Monthly Archives: Febbraio 2020

CORONAVIRUS :LE RISPOSTE DELL’ISS


1. Se prendo gli antivirali prevengo l’infezione?

No, allo stato attuale non ci sono evidenze scientifiche che l’uso dei farmaci antivirali prevenga l’infezione da Coronavirus o da altri tipi di infezioni virali.

  1. Se sono stato in metropolitana con una persona che tossiva e nei giorni seguenti compare la tosse anche a me devo andare in ospedale?

No, ad oggi non vi è alcuna evidenza scientifica che il nuovo Coronavirus stia circolando in Italia. E’ invece certo che si è in una fase di massima trasmissione del virus influenzale stagionale. Pertanto, se dovessero comparire sintomi respiratori – come febbre, tosse, mal di gola, ecc. – o, comunque, difficoltà respiratorie, è opportuno rivolgersi al proprio medico curante.

  1. Come faccio a sapere se la mia tosse è dovuta a un’infreddatura o al nuovo Coronavirus?

Al momento, secondo le evidenze scientifiche disponibili, il nuovo Coronavirus non circola in Italia. Le uniche condizioni di rischio legate alla possibilità di aver contratto l’infezione sono:

  • aver viaggiato negli ultimi 14 giorni in zone della Cina in cui il virus si sta diffondendo
  • avere avuto contatti con persone con infezione accertata

In ogni caso, qualora dovessero comparire febbre o disturbi respiratori, considerato che in questo momento si è nel periodo di massima circolazione dell’influenza stagionale, è opportuno rivolgersi al medico curante

  1. Se mi sottopongo privatamente ad analisi del sangue, o di altri campioni biologici, posso sapere se ho contratto il nuovo Coronavirus?

No. Non esistono al momento kit commerciali per confermare la diagnosi di infezione da nuovo Coronavirus.  La diagnosi deve essere eseguita nei Laboratori di riferimento e, laddove si rilevino delle positività al virus, deve essere confermata dall’Istituto Superiore di Sanità. Qualora si sia stati esposti a fattori di rischio – quali viaggi nelle zone della Cina in cui il virus sta circolando o contatti con persone in cui l’infezione sia stata accertata –  è possibile contattare il numero telefonico 1500, messo a disposizione dei cittadini dal Ministero della Salute, per avere risposte da medici specificamente preparati e ricevere indicazioni su come comportarsi. Tuttavia per le persone senza sintomi di una certa gravità e senza fattori di rischio al momento non è previsto iniziare un iter diagnostico

  1. E’ vero che posso essere contagiato dal coronavirus toccando le maniglie degli autobus?

Allo stato attuale, non essendoci evidenze scientifiche della circolazione del virus in Italia, è altamente improbabile che possa verificarsi un contagio da nuovo Coronavirus attraverso le maniglie degli autobus o della metropolitana. E’ comunque buona norma, per prevenire tutte le infezioni respiratorie, lavarsi frequentemente e accuratamente le mani prima di portarle al viso, agli occhi e alla bocca.

  1. L’infezione da coronavirus causa sempre una polmonite grave?

No, l’infezione da nuovo Coronavirus può causare uno spettro di sintomi che spaziano da disturbi lievi, tipici delle normali infezioni respiratorie stagionali, a infezioni più gravi come le polmoniti. E’ opportuno precisare, in ogni caso, che poiché i dati in nostro possesso provengono principalmente da studi su casi ospedalizzati, e pertanto più gravi, è possibile che sia sovrastimata la gravità dell’infezione.

  1. Se ho sintomi respiratori e penso di poter essere stato contagiato dal nuovo Coronavirus, devo chiamare il 118 per andare in ospedale o andare dal mio medico curante?

Se si è stati esposti a fattori di rischio, come aver viaggiato nelle zone della Cina in cui il nuovo Coronavirus sta circolando o si è stati a contatto con persone risultate infette, per prima cosa è opportuno contattare il numero telefonico 1500, messo a disposizione dei cittadini dal Ministero della Salute, per avere indicazioni sui comportamenti da seguire.

Per approfondire consulta la pagina di Epicentro dedicata al Coronavirus

Fonte ISS ISTITUTO SUPERIORE SANITÀ

CASE REPORT: LA SINDROME XIFOIDEA UNA PATOLOGIA PROFESSIONALE NON COMUNE

 

Issue Cover

AUTORI

Medicina del lavoro , Volume 64, Numero 1, gennaio 2014, Pagine 64–66, https://doi.org/10.1093/occmed/kqt132
Articolo originale scaricabile qui in formato pdf:

ABSTRACT

  • Segnaliamo il caso di un uomo di 45 anni, che lamentava  gonfiore e dolore in regione epigastrica da circa  3 anni. all’anamnesi il paziente  aveva subito varie indagini e trattamenti per il reflusso gastroesofageo, senza alcun risultato . Aveva avuto una storia di microtraumi ripetuti cronici allo sterno durante 9 anni di lavoro come falegname,  a causa della postura e dell’abitudine ad appoggiare i manufatti di legno contro la sua parete toracica anteriore oltre alla  forza impressa da una macchina per tagliare la tavola. All’esame, un tenero gonfiore era palpabile come una massa dura e immobile che mostrava una minima sporgenza sotto la pelle del processo xifoideo.  al paziente è stata diagnosticata a la sindrome xifoidea. Abbiamo prescritto farmaci anti-infiammatori e gli abbiamo consigliato di evitare la pressione sulla parete toracica anteriore, specialmente sullo sterno, mentre tagliava il legno. Al follow-up, i sintomi sono stati alleviati. La sindrome xifoidea può essere osservata in persone che svolgono un duro lavoro fisico che subiscono una pressioni  o un attrito sostenuti sulla parete anteriore del torace. Il caso sottolinea l’importanza della anamnesi lavorativa  nonché delle indagini cliniche e radiologiche come in questo caso insolito .

 

  • liberamente tradotto da  dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

GUIDA AL RISCHIO BIOLOGICO DELLA REGIONE LOMBARDIA

La Regione Lombardia ha pubblicato la Nota n. 4975 del 12 febbraio 2015 recante “Indicazioni operative per la valutazione, scelta e corretto utilizzo dei dispositivi per la protezione individuale da rischio biologico in ambito sanitario“.


Il documento costituisce una guida operativa, completa di specifiche di riferimento, per la scelta dei DPI che tiene conto delle indicazioni nazionali (Ministero della Salute e INAIL), europee (European CDC) ed internazionali (OMS) riconosciute.

E’ presente una tabella, corredata da immagini esplicative, contenente l’elenco dei vari dispositivi di protezione e le indicazioni operative per la valutazione, la scelta e il corretto utilizzo.

I DPI sono raggruppati per:

  • protezione degli occhi
  • protezione degli occhi e delle mucose
  • protezione delle vie respiratorie
  • protezione delle vie respiratorie e delle mucose
  • protezione del corpo
  • protezione delle mani

 

Clicca qui per scaricare la guida ai dispositivi di protezione individuale in ambito medico

UTILIZZO DI MASCHERINE E CARATTERISTICHE DELLE STESSE

tratto da “punto sicuro”

Il documento  della regione Lombardia si sofferma brevemente sulle mascherine chirurgiche, dispositivi medici che “proteggono limitatamente le mucose naso-buccali”:

– “indossate dal paziente possono costituire un utile barriera di protezione nella diffusione di agenti patogeni trasmissibili per via area (aerosol e goccioline)”;

– in relazione all’efficienza di “filtrazione batterica e resistenza respiratoria sono classificate come Tipo I o II”.

 

Riguardo ai dispositivi di protezione delle vie respiratorie il documento segnala inoltre che “in relazione alla modalità di trasmissione dell’agente patogeno, può essere necessario l’utilizzo congiuntamente ad altri DPI per la protezione del capo (copricapo) o del corpo (tuta intera con cappuccio)”.

Si fa riferimento in particolare a: facciali filtranti senza valvola, facciali filtranti muniti di valvola, semimaschera riutilizzabile con filtri.

 

Riguardo ai facciali filtranti si indica che la classificazione di tipo 1 (FFP1), 2 (FFP2) e 3 (FFP3) “definisce il livello di protezione dell’operatore a aerosol e goccioline con un grado di efficienza rispettivamente del 80%, 94% e 98%”.

Inoltre i facciali filtranti sono ulteriormente “classificati come:

– ‘utilizzabili solo per un singolo turno di lavoro’ e indicati con NR,

– ‘riutilizzabili’ (per più di un turno di lavoro) e indicati con R”.

In particolare i facciali filtranti di tipo P2 si possono ritenere corrispondenti ai respiratori classificati come N95 e quelli di tipo P3 a quelli classificati N99 dalla normativa statunitense”. Inoltre riguardo al loro utilizzo si indica che:

– “i facciali filtranti FFP2 e FFPP3 sono ritenuti idonei per la protezione da agenti biologico dei gruppi 2 e 3 e possono essere utilizzati per la protezione da alcuni agenti biologici del gruppo 4;

– è raccomandato l’utilizzo di dispositivi con fattore di protezione P3 quando il patogeno è trasmissibile per via aerea e devono essere eseguite manovre a rischio (es. broncoscopie)”. Sono riportate alcune limitazioni /peculiarità del DPI:

– “necessaria la prova di tenuta prima di ogni utilizzo;

– la tenuta sul viso può non essere garantita in presenza di barba e/o baffi;

– possono essere dotati di valvola; in tal caso non devono essere usati dai pazienti in quanto non impediscono la diffusione degli agenti patogeni trasmissibili per via aerea”.

Veniamo alla semimaschera riutilizzabile con filtri.

