UN UFFICIO PERSONALE ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

16 Dicembre 2019

Da repubblica.it

Manager della felicità con tanto di certificazione. Chief happiness officer (Cho) è Cecilia Masserini, dallo scorso settembre responsabile delle risorse umane di Biogen Italia, una delle prime aziende biotecnologiche al mondo che studia e sviluppa terapie con un approccio innovativo e pionieristico per malattie e patologie neurologiche autoimmuni e rare. Nata ad Aosta nel 1983, Masserini è tra i primi cinquanta manager titolati Cho in Italia, un corso legato alla Scienza della felicità e delle organizzazioni positive, rivolto a ruoli di hr o anche di amministratore delegato, che conferisce le competenze adatte a sviluppare e coltivare ambienti di lavoro con una buona qualità della vita e più liberi da stress.

Cecilia Masserini ha impostato i presupposti di questo suo indirizzo professionale fin dai tempi dell’università, con una laurea in Filosofia da 110 e lode alla Statale di Milano, e una tesi in Filosofia morale su ‘L’Eracle di Euripide e i sofisti: gli uomini e la relazione con la divinità’. “Quando mi sono iscritta all’università non avevo in mente una professione definita, durante il corso di laurea ho svolto lavori nella sfera green, con alcune cooperative dedicate alla sostenibilità ambientale. Ma lo studio del comportamento umano è stato sempre la mia passione assieme al lavoro di consapevolezza su di me”.

Ha iniziato con un impiego in Adecco come selezionatrice del personale per il settore industriale, ma per fare il salto alla gestione delle risorse umane intraprende un master in Human Resources presso la Business school del Sole24 Ore e consegue una certificazione di tre anni come counselor al Centro Berne di Milano. “Il master mi ha aperto un nuovo orizzonte. In azienda io porto la mia particolare visione delle cose, ma su questi temi in Biogen erano sensibili anche prima del mio arrivo. È nella cultura dell’azienda, in quella dell’amministratore delegato Giuseppe Banfi che ha portato avanti questi principi. Abbiamo cercato di mettere questa linea sempre più a sistema, con passi continui, in modo da strutturarla al meglio. L’anno scorso ci siamo guadagnati un’altra certificazione conferita dal Winning women institute, che guarda più parametri. Per esempio, da noi donne e uomini sono completamente paritari nella retribuzione”.

In concreto ci sono poi le buone pratiche messe in atto per favorire la donna e la mamma. “Con un master che abbiamo lanciato on line, proponiamo di dimostrare che le competenze maturate nel ruolo di mamma potranno essere spese nel mondo del lavoro, e quelle acquisite lavorando forgiano un buon genitore. Ci preme costruire una sinergia tra i due aspetti. La donna, dopo la maternità, si può avvalere di un coach che l’accompagna durante il rientro in azienda. L’altro elemento su cui abbiamo investito sono i benefit in termini di permessi. Diamo fino a 15 giorni per la malattