ambiente

LA PROGETTAZIONE DI AMBIENTI PER LA MANIPOLAZIONE DI RADIOFARMACI O DI SORGENTI NON SIGILLATE.

da inail.it

Il volume si è posto l’obiettivo di aggiornare e ampliare le indicazioni di un triennio fa, allineandole al quadro normativo attuale. A corredo sono stati anche identificati degli indicatori utili alla realizzazione di liste di controllo da proporre quali schede di autovalutazione per le strutture interessate.

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Prodotto: volume
Edizioni: Inail 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

ESPOSIZIONE AD ENDOTOSSINE AERODISPERSE

da inail.it

In ambito lavorativo, oltre alle patologie di natura infettiva e allergica, è possibile distinguerne altre derivanti dall’azione infiammatoria e tossica ad opera di endotossine la cui inalazione può causare alterazioni delle funzioni polmonari con complicanze a medio/lungo termine.

Immagine Esposizione a endotossine aerodisperse: un rischio biologico occupazionale

La loro esposizione è comune in diversi settori ma risulta prevalente in ambienti caratterizzati dalla presenza di ingenti quantità di materiale organico la cui manipolazione contribuisce allo sviluppo di poveri organiche di cui le endotossine sono una componente biologicamente attiva (es. allevamenti). La problematica può coinvolgere settori meno “tipici” quali gli uffici. Il documento vuole richiamare l’attenzione verso questa tipologia di rischio per incentivare attività di prevenzione mirate.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

NORMA UNI EN 12464 SULLA ILLUMINAZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO

La commissione UNI “Luce e illuminazione” ha pubblicato la norma UNI EN 12464-1:2021 (che sostituisce la UNI EN 12461:2011) dal titolo: “Luce e illuminazione – Illuminazione dei posti di lavoro – Parte 1: Posti di lavoro in interni” che indica i requisiti minimi per l’illuminazione dei luoghi di lavoro in modo da soddisfare le esigenze di sicurezza.

Una corretta illuminazione, all’interno dei luoghi di lavoro, garantisce un benessere visivo dei lavoratori tra l ‘altro normato dall’allegato IV “requisiti dei luoghi di lavoro” del TU 81/08, l’allegato XXXIV “videoterminali” del tu 81/2008 e la norma UNI EN 12464 “luce e illuminazione – illuminazione dei posti di lavoro”.

La UNI EN 12464-1

La norma UNI EN 126464-1 specifica i requisiti di illuminazione per persone, in posti di lavoro in interni. Sono considerati tutti i compiti visivi abituali, incluso l’utilizzo di attrezzature munite di videoterminali.

Sì devono soddisfare tre requisiti fondamentali:

  • confort visivo, con una buona illuminazione i lavoratori hanno una sensazione di benessere e in modo indiretto ciò contribuisce anche a generare un livello di produttività più elevato e una qualità del lavoro migliore;
  • prestazioni visive, in cui i lavoratori sono in grado di svolgere i loro compiti visivi, anche in condizioni di difficili circostanze e per periodi più lunghi;
  • sicurezza, i punti luce devono essere installati in sicurezza.

Per soddisfare tali requisiti è necessario considerare i parametri fondamentali che caratterizzano l’ambiente luminoso :

  • distribuzione delle luminanze, bisogna evitare elevati contrasti di luminanze eccessivamente elevati o troppo bassi ai fini di aumentare il comfort visivo; esistono veri e propri fattori di riflessione per il calcolo adatto alle luminanze:
    • per il soffitto da 0.6 a 0.9;
    • per le pareti da 0.3 a 0.8;
    • per i piani di lavoro da 0.2 a 0.6 e per il pavimento da 0.1 a 0.5;
  • illuminamento medio, ossia devono essere mantenuti degli illuminamenti medi per garantire il comfort visivo ai lavoratori e riguardano le superfici indicate nella zona del compito visivo;
  • illuminamento delle zone circostanti al compito che può essere più basso di quello del compito ma non deve essere minore a determinati valori;
  • abbagliamento molesto che impedisce una visione corretta del compito visivo;
  • apparenza del colore che si riferisce al colore apparente della luce emessa ed è definita dalla temperatura di colore correlata;
  • resa del colore che definisce la capacità effettiva della lampada a restituire in modo adeguato i colori;
  • fattore di manutenzione che deve essere stabilito dal progettista in base alle conoscenze dell’impianto.

AMIANTO E MESOTELIOMA

Un tipo di tumore, il mesotelioma della pleura, che lega il suo nome con un colpevole spesso ricorrente: l’amianto. La correlazione si conosce da tempo. E nel corso degli anni si sono prese le dovute misure di prevenzione e di bonifica ambientale, ma la lunga latenza della malattia, possono passare anche 20-30 anni dall’esposizione, sta determinando un ritardo sul raggiungimento dell’effetto positivo sperato. Il mesotelioma rimane comunque un tumore raro, anche se nelle aree più industrializzate come la Lombardia i casi sono più concentrati.

Il mesotelioma pleurico è una forma tumorale che origina dal mesotelio pleurico, la sottile membrana che riveste e protegge i polmoni. È un tumore in costante aumento che colpisce più frequentemente gli uomini. In Italia si verificano 3,4 casi di mesotelioma ogni 100.000 uomini e 1,1 ogni 100.000 donne. È difficile riscontrarlo prima dei 50 anni e presenta un picco d’esordio attorno ai 70. 

Il principale fattore causale e di rischio è l’esposizione all’amianto (o asbesto): la maggior parte di questi tumori riguarda infatti persone che sono entrate in contatto con questa sostanza. L’amianto è pericoloso per la salute in quanto le fibre che lo compongono, oltre mille volte più sottili di un capello umano, possono essere inalate. Possono così, anche se non in tutti i casi di contatto, causare vari tipi di problemi, tra cui il mesotelioma. Va sottolineato che possono passare anche più di 20 anni tra l’inalazione dell’amianto e l’insorgenza del tumore e che il rischio non diminuisce una volta eliminata completamente l’esposizione, ma rimane costante per tutta la vita.

Il primo contatto

Spesso i primi segnali sono di natura non specifica, cioè possono essere uguali a quelli causati da altre malattie che colpiscono, ad esempio, l’apparato cardio-respiratorio. In generale si tratta di sensazione di “fiato corto” (dispnea), dolore al petto o al dorso, tosse persistente e perdita di peso ingiustificata.

La diagnosi

Nella maggior parte dei casi i sintomi respiratori sono causati da un eccessivo accumulo di liquido (versamento) nello spazio compreso tra i due foglietti pleurici o dall’inspessimento dei foglietti stessi. Questo porta ad una compressione dei polmoni, che non riescono così ad espandersi adeguatamente durante la respirazione. Alcuni pazienti, infine, possono non manifestare alcun disturbo pur presentando la malattia, che invece viene scoperta occasionalmente, con esami radiologici condotti per altre motivazioni. 
Per la diagnosi non è sufficiente la sola radiografia del torace o gli altri esami radiologici, come la TAC, la PET e la risonanza magnetica. Le immagini possono descrivere qualcosa di anomalo, ma non consentono di identificare la natura del tumore. Per questo l’esame indispensabile per la diagnosi di mesotelioma è la biopsia del tessuto ammalato che viene eseguita per via endoscopica, con la toracoscopia. L’accesso avviene attraverso una singola incisione di un centimetro a livello dello spazio intercostale. Una volta introdotta l’ottica si esplora il cavo pleurico, si aspira tutto il liquido in eccesso e si eseguono una serie di biopsie multiple della pleura, così da assicurarsi una diagnosi istologica.

Le terapie mediche e radioterapiche

La scelta della terapia dipende dalla stadiazione e dalle caratteristiche del caso. L’approccio da intraprendere emerge da un confronto multidisciplinare tra l’oncologo, il chirurgo toracico, lo pneumologo, il radiologo e il radioterapista. Nelle forme iniziali, generalmente, il piano di cura prevede tre cicli di terapia medica per via endovenosa (chemioterapia).
Oggi questa terapia di induzione può contare su farmaci moderni come pemetrexed e platino ed è generalmente ben tollerata.