È un DPI utilizzato “congiuntamente a filtri di tipo P1 (bassa efficienza) P2 (media efficienza) e P3 (alta efficienza) che definiscono il livello di protezione dell’operatore con un grado di efficienza rispettivamente del 80%, 94% e 99,95%”. E “trattasi di DPI a pressione negativa in quanto l’aria ambiente viene resa respirabile dall’azione del filtro che passa all’interno del facciale solo attraverso l’azione dei polmoni”.

Riguardo all’utilizzo previsto dei DPI:

– “i filtri P2 e P3 sono ritenuti idonei per la protezione da  agenti biologici dei gruppi 2 e 3 e possono essere utilizzati per la protezione da alcuni agenti biologici del gruppo 4;

– è raccomandato l’utilizzo di dispositivi con fattore di protezione P3 quando il patogeno è trasmissibile per via aerea e devono essere eseguite manovre a rischio (es. broncoscopie)”. Limitazioni /peculiarità del DPI:

– “necessaria la prova di tenuta prima di ogni utilizzo;

– la tenuta sul viso può non essere garantita in presenza di barba e/o baffi;

– nel ricondizionamento devono essere rispettate le modalità operative riportate nella scheda informativa e previste dal produttore”.

 

Possono essere poi necessari DPI per la-protezione delle vie respiratorie e delle mucose. Dopo aver ricordato nuovamente che in “relazione alla modalità di trasmissione dell’agente patogeno, può essere necessario l’utilizzo congiuntamente ad altri DPI” per la protezione del capo o del corpo, sono presentate le maschere a pieno facciale riutilizzabili con filtri e i dispositivi di filtrazione dell’aria elettroventilati con filtri.

 

Si indica che le maschere a pieno facciale riutilizzabili con filtri “sono utilizzate congiuntamente a filtri di tipo 1 (P1), 2 (P2) e 3 (P3) che definiscono il livello di protezione dell’operatore con un grado di efficienza rispettivamente del 80%, 94% e 99,95%”:

– “i filtri P2 e P3 sono ritenuti idonei per la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 e possono essere utilizzati per la protezione da alcuni agenti biologici del gruppo 4;

– è raccomandato l’utilizzo di dispositivi con fattore di protezione P3 quando il patogeno è trasmissibile per via aerea e devono essere eseguite manovre a rischio (es. broncoscopie)”. Queste le limitazioni /peculiarità del DPI:

– “può costituire un limite il contemporaneo utilizzo di occhiali da vista;

– nel ricondizionamento devono essere rispettate le modalità operative riportate nella scheda informativa e previste dal produttore”.

Concludiamo questa presentazione degli DPI RESPIRATORI parlando dei dispositivi di filtrazione dell’aria elettroventilati con filtri.

Sono DPI utilizzati “congiuntamente a filtri THP1, THP2 e THP3 che definiscono il livello di protezione dell’operatore con un grado di efficienza rispettivamente del 90%, 95% e 99,8%. Trattasi di DPI a pressione positiva o ventilazione forzata, in quanto l’aria ambiente viene resa respirabile dall’azione del filtro. L’ aria viene immessa all’interno di un cappuccio, di un casco o di un elmetto, mediante un elettroventilatore trasportato dallo stesso utilizzatore. La protezione è garantita solo a motore acceso”.

Le indicazioni per l’utilizzo previsto dei DPI:

– “i filtri THP2 e THP3 sono ritenuti idonei per la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 e possono essere utilizzati per la protezione da alcuni agenti biologici   del gruppo 4;

– è raccomandato l’utilizzo di dispositivi con fattore di protezione THP3 quando il patogeno è trasmissibile per via aerea e devono essere eseguite manovre a rischio (es. broncoscopie)”. Riportiamo, anche in questo caso, le limitazioni /peculiarità del DPI:

– “il loro utilizzo garantisce la contemporanea protezione di occhi, viso e testa;

– consentono il contemporaneo utilizzo di occhiali da vista;

– nel ricondizionamento devono essere rispettate le modalità operative riportate nella scheda informativa e previste dal produttore”.

Segnaliamo infine che nel documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, sono riportate anche utili indicazioni sulla normativa tecnica correlata ai vari DPI.

 

AGGIORNAMENTO TU 81/2008

Dal 17 gennaio 2020 è disponibile la versione aggiornata del Testo Unico In materia di Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro.

Gli aggiornamenti rispetto alla versione precedente riguardano:

– L’inserimento degli interpelli dal n. 4 al n. 8 del 2019;

– Sostituito il Decreto Direttoriale n. 8 del 25 febbraio 2019 con il Decreto Direttoriale n. 57 del 18/09/2019 Ventiduesimo elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’art. 71 comma 11;

– Sostituito il Decreto Direttoriale n. 2 del 16 gennaio 2018 con il Decreto Direttoriale n. 58 del  18/09/2019 – Ottavo elenco dei soggetti abilitati e dei formatori per l’effettuazione dei lavori sotto tensione;

– Aggiunta la lettera a-bis all’art. 4, comma 1, del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 22 gennaio 2008, n. 37, inserita dal comma 50 dell’art. 1 della Legge 13 luglio 2015, n. 107;

– Aggiunto l’art. 7-bis al Decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462, come previsto dall’art. 36 del Decreto-Legge 30 dicembre 2019, n. 162, pubblicato sulla G.U. n. 305 del 31/12/2019.

