Monthly Archives: Aprile 2020

TESTS SIEROLOGICI A TAPPETO IN LOMBARDIA

Da skytg24.it

Ventimila test sierologici al giorno a partire dal 21 aprile. Lo annuncia la Regione Lombardia con una nota in cui viene spiegato che si partirà “dagli operatori sanitari e socio sanitari e dai cittadini che devono tornare al lavoro, con particolare riferimento alle province di Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi. 

I test certificheranno l’immunità

I test, spiega la Regione, sono stati “ideati e testati dall’Irccs pubblico San Matteo di Pavia”, e certificheranno “l’immunità al virus, permettendo di gestire in modo consapevole la cosiddetta fase 2”. Al San Matteo di Pavia, “uno dei quattro Irccs pubblici della Regione, sarà riconosciuta dalla società che produce i test una royalty dell’1%”. Risorse, precisa la Regione, “che saranno reinvestite per finanziare la ricerca pubblica e i ricercatori impegnati ogni giorno in prima linea per la lotta al Covid”.

Fontana: “Con test sierologico patente immunità per fase 2”

Il test dovrebbe riuscire a dare “la ‘patente di immunità’ al Covid-19 individuando le persone che hanno avuto questa malattia e che hanno un numero sufficiente di anticorpi da garantire la copertura”. Lo ha affermato il governatore lombardo Attilio Fontana a Pomeriggio Cinque, aggiungendo che nella regione “inizieremo dal giorno stesso 20mila analisi al giorno che rivolgeremo innanzitutto agli operatori sanitari e poi alle persone che dovranno rientrare al lavoro per prepararsi alla fase due.

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TEST SIEROLOGICI COVID-19 COSA SONO E COSA A SERVONO

test sierologici applicati al coronavirus assumeranno importanza sempre più rilevante nella pianificazione del post lock-down. E’ infatti grazie a questi strumenti che potremo avere un quadro più chiaro di chi è entrato realmente in contatto con il virus. Un’informazione utile per poter allentare progressivamente le misure restrittive.

CHE COSA SONO I TEST SIEROLOGICI?

A differenza degli ormai noti “tamponi“, esame di laboratorio che serve per individuare la presenza del coronavirus all’interno delle mucose respiratorie, i test sierologici servono ad individuare tutte quelle persone che sono entrate in contatto con il virus. Mentre i primi forniscono un’istantanea sull’infezione, i secondi “raccontano” la storia della malattia. Attraverso i test sierologici infatti è possibile andare ad individuare gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus.

COSA VALUTANO?

test sierologici sono essenzialmente di due tipi: quelli rapidi e quelli quantitativi. I primi, grazie ad una goccia di sangue, stabiliscono se la persona ha prodotto anticorpi -e quindi è entrata in contatto con il virus-; i secondi, dove serve un prelievo, dosano in maniera specifica le quantità di anticorpi prodotti. In entrambi i casi i test sierologici vanno alla ricerca degli anticorpi (immunoglobuline) IgM e IgG. Le IgM vengono prodotte temporalmente per prime in caso di infezione. Con il tempo il loro livello cala per lasciare spazio alle IgG. Quando nel sangue vengono rilevate queste ultime, le IgG, significa che l’infezione si è verificata già da diverso tempo e la persona tendenzialmente è immune al virus

A COSA SERVONO?

Conoscere la presenza di questi anticorpi è utile per molte ragioni. Innanzitutto, poiché forniscono il “film“della malattia e non un’istantanea, ci consentono di sapere quante persone hanno realmente incontrato il virus. Ciò è importante soprattutto alla luce del fatto che molte persone con Covid-19 hanno avuto sintomi blandi o addiruttura sono asintomatiche.

Ciò accade grazie agli studi di sieroprevalenza, ovvero studi in cui si sottopone al test un campione rappresentativo della popolazione. Grazie a queste analisi è possibile conoscere la reale letalità della malattia, la diffusione geografica e la diffusione nelle diverse fasce di età. Indicazioni utili per pianificare quando, come e quanto allentare le misure restrittive.