La terapia chirurgica

Se la crescita della malattia è controllata dalla chemioterapia, si procede con l’intervento chirurgico che consiste nell’asportazione di tutta la pleura (pleurectomia e decorticazione).
In alternativa, quando le condizioni del paziente lo consentono, si procede con l’asportazione in blocco della pleura del polmone, del diaframma e del pericardio (pleuropneumonectomia en bloc). Questo intervento è molto invasivo e deve essere fatto solo in centri altamente qualificati. Ma è proprio la sua radicalità che permette, in casi selezionati, di ottenere successi significativi con una buona sopravvivenza a distanza.

da ospedaleniguarda.it

GUIDA ALLA GESTIONE DEL RISCHIO CALORE

La pubblicazione rientra tra gli strumenti informativi del progetto di ricerca, frutto della collaborazione tra Inail e Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto per la BioEconomia (Cnr-Ibe). Lo studio comprende un ampio programma di attività per l’analisi dell’impatto del cambiamento climatico sulla salute e la sicurezza dei lavoratori.

La guida contiene una serie di materiali informativi relativi alle patologie da calore, alle raccomandazioni per una corretta gestione del rischio, alle condizioni patologiche che aumentano la suscettibilità al caldo e ai temi della disidratazione e dell’organizzazione delle pause.



I materiali sono stati raccolti in un unico documento che consente di disporre di una guida pratica e di facile consultazione per gestire il rischio di esposizione al caldo nei luoghi di lavoro, al fine di mitigare gli effetti sulla salute e di prevenire i rischi.

Prodotto: Opuscolo
Edizioni: Inail – 2022
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Informazioni e richieste: dcpianificazione-comunicazione@inail.it 

INQUINAMENTO E AUMENTO DEI DISTURBI PSICHIATRICI

da dottnet.it

Lo affermano gli esperti riuniti per il Seminario Internazionale RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health organizzato da Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini

L’esposizione cronica all’inquinamento da traffico veicolare aumenta il pericolo di sviluppare malattie mentali e quando lo smog è oltre i livelli di guardia le patologie psichiatriche esistenti possono peggiorare. Così il rischio depressione aumenta del 13%. Lo affermano gli esperti riuniti per il Seminario Internazionale RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health organizzato da Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini, a Milano il 17-18 giugno.

Per la prima volta in Italia uno studio su poco meno di due milioni di persone seguite per otto anni, quantifica, spiegano gli specialisti, l’impatto sulla salute mentale dell’esposizione cronica al particolato fine e ultrafine e dell’inquinamento atmosferico. Per ogni incremento di circa 1 microgrammo per metro cubo nella esposizione a particolato fine (PM2.5), il rischio di depressione aumenta del 13%, quello di disturbi d’ansia del 9%, di schizofrenia del 7%, soprattutto nella fascia di età fra 30 e 64 anni. Analogamente esiste una correlazione fra la presenza di smog e l’incremento nelle prescrizioni di antipsicotici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore che crescono fino al 4%. Quando la qualità dell’aria urbana è più scarsa aumenta anche il rischio di un peggioramento delle malattie psichiatriche già esistenti: uno studio condotto in Italia su pazienti con depressione bipolare dimostra che nei giorni di particolato atmosferico elevato la probabilità di ricoveri per un episodio maniacale può quasi quadruplicare.