EPILESSIA E LAVORO

In occasione della GIORNATA  MONDIALE DELL ‘EPILESSIA  il giorno 10 febbraio 2020, pubblichiamo un articolo apparso su quotidianosanità. It  che fa il punto sullo stato delle cose nel mondo del lavoro per gli epilettici  e per tutti coloro che affrontano le tematiche occupazionali in relazione a questa patologia neurologica

Studi e Analisi

La ricerca italiana di medicina narrativa in materia di epilessia, la prima che ha raccolto le narrazioni dei curanti esperti – condotta dalla Fondazione ISTUD con il patrocinio della Lega Italiana contro l’Epilessia (LICE) e il supporto non condizionato di BIAL – ha portato alla luce un ‘ritratto’ della malattia che contribuisce a decifrarne aspetti che esorbitano (solo in apparenza) dal quadro clinico. Il progetto ‘ERE: gli epilettologi raccontano le epilessie’ ha riunito 91 narrazioni di cura di altrettante persone con epilessia, redatte da 25 neurologi e neurochirurghi operanti in centri dedicati alla cura dell’epilessia.
In modo inatteso, le narrazioni raccolte hanno restituito una rappresentazione dell’epilessia per la quale il lavoro costituisce un elemento cruciale del percorso di cura.

La ricerca ha evidenziato come, a fronte di un’età media di 37 anni, il 60% delle persone affette da epilessia non ha un impiego; il 31% di queste è impegnata in una (difficile) ricerca di occupazione, mentre il 19% ha ormai rinunciato o abbandonato spontaneamente il proprio progetto di lavoro o di studio. L’epilessia può dunque sospingere in spazi di emarginazione, in cui non di rado il lavoratore precipita improvvisamente, all’irrompere di un episodio critico. Nel 10% dei casi, l’esito di un episodio manifesto è coinciso con il licenziamento (in taluni casi, stando agli elementi desumibili dalle tracce narrative, con ogni probabilità illegittimo), determinando una radicale e immediata trasformazione della vita lavorativa e di relazione del lavoratore (e dei familiari)

Dalla ricerca, è altresì emersa con chiara evidenza la necessità del curante di poter impostare adeguatamente il dilemma giuridico (ed ancora prima etico) che una diagnosi di epilessia inevitabilmente pone: finché possibile, deve essere taciuto ogni riferimento all’epilessia? Come comunicare al medico competente il proprio stato di salute quando il teatro lavorativo e la mansione svolta dal lavoratore con epilessia richiedano l’adozione di opportune misure nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione? Esiste una specifico sistema giuridico di protezione?

Tali interrogativi si rintracciano con una certa frequenza nelle narrazioni dei curanti e contribuiscono a tratteggiare il vissuto quotidiano della persona con epilessia, caratterizzato da sentimenti di paura (24%), insicurezza e fragilità (9%), rabbia (9%), diffidenza e sfiducia (7%) e al quale corrisponde, sul versante dei curanti stessi, un sentimento di frustrazione (15%) e preoccupazione (11%).

Il sistema di protezione del lavoratore con epilessia
Con sentenza 21 maggio 2019, n. 13649, la Corte di Cassazione ha consolidato un proprio recente orientamento e delineato con precisione il quadro normativo di riferimento, muovendo dal presupposto che alla nozione (‘estesa’) di disabilità sia la legislazione comunitaria che l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia attribuiscono un significato essenzialmente ‘sociale’: la disabilità consiste infatti in ‘una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di eguaglianza con gli altri lavoratori’. Dunque, per assicurare l’osservanza del principio di parità di trattamento e una protezione giuridica del lavoratore con disabilità, la disciplina comunitaria obbliga il datore di lavoro ad adottare provvedimenti appropriati, purché questi non impongano un onere sproporzionato (articolo 5 della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000).

L’ordinamento italiano ha compiutamente recepito tale prescrizione solo nel 2013, stabilendo che ‘al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli’ (articolo 3, comma 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216). Al tempo stesso, l’articolo 20, comma 1 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 stabilisce che ‘ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro’.

Gli ‘accomodamenti ragionevoli’
Dal combinato disposto delle citate disposizioni discende da una parte l’obbligo per il datore di lavoro che intimi il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta di verificare la possibilità di evitare il recesso adottando soluzioni organizzative ragionevoli e dall’altra l’obbligo per il lavoratore di informare – esercitando i diritti sanciti dalla vigente disciplina in tema di trattamento dei dati personali (particolari) – le figure preposte del servizio di prevenzione e protezione nel caso in cui l’epilessia costituisca un fattore di rischio per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

La ragionevolezza dell’accomodamento dovrà essere ponderata e valutata di volta in volta in relazione al contesto lavorativo e alle soluzioni organizzative già operanti. Ad esempio, laddove il datore di lavoro abbia già introdotto il lavoro agile (smart working), il lavoratore disabile non potrà essere legittimamente licenziato se non sia stata preventivamente valutata anche l’opportunità di impiegare tale soluzione per ovviare alla disabilità e non si possa oggettivamente dimostrare che nel caso di specie tale soluzione è impercorribile od insufficiente.