IL NODO DELL’AFFIDABILITA’

Attenzione però a pensare che tutti i test sierologici siano uguali. Ciò che conta, in ottica delle prossime fasi di gestione della pandemia, è l’affidabilità di questi esami. Test con molti falsi positivi rischierebbero di dare il via libera a persone che in realtà non hanno mai contratto il virus. Non solo, si rischierebbe una fotografia della circolazione del virus poco aderente alla realtà. E’ per questa ragione che già ora si stanno valutando tanti test sierologici confrontando il dato ottenuto dal tampone positivo. Solo con un test altamente affidabile potremo estendere l’utilizzo di queste analisi nell’ottica di un allentamento delle misure.

Da Fondazione Veronesi. It

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TEST RAPIDO COVID19 CORONAVIRUS CON TECO MILANO

TECO MILANO propone tramite il suo staff medico e/o al servizio dei medici competenti i TEST RAPIDI SIEROLOGICI per contribuire in ambito aziendale alla lotta al COVID19 e per LA GESTIONE DELLA FASE2

RISULTATI RAPIDI E AFFIDABILI

CASSETTA TEST RAPIDO PER IGG / IGM COVID-19

La cassetta per test rapidi IgG / IgM COVID-19 (sangue intero / siero / plasma) è un test immunocromatografico in fase solida per la rilevazione rapida, qualitativa e differenziale di anticorpi IgG e IgM verso il nuovo Coronavirus nel sangue intero umano (venoso e capillare), siero o plasma.

CARATTERISTICHE E VANTAGGI

  • Risultati rapidi e affidabili (in soli 2-10 minuti)
  • Procedura semplice e veloce: non è necessaria alcuna formazione specialistica
  • Il test può essere eseguito con sangue intero (venoso e capillare), siero o plasma
  • Sono necessarie piccole dimensioni del campione: solo 5 μL di siero / plasma o 10 μL di sangue intero
  • Tutti i reagenti necessari inclusi e nessuna attrezzatura necessaria
  • Alta sensibilità (test IgG 97,2%; test IgM 87,9%) e specificità (test IgG e IgM 100%)

La cassetta test rapido IgG / IgM COVID-19 è stata valutata clinicamente dall’ospedale Renmin – Università di Wuhan, Cina.

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COVID 19 E DIABETE

Da il giornale

Articolo di Melania Rizzoli

Tutti gli oltre 4milioni di diabetici italiani non hanno un rischio più elevato di contrarre il Coronavirus, ma hanno maggiori possibilità di sviluppare serie complicanze qualora si dovessero infettare. Uno studio pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation da un gruppo di ricercatori dell’ Università di Padova ha dimostrato come i pazienti diabetici, che già presentano normalmente un aggravamento clinico durante il decorso di qualsiasi malattia acuta intercorrente, nel caso di infezione virale da Covid 19 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici. I risultati della ricerca infatti, evidenziano chiaramente che chi soffre di iperglicemie con carenza di produzione nel pancreas di insulina, soprattutto se la malattia non è ben compensata e sotto controllo , nel caso in cui contraggano l’ infezione virale in corso nel nostro Paese, debbano necessariamente essere vigilati con maggiore attenzione e monitorati h24, per gestire l’ elevata possibilità di gravi complicanze alle quali questa popolazione risulta esposta.

Anche uno studio cinese,condotto nella Huazhong University of Scienze di Wuhan, pubblicato sulla rivista scientifica Diabetes/Metabolism Research and Reviews, ha registrato valori più elevati di alcuni indici coagulativi e di marcatori infiammatori nei diabetici con polmonite virale in atto, sottolineando come le eccessive risposte di ipercoagulabilità e di flogosi interstiziale a livello degli alveoli polmonari, legati ad una cattiva regolazione del metabolismo del glucosio, aggravassero di fatto il decorso della polmonite da Coronavirus, favorendo lo sviluppo di complicanze multiorgano, coinvolgenti il cuore, il fegato, i reni, l’ apparato vascolare e neurologico. Questo è il primo studio che valuta le caratteristiche biochimiche dei pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2 positivi al Covid 19, dal quale emerge chiaramente che tutti i diabetici presentano una infiammazione più pronunciata degli altri, una polmonite virale più grave, con sviluppo di maggiore versamento pleurico, i quali quindi dovrebbero essere oggetto di terapie più mirate volte a contenere lo stato flogistico a livello sistemico, poiché porre la giusta attenzione a questa problematica significa migliorarne la prognosi.
COLPA DI UN ENZIMA – Diabete e Covid 19 infatti, rappresentano due pandemie importanti a livello globale, le quali, se pur con caratteristiche diverse, essendo una acuta e l’ altra cronica, una trasmissibile e l’ altra non contagiosa, tuttavia appaiono interconnesse più di quanto si pensasse in precedenza, poiché l’ enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus ma senza diabete.