Questi nuovi “preoccupanti dati sugli effetti nel lungo termine dell’inquinamento, indicano che lo smog è un concreto pericolo non solo per cuore e polmoni, ma anche per il cervello – osserva Sergio Harari, co-presidente del Seminario e Direttore Unità Operativa Pneumologia, Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e professore di Medicina Interna alla Statale – Lo smog può cioè essere tossico sul funzionamento cerebrale al punto da provocare anche patologie psichiatriche, probabilmente attraverso un incremento dell’infiammazione generale o per un’alterazione delle difese antiossidanti”. Ed è ormai noto anche l’effetto dello smog sullo sviluppo cognitivo nei bambini: “Sappiamo per esempio che i livelli di esposizione all’inquinamento atmosferico correlano con le capacità in test matematici e di linguaggio – commenta Pier Mannuccio Mannucci, Professore Emerito di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano e Policlinico di Milano – . Al contrario gli spazi verdi nella scuola e nell’ambiente circostante aiutano l’apprendimento, portando a un miglioramento dello sviluppo cognitivo”.

I dati che quantificano per la prima volta nel nostro Paese come l’esposizione cronica all’inquinamento comporti un impatto negativo anche sulla salute mentale, arrivano da uno studio molto ampio per il quale sono stati seguiti dal 2011 al 2019 oltre 1,7 milioni di abitanti di Roma con più di 30 anni, registrando le nuove diagnosi di malattie mentali, la prescrizione di farmaci per malattie psichiatriche e correlando questi dati con l’esposizione al particolato fine e ultrafine, al biossido di azoto e alla polvere di carbone. “I risultati indicano che i livelli di particolato fine e ultrafine a cui si è esposti sono correlati all’incremento del rischio di andare incontro a una patologia mentale”, spiega Massimo Stafoggia, del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio – ASL Roma 1, autore dell’indagine con Federica Nobile e altri colleghi. La pericolosità dello smog sul benessere mentale è confermata anche da un altro studio discusso in anteprima durante il convegno, condotto in partnership dalle Unità Operative di Epidemiologia e Psichiatria del Policlinico di Milano, su circa 200 pazienti con depressione bipolare lì ricoverati per episodio maniacale fra il 2007 e il 2019. Analizzando i dati relativi all’esposizione allo smog nei giorni immediatamente precedenti, è emerso con chiarezza che l’incremento del particolato PM10 nell’aria si associa a un rischio più elevato di ricovero, che arriva a essere 3.6 volte maggiore del normale nel secondo giorno dopo l’esposizione all’aria particolarmente inquinata. “Questi dati confermano gli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute mentale, indicando che le condizioni ambientali possono influenzare non poco la gestione dei pazienti con depressione bipolare”, commenta Michele Carugno, co-autore dello studio con Massimiliano Buoli e altri colleghi, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano e UO Epidemiologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.

IL GLIFOSATO NON È CANCEROGENO PER L’ECHA.

da dottnet.it

Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza.

Il glifosato “provoca gravi lesioni oculari ed è tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”, ma non ci sono prove sufficienti per classificarlo come “tossico” per specifici “organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione”. È questo il parere della European Chemicals Agency (Echa), agenzia UE deputata alla sorveglianza delle sostanze chimiche, in merito al noto erbicida. Il parere è stato anticipato dall’agenzia Ue in una nota e si inserisce nell’ambito di una più ampia valutazione della sostanza, i cui risultati complessivi saranno trasmessi alla Commissione europea e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) entro metà agosto. 

A sua volta, “l’Efsa effettuerà la sua valutazione del rischio del glifosato, che dovrebbe essere pronta nel luglio 2023″, fa sapere l’Echa. Sulla base di questi dati, continua l’agenzia Ue, “la Commissione presenterà quindi agli Stati membri una nuova relazione e un progetto di regolamento sulla possibilità di rinnovare o meno l’approvazione del glifosato”.  La nuova valutazione dell’Echa stride con quella dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc), che nel 2015 ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. La classificazione, spiega lo Iarc, “si basava su prove limitate di cancro negli esseri umani e prove sufficienti di cancro negli animali da esperimento”.