La fase di progettazione sociale
L’attuazione di un piano di welfare aziendale e di schemi partecipativi dei lavoratori ai risultati dell’impresa possono, se combinate e armonizzate, costituire, con l’apporto della migliore innovazione tecnologica, leve efficaci – anche dal punto di vista della riduzione del costo del lavoro – in una prospettiva di sostenibilità e d’inclusione organizzativa dei lavoratori colpiti da una malattia cronica.

Non può mancare un disegno di sistema. La legislazione non può contribuire a modificare in senso evolutivo la cultura organizzativa esercitando il solo potere coercitivo; è opportuno costruire un contesto persuasivo circa la necessità d’adozione di condotte virtuose, intraprese per effetto di un convincimento volto a migliorare il contesto sociale e ambientale e non in mera ottemperanza ad una specifica previsione normativa.

Dunque, è necessario preparare il terreno per inaugurare il dialogo tra le istituzioni (coinvolgendo l’INAIL, ad esempio), i centri di cura, gli ordini professionali e il sistema di relazioni industriali per individuare nuove funzioni, regole e prassi che promuovano l’adozione di misure che assicurino un’efficiente conciliazione dei tempi di vita, di cura e di lavoro, favorendo la formazione di nuovi equilibri ed opportunità.

Massimiliano Arlati e Luca Barbieri
Studio Arlati Ghislandi 

QUANDO L’IPOACUSIA È NASCOSTA

Da dottnett.it

Perché tra due persone con udito normale in un luogo rumoroso ci può essere quella che sente meglio dell’altro? Tutto dipende da una coppia di biomarcatori della funzione cerebrale, uno che rappresenta lo sforzo di ascolto e un altro che misura la capacità di elaborare rapidi cambiamenti di frequenza.

Lo dice uno studio condotto dai ricercatori del Massachusetts Eye and Ear pubblicato sulla rivista scientifica eLife. Questa scoperta potrebbe portare a progettare test clinici di prossima generazione per la perdita nascosta dell’udito, una condizione che al momento non può essere misurata utilizzando esami dell’udito standard. La perdita dell’udito può essere causata da diversi fattori, tra cui l’esposizione al rumore e l’invecchiamento. Deriva in genere dal danno alle cellule sensoriali dell’orecchio interno, che convertono i suoni in segnali elettrici o delle fibre nervose uditive che trasmettono questi segnali al cervello. La perdita dell’udito nascosta, invece, è legata alle difficoltà di ascolto che non vengono rilevate dagli audiogrammi convenzionali: si pensa che derivi dalla connettività anormale e dalla comunicazione tra le cellule nervose nel cervello e l’orecchio, non nelle cellule sensoriali che inizialmente convertono le onde sonore in elettrochimici segnali. I test dell’udito convenzionali non sono stati progettati per rilevare questi cambiamenti neurali che interferiscono con la capacità di elaborare i suoni.

**********************************
sullo stesso argomento da cisento.com

Hai mai sentito parlare della “hidden hearing loss”, in italiano  “perdita di udito nascosta”? Che cosa è precisamente e che conseguenze comporta?

La perdita dell’udito viene generalmente determinata dall’ audiogramma. Una persona ha una perdita di udito si riscontra un calo sopra i 20dB a una o più ottave dai 125 Hz a 8000 Hz.

Praticamente la “hidden hearing loss” è una nuova forma di perdita di uditoche non può essere misurata con l’ audiogramma.
Esistono già alcune perdite di udito che possono avere un audiogramma normale: la neuropatia uditiva e i disordini centrali della elaborazione dell’udito, per esempio. Le persone affette hanno un deterioramento non delle cellule ciliate dell’orecchio, ma delle funzioni legate ai processi di lavorazione nella zona temporale del cervello e la comprensione vocale.

Nel Novembre 2014 alcuni ricercatori hanno scoperto una perdita dell’udito totalmente nuova. Questa perdita è legata all’ invecchiamento e, soprattutto, all’ esposizione al rumore. Per adesso questa nuova condizione è stata studiata su modelli animali.

In questi modelli, gli animali esposti anche solo a un livello moderato di rumore hanno normali cellule ciliate nella coclea, ma possiedono neuroni uditivi danneggiati. Questo comporta che gli animali hanno un audiogramma normale, ma un ingresso dei suoni al cervello significativamente ridotto.

Le conseguenze sull’uomo di questo fenomeno rimangono ancora poco chiare. Gli esperti hanno suggerito un forte rapporto con la difficoltà a capire il parlato in situazioni di rumore, con l’ acufene e iperacusia.

