FOTO ESPOSIZIONE SOLARE E SICUREZZA SUL LAVORO

14 Luglio 2020

Da superabile.it

Sono in tanti a svolgere le proprie mansioni all’aperto, soprattutto in questo periodo dell’anno: una situazione che può comportare a causa delle radiazioni notevoli rischi per la salute. I consigli dei ricercatori dell’Inail per cercare di prevenire i danni. 

Gli esperti li chiamano “lavoratori outdoor” perché svolgono una frazione significativa del proprio orario lavorativo all’aperto e sono interessati dalle patologie correlate con l’esposizione a luce solare. Sono gli agricoltori, i giardinieri, i portuali, gli operai, ma anche gli istruttori di sport all’aperto, i benzinai, i portalettere, i bagnini, i vigili urbani e l’elenco non finisce qui. Sono tutte persone che per lavoro devono stare sotto il sole, spesso troppe ore e senza protezione. A loro e ai datori di lavoro è stato dedicato in passato un opuscolo, curato da Adriano Papale, medico ricercatore dell’Inail (ex Ispesl), “La radiazione solare ultravioletta: un rischio per i lavoratori all’aperto”, una guida sempre utile con consigli e le valutazioni sul rischio da esposizione solare, di cui esamineremo in questo approfondimento i principali aspetti suggeriti in ambito preventivo.

Come l’Inail misura la potenza del sole. Il laboratorio Agenti fisici del dipartimento Igiene del lavoro dell’Inail (ex Ispesl) svolge attività di ricerca sulla prevenzione dei rischi di esposizione lavorativa alle sorgenti di radiazioni ultraviolette, visibili e infrarosse di origine artificiale ma anche, e da più tempo, sulle problematiche relative all’esposizione lavorativa alla radiazione ultravioletta solare. Il laboratorio dispone di un radiometro solare situato sul tetto del Centro di ricerca di Monteporzio. Si tratta di uno strumento di precisione che misura la potenza che il nostro sole “dona” al nostro pianeta nelle varie bande dello spettro elettromagnetico, in particolare, misura la potenza per unità di superficie (irradianza) nelle bande Uva e Uvb. Da questi dati è possibile ricavare l’Uv-Index, una semplice scala di valori da zero a 11, che permette di quantificare con estrema semplicità il fattore di rischio di esposizione alla radiazione ultravioletta solare da “basso” (1-2), a “medio” (3 a 5) fino a “molto alto” (da 6 a 10). Questi studi sono coordinati da Massimo Borra, ricercatore, che ha progettato un portale per gestire, visualizzare e condividere i dati dei radiometri istallati e di tutti i futuri radiometri di altre istituzioni pubbliche o meno che vorranno utilizzare i vantaggi della rete.

I rischi da eccessiva esposizione ai raggi Uv. La radiazione solare ultravioletta deve essere considerata a tutti gli effetti un rischio di natura professionale per tutti i lavoratori outdoor e deve essere posto alla stregua di tutti gli altri rischi (chimici, fisici, biologici) presenti nell’ambiente di lavoro. La permanenza al sole per un periodo più o meno prolungato (la variabilità è soggettiva) può provocare, in particolare se la pelle non è già abbronzata, la comparsa dell’eritema solare. Se l’esposizione è stata particolarmente intensa possono comparire vescicole o bolle seguite da erosioni (ustioni solari). Altro tipo di lesione cutanea è la fotosensibilizzazione, reazione secondaria all’assunzione di alcune sostanze (soprattutto farmaci o composti chimici fotosensibilizzanti contenuti in creme, cosmetici o profumi), con meccanismo tossico o allergico nel momento in cui ci si espone al sole.

Dal fotoinvecchiamento alle neoplasie. Fenomeni rilevanti a carico della cute sono anche il fotoinvecchiamento e la foto carcinogenesi, effetti cronici che derivano dall’accumularsi dei danni causati da esposizioni prolungate nel tempo (anni), al sole e/o a fonti artificiali e sono tanto più precoci e marcati quanto più la pelle è chiara o non adeguatamente protetta. Le neoplasie cutanee possono essere di origine epiteliale come le cheratosi solari, gli epiteliomi spinocellulari (o squamocellulari) e gli epiteliomi basocellulari e di origine melanocitica, come il melanoma. L’esposizione cumulativa ai raggi ultravioletti favorisce l’instaurarsi dell’epitelioma (o carcinoma) squamocellulare. Questa neoplasia infatti presenta un’incidenza massima nelle persone con una esposizione ai raggi Uv cumulativa elevata nel corso della propria vita e tipicamente in chi svolge un’attività lavorativa all’aperto – come marinai e agricoltori – e le sedi più frequentemente colpite sono quelle più esposte al sole (volto, cuoio capelluto, dorso delle mani).  Per quanto riguarda invece la relazione esistente tra esposizione a raggi Uv e insorgenza del carcinoma basocellulare e del melanoma maligno, gli studi indicano che le due neoplasie sono legate a un’esposizione massiva al sole, soprattutto in chi tende più a scottarsi. Il rischio di melanoma è maggiore nelle aree corporee coperte, cioè non abituate al sole e, sottolineano gli esperti, per i soggetti che normalmente non si espongono al sole per motivi professionali.