Le complicanze causate dal diabete di lungo corso inoltre, quali arteriopatie, neuropatie, nefropatie e retinopatie, che hanno di norma un decorso cronico, oltre alla predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali più difficili da controllare, durante la infezione Covid 19 si riacerbano e si riacutizzano, aggravando la già precaria situazione clinica, esponendo il soggetto diabetico ad un elevato rischio di complicanze dei suoi organi vitali. Sebbene lo studio succitato sottolinei che, tra quanti avevano contatto l’ infezione virale, la percentuale di diabetici non fosse superiore rispetto alla prevalenza del diabete nella popolazione generale, tutte le persone con valori alterati della glicemia hanno sviluppato durante l’ epidemia serie complicanze durante il decorso di tale patologia, confermando la regola generale scientificamente provata di comprovata fragilità di tali soggetti. Su 20 soggetti ricoverati in terapia intensiva infatti, 15 sono risultati diabetici ed obesi, poiché anche l’ obesità, nota anticamera del diabete, è una patologia che predispone ad una penetrazione e ad una aggressività più alta del virus, che trova terreno fertile in questi fragili pazienti dal punto di vista immunologico. Inoltre quasi tutti gli obesi presentano insufficienze respiratorie più o meno marcate, ed essendo il Corona un virus che attacca prevalentemente i polmoni, le conseguenze sono facilmente prevedibili.

Quindi, tutti coloro che sono affetti da obesità e diabete, sia esso insulino-dipendente o indipendente, devono cercare di evitare in qualunque modo il contagio da Coronavirus, devono tenere la loro glicemia sotto controllo e su valori accettabili durante le 24 ore, ed essere prudenti più del resto della popolazione, seguendo scrupolosamente le misure di prevenzione più volte ribadite dal ministero della Salute e dall’ Istituto Superiore di Sanità, soprattutto quelle igieniche, oltre a mantenere il distanziamento sociale dalle altre persone.

Anche perché se un paziente diabetico avanti con l’ età è afflitto anche da altre patologie, quali asma, cardiopatie, insufficienza renale e neuropatie, la sovrapposizione dell’ infezione virale in corso può aggravare le condizioni generali, complicare le malattie di base e condurre persino al decesso. Tra gli oltre 105 medici deceduti in Italia durante questa epidemia, una decina di loro erano diabetologi, specialisti chiamati ripetutamente nelle terapie intensive al letto di pazienti diabetici con valori di glicemia alle stelle, che necessitava di essere regolata, e che hanno prestato la loro professionalità esponendosi al rischio infettivo e all’ aggressività del virus che poi li ha colpiti e portati a morte, pur non essendo diabetici.

È plausibile che il rischio maggiore sia per i pazienti diabetici sopra i 65 anni con presenza di comorbilità quali ipertensione e malattie cardiovascolari, mentre è altrettanto plausibile che le forme severe di Covid 19 sono estremamente rare nei soggetti giovani e pediatrici affetti da iperglicemie, pur ribadendo che anche loro devono seguire seriamente le raccomandazioni di prevenzione del contagio.
Qualunque paziente diabetico che sospetti di essere stato contagiato dall’ infezione Covid 19 in Lombardia deve chiamare il numero verde unico regionale 800.89.45.45, oppure il numero 1.500 nazionale, ed in alternativa il proprio diabetologo per eventuali modifiche della terapia insulinica in atto.


IL BILANCIO ITALIANO Il report dell’ Istituto Superiore di Sanità del 20 marzo sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete, registrando che circa il 43,9% dei soggetti deceduti per i quali sono disponibili dati sulle patologie croniche preesistenti all’ infezione era affetto da diabete mellito, mentre il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Inoltre le ricerche sul tema hanno evidenziato che alcuni farmaci ad uso comune tra i diabetici cronici, quale gli Ace inibitori, molecole con effetti anti ipertensivi, che agiscono sulla funzionalità cardiaca ed ostacolano l’ insorgenza della insufficienza renale, possano facilitare l’ infezione ed aggravare l’ evoluzione del Covid 19.
In sintesi, le conoscenze attuali sulla prevalenza del Coronavirus e sul decorso della malattia virale nelle persone diabetiche sono in evoluzione con analisi più dettagliate, ma intanto, nel dubbio, tutti gli oltre 4 milioni di diabetici italiani è bene che sappiano che la loro fragilità metabolica va difesa ad ogni costo dall’ infezione, per evitare di incorrere in conseguenze che potrebbero potenzialmente mettere a serio rischio la propria vita.

COME SANIFICARE ARTIGIANALMENTE UNA MASCHERINA

coem sanificare la mascherina
Coronavirus, come sanificare la propria mascherina

ROMA – Una guida per sanificare la propria mascherina avendo così modo di riutilizzarla. A pubblicare il video sul web è la dottoressa Elena Pontarollo che mostra un metodo semplice e sicuro per avere sempre naso e bocca ben protetti contro l’infezione da coronavirus.

Da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19, uno dei problemi più annosi è quello di procurarsi le mascherine. Ce ne sono però poche in circolazione e quindi in molti casi bisogna riutilizzare il più possibile quelle che abbiamo. Medici ed esperti sostengono però l’importanza di sostituirla ogni giorno per scongiurare il rischio che si trasformarsi da oggetto protettivo ad oggetto di trasporto del virus.

Se questo non è possibile esiste un metodo rapido ed efficace che permette di sanificarla riutilizzando più volte lo stesso dispositivo di protezione. A spiegare cone fare è la Pontarollo: per iniziare bisogna procurarsi una bottiglia di alcool denaturato e un recipiente largo e profondo circa 25 cm che abbia il coperchio. In alternativa può andare bene anche una pentola da cucina sempre con un suo coperchio. Avendo tutto quello che ci serve, la sanificazione può iniziare.

L’operazione è motlo semplice: bisogna riempire il recipiente con circa 1.5 centimetri di alcol. Poi si deve appiattire e piegare la mascherina per farla aderire tramite gli elastici al lato interno del coperchio. A questo punto bisogna legarla posizionando gli elastici sul lato esterno del coperchio assicurando n questo modo che la mascherina sia ferma e aderisca perfettamente alla superficie interna.

Infine bisogna chiudere il recipiente collocando il coperchio nella maniera corretta: la mascherina resterà all’interno del contenitore per circa 3-4 ore. L’evaporazione dell’alcool sanificherà la mascherina, rendendola sterile, asciutta e perfettamente riutilizzabile. Attenzione però a non superare le 4 ore di evaporazione: la mascherina potrebbe bagnarsi con i vapori perdendo così la sua efficacia (La Stampa, Monza Today).

INPS : CORRETTA IDENTIFICAZIONE DEI CASI DA TUTELARE CON CERTIFICAZIONE DI MALATTIA

DA ORDINE DEI MEDICI DI PARMA

Privacy & Cookies – Ordine dei Medici Chirurghi e degli ...