Una domanda si pone a questo punto: come possiamo correttamente diagnosticare questa nuova forma di perdita dell’udito nascosto?

La soluzione è eseguire lo studio dei Potenziali Evocati Uditivi (in inglese, auditory brainstem response (ABR)).
Lo studio ABR permette di identificare una onda I mancante o diminuita, mentre le altre onde, compresa la importante onda V risultano normali.
Lo ABR permette di differenziare la “hidden hearing loss” da altre forme di perdita di udito nascoste, come la neuropatia uditiva, che di solito colpisce sia le onde I e V.

I ricercatori si stanno impegnando duramente per capire la fisiopatologia nell’uomo. Ricerche in questo senso sono già in campo.
Sicuramente la possibilità di cura di questo tipo di perdita uditiva deve passare necessariamente dallo studio dei processi di degenerazione neuronale e di invecchiamento del sistema nervoso.

LAVORATORI ISOLATI E TECNOLOGIA

Da irberna. Com

La tecnologia a supporto della tutela della salute dei lavoratori isolati

Trento, 3 ottobre 2013. Un giovane idraulico di 27 anni viene trovato senza vita in una cella frigo di un capannone del Consorzio frutticoltori di Cles. La Procura iscrive sul registro degli indagati il direttore dello stabilimento, il datore di lavoro dell’idraulico e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). La Procura ipotizza il reato di omicidio colposo. Il Consorzio rischia una multa da 256.000 a 1.000.000 di euro, oltre all’interdizione dall’attività per un periodo da 6 mesi a 2 anni.

A distanza di quasi 4 anni la famiglia dell’uomo è stata risarcita con € 750.000, il Consorzio è stato condannato a pagare una sanzione di € 50.000 per la mancata predisposizione del modello organizzativo gestionale per la prevenzione dei rischi sul lavoro, mentre resta ancora aperto il processo a carico degli altri imputati.

Il lavoratore operava in una cella frigo in condizione di isolamento, senza nessun collega vicino. Nel caso della cella frigo, alla condizione di lavoro isolato si aggiungono anche i rischi dell’ambiente, normalmente con temperature prossime ai -20 °C e ridotta percentuale di ossigeno; in tale condizioni un infortunio con la perdita di conoscenza, ed un ritardo nei soccorsi, possono facilmente avere delle conseguenze fatali.

Il fatto di cronaca sopra riportato mi incoraggia a fare il punto circa il problema dei lavoratori isolati e lo stato dell’arte della tecnologia disponibile per la tutela della salute degli stessi.

Chi sono i lavoratori isolati?

Si definiscono “lavoratori isolati” le persone che sono tenute a lavorare da sole, senza una sorveglianza diretta e senza la presenza di altri soggetti vicini che possano prestare soccorso immediato in caso di infortunio o incidente. Un lavoratore o lavoratrice che svolge la propria attività in solitudine, opera senza un contatto visivo o vocale diretto con gli altri dipendenti dell’azienda e tale condizione potrebbe interessare tutte le categorie di lavoratori (anche gli impiegati in ufficio) che, ad esempio, hanno necessità di continuare a lavorare oltre l’orario normale, oppure nei casi in cui sia richiesta la loro presenza durante i giorni festivi, la sera o la notte.

Sono considerati lavoratori isolati anche coloro che non operano realmente in solitudine, ma che si trovano in un contesto che presenti difficoltà nella comunicazione, nel movimento o di impedimento fisico, oltre alle persone che lavorano in luoghi remoti, di difficile accesso, in condizioni ambientali sconosciute o avverse.

Esempi di categorie di lavoratori isolati sono: benzinai, addetti alla manutenzione, addetti alle pulizie, tecnici di laboratorio, agricoltori, autisti, tassisti, trasportatori, commesse, farmacisti, forestali, giardinieri, guardie mediche, infermieri, guardie giurate, magazzinieri, medici, infermieri, operai edili, portieri.

Normativa del lavoratore isolato

Relativamente ai lavoratori isolati sia diurni che notturni, è necessario ricordare che l’articolo 17, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 81/08 e s.m. di cui al D. Lgs. 106/09, pone a carico del Datore di Lavoro l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, compresi quindi anche quelli derivanti da particolari condizioni lavorative, come appunto quelli dei lavoratori isolati. A seguito di tale valutazione il Datore di Lavoro deve adottare le necessarie misure di prevenzione e protezione e le relative procedure per eliminare o ridurre le conseguenze dei rischi individuati.

I Fattori di rischio del lavoratore isolato

Nel caso di lavoratori isolati il fattore di rischio principale (da valutare e per il quale adottare misure e procedure di prevenzione e protezione) è relativo all’organizzazione dei soccorsi in caso di malore o infortunio del lavoratore.

In tale circostanza i fattori addizionali di rischio sono i seguenti:

  • impossibilità o limitata capacità, da parte del lavoratore stesso, di allertare i soccorsi all’esterno del luogo di lavoro;
  • difficoltà o impossibilità dei soccorritori, se e quando allertati, di accedere all’interno del luogo, dove è necessario l’intervento;
  • ulteriore difficoltà ad individuare esattamente, una volta all’interno, il punto intervento in caso di situazioni complesse.