Ma quanto sono esposti i lavoratori outdoor? La ricerca “Neoplasie cutanee non-melanoma nei lavoratori professionalmente esposti a radiazione solare ultravioletta”, condotta (nel 2007) dalle sezioni di Medicina del lavoro e tossicologia occupazionale e di Dermatologia dell’Università degli studi di Siena, in collaborazione con il dipartimento di Medicina del Lavoro Inail (ex Ispesl) e il Dipartimento di Prevenzione della Ausl n.7 di Siena, ha evidenziato che i lavoratori outdoor del comparto agricolo della Toscana sono esposti a dosi elevate di radiazione solare ultravioletta. Tipici valori di Med (minima dose d’esposizione alla radiazione solare per produrre arrossamento entro le 24 ore successive) per un individuo caucasico, debolmente pigmentato, vengono largamente superati (per un fattore da 6 a 30 volte) anche all’inizio della stagione lavorativa outdoor (Aprile). L’età media dei casi epitelioma riscontrati occorsi nella popolazione agricola studiata si è rivelata molto alta, compatibile con il lungo periodo di latenza della neoplasia, con un’esposizione lavorativa media alle radiazioni solari molto lunga (42,9 anni nei maschi e 36,3 anni nelle femmine).

Le tutele legislative: un aggiornamento. La legislazione riguardante la protezione dagli Uv risale al 1956. La protezione dei lavoratori nei confronti degli agenti fisici è oggi disciplinata al titolo VIII del D.lgs 81/2008. Il capo V del titolo VIII del D.lgs 81/2008 recepisce la direttiva 2006/25/CE e si applica solo ai lavoratori esposti a radiazioni ottiche artificiali durante il lavoro. Visto che il campo di applicazione del D.lgs 81/2008 è esteso a tutti i rischi per i lavoratori, la valutazione dei rischi e le relative misure di tutela vanno poste in atto anche per i lavoratori esposti a radiazioni ottiche di origine naturale, in pratica alla radiazione solare. La norma Uni En 14255 “Misura e valutazione dell’esposizione personale a radiazioni ottiche incoerenti” è composta da 4 norme che trattano le sorgenti articiali; tra queste la terza, la Uni En 14255-3, si applica, invece, al caso di esposizione residenziale e lavorativa alla radiazione solare e può essere utilizzata come indicazione per effettuare una valutazione del rischio occupazione alla radiazione naturale. Attualmente il decreto ministeriale 9 aprile 2008 (G.U. n. 169 del 21 luglio 2008) “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura” ha inserito la seguente voce tra le malattie tabellate “malattie causate da radiazioni solari”: cheratosi attiniche; epiteliomi cutanei delle sedi fotoesposte; altre malattie causate dalla esposizione professionale alle radiazioni solari.

Le strategie di protezione: i consigli degli esperti. La fotoprotezione ambientale, come sottolinea Papale, consiste nell’attuare una sorta di schermatura con teli e con coperture, ove possibile, e fornire cabine schermate per i lavoratori che devono sostare a lungo all’aperto. Per creare zone d’ombra esistono anche strutture portatili (simili a ombrelloni) che il lavoratore sposta secondo le proprie esigenze. Bisognerebbe poi sfruttare le ombre degli alberi o di costruzioni vicine e fornire al lavoratore un luogo ombreggiato per le pause.  Un altro consiglio è l’organizzazione dell’orario di lavoro: durante le ore della giornata in cui gli Uv sono più intensi (ore 10/14 oppure 11/15 con l’ora legale) dedicarsi ai compiti svolti all’interno, riservando quelli all’esterno per gli orari mattutini e serali.

L’importanza di creme solari, abiti adeguati e occhiali. Anche i prodotti antisolari (creme con filtri solari) hanno dimostrato la loro validità nel ridurre l’incidenza sia di alterazioni neoplastiche epiteliali della cute sia il fotoinvecchiamento. E ancora indossare un cappello in tessuto anti Uv, a tesa larga e circolare (di almeno 8 cm.) per proteggere capo e viso. Quando si lavora al sole, anche se fa caldo non bisogna scoprirsi, vanno usati invece abiti leggeri e larghi, maniche e pantaloni lunghi e tessuti che proteggano dai raggi Uv. Non dimentichiamo infine di proteggere gli occhi. Infatti l’esposizione per una o due ore senza protezione, può determinare arrossamento e bruciore (cheratite) dovuta alla radiazione Uva che può favorire, soprattutto nei più giovani, la formazione precoce di cataratta. Gli occhiali da sole proteggono anche da quella parte dello spettro visibile ancora molto energetica (luce blu) che, raggiungendo la retina e contrariamente agli Uva assorbiti tra la cornea e il cristallino, può provocare, reazioni fototossiche alla base di potenziali effetti di degenerazione maculare senile.

La prevenzione più efficace? Un po’ di “buon senso”. Insomma, come rileva Massimo Borra, l’esposizione alla radiazione solare deve essere “pensata” per poterne godere degli aspetti benefici e salutari senza incorrere, o perlomeno rendendo minimi, gli immancabili ma “naturali” effetti dannosi. “Per lavorare correttamente all’aperto limitando i rischi di esposizione alla radiazione solare dobbiamo solo ritrovare il “buon senso al sole” dei nostri nonni e bisnonni contadini, che si alzavano all’alba per mietere il grano, riposavano all’ombra durante le ore di canicola e vestivano camicie e cappelloni di paglia”, conclude Borra. “Se poi consideriamo che forse non sapevano neppure leggere e che “sicurezza del lavoro” forse significava solamente “certezza di un salario” alla fine della giornata, allora possiamo essere sicuri che, se ci sono riusciti loro, con un po’ di “buon senso” anche noi, oggi, possiamo lavorare nel modo corretto “alla luce del sole”. (fonte Inail)

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