STRESS LAVORO CORRELATO

LAVORO NOTTURNO E TUMORE AL SENO: SENTENZA STORICA IN FRANCIA.

da dottnet.it

A distanza di 14 anni, il Consiglio dei Medici francese ha stabilito il legame diretto tra la patologia contratta dall’infermiera e la gran quantità di turni di notte svolti durante il servizio

Una sentenza storica in Francia che potrebbe avere ripercussioni anche nel resto dell’Europa. Per la prima volta è stato riconosciuto un legame diretto tra il lavoro notturno e il rischio di sviluppare tumori al seno per le donne. Lo ha stabilito afine marzo il Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici francese, che ha esaminato il caso di un’ex infermiera (ora in pensione) dell’ospedale di Sarreguemines, piccolo comune transalpino situato al confine con la Germania.

Nel corso dei suoi 28 anni trascorsi nei reparti di cardiologia e ginecologia, l’infermiera Martine (nome di fantasia), riporta il Messaggero, oggi 61enne, ha trascorso in totale 873 turni di lavoro notturno. Nel 2009, a 48 anni, ha chiesto e ottenuto dalla direzione ospedaliera di lavorare soltanto di giorno, poco prima di scoprire di essere afflitta da un tumore al seno. A distanza di 14 anni, il Consiglio dei Medici francese ha stabilito il legame diretto tra la patologia contratta dall’infermiera e la gran quantità di turni di notte svolti durante il servizio. Il suo tumore, in altre parole, è annoverabile come malattia contratta sul posto di lavoro. Una sentenza storica, grazie alla quale la donna potrà chiedere un risarcimento all’assicurazione sanitaria. Cosa in precedenza negata ad altre due sue colleghe in passato.

La causa legale di Martine è stata sostenuta da un’ex infermiera della regione francese della Mosella (dove si trova il comune di Sarreguemines), Josiane Clavelin, ora sindacalista di categoria, che ha testimoniato: «Ho lavorato in pediatria, un servizio di pronto soccorso, e regolarmente un radiologo entrava nella stanza per fare i raggi X. Con le conseguenze che questo può avere. Allo stesso tempo, ho notato che emergevano molti più tumori al seno nel personale infermieristico che lavorava turni notturni».

Accompagnata da medici nucleari, epidemiologi, medici del lavoro, Clavelin ha redatto un questionario di 124 domande distribuito in tutti gli ospedali della Mosella, rivolto a circa 700 persone, congedando tutto il personale ospedaliero che correva il rischio di sviluppare un cancro a causa degli orari di lavoro. «La comunità scientifica ha stabilito che il lavoro notturno e l’inversione di ritmo sonno-veglia hanno conseguenze sulla salute, con un possibile aumento dei tumori al seno», ha dichiarato Clavelin.

Il fatto è stato confermato da un rapporto, pubblicato a marzo 2016, dell’Agenzia nazionale francese per la salute e la sicurezza alimentare, l’ambiente e il lavoro (ANSES), intitolato “Valutazione dei rischi per la salute connessi al lavoro notturno”. A pagina 124 si legge: «I lavoratori notturni devono sopportare condizioni di lavoro molto più difficili rispetto agli altri dipendenti. I principali studi hanno dimostrato l’esistenza di associazioni statistiche, generalmente deboli, tra cancro al seno e turni di notte».

Un anno fa i  ricercatori dell’Università Paris-Saclay, con i loro colleghi dell’Inserm e dell’Inrae, pubblicarono i risultati di questa ricerca su Nature Communications: l’interruzione del ritmo circadiano, quindi del ritmo-sonno veglia, può aumentare il rischio di cancro al seno.  Il tumore al seno è la forma di cancro più comune tra le donne. Nella maggior parte dei casi, i vari fattori di rischio sono comportamentali e legati, per esempio, a una cattiva alimentazione o al consumo di alcol, a fattori ormonali correlati all’assunzione di una pillola contraccettiva o a trattamenti ormonali in menopausa, oltre che a fattori ambientali come l’inquinamento atmosferico o le modifiche dei cicli luce/buio.

In uno lavoro condotto sui topi gli studiosi hanno sottoposto gli animali a un jet lag continuo che riproduceva un cambio di ritmo di lavoro tra il giorno e la notte.  E’ grazie a questa attività sperimentale che hanno osservato come il disturbo circadiano abbia avuto un impatto significativo sullo sviluppo di tumori al seno. Questa interruzione del ritmo sonno/veglia ha aumentato la diffusione delle cellule tumorali e la formazione di metastasi. E’ stato notato come la maggiore espressione della una chemochina nei tumori, porti a una maggiore infiltrazione di alcune cellule mieloidi che permettono lo sviluppo di un microambiente che sopprime il sistema immunitario.

Gli effetti negativi possono essere però corretti con l’uso di un inibitore e quindi limitare l’effetto dello stress circadiano sulla progressione del tumore. Queste ricerche sperimentali, secondo gli studiosi, rafforzano i risultati di studi epidemiologici che dimostrano che le donne in pre-menopausa esposte per lunghi periodi a cambi del loro ritmo di lavoro, sarebbero particolarmente esposte a tumori mammari più aggressivi.

STRESS E MALATTIE CARDIOVASCOLARI

da osha.europa.eu

Questo documento esplora i collegamenti tra i fattori di rischio psicosociale e l’aumento del rischio di malattie cardiache e ictus. Esamina gli effetti diretti che i meccanismi dello stress possono avere sul sistema cardiovascolare e come l’impatto che lo stress correlato al lavoro può avere su abitudini di vita malsane può a sua volta avere un impatto sulla salute cardiovascolare. Considera inoltre il contributo di un ambiente di lavoro psicosociale lavorativo favorevole come fattore protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari. Viene suggerito un approccio di prevenzione multifattoriale e olistico.

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ESERCIZIO FISICO E STRESS.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) riferisce che una persona su otto nel mondo vive con un disturbo mentale. In Australia, in particolare, si stima che un individuo su cinque di età compresa tra 16 e 85 anni abbia sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi. «È noto che l’attività fisica aiuta a migliorare la salute mentale. Tuttavia, nonostante i dati disponibili, questa non è stata adottata ampiamente come trattamento di prima scelta. La nostra revisione mostra che gli interventi di attività fisica possono ridurre significativamente i sintomi di depressione e ansia in tutte le popolazioni cliniche, e che alcuni gruppi mostrano segni di miglioramento ancora maggiori» afferma Ben Singh, della University of South Australia di Adelaide, primo autore del lavoro.

I ricercatori hanno portato avanti la revisione della letteratura più completa esistente fino a oggi sull’argomento, includendo 97 revisioni, 1.039 studi e 128.119 partecipanti. Dall’analisi è emerso che l’attività fisica è estremamente utile per migliorare i sintomi di depressione, ansia e angoscia. In particolare, l’analisi dei dati ha mostrato che gli interventi di esercizio di 12 settimane o meno sono stati i più efficaci nel ridurre i sintomi relativi alla salute mentale, evidenziando la velocità con cui l’attività fisica può apportare un cambiamento. I maggiori benefici sono stati osservati tra le persone depresse, le donne in gravidanza e dopo il parto, le persone sane, e le persone con diagnosi di HIV o malattie renali. L’esercizio ad alta intensità ha mostrato più miglioramenti per depressione e ansia, ma tutti i tipi di attività fisica ed esercizio sono stati utili, inclusi esercizi aerobici come camminare, allenamento di resistenza, pilates e yoga. «È importante sottolineare che la ricerca mostra che non ci vuole molto perché l’esercizio operi un cambiamento positivo sulla salute mentale» concludono gli autori.

Un recente studio pubblicato sul British Journal of Sports Medicine ha dimostrato che l’esercizio fisico è più efficace del counselling e dei principali farmaci nella gestione della salute mentale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una persona su otto nel mondo vive con un disturbo mentale. In Australia, in particolare, si stima che un individuo su cinque di età compresa tra 16 e 85 anni abbia sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi.

L’esercizio fisico è stato dimostrato essere un modo molto efficace per migliorare i sintomi di depressione, ansia e angoscia. La ricerca ha mostrato che gli interventi di esercizio di 12 settimane o meno sono stati i più efficaci nel ridurre i sintomi relativi alla salute mentale. Gli interventi di attività fisica hanno dimostrato di ridurre significativamente i sintomi di depressione e ansia in tutte le popolazioni cliniche, e alcuni gruppi hanno mostrato segni di miglioramento ancora maggiori.

I ricercatori hanno condotto la revisione della letteratura più completa finora sull’argomento, includendo 97 revisioni, 1.039 studi e 128.119 partecipanti. Tutti i tipi di attività fisica ed esercizio sono stati utili, inclusi esercizi aerobici come camminare, allenamento di resistenza, pilates e yoga. L’esercizio ad alta intensità ha mostrato più miglioramenti per depressione e ansia, ma tutti i tipi di attività fisica ed esercizio sono stati efficaci.

La ricerca ha dimostrato che gli interventi di attività fisica possono ridurre significativamente i sintomi di depressione e ansia in tutte le popolazioni cliniche. I maggiori benefici sono stati osservati tra le persone depresse, le donne in gravidanza e dopo il parto, le persone sane e le persone con diagnosi di HIV o malattie renali. È stato dimostrato che l’esercizio fisico può apportare un cambiamento positivo sulla salute mentale in modo molto rapido, in particolare gli interventi di esercizio di 12 settimane o meno.

L’esercizio fisico può quindi essere utilizzato come trattamento di prima scelta per migliorare la salute mentale. Nonostante i dati disponibili, l’attività fisica non è viene impiegata ampiamente come trattamento di prima scelta. È importante sottolineare che la ricerca mostra che non ci vuole molto perché l’esercizio operi un cambiamento positivo sulla salute mentale.

articolo originale: British Journal of Sports Medicine 2023. Doi: 10.1136/bjsports-2022-106195
http://doi.org/10.1136/bjsports-2022-106195

Rielaborato ed adattato da dott. Alessandro Guerri medico del lavoro.

UNA DIETA CONTRO LO STRESS

da dottnet.it

La ricerca irlandese, che ha coinvolto l’unità di metabolomica del Centro ricerca e innovazione di Fem, con l’analisi dei biofluidi umani, ha confermato i benefici prodotti da questi microorganismi

La Fondazione Edmund Mach di San Mic tele all’Adige ha partecipato allo studio internazionale coordinato dalla University College Cork (Irlanda) che dimostra come la combinazione virtuosa di stile di vita e alimentazione incida sulla salute mentale delle persone. Focus dello studio – si apprende – sono gli psicobiotici, microrganismi benefici che si affiancano ai probiotici, che operano lungo l’asse microbiota-intestino-cervello e contribuiscono a migliorare le prestazioni del sistema nervoso umano.     La ricerca, che ha coinvolto l’unità di metabolomica del Centro ricerca e innovazione di Fem, con l’analisi dei biofluidi umani, ha confermato i benefici prodotti da questi microorganismi, compiendo un ulteriore passo nella direzione di un intervento preventivo o curativo attraverso l’alimentazione, di sindromi quali depressione, Alzheimer, autismo o disturbi da stress in generale. Dallo studio emergono, in particolare, quattro elementi principali della dieta che sono in grado di migliorare la salute mentale: gli acidi grassi omega-3, i polifenoli, le fibre e gli alimenti fermentati. Si può realizzare una dieta bilanciata, senza dovere assumere integratori, semplicemente associando ad una dieta mediterranea elevate dosi di alimenti fermentati, come crauti, yogurt, kefir e kombucha.  “Con tutte le necessarie limitazioni date dalla durata dell’indagine e dalle dimensioni esigue del campione di studio, è possibile affermare che l’adozione di una dieta mirata può rappresentare un valido strumento nella riduzione di stress, ansia e depressione”, afferma Andrea Anesi, ricercatore della Fem.

ANIMALI IN UFFICIO E PET THERAPY

da ferplast.com

Le aziende pet friendly in Italia

Portare gli animali al lavoro, in Italia, è ancora una pratica poco diffusa, soprattutto per il fatto che non esistono delle normative precise. Si conta che nel nostro Paese solo il 9 % delle aziende concede ai pet parents di portare i propri animali al lavoro. Tra gli esempi più virtuosi, in Italia, c’è la stilista Elisabetta Franchi, che ha addirittura creato un dog hospitality dotato di mensa per gli amici a quattro zampe dei suoi dipendenti.

Le altre aziende pet friendly sono perlopiù multinazionali americane come Purina, Amazon, Google, Zynza, Unicredit, Mars e Nintendo Italia. Purina ha costruito, in azienda, un’area dedicata agli animali. Mars una volta al mese festeggia il “Pet friendly day”, giornata in cui i dipendenti possono portare i propri amici a quattro zampe al lavoro. La Nintendo, invece, apre le porte agli animali di venerdì, nel cosiddetto “pet Friday”.

Anche il Comune di Genova – assessorato alla cultura – ha concesso ai propri impiegati di portare in ufficio gli animali domestici.Cane in ufficio con la padrona: esempio virtuoso di animali al lavoro

Le aziende pet friendly nel resto del mondo

Quella di portare gli animali al lavoro è una consuetudine negli Stati Uniti, dove un’azienda su cinque è pet friendly. Inoltre, è già da anni che si festeggia la Giornata Mondiale del cane il 25 giugno. Ma non soltanto i cani sono ben accolti in ufficio. A Tokio la Ferray Corporation ha accolto nove gatti abbandonati nei suoi uffici per ridurre lo stress dei dipendenti.

Portare i propri animali al lavoro, quindi, è un’idea che sta prendendo sempre più piede in Italia e all’esterno. Questo significa che i benefici della compagnia di cani e gatti sul luogo di lavoro sono tangibili e coinvolgono tutti.

LINK:

STRESS LAVORO CORRELATO : IL DOCUMENTO DI CIIP.

da Ciip-consulta.it

GdL coordinato da Antonia Ballottin ha prodotto un primo documento di consenso: “Dallo stress lavoro-correlato alla prevenzione dei rischi psicosociali“.
La pandemia ma anche la guerra, la precarietà, le condizioni economiche, la crisi climatica, hanno contribuito ad elevare l’attenzione nei confronti dei cambiamenti organizzativi e sociali anche sul lavoro e ad attivare interventi di supporto in azienda per singoli e gruppi di lavoratori, opportunità e necessità che deve essere mantenuta come integrazione della gestione dello stress lavoro correlato.

 Il documento è allegato e può essere scaricato.

Primo documento di consenso su Stress Lavoro Correlato[GdL CIIP]

PSICOLOGIA DEL LAVORO: EFFETTI DELL’ OVERCOMMINTMENT.

da dica33.it

L’attuale crisi economica colpisce sia i singoli sia le aziende, e le incertezze che ne derivano impattano anche sulla salute delle persone, in particolare quella psicologica. Lo conferma a Dica33 Paolo Campanini, psicologo del lavoro, dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, che ricorda come ci sia un legame diretto tra «la perdita del posto di lavoro e un aumento di disturbi mentali come ansia, depressione, attacchi di panico; è un fatto noto e dimostrato da molte ricerche». Dica33 ha chiesto a Campanini di illustrare i meccanismi che conducono a eccessiva sofferenza psicologica, per individuarli e correggerli in anticipo.

In che modo la recessione che stiamo vivendo si riflette sulla nostra psiche?
Il legame non è così diretto e, proprio per questo, più complesso da sciogliere. La crisi impatta fortemente sulla situazione lavorativa: la perdita del posto di lavoro ha, ovviamente, conseguenze deleterie sui diretti interessati, ma provoca anche un peggioramento significativo delle condizioni lavorative di chi resta. Intanto si viene a modificare il contesto sociale in cui si lavora, cambia il gruppo, si perdono colleghi stimati o amici, i rapporti tra chi resta sono deteriorati dall’insicurezza circa il proprio futuro professionale, si perde così una importante rete di supporto umano, capace di ammortizzare gli effetti dello stress lavorativo. Ogni cambiamento poi, di per sé, è fonte di stress e il timore di perdere il posto di lavoro può spingere verso il superlavoro generando altro stress, esaurimento delle energie, stanchezza, tutte condizioni che non aiutano a gestire adeguatamente le ansie e incertezze.

Il superlavoro non è dato dalla necessità di compensare le mansioni svolte dal personale mancante?
In parte sì ma è soprattutto un circolo vizioso, che si instaura dall’alto: è il capo per primo che vuole strafare, nella speranza di allontanare da sé e dal suo gruppo altri tagli aziendali, riversa la sua ansia sui sottoposti spingendoli a produrre di più. In un momento in cui già gli obiettivi standard sono sempre più difficili da raggiungere, per colpa della crisi globale, il tentativo di superarli è destinato a frustrazione sicura. E così si entra nel vortice dell'”overcommitment“: il lavoro, con i suoi problemi, oltre che un’occupazione quotidiana diventa anche un pensiero fisso che invade gli spazi della vita privata.

Come ci si accorge che l’impegno verso il lavoro sta superando i limiti?
I primi sintomi sono fisici e facili da riconoscere, primo fra tutti l’alterazione del ciclo sonno-veglia. Si dorme male e meno, si fa fatica a prendere sonno, oppure ci si veglia più volte nel corso della notte, o ci si risveglia all’alba. Quando questi segnali non sono saltuari ma persistono per settimane o mesi, significa che qualcosa non va. Oltre a questo ci possono essere i classici disturbi di stomaco, bruciori, inappetenza, gastropatie. Lo stress si manifesta anche con tensioni muscolari, dolori muscolo-scheletrici, cefalea e anche con una maggior suscettibilità ai malanni di stagione, per esempio raffreddori ricorrenti sono un segnale d’allarme. Tutte problematiche riconducibili a un allungamento dell’orario di lavoro che non è funzionale alla salute.

Come ci si accorge che l’impegno verso il lavoro sta superando i limiti?
I primi sintomi sono fisici e facili da riconoscere, primo fra tutti l’alterazione del ciclo sonno-veglia. Si dorme male e meno, si fa fatica a prendere sonno, oppure ci si veglia più volte nel corso della notte, o ci si risveglia all’alba. Quando questi segnali non sono saltuari ma persistono per settimane o mesi, significa che qualcosa non va. Oltre a questo ci possono essere i classici disturbi di stomaco, bruciori, inappetenza, gastropatie. Lo stress si manifesta anche con tensioni muscolari, dolori muscolo-scheletrici, cefalea e anche con una maggior suscettibilità ai malanni di stagione, per esempio raffreddori ricorrenti sono un segnale d’allarme. Tutte problematiche riconducibili a un allungamento dell’orario di lavoro che non è funzionale alla salute.

Sul fronte psicologico come incide l’overcommitment?
I primi segni negativi sono i forti sbalzi d’umore: si cede più facilmente a scatti di rabbia, perché lo stress prolungato esaurisce le capacità di reagire con equilibrio. Tra l’altro se il lavoro diviene progressivamente totalizzante, finisce per costituire l’unica fonte attorno cui si costruisce l’identità dell’individuo. Ne consegue che, in queste condizioni, qualsiasi cosa accada sul lavoro ha un impatto molto più forte sugli stati d’animo di chi lo vive.

Non potendo nulla sulla crisi, quali strategie adottare a tutela della propria salute?
Direi di non farsi coinvolgere troppo, ma non è certo un consiglio facilmente praticabile. Piuttosto meglio difendersi riconoscendo il problema, e attuando interventi adeguati a controbilanciare il carico di ansie e stress. Bisogna essere consapevoli che i problemi avvertiti sul luogo di lavoro riguardano moltissime persone in questi periodi, quindi condividere se e ogni volta che si può, aiuta molto a sdrammatizzare. Poi agire, impegnarsi in attività diverse dal lavoro, per distrarsi, divertirsi, e soprattutto scoprire o coltivare altre capacità. Individuare le proprie competenze non lavorative da spendere in altri ambiti: differenziare i propri impegni con attività extra-lavorative aiuta a sostenere l’identità dell’individuo e a riequilibrare i ritmi tornando a un vivere più sano.

Elisabetta Lucchesini

AZIENDE: SOLO RIUNIONI ESSENZIALI E IL QUIET QUITTING

Troppo tempo in riunione

Durante e dopo la pandemia, le aziende hanno cercato di compensare la mancanza di interazioni di persona con lunghe riunioni virtuali. Per ridurre gli incontri inutili, l’azienda di e-commerce Shopify, a inizio anno, ha deciso di cancellare tutte le riunioni ricorrenti che coinvolgono più di due persone nel tentativo di dare ai dipendenti più tempo per concentrarsi sulle altre attività, ha annunciato Kaz Nejatian, chief operating officer del gruppo. L’azienda vieterà anche le riunioni del mercoledì e farà in modo le riunioni di grandi dimensioni si svolgano solo in un blocco di sei ore il giovedì.

Il mondo del lavoro ha subito una rivoluzione dopo la pandemia che è ancora in corso tra fasi di assestamento, alcune tendenze che si confermano e altre che vanno scemando. Un esempio è il cosiddetto «quiet quitting». Nonostante la traduzione letterale possa portare a pensare ad una forma di «dimissioni silenziose», il termine ha un significato diverso: si riferisce infatti alla tendenza a «fare lo stretto necessario», partendo dal presupposto che il lavoro non è tutto. Malgrado il trend, che aveva iniziato ad affermarsi già nel 2022, sembri in calo stando alle ricerche su Google e TikTok, secondo alcuni esperti l’etica del quiet quitting è destinata a sopravvivere anche nel 2023. Nei prossimi mesi, nel tentativo di razionalizzare alcuni fenomeno esplosi durante la pandemia, potremmo assistere anche a un drastico ridimensionamento dei meeting e delle riunioni di lavoro. Cosa che alcune aziende hanno già iniziato a fare.

«reset» degli incontri virtuali

Anche altre aziende, con l’aumentare dei problemi di produttività, le difficoltà di gestire un’organizzazione del lavoro in modalità ibrida e i casi di burnout sempre più frequenti, hanno deciso di ridurre le riunioni. La piattaforma di software GitLab, ad esempio, prevede delle giornate di «reset» delle riunioni in modo da fare una scrematura tra gli incontri superflui, che possono essere cancellati, e quelli davvero indispensabili. Asana ha organizzato degli incontri chiamati « meeting doomsday» nel corso dei quali i lavoratori cancellano tutte le riunioni inutili dall’agenda e aggiungono solo quelle ritenute fondamentali.

La strategia di Shopify

Shopify, per assicurarsi che la sua strategia funzioni, ha chiesto ai dipendenti che tutti gli incontri «a tutto campo» con più di 50 persone si svolgano non più di una volta alla settimana per un massimo di sei ore. Il gruppo verificherà se i singoli manager saranno in grado di rispettare questa nuova politica aziendale o meno. A questo scopo ha creato un bot per ricordare a chiunque provi a programmare una riunione il mercoledì di spostare il meeting. E, infine, incoraggerà tutti i lavoratori a cancellare le riunioni non necessarie e abbandonare le grandi aree di lavoro e le conversazioni di gruppo su Slack. Per avere un’idea di quanto le riunioni si siano dilatate grazie alle piattaforme digitali, basta pensare che secondo uno studio di Microsoft, pubblicato la scorsa primavera, l’utente medio di Teams negli ultimi due anni ha passato il 252% del tempo in più alla settimana in riunione rispetto al periodo pre-pandemia. Anche il numero di riunioni settimanali è aumentato del 153% in tutto il mondo.( Da il corriere )

PREDISPOSIZIONE BIOCHIMICA E VISSUTO ALLA BASE DELLE MALATTIE DA STRESS.

da il Messaggero

Una riduzione nel sangue di una proteina (la MECP2) sembrerebbe favorire il rischio di sviluppare malattie correlate allo stress, in persone, soprattutto donne, che, durante l’infanzia o l’adolescenza, abbiano vissuto esperienze particolarmente avverse», questa è la conclusione raggiunta dai ricercatori del Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), in uno studio pubblicato su Translational Psychiatry.

Malattie legate allo stress: lo studio

Al centro delle indagini la proteina MECP2, ovvero Methyl-CpG binding protein 2, fondamentale per il funzionamento delle cellule nervose, nota perché alcune mutazioni del gene che la codifica sono la principale causa della Sindrome di Rett, una malattia neurologica rara, molto grave, che colpisce fin dalla prima infanzia prevalentemente il genere femminile.Oggi sappiamo che questa proteina, oltre a essere implicata in numerosi processi del neurosviluppo, svolge un ruolo fondamentale nel determinare gli effetti che l’ambiente in cui viviamo ha sul nostro organismo, suggerendo un suo coinvolgimento nei processi che predispongono allo sviluppo di psicopatologie indotte dall’esposizione a eventi stressanti nel corso della vita» dicono i ricercatori.

Sulla base di queste evidenze, gli scenziati hanno analizzato i livelli di MECP2 in campioni di sangue di 63 persone clinicamente sane. I risultati hanno confermato le loro ipotesi, ovvero che esiste una connessione tra i livelli ridotti di MECP2 e gli esiti disadattivi (quali ansia e depressione) delle esperienze avverse vissute in infanzia, e che tale legame è più forte tra le donne.«Ulteriori studi finalizzati ad approfondire i meccanismi alla base di questa associazione potranno svelare nuovi bersagli per l’implementazione di interventi preventivi personalizzati» spiega l’ Iss.

STRESS LAVORO CORRELATO ALTO MA POCHE SEGNALAZIONI ALL’INAIL

da “il fatto quotidiano”

articolo originale di Armando Mattioli.

Metà dei lavoratori dell’Ue considera che lo stress sia comune sul luogo di lavoro e contribuisce a circa la metà di tutti i giorni di lavoro persi”: così, in riferimento al rischio di Stress lavoro correlato (d’ora in avanti: SLC) legato ai rischi psicosociali, si esprime la Commissione Ue nel documento del 28.6.2021 “Quadro strategico dell’Ue in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027”.

Le monografie dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) sul tema dello SLC sono numerose; in Italia il Sistema Sanitario Nazionale, tramite l’Inail e le Regioni, ha prodotto circolari, linee guida, monografie, leggi regionali. A riprova della rilevanza data alla tematica un gruppo di lavoro Inail-Regioni nel 2015 ha coordinato un intervento delle Usl su tutto il territorio nazionale che ha coinvolto oltre mille aziende.

Il documento della Commissione Ue riporta che il problema dello SLC dovuto ai rischi psicosociali si è ulteriormente aggravato, sia per la crisi economica che per il maggiore utilizzo delle Tic (Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione). Nonostante ciò, i dati ufficiali dell’Inail del 2021 relativi al riconoscimento delle malattie professionali indicano che quelle dovute allo SLC sono 27 e rappresentano solo lo 0,13% del totale (fig.1). Questo misconoscimento in fase amministrativa da parte dell’Inail di quanto sostiene sul versante scientifico e informativo si accompagna, e in parte ne è anche causa, ad una marginalizzazione dello SLC anche da parte degli organi di vigilanza delle Usl e dei patronati sindacali. In questo contesto, spesso i lavoratori sono timorosi e riluttanti a chiedere un intervento degli organi di controllo o della magistratura, anche se i giudici del lavoro più volte hanno riconosciuto il diritto al risarcimento per le patologie da SLC.

Che fare? Nel documento del 28.6.2021 la Commissione Ue “invita le parti sociali a intervenire e aggiornare entro il 2023 gli accordi esistenti a livello intersettoriale e settoriale per affrontare … in particolare i rischi psicosociali”; auspicando che tale raccomandazione venga accolta, si ritiene importante che le associazioni dei medici del lavoro, psicologi, avvocati, magistrati si attivino per informare e sensibilizzare i propri iscritti sui diversi e specifici aspetti del problema. Tutto ciò premesso, si forniscono indicazioni operative di carattere generale per la gestione delle malattie da SLC:

1. Innanzitutto il lavoratore deve ottenere una certificazione da parte di psicologi o psichiatri di una delle due malattie professionali che l’Inail riconosce essere provocate da SLC: disturbo dell’adattamento cronico e disturbo post-traumatico da stress. Il certificato deve essere supportato dai test psicodiagnostici indicati nella pubblicazione: “Patologia psichica da stress, mobbing e costrittività organizzativa. La tutela dell’Inail”.

2. Occorre poi una certificazione da parte di un medico del lavoro che metta in evidenza come dal racconto del lavoratore siano emersi fattori di SLC da mettere in rapporto di causa ed effetto con la diagnosi di cui sopra.

3. A questo punto, si può ipotizzare la responsabilità del datore di lavoro di aver causato un danno alla salute che si configura come lesione personale grave, che ai sensi dell’art. 590 del c.p. è reato perseguibile d’ufficio o, comunque, violazione dell’art. 2087 del c.c.. Ovviamente, laddove si adiscano le vie legali o si chieda l’intervento delle Usl e/o dell’Ispettorato del lavoro, la responsabilità del datore di lavoro andrà dimostrata.

Questi tre punti necessariamente danno una rappresentazione molto schematica di situazioni complesse che hanno spesso contorni sfumati in merito a comportamenti e responsabilità. In questo contesto si apre uno spazio molto interessante ad interventi di mediazione, nei quali all’attenzione del datore di lavoro vengono portate le istanze di riconoscimento legate alla propria patologia da parte del lavoratore: aspetti risarcitori di natura economica, benefici contrattuali che erano stati negati o, come spesso accade, risoluzione delle problematiche lavorative che hanno generato lo SLC. Un ruolo determinante, in questa fase, lo hanno i legali del lavoratore e del datore di lavoro: i tre punti sopra illustrati portano al tavolo della trattativa, magari anche in fase di conciliazione, aspetti che finora sono troppo spesso esclusi