MA GLI AMBIENTALISTI INSORGONO…

https://www.today.it/europa/ambiente/glifosato-non-cancerogeno-ue.html

31 MAGGIO 2022. GIORNATA MONDIALE SENZA TABACCO

Il 31 maggio si celebra la giornata mondiale senza tabacco, ma purtroppo in Italia vi è stato un aumento dei fumatori nell’ultimo anno.

da aiponet.it il sito della associazione pneumologi ospedalieri

Ogni anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia una campagna in occasione della ricorrenza. Il tema di quest’anno “Tobacco: Threat to our environment – Tabacco: una minaccia per il nostro ambiente” intende sensibilizzare il pubblico sull’impatto ambientale del tabacco, dalla coltivazione, alla produzione, alla distribuzione e ai rifiuti, dando ai consumatori di tabacco un motivo in più per smettere di fumare.

Anche le piante, infatti, “muoiono” a causa del fumo: ogni anno 600 milioni di alberi vengono abbattuti per produrre sigarette e, sempre a questo scopo, si consumano 22 miliardi di litri d’acqua.

Il fumo, poi, è collegato all’emissione di 84 milioni di tonnellate di CO2. Insomma, se non riusciamo a farlo per noi, facciamolo almeno per gli altri e per il pianeta. Ecco alcuni consigli per capire come smettere.

Un fumatore su due morirà proprio per ragioni collegate a questa pessima abitudine, che è anche la prima causa di morte evitabile e la seconda causa di morte complessiva. Smettere di fumare è un modo per prendersi cura non solo di noi stessi e delle persone che ci circondano, ma anche dell’ambiente.

Il fumo è responsabile di malattie mortali che potrebbero essere evitate. Tra le patologie più diffuse tra i fumatori, ci sono il tumore del polmone, del cavo orale e della gola, del pancreas, del colon, della vescica, del rene, dell’esofago, del seno e di alcune leucemie.

Secondo la Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, nel nostro Paese il tumore del polmone è la prima causa di morte per neoplasia, con 34mila decessi stimati solo per il 2021.

Come smettere di fumare? Ecco i 10 consigli del Ministero della Salute

A stilare i 10 consigli per smettere di fumare è il Ministero della Salute. Un vademecum da seguire magari proprio in vista della Giornata mondiale senza tabacco.

  1. Smettere di fumare è possibile.
  2. Il desiderio impellente della sigaretta dura solo pochi minuti.
  3. I sintomi dell’astinenza si attenuano dopo sette giorni.
  4. Già dopo 20 minuti dalla cessazione del fumo ci sono effetti benefici.
  5. Smettere di fumare non significa ingrassare.
  6. Quando si smette di fumare, è meglio bere molto, ridurre il consumo di zuccheri e grassi, aumentare il consumo di frutta e verdura, e fare lunghe passeggiate.
  7. Se non si riesce a smettere di fumare, è meglio parlarne col medico di famiglia.
  8. Il medico di famiglia può indirizzare anche al più vicino Centro Anti Tabacco.
  9. Le ricadute non devono scoraggiare.
  10. Non fumare non arricchisce solo in salute, ma anche economicamente.

Nonostante le campagne d’informazione, in Italia ci sono ancora 11 milioni di fumatori – circa il 20% della popolazione nazionale. In Italia un ragazzo su cinque tra i 13 e i 15 anni fuma quotidianamente e il 18% fa uso di sigarette elettroniche, spesso percepite come meno nocive rispetto alle sigarette tradizionali. In realtà, i dati ad oggi disponibili suggeriscono che si tratti di prodotti sfavorevoli sia per quanto concerne la sicurezza sia per la salute pubblica.

Strumenti di supporto per smettere di fumare:

I Centri Antifumo sono servizi che offrono trattamenti integrati (terapie farmacologiche e supporto psicologico individuale o di gruppo) per smettere di fumare. L’Istituto Superiore di Sanità censisce e aggiorna dal 2000 la rete dei Centri Antifumo per offrire al cittadino informazioni sempre aggiornate sui dati anagrafici dei Centri, l’offerta assistenziale, la modalità di accesso ai servizi. Tutti i servizi presenti in questa mappa appartengono al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), alla Lega Italiana Lotta contro i Tumori (LILT) o al privato sociale.
Per la mappa dei centri Antifumo: https://smettodifumare.iss.it/it/centri-antifumo/