Tali fattori addizionali di rischio comportano inevitabilmente il ritardo dell’intervento con effetti a volte fatali.

Pertanto, il Datore di Lavoro deve (in virtù degli obblighi di cui al già citato articolo 17, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 81/08) prevedere sistemi per monitorare in tempo reale lo stato di salute del lavoratore attraverso il controllo del suo stato di coscienza.

Inoltre va ricordato che l’art. 2, comma 5, del D.M. 15/7/2003 N° 388 sancisce quanto riportato qui di seguito:

“Nelle aziende o unità produttive che hanno lavoratori che prestano la propria attività in luoghi isolati, diversi dalla sede aziendale o unità produttiva, il Datore di Lavoro è tenuto a fornire loro il pacchetto di medicazione di cui all’allegato 2, che fa parte del presente decreto, ed un mezzo di comunicazione idoneo per raccordarsi con l’azienda al fine di attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.”

Tale sistema di comunicazione deve essere mantenuto in buone condizioni di funzionamento e manutenzione. I telefoni cellulari privati dei lavoratori non possono essere verificati dal datore di lavoro, e quindi non costituiscono un mezzo idoneo, ed inoltre la quasi totalità non posseggono la funzione uomo a terra, e quindi inadeguati in caso di malore e/o infortunio con perdita di coscienza.

Quali dispositivi scegliere per i lavoratori isolati?

Uno dei primi passi per tutelare i lavoratori isolati è quello di dotarli di un dispositivo “uomo a terra” in grado di allertare il personale di soccorso in caso di malore o di una situazione di emergenza.

L’attuale tecnologia propone dispositivi operanti su rete GSM, DECT, Wi-Fi o radio. Tali strumenti sono dotati di pulsante di emergenza nonché sensori capaci di rilevare il non movimento e la posizione orizzontale dell’operatore (funzione mandown) e di allertare in autonomia il personale di soccorso.

I dispositivi più avanzati posseggono anche le funzioni di localizzazione (tramite GPS per ambienti esterni, tramite radio beacon/RFID per ambienti interni), Amber Alert (timer programmabile in assenza di copertura GSM), rilevamento della posizione evoluto multi costellazione GNSS (ricevitore a 48 canali, GPS, Glonass, Galileo e BeiDou), Mandown++ evoluto (allarme uomo a terra, non movimento e caduta violenta), geofencing (perimetro virtuale), ALS (Automatic Location System), sistema viva-voce, certificazione per ambienti Atex.

I moderni dispositivi consentono la massima personalizzazione di tutti i parametri di configurazione, come ad esempio la possibilità di impostare l’angolo di inclinazione e i tempi di attivazione del mandown, per adattarsi alle diverse tipologie di attività dell’operatore.

Particolare attenzione va posta alla scelta dello strumento. Esistono infatti sul mercato dispositivi (per lo più di fabbricazione non europea) non supervisionati (cioè non in grado di verificare continuamente lo stato dei suoi componenti segnalando qualsiasi malfunzionamento, assenza rete, assenza GPS, anomalia sensori, ecc.), dotati di software/sensori non proprietari e quindi poco affidabili perché soggetti ad interruzioni di servizio, oppure privi delle certificazioni richieste dai Sistemi di Gestione Qualità e Sicurezza.

Infine è utile ricordare che l’adozione di dispositivi per la tutela dei lavoratori isolati permette all’azienda di ottenere una riduzione del premio INAIL (OT24).

CORONAVIRUS NCOV 2019 LE INDICAZIONI DELLA REGIONE LOMBARDIA

2019 – nCoV. NUOVE INDICAZIONI

30 gennaio 2020
Sulla base dell’evoluzione della situazione epidemiologica e delle conoscenze scientifiche disponibili, riguardo la Polmonite da nuovo coronavirus (2019 – nCoV), per la quale è stato recentemente proclamato lo stato di emergenza anche nel nostro Paese, si pubblicano una nuova nota del Ministero della Salute recante la definizione di caso sospetto, le modalità per la diagnosi molecolare e le raccomandazioni per la raccolta dei campioni clinici, la nota che definisce i potenziali casi di coronavirus (nCoV) e relativa gestione e la circolare con le indicazioni per la gestione degli studenti e dei docenti di ritorno o in partenza verso aree affette della Cina.

Si segnala che Regione Lombardia ha emanato indicazioni procedurali per la presa in carico dei casi sospetti a MMG e ASST.