RICEVIAMO DALL’INPS PROVINCIALE  E PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE IL CONTENUTO DELLA NOTA PERVENUTA DALL’UFFICIO MEDICO LEGALE REGIONALE DELL’INPS

 

Spett. Ordine dei Medici di PARMA

Gentile Presidente,

al fine di chiarire ulteriormente la corretta identificazione dei casi da tutelare con certificazione di malattia, in seguito alle disposizioni ufficiali del Coordinamento Generale Medico Legale INPS della Regione Emilia Romagna, si comunica quanto segue:

  • in situazione di emergenza da COVID 19, pazienti con patologia cronica e/o immunodepressi ma asintomatici sono da ritenere a maggior rischio di contrarre infezione.
  • Pertanto l’INPS accetterà certificati di malattia in casi simili, da identificare col codice V07 (persone con necessità di isolamento, altri rischi potenziali di malattie e misure profilattiche)
  • Oltre al suddetto codice, andrà specificata in campo diagnosi la patologia cronica associata o la causa di immunodepressione
  •   Rimane il codice V29.0 in caso di QUARANTENA, ISOLAMENTO FIDUCIARIO, FEBBRE CON SOSPETTO DI CORONAVIRUS

TERAPIA ANTIPERTENSIVA E COVID-19 :UN PO ‘ DI CHIAREZZA

 

Dal Cdi centro diagnostico italiano

In questo difficile momento si stanno diffondendo, prevalentemente attraverso la stampa divulgativa ed i social media, notizie allarmanti circa una possibile facilitazione dell’infezione da COVID-19 nei pazienti in trattamento con ACE-inibitori e/o con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (cosiddetti “sartani”), farmaci diffusamente utilizzati per la terapia dell’ipertensione arteriosa.

La base di questo allarme teorico è sostanzialmente duplice: sperimentale e clinica.

  • Dal punto di vista sperimentale, osservazioni effettuate sui topi hanno dimostrato che, analogamente al coronavirus della SARS, quello di COVID -19 utilizza il legame ad un recettore di membrana, noto come ACE2, per infettare le cellule. Poiché i livelli di questo recettore sono aumentati in corso di terapia con ACE-inibitori e sartanici, è stato avanzato il dubbio puramente speculativo di un possibile potenziamento dell’azione virale da parte di questi farmaci.
  • Dal punto di vista clinico, di contro, è stato riportato dai medici cinesi nel corso delle prime settimane del focolaio epidemico di Wuhan che l’ipertensione arteriosa rappresenterebbe un fattore di rischio indipendente di aumentata mortalità nei pazienti affetti da COVID -19.

In considerazione del comprensibile allarme suscitato da queste segnalazioni, spesso amplificato da fonti autoreferenziali e non autorevoli, le principali Società scientifiche interessate, ed in particolare il Council on Hypertension della Società Europea di Cardiologia e la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa-Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa, si sono affrettate ad emettere delle comunicazioni ufficiali atte a fare chiarezza sul problema i cui punti essenziali possono essere così riassunti:

  1. Allo stato attuale non esistono evidenze scientifiche sufficienti ad associare l’ipertensione arteriosa alla malattia COVID-19 né in senso causale né prognostico; in altre parole, ad oggi non ci sono prove che la popolazioni degli ipertesi sia sovrarappresentata tra coloro gravemente infetti da COVID-19.
  2. Non esistono evidenze cliniche nell’uomo che associno l’assunzione di ACE-Inibitori o sartani alla malattia COVID-19.
  3. Malgrado alcuni studi sperimentali abbiano addirittura suggerito un possibile effetto protettivo di ACE-Inibitori o sartani, non esistono dati clinici che possano confermare né un effetto dannoso né protettivo nel contesto della pandemia COVID-19.

Conseguentemente, vengono raccomandate le seguenti linee di comportamento:

  • In pazienti ipertesi stabili con o a rischio di infezioni COVID-19, il trattamento con ACE- Inibitori e sartani può essere intrapreso o continuato in accordo alle raccomandazioni contenute nelle linee guida della Società Europea di Cardiologia.
  • Analogamente, tutti i pazienti ipertesi attualmente in terapia con ACE-inibitori e/o sartani possono proseguire il trattamento senza necessità di modifiche.

Conclusioni del tutto analoghe vengono suggerite da uno “Special Report” sull’argomento pubblicato il 31 marzo sul New England Journal of Medicine, la rivista medica più autorevole del pianeta. Oltre che a sconsigliare eventuali modifiche di terapia in pazienti ipertesi ben compensati dall’assunzione di ACE-Inibitori o sartani, gli autori mettono in guardia dal potenziale di rischio derivante da una loro sospensione repentina in categorie di soggetti a rischio aumentato come quelli con esiti di infarto miocardico o affetti da insufficienza cardiaca.