Per chi desidera smettere di fumare, è attivo dalle 10 alle 16 il Telefono Verde contro il Fumo 800554088 dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un servizio gratuito e anonimo che si rivolge a tutti: fumatori e loro familiari, ex fumatori, persone esposte a fumo passivo, e a chiunque voglia ricevere informazioni sul tema.
https://www.iss.it/numeri-verdi/-/asset_publisher/LXvuDqwiaG9G/content/telefono-verde-contro-il-fumo-2

Esiste inoltre la piattaforma web “smettodifumare” che facilita l’incontro tra la domanda dei cittadini e l’offerta dei servizi di cura sul territorio.
https://smettodifumare.iss.it/it/

Per chi ha un tumore e vuole porre una domanda a un esperto, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (Lilt) ha messo a disposizione il numero verde Sos Lilt, gratuito e anonimo, 800998877, dedicato ai pazienti alle loro famiglie. La linea vede la collaborazione di specialisti in ambito oncologico pronti a rispondere a domande e dubbi su prevenzione, diagnosi, terapie e riabilitazione. Il numero è attivo dal lunedì al venerdì dalle 10:00 alle 15:00; in alternativa si può scrivere una mail all’indirizzo sede.centrale@lilt.it.

 Ufficio Stampa AIPO-ITS

DOSSIER AMIANTO

in occasione della giornata mondiale delle vittime di amianto che viene celebrata il 28 aprile riportiamo uno speciale pubblicato dalla rivista Wired

A trent’anni dalla messa al bando in Italia della fibra minerale cancerogena, uno dei più pericolosi inquinanti, cosa è stato fatto? La mappatura dei siti contaminati resta incompleta, raddoppiano i morti causati dalle malattie asbesto-correlate. E le bonifiche vanno a rilento

Lo ha ribadito il Parlamento europeo, lo confermano gli ultimi dati epidemiologici raccolti in Italia. C’è un’altra “epidemia” in atto. È quella causata dall’amianto, minerale fibroso cancerogeno, usato in edilizia e nell’industria, ritenuto per troppo tempo indistruttibile ed “eterno”. Per aver respirato le sue fibre, mille volte più sottili di un capello, disperse dentro e fuori le abitazioni, scuole, ospedali, nei luoghi di lavoro, in Europa muoiono ogni anno almeno 80mila persone. In Italia, tra il 2010 e il 2016, sono stati 4.410 decessi all’anno, secondo quanto elaborato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), attribuibili all’esposizione da amianto, detto anche asbesto per tumori cancerogeni maligni come il mesotelioma, causato esclusivamente dall’amianto e le cosiddette malattie dette “asbesto-correlate”.

Tra queste l’asbestosi e i tumori ai polmoni e alle ovaie, a cui si aggiungono con il giudizio di “possibile cancerogenicità” i tumori della faringe, dello stomaco e del colon-retto. Malattie che non è possibile prevenire se non attraverso l’eliminazione delle fibre nocive dall’aria che respiriamo. Il lunghissimo tempo di latenza dell’insorgenza delle neoplasie, che possono manifestarsi tra i venti e i quarant’anni dall’esposizione ambientale alla polvere d’amianto, rende impossibile ogni altra forma di prevenzione. Sebbene il nostro Paese sia uno dei primi al mondo ad averlo messo al bando con la legge 257 del 27 marzo 1992, resta tuttora quello con il maggior numero di casi di mortalità ascrivibili alla fibra killer.

L’inchiesta:

Un problema sottostimato

Anche in tempo di pandemia, i dati epidemiologici sono più che allarmanti e restano tuttora sottostimati, anche perché permane, come commentano gli stessi addetti ai lavori, una diffusa negligenza nelle diagnosi. Secondo i dati storici raccolti da Inail nel registro nazionale sui mesoteliomi (Renam), tumori unicamente causati dalle fibre d’amianto, che possono colpire i tessuti molli del nostro organismo come il peritoneo, la pleura e il pericardio, sono stati diagnosticati tra il 1993 e il 2018, ben 31.572 casi. Il 56,7% dei quali è concentrato in Lombardia (6653), Piemonte (5084), Liguria (3263) ed Emilia-Romagna (2873).

