LA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE RIDUCE IL RISCHIO COVID 19

2 Settembre 2020

Da ilsole24ore

Proteggersi dall’influenza. Sembra essere questa la parola d’ordine per la sanità pubblica mentre circola il virus Sars-CoV-2. E non solo per ridurre il rischio di co-circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezione, oltre che sulla salute del singolo.

Indicazioni positive dagli studi

Le prime evidenze scientifiche, quantunque non definitive, sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi correlati alla malattia.

Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri -. Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».

In termini generali, tra le evidenze più significative occorre sicuramente citare quanto emerge da una ricerca condotta alla Mayo Clinic su oltre 137.000 persone sottoposte ad esami per sospetta infezione da Sars-CoV-2 e valutate anche sotto il profilo della prevenzione vaccinale generale.

Vaccini: vaccino influenzale

Si riduce il tasso di infezione

«Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate – segnala Remuzzi -. Ovviamente questi dati vanno confermati e soprattutto occorre comprendere i meccanismi immunologici che possono spiegare queste situazioni, ma si tratta di informazioni di grande interesse, considerando che, parlando di chi è si è vaccinato negli ultimi due anni rispetto ai non vaccinati, il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».

I vaccini, insomma, potrebbero avere un ruolo significativo nei rischi di ammalarsi di Covid-19 e anche sul percorso della malattia. In questo senso, proprio le informazioni sull’influenza appaiono estremamente interessanti. Partendo dalla stessa analisi, infatti, si vede che la riduzione percentuale del rischio d’infezione da Sars-CoV-2 in chi si è sottoposto a vaccinazione nell’ultimo anno è del 26% negli over-65 e si attesta al 15% considerando ogni età, per scendere rispettivamente al 19 e 8% in chi si è protetto durante gli ultimi due anni.

Migliore risposta al Covid-19

«Inoltre, essere vaccinati per l’influenza potrebbe favorire una miglior risposta a Covid-19: lo fa pensare uno studio condotto in Brasile su più di 92.000 persone con infezione confermata da Sars-CoV-2 – riprende Remuzzi -. Chi si era vaccinato recentemente aveva un rischio ridotto dell’8% di finire in terapie intensiva e del 18% di necessitare di trattamento di assistenza respiratoria invasiva, rispetto ai non vaccinati. Non si possono trarre conclusioni definitive, ma comunque questi dati sono di grande interesse». Tra le ipotesi che potrebbero spiegare la situazione c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su The Lancet che dimostra come i virus influenzali potrebbero facilitare l’ingresso di Sars-CoV-2 nell’apparato respiratorio, attraverso una maggior “espressione” dei recettori Ace-2, punto d’aggancio per le “spikes” (ovvero le punte d’attacco) di Sars-CoV-2. Ma siamo solo all’inizio dei processi di conoscenza. Il tempo dirà quanto e come gli “altri” vaccini ci aiuteranno contro Covid-19.

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