Ordinanza MdS 25/1/2020

Nota MdS – Potenziali casi di coronavirus (nCoV) e relativa gestione

Nota del MdS – Indicazioni per la gestione degli studenti e dei docenti

INFEZIONE DA VIRUS NCOV 2019 E INFODEMIA

Da il sole24ore

articolo di  Marco Lo Conte


Ormai lo certifica anche un’istituzione internazionale. E non una caso: quella che si occupa e si preoccupa innanzitutto della salute degli esseri umani. C’è una sindrome che condiziona pesantemente la nostra mente, la nostra attenzione, la nostra capacità di comprensione, di elaborare le informazioni che riceviamo e di ricostituirle. Ed è qualcosa che – nella civiltà dell’informazione – popola il nostro ecosistema in modo ormai strutturale. Infodemia è il termine usato dall’Organizzazione mondiale della sanità per indicare quell’”abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”.

Pandemie a infodemia
Una pioggia di notizie in cui si incrociano e si confondono verità e falsità, dicerie e conferme, ipotesi, assiomi, teoremi. L’allarme lanciato dall’Oms è stato al centro di un focus diffuso pubblicato “per rintracciare e rispondere a falsi miti e voci” sul virus di Wuhan.

L’organizzazione con sede a Ginevra è particolarmente impegnata nella gestione delle notizie che riguardano il Corona Virus e che è decisivo sotto diversi punti di vista: per la gestione dell’epidemia del virus in senso stretto, ma anche per gli effetti che gli allarmi immotivati provocano nella popolazione. Si pensi ai numerosi casi di intolleranza nei confronti di cittadini cinesi in giro per il mondo, Italia compresa.

Certo, il Corona virus può preoccupare e spaventare: ma è anche noto che la mortalità di questa infezione è decisamente più alta rispetto alle “comuni” influenze che ogni anno d’inverno colpiscono milioni di persone e mietono un numero di vittime vicino all’1%. Il corona virus sfiora il 3% dei casi accertati, cui occorrerebbe aggiungere tutte le migliaia di persone per le quali il virus non è stato rilevato per assenza di sintomi. La mortalità della Spagnola che nel 1918 falcidiò l’Europa fu di poco superiore al 2%.

Manipolazioni e psicosi
Da sempre l’impatto delle notizie sui comportamenti umani è oggetto di riflessione e attenzione

: l’intreccio del Nome della Rosa ruota sul rischio connesso alla lettura di un libro “pericoloso”. Ma la moltiplicazione della possibilità di ciascun cittadino di comunicare in modo anche anonimo, su ciascun argomento ha portato la questione a un livello totalmente diverso.


La vicenda Cambridge Analytica, le elezioni di Trump e Brexit pesantemente condizionate da campagne mirate sui social, hanno spinto il dibattito pubblico sul tema fino a ipotizzare varie forme di controllo sugli account social (la proposta di registrazione con documento). Ma la velocità tecnologica è tale che il deep fake (la manipolazione di video con personaggi noti cui vengono fatte dire frasi che non si sognerebbero di pronunciare) che solo ieri scandalizzava e preoccupava, domani rischia di essere desueto.

Il medico conferenziere
Molta acqua è passata sotto i ponti dai Persuasori occulti di Vance Packard degli anni ’50, dal “Pensieri lenti

pensieri veloci” di Daniel Kahneman (psicologo vincitore nel 2002 del Nobel per l’Economia) al recente Factfulness di Hans Rosling. Nel suo libro spiega l’importanza di gestire le informazioni in occasioni di epidemie; e lo spiega da medico impegnato in Africa a circoscrivere i focolai di infezione e a comunicare agli organismi internazionali informazioni attendibili riguardanti la diffusione delle malattie in quelle terre.

Rosling, in ragione di questa esperienza, ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita conclusasi nel 2017 a spiegare in centinaia di conferenze che la percezione che abbiamo della realtà con coincide un granché con la realtà. Perfino i potenti del mondo riuniti a Davos sono stati in grado di rispondere correttamente alle dieci domande poste loro da Rosling sull’attualità, dalla copertura vaccinale in Africa alla scolarizzazione in India fino alla crescita della popolazione mondiale. Tra percezione e realtà c’è un’infodemia che in questi giorni fa circolare in rete la notizia sull’efficacia dell’aglio contro il corona virus o che l’infezione possa essere trasmessa attraverso lettere e pacchi postali provenienti dalla Cina.

Cosa dice la neuroscienza

Dura la vita delle informazioni basate sulle evidenze scientifiche, che non in situazioni ottimali non abbiamo difficoltà a credere. Ma un diluvio di informazioni tendenziose che toccano le nostre paure e parlano alla nostra parte emotiva, sono notevolmente più efficaci delle notizie suffragate da razionali circostanze oggettive. La ragione non è lontana ma nascosta nei meccanismi di funzionamento del nostro cervello, in cui la parte limbica, associata all’emotività, consuma una quantità di glucosio pari a tre volte quella consumata dalla corteccia frutto dell’evoluzione degli ultimi due milioni di anni, a cui dobbiamo capacità di calcolo e astrazione. Ma evidentemente meno forte della parte limbica di attirare la nostra concentrazione.

PER APPROFONDIRE

● Conosci il mondo meglio di uno scimpanzé? Le 13 domande per mettersi alla prova