Ma se quasi il 70% dei casi è riconducibile a coloro che hanno lavorato in ambienti di lavoro contaminati, il 10% è stato identificato tra chi ha respirato amianto solo per aver convissuto in ambito familiare con una persona esposta in ambito professionale, oppure per cause ambientali. Mentre per il 20% l’ambito di esposizione è completamente ignota.

Inoltre, gli epidemiologi dell’Iss hanno individuato la mortalità precoce per mesotelioma come “indicatore” di esposizione ambientale all’amianto nei bambini. Tra il 2003 e il 2016 sono stati registrati 487 decessi tra gli under 50, persone residenti in 357 comuni tra i circa 8.000 esistenti, situati all’interno delle regioni a maggior rischio per la presenza sul territorio di importanti sorgenti di asbesto, come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, ma anche nuove aree potenzialmente a rischio. Individui che hanno “respirato amianto” in età pediatrica senza saperlo. Ragione già di per sé sufficiente per accelerare mappatura e bonifiche.

Tra i lavoratori maggiormente colpiti rimangono poi quelli edili, visto la presenza massiccia di amianto negli edifici costruiti prima del 1992. Un ulteriore approfondimento epidemiologico segnala come ci sia un trend crescente di mesoteliomi tra i lavoratori nel settore costruzioni, passato dal 15.8% dei casi nel periodo tra il 1992 e il 1998 al 23.9% tra il 2014 e il 2018.

Il Green deal passa anche dalla bonifica dell’amianto

Proprio il Parlamento europeo lo scorso 20 ottobre ha emesso una risoluzione che Commissione e stati membri dovranno fare propria quanto prima, a partire dalla sorveglianza epidemiologica sui lavoratori e tra tutti coloro che, per vari motivi, ne sono e ne saranno ancora a contatto. Il testo prevede il riconoscimento e indennizzo delle malattie correlate all’amianto, oltre che la verifica della presenza della fibra killer prima dei lavori di ristrutturazione energetica e della vendita o locazione di un immobile. Norme basilari, anche alla luce dell’ondata di riqualificazione degli edifici, innescata dal Green deal europeo e dal programma Next Generation Europe.

Una cosa è certa: il largo uso di amianto per l’edilizia in Italia, prima del divieto, rende la probabilità di esposizione per gli addetti alle bonifiche una preoccupazione reale ancora oggi. In particolare, per coloro che lavorano nella manutenzione e nella rimozione di vecchi edifici, senza sapere di venir a contatto con l’asbesto.

La risoluzione sottolinea, inoltre, che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) riconosce che l’amianto è un agente cancerogeno senza un livello soglia, (basta quindi potenzialmente una singola fibra per essere esposti), mentre il regolamento Reach ha specificato che la fabbricazione, la vendita e l’uso di fibre di amianto e di prodotti contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati e si dovrà garantire la completa eliminazione dei prodotti di amianto, dagli stati membri, a decorrere dal 1° luglio 2025.

La mappa dei siti contaminati che non c’è

L’amianto, quindi, non è solo una pesante eredità del nostro passato industriale, ma resta un dramma dei giorni nostri che ricade e ricadrà anch’esso, sulle spalle delle nuove generazioni. La diffusione della fibra minerale cancerogena, infatti, sembra ancora più estesa di quanto non avevamo scritto nel 2015, nell’inchiesta di Wired Italia Il prezzo dell’amianto. La mappatura dei siti contaminati, indispensabile per identificare le aree da bonificare con la massima urgenza tra cui scuole, ospedali, caserme, rimane ancora incompleta o non accessibile per i cittadini, le associazioni delle vittime e i giornalisti.

Secondo i calcoli della direzione prevenzione del ministero della Salute, per bonificare in un anno gli oltre 23 milioni di tonnellate da amianto, quantificate nel 1992, occorrerebbero circa un milione e 700mila operatori. Mentre attualmente gli addetti alle bonifiche in Italia sono meno di 30mila. Come a dire che, di questo passo, ci vorranno ancora tra i sessanta e cento anni per completare le bonifiche nel nostro Paese.

I dati che mancano

A oggi, le stime ufficiali riportate nelle sezioni del sito web del ministero della Transizione ecologica (Mite), sia quella dedicata ai siti contaminati di interesse nazionale (Sin) che quella dedicata al Piano nazionale amianto (Pna), varato nel 2012 e mai messo davvero in pratica, parlano ancora di 108mila siti contaminati e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020. Eppure già nel 2018 Legambiente con il rapporto Liberi dall’amianto era riuscita a quantificare, proprio dai dati ottenuti mediante dei questionari somministrati alle stesse regioni, una stima di 370mila siti contaminati, pari circa a 57 milioni di metri quadrati di coperture di cemento-amianto.

Dati che dovrebbero essere comunicati puntualmente dalle amministrazioni regionali al Mite il 30 giugno di ogni anno. Ma, mentre alcune regioni, come il Piemonte, hanno reso disponibili i dati in formato open data e geolocalizzato, in alcuni casi non sono mai stati aggiornati negli ultimi 5 anni, come per la Lombardia che pure da sola aveva quantificato, già nel 2013. Circa 149mila siti. Solo parzialmente, quindi, i cittadini possono reperire informazioni sui siti delle regioni, delle agenzie regionali per l’ambiente (Arpa) e del proprio comune di residenza, nell’attesa che il nuovo portale Info amianto pa, avviato nel 2020 dal Mite venga reso disponibile e aperto alla consultazione.

Secondo Nicola Pondrano, già presidente nazionale del Fondo nazionale vittime amianto e responsabile della sezione previdenza dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato, come riferito recentemente in audizione al senato, una stima reale, conteggiando tutti gli immobili industriali, potrebbe essere, circa un milione di siti contaminati.

Tuttora, infatti, è in corso alla Corte di cassazione di Novara, uno dei processi Eternit Bis, che vede sul banco degli imputati il magnate svizzero Schmidheiny, patron della multinazionale, per la morte di 392 cittadini e lavoratori di Casale Monferrato. Procedimento avviato nel 2015, dopo che, un anno prima, la prescrizione aveva invalidato il primo processo per disastro innominato con 2889 parti lese. È invece dello scorso 6 aprile la sentenza di condanna per omicidio colposo in primo grado, a suo carico, per un solo lavoratore, deceduto a causa del mesotelioma per l’Eternit di Bagnoli (Napoli), dove esisteva un’altra sede dello stabilimento, così come a Cavagnolo (Torino) e Rubiera (Reggio Emilia).

Lo scheletro della Fibronit di Bari non esiste più

Bari, lo scheletro della Fibronit, copertina dell’inchiesta Il prezzo dell’amianto, è stato abbattuto. Finalmente, come abbiamo appreso dal Comitato cittadino Fibronit, verranno avviati i lavori per la realizzazione del “Parco della rinascita”, intitolato alle vittime.

Broni, in Lombardia, minuscola cittadina della provincia pavese, ma con la più alta incidenza di mortalità per mesotelioma d’Italia, cinquanta vittime all’anno per poco più di novemila abitanti nel 2021, è stata completata la messa in sicurezza dello stabilimento Fibronit. Oltre altri due importanti poli contaminati, quali l’ospedale e il polo scolastico Biffi. Solo qualche anno fa, i ragazzi si recavano ancora a scuola nelle aule ricoperte d’amianto. Bologna, invece, a causa dell’inquinamento da asbesto alle Officine Grandi Riparazioni, di proprietà di Ferrovie dello Stato, è stata anch’essa riconosciuta come sito di interesse nazionale. Ma le bonifiche devono ancora iniziare.