FORSE IL FUMO AGGRAVA IL COVID-19

Da il Giornale.it

di Il fumo aggrava il Covid? Ecco lo studio sui rischi9 Aprile 2020 – 13:36

Secondo una ricerca, la molecola Ace-2 che consente “l’ingresso” del Covid nelle vie polmonari è particolarmente elevata in chi fuma e chi soffre di broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). In questi soggetti, il virus può essere più aggressivo ma c’è una buona notizia: gli ex-fumatori presentano livelli bassi come chi non ha mai fumato

Che sia la volta buona per smettere di fumare? Se le scritte sui pacchetti di sigarette quali “Il fumo uccide” non hanno poi un così grande impatto sociale, sapere che il Coronavirus si accanisce sui fumatori più incalliti potrebbe far cambiare idea.

Ex-fumatori avvantaggiati

Uno studio condotto alla British Columbia University ed al St. Paul’s Hospital di Vancouver, in Canada, dimostra che i fumatori e coloro che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) presentano livelli elevati di una molecola chiamata “enzima di conversione dell’angiotensina II” (Ace-2). Proprio l’Ace-2 è un punto d’accesso che consente al virus Sars-Cov-2 di entrare nelle cellule polmonari e causare l’infezione.

Come si legge sul Corriere, la ricerca, pubblicata sulla rivista specializzata European Respiratory Journal, concede una speranza in più a chi decide di smettere: i livelli d Ace-2 negli ex-fumatori sono notevolmente più bassi rispetto a quelli presenti in coloro che continuano a fumare.

La malattia

Ma cos’è la broncopneumopatia cronica ostruttiva? È una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità ed è strettamente correlata al fumo di sigaretta che ne rappresenta la causa principale. Oltre all’ostruzione, si associa un’infiammazione progressiva del tessuto polmonare con conseguente difficoltà nel respirare, a livelli più o meno gravi.

I dati che osserviamo dalla Cina suggeriscono che i pazienti con Bpco hanno un rischio maggiore di esiti peggiori da Covid-19 — conferma Janice Leung, l’autrice dello studio – Abbiamo ipotizzato che ciò sia dovuto ai livelli elevati di Ace-2 nelle vie aeree, che potrebbero forse rendere più facile l’ingresso del virus e lo sviluppo dell’infezione“.

Lo studio

Il team di ricerca ha analizzato alcuni campioni prelevati dai polmoni di 21 pazienti affetti da Bpco e di 21 persone in salute, ha misurato il livello di Ace-2 e lo ha confrontato con specifiche situazioni distinguendo tra soggetto fumatore, ex fumatore o che non aveva mai acceso una sigaretta. Il risultato è stato chiaro: i livelli più elevati di Ace-2 sono stati osservati nei pazienti con Bpco, ma anche nei fumatori.

I ricercatori, hanno successivamente confrontato le loro conclusioni con due studi precedenti condotti su 249 persone (anche in questo caso suddivise tra fumatori, ex fumatori e non fumatori) avendo la conferma che i livelli della molecola Ace-2 sono particolarmente alti nei soggetti che fanno uso di tabacco ed inferiori in coloro che non hanno mai avuto il vizio o che hanno smesso.

Smettere di fumare”

«I pazienti con Bpco dovrebbero attenersi rigorosamente al distanziamento sociale e all’igiene delle mani consigliata per prevenire l’infezione — afferma Leung, che sottolinea come chi ha smesso di fumare torna quasi ai livelli di chi non ha mai acceso una sigaretta – Abbiamo però scoperto che gli ex fumatori hanno livelli di Ace-2 simili rispetto a chi non ha mai acceso una sigaretta. Questo dato suggerisce che non c’è mai stato un momento migliore per smettere di fumare, anche per proteggersi da COVID-19“.

Se da un lato gli studi mettono in guardia i fumatori, dall’altro non si è ancora trovata la possibilità di modificare questa molecola per far guarire i malati di Covid. “Lo studio fornisce alcune informazioni interessanti sul perché alcune persone potrebbero essere più a rischio di altre – afferma Tobias Welte, della European Respiratory Society – non ci dice, però, se è possibile manipolare i livelli di Ace-2 per migliorare la sopravvivenza nei pazienti con infezione da Covid-19 (con farmaci chiamati Ace-inibitori, ndr) o se questo potrebbe fare la differenza nei pazienti con Bpco“.

COME RENDERE LA PROPRIA AUTO SICURA DA COVID-19

Da ilgiornale.it

Ogni possibile misure di prevenzione contro il coronavirus è cosa buona e giusta, a partire anche dalla propria vettura. Ecco i consigli dell’esperto per mettersi in sicurezza

Perché la prevenzione non è mai troppa di questi tempi. Causa pandemia di coronavirus, siamo costretti a vivere in casa e a prendere tutte le misure necessarie quando usciamo per motivi di lavoro, salute o prima necessità. Già, perché, ricordiamolo, il governo ha operato un giro di vite, limitando ulteriormente le ragioni per le quali si può uscire – a piedi, in bicicletta, in motorino o in auto – e farlo solo in possesso del nuovo modulo di autocertificazione. Ecco, abbiamo detto “auto“. E allora perché non riportare i preziosi consigli del virologo Fabrizio Pregliasco, che ha fornito un semplice vademecum su come disinfettare il proprio veicolo, mettendolo – e mettendosi – in sicurezza.

Innanzitutto è bene sottolineare l’importanza di disinfettare l’interno del proprio abitacolo in quanto si tratta di un ambiente piccolo, motivo per il quale – in questi giorni – sarebbe consigliato non trasportare più di una persone oltre al conducente, così da mantenere la distanza minima di sicurezza di oltre un metro.

L’attuale direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano, interpellato da Dearlink ha spiegato: “Dal momento che quello dell’auto è uno spazio piccolo e chiuso, è bene provvedere alla sanificazione dell’abitacolo, che facilita la permanenza al suo interno del coronavirus. Ciò che è più vicino alla bocca, cioè quello che troviamo davanti a noi guidando – volantecruscotto – si contamina di più”. Ma non è tutto, infatti: “Dobbiamo tenere presente la contaminazione delle mani, e quindi leva del cambio, freno a mano, pulsanti…”.

COME DISINFETTARE L’AUTO

Veniamo dunque alla procedura consigliata dall’esperto. La prima cosa da fare, così da procedere alla sanificazione degli interni della vettura, è quella di dotarsi dei dispositivi di protezione. Quindi, armatevi di mascherinaguanti in lattice monouso, carta assorbentedisinfettante detergente a base di alcool o cloro per le superficie, ma anche del detergente antibatterico per le mani.

Fate attenzione alla saliva, visto che rappresenta il vettore di contagio principale del Covid-19. Questo significa che, prima di mettersi a disinfettare la macchina, bisogna indossare la mascherina. Solo in seguito si può procedere a igienizzarsi le mani e a seguire a indossare i guanti.

Il passo successivo è quello di spruzzare il detergente alcolico o con cloro sulle superfici o sulla carta per pulire e dunque dare il “la”al lavoro con tanto olio di gomito.

Un consiglio: il volante è lo “strumento” più toccato in auto, così come la leva del cambio e le levette laterali delle frecce. Quindi prestate attenzione a sanificare con zelo le loro superfici. In secondo luogo, badate bene al cruscotto e a tutti i pulsanti bottoni presenti all’interno dell’abitacolo, da quello della portiera, a quelli del riscaldamento/aria condizionata, della radio e compagnia cantante.

Non scordatevi la leva de freno a mano e lo specchietto retrovisore. Ultimo, ma non meno importante, disinfettate le portiere all’interno e all’esterno e anche le maniglie per aprirla e chiuderla.

EFFETTI PSICOLOGICI DELLA PANDEMIA COVID-19

Vivere una pandemia può traumatizzarti per sempre, dice uno psicologo

Poco prima che scoppiasse la pandemia da Coronavirus Steven Taylor, professore e psicologo clinico nel dipartimento di Psichiatria dell’Università della British Columbia, stava per pubblicare The Psychology of Pandemics, libro che non poteva uscire in un momento più consono. In un articolo sul Guardian, Taylor ha evidenziato i punti salienti della sua ricerca, che si avvale di dati che si riferiscono a epidemie recenti, avvertendo come gli effetti psicologici di una pandemia, sia tra chi sperimenta la quarantena sia tra chi ha contratto il virus, sono tutt’altro che trascurabili e si possono estendere nel tempo.

Tra i primi effetti conclamati ci sono l’aumento dell’ansia e dello shopping compulsivo al supermercato, la proliferazione delle teorie cospirazioniste, il diffondersi di molti atteggiamenti razzisti – non dimentichiamo che lo stesso Trump aveva definito il Coronavirus “il virus cinese” – e quella di furti e saccheggi veri e propri, soprattutto con il prolungarsi del periodo di isolamento forzato. Allo stesso tempo, però, aumentano i casi di altruismo e le persone che si dedicano al volontariato, perché in molti casi la situazione estrema che ci ritroviamo a vivere costringe a un ripensamento generale della propria vita e dei propri scopi, dice sempre Taylor. Le precedenti esperienze, come la pandemia di influenza del 2009 e l’epidemia di Sars del 2003, ci insegnano inoltre che «un’emergenza di sanità pubblica può avere effetti duraturi sulla psicologia di una popolazione. Nel caso del Covid-19, alcuni di questi effetti sono già evidenti: molte persone perderanno il lavoro e subiranno difficoltà finanziarie; altri subiranno la devastazione della perdita dei propri cari; le relazioni affettive saranno messe alla prova sotto la pressione del blocco». La quarantena forzata è infatti particolarmente pesante, e pericolosa, per chi soffre di disturbi mentali, malattie croniche o vive in una relazione abusiva, ma può avere effetti psicologici anche su chi si considera emotivamente stabile.

Secondo uno studio condotto da Taylor e dal collega Gordon Asmundson su 7000 soggetti canadesi e americani, il 75 per cento degli intervistati sembra aver risposto bene alla pandemia, mentre il 25 per cento ha sviluppato una sindrome che gli studiosi definiscono “stress da Covid-19”: hanno paura di essere infettati, si preoccupano moltissimo delle conseguenze economiche della pandemia, non è raro che facciano incubi che riguardano la malattia e in molti casi sono diventati xenofobi. «Sulla base di studi su catastrofi come inondazioni, uragani e terremoti, circa il 10 per cento delle persone colpite da eventi traumatici sviluppa gravi problemi psicologici come disturbi dell’umore, ansia o stress post-traumatico (PTSD). Questi sintomi si manifestano in genere subito dopo il disastro. Tali risultati suggeriscono che il 10 per cento delle persone affette da Coronavirus – possibilmente più – svilupperà disturbi psicologici durante o dopo questa pandemia», avverte sempre Taylor, motivo per cui i governi devono prendere seriamente in considerazione la salute mentale dei loro cittadini – anche di quelli considerati non a rischio – una volta superata la prima fase dell’emergenza sanitaria

Bisogna infine considerare i cambiamenti che la pandemia porterà alla nostra società: dalla scuola al modo in cui faremo la spesa, da quello in cui ci comporteremo negli spazi pubblici fino alla nuova ansia da contatto, che in alcuni soggetti può trasformarsi in una vera e propria germofobia. Il Coronavirus, d’altra parte, sta già spingendo l’acceleratore sulla digitalizzazione completa delle nostre vite. Tra i motivi di ottimismo verso il futuro, il professore indica come accennato la riscoperta di un altruismo comunitario e, più in generale, di una rivalutazione dei propri obiettivi nella vita. Consiglia inoltre di adottare varie strategie per adattarsi alla situazione e cercare di superarla, anche attraverso pratiche come, ad esempio, la terapia cognitivo comportamentale