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articolo di Enrico Verga

Un motto classico della cultura americana è “Work hard, play hard”. A mio avviso sarebbe ora di svecchiare questo motto. Perché non parlare di “Work smart, play smart”? Lo smart working può essere scomposto, semplificando, in due macro blocchi: quello virtuale e quello fisico. Entrambe le realtà insistono sul miglioramento della vita del dipendente. Il fattore umano è il tema che spesso interessa gli smart workers. “Sicuramente il primo aspetto che ci ha spinto ad adottare la sperimentazione è costruire una life balance”, spiega Cristina Tajani assessore di Milano.“Abbiamo constatato, grazie ad una ricerca (fatta da Sda Bocconi) che il tempo risparmiato, per un dipendente che adotta soluzioni di smart working, è di circa 1,30 ore (tempo speso per gli spostamenti). A questo si aggiunge, in termini generali, un’accresciuta efficienza, motivazione e produttività dei lavoratori.” Con questa premessa, che pone l’uomo al centro del mondo lavorativo (e non un “asset” spendibile e sostituibile), consideriamo il fenomeno sotto due principali punti di vista: virtuale e fisico.

Virtuale

Parliamo di normative e regolamenti che impongono standard, condivisi a livello nazionale, a cui le aziende pubbliche e private devono obbedire. In tal senso lo scenario dello smart working in Italia è ancora legato a nozioni antiche, create e stratificatesi nel tempo. Il Comune di Milano, da sempre innovativo rispetto al panorama italiano, continua con successo la sua “settimana Agile”, quest’anno svoltasi a maggio. La lista delle aziende che hanno aderito è degno di nota: si va da Allianz a Nestlé, da Bayer a Banco Bpm. In aggiunta a queste aziende vi sono, tra gli aderenti al progetto, numerose realtà che supportano il lavoro agile e contribuiscono al suo sviluppo: da Cgil Milano a Città Metropolitana, da EFM a Impact Hub. Quando si parla di “virtuale” è necessario includere anche tutte le soluzioni digitali che possono rendere il lavoro più fluido e slegato da un luogo fisso: una rete interna tra i dipendenti, strumenti mobili (cellulari, tablet, etc..), software di posizionamento, produttività, sistemi di app con crediti per acquistare servizi o prodotti, etc. La tecnologia esiste, ora sta alle singole imprese implementarla. “Oggi abbiamo badge che rilevano la tua presenza, ma non l’orario” spiega Giacomo Piantoni, direttore Risorse Umane del gruppo Nestlé in Italia, “il valore di questa soluzione è legata alla sicurezza. Per noi è vitale sapere se il dipendente è all’interno dell’edificio in caso d’incendio o altri eventi pericolosi per la sicurezza personale. Il nostro approccio di smart working è focalizzato sulla fiducia: ogni dipendente ha degli obbiettivi. Raggiungere gli obbiettivi e concludere i progetti è lo scopo. Dove e come lo fa resta a discrezione del dipendente.”

Fisico

Il concetto di smart-working necessita anche un luogo fisico. Intendiamoci non è vietato lavorare al cellulare (tipo conference call con Google hangout o skype, mentre si cammina per strada). Ma se parliamo di un approccio più corporativo è bene avere dei riferimenti fisici da chiamare “ufficio”.

“Ogni dipendente che fa la richiesta di smart working concorda con il suo responsabile le modalità. Tutti i dipendenti agili ricevono una dotazione dal Comune come il cellulare aziendale e un pc portatile”, spiega Tajani. Gli elementi base sono noti: una connessione alla rete di buona qualità, uno smartphone e un portatile. Tuttavia avere un luogo fisico (o più luoghi) da eleggere a locazione di lavoro è utile. La soluzione più semplice è lavorare da casa, magari in pigiama con il gatto sullo stomaco (nel mio caso la gatta). Per molti dipendenti, abituati allo stile aziendale, lavorare soli da casa potrebbe essere un trauma. Di qui la necessità di trovare soluzioni che uniscano una visione smart e partecipativa ad un ambiente sociale con servizi base utili. In questo senso i co-working, soprattutto quelli sbocciati negli ultimi anni, sono soluzioni interessanti da cui partire. “La tecnologia è stata un ostacolo in passato: oggi, invece, l’unico ostacolo è quello culturale. Oggi c’è il lavoro agile: lavori quanto vuoi, t’inserisci nel sistema e sei in rete. In questa sede siamo 1300, il 50% fa lavoro agile. Sorprendentemente i giovani preferiscono essere in sede, mentre quando metti su famiglia cominci a valutare scenari con un maggior bilancio tra vita personale e lavoro”, afferma Piantoni di Nestlé.

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Fonte Politecnico, Osservatorio smart working.

Mondo corporativo e smart-working: matrimonio che “s’ha da fare”

Se lo smart working in origine era una concezione diffusa e utilizzata da startupper e indipendenti (consulenti e/o partite Iva) oggi il tema “work life balance” (equilibrio tra vita lavorativa e personale) è interesse delle grandi aziende. Vi sono alcuni aspetti utili per un’azienda, nell’incontrare e abbracciare il mondo dello smart working. Prima di tutti il fattore comodità. Sempre più spesso le aziende devono trovare (specialmente le grandi aziende) un modo di tenersi i propri dipendenti. Se guardiamo lo scenario dal punto di vista di un HR aziendale (un responsabile delle risorse umane), trovare e assumere un profilo adatto non è semplice: sempre più spesso, per esempio, le aziende e gli HR (con un età media sui 40 anni o qualcosa in più) devono relazionarsi con i millennials o i primi elementi della generazione Z (nati fra il 1995 e il 2010). Sono individui cresciuti con un concetto di accesso al tempo libero (anche tramite i social) piuttosto elevato: la verità è che la generazione Z e i millennials son differenti. Un’azienda che offre una soluzione di gestione del lavoro smart, dove, dopo un periodo d’inquadramento per rendere edotti i “giovini” assunti dei doveri, si gestisce il rapporto in modo dinamico, può essere in vantaggio rispetto ai competitor nell’acquisire e mantenere i dipendenti. Un ragionamento simile si può fare per i dipendenti senior che, per esempio, hanno necessita di maternità o paternità, oppure dare maggior attenzione ai genitori anziani. Tutti questi elementi se coniugati con una soluzione di lavoro smart (che premia i risultati piuttosto che il tempo passato in ufficio) sono un vantaggio. “È il concetto di performance versus presenza. La performance è ormai il concetto che va per la maggiore: si va per obbiettivi e mi devi consegnare la tua parte di progetto. Sempre più spesso gli uffici sono connotati da un approccio sul risultato, in quanto tempo lo si raggiunge non è un problema dell’azienda. Di qui la non necessità di essere per forza in ufficio”, mi spiega Piantoni di Nestlé.

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Governance dello smart working. Fonte Politecnico, Osservatorio smart working.

Fattore economia. Con la digitalizzazione delle aziende, e in generale dell’individuo (dipendente o indipendente) la maggioranza delle attività che si possono svolgere in un’azienda, che non richiedano un’attività fisica, possono essere svolte da remoto. Un’opportunità che non è sfuggita alle aziende di ogni dimensione.

3Fonte Politecnico, Osservatorio smart working.

Se consideriamo questi dati si può comprendere chiaramente come lo smart working possa essere una soluzione valida per molte aziende. Il tema economico ha una serie di aspetti molto pratici. “Io, azienda, non voglio avere ferie residue. Gli straordinari prima erano un poco una scommessa. Ora con lo smart working ferie e straordinari sono un tema a cui le aziende possono fare maggior attenzione. Già questo è un risparmio. Poi aggiungiamo il costo locazione che diminuisce”, commenta Alberto Bernard partner di yourHR.

Una posizione simile arriva da parte di Piantoni di Nestlé: “Facciamo un conto semplice: noi qui abbiamo spazio per circa 1000 dipendenti. In aggiunta abbiamo sale riunioni per un numero di poco superiore ai 500 dipendenti. Abbiamo ridotto le postazioni di lavoro del 15% e dato maggior spazio ai luoghi comuni. Ora ogni dipendente può sedersi dove preferisce, all’interno dell’edificio. Un vantaggio per il dipendente che può gestirsi il suo modo di lavorare, un vantaggio per noi che abbiamo risparmiato il 15% di posizioni. Dagli spazi risparmiati abbiamo ottenuto aree fitness, spazio per progetti innovativi e ulteriori spazi per i nostri team stranieri in visita”.

Fattore culturale. All’apparenza un fattore secondario. In realtà il futuro della formazione e la sempre crescente necessità per le aziende di avere dipendente e manager “contaminati” è fondamentale per le aziende. Se mettiamo un team di innovazione di una grande multinazionale nello stesso spazio dove lavorano differenti startup è possibile che le due realtà si contaminino tra loro?

4Leadership dei manager. Fonte Politecnico, Osservatorio smart working.

“Il valore, in termini di formazione e crescita culturale di questa contaminazione, è evidente – spiega Bernard – in passato la tecnologia non permetteva questa soluzione: un controllo sui dipendenti, pur se virtuale, e una continua interazione con tutta la rete aziendale, oggi sono fondamentali. A questo si aggiunge il valore indubbio del dialogo con realtà esterne, che possono arricchire il dipendente. La continua condivisione di valore, nella società moderna, è un asset indiscutibile. Ancor di più se parliamo di medie e grandi aziende, che hanno una continua necessità di accrescere la propria conoscenza e tenersi aggiornati. Questo fenomeno continuerà con maggior enfasi. Il tema della socializzazione, in Italia è ancora poco sviluppato. Si è cominciato ad avere un approccio diverso, verso gli anni 2000, in grandi organizzazioni come Pfizer quando si è pensato ai layout degli uffici. Si è passati da vecchi uffici a grandi open space. In Italia siamo ancora scettici a condividere le nostre risorse con risorse di altre organizzazioni: si teme che si possano creare problemi, che ci sia un maggior rischio che le risorse vengano rubate, e quindi si tende a tenere i dipendenti vicini. Ma è indubbio che un percorso di contaminazione transcorporativa è il futuro del mondo del lavoro”, conclude Bernard.

Tutte questi elementi portano a comprendere che lo smart working non è solo un futuro plausibile, anche nel mondo spesso rigido delle grandi aziende italiane o delle multinazionali. Per tutta una serie di fattori, che derivano naturalmente dai capisaldi sopra menzionati, lo smart working è il futuro del lavoro. Un lavoro dove l’equilibrio fisico e mentale dell’individuo diventa il vero valore che permette all’azienda di crescere. Dove si premia la qualità del lavoro e non il tempo passato incatenati (pardon legati) alla scrivania. Una scrivania che ormai non ha più un vero senso di esistere e, anzi, è divenuta un costo fisso facilmente rimovibile a vantaggio di dipendenti e aziende.