chiamati anche “coronavirus umani comuni“, mostrano un tipico andamento stagionale e, da maggio a settembre, mostrano la più bassa probabilità di infezione annuale. I ricercatori, quindi, nel loro studio specificano come, in natura, si verificano reinfezioni con tutti i coronavirus stagionali, la maggior parte delle quali entro 3 anni. Se anche Sars-Cov-2 si comporterà come un coronavirus stagionale, ci si può aspettare un andamento simile agli altri.

Probabilità mensile di infezione dei 4 coronavirus stagionali

Test sierologici, vaccino ed immunità di gregge: tutti i dubbi

I ricercatori olandesi mettono a fuoco un rischio che potrebbe presentarsi nel prossimo futuro: i test basati sulla sierologia per misurare il livello degli anticorpi per le infezioni da Covid-19, potrebbero essere praticamente inutili se l’infezione si sarà verificata più di un anno prima del contagio. Inoltre, gli studi sui vaccini dovrebbero anticipare che l’immunità protettiva prolungata può essere incerta per i coronavirus e che potranno essere necessarie vaccinazioni annuali o semestrali per aggirare la trasmissione in corso. Lo stesso discorso di incertezza è legato alle immunità di gregge, che si verificano quando un’alta percentuale della popolazione diventa immune da un determinato agente patogeno, proteggendo anche gli individui non immuni contro l’infezione e limitandone la diffusione complessiva. Questo effetto è stato osservato per una gran varietà di virus come quello dell’epatite A, il virus dell’influenza A ed il papilloma virus umano. Però, nel caso del Covid-19, raggiungere l’immunità di gregge potrebbe essere molto improbabile a causa della rapida perdita dell’immunità protettiva. I ricercatori, dal canto loro, sottolineano come, per confermare tutto ciò, saranno “necessari ulteriori screening, il nostro studio è stato soggetto a limitazioni”, tra cui l’incapacità di sequenziare il genoma del Covid durante l’infezione. “In conclusione, i coronavirus umani stagionali hanno poco in comune, oltre a causare il raffreddore – affermano gli studiosi – Tuttavia, sembrano tutti indurre un’immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi. Questo potrebbe anche essere un denominatore comune per i coronavirus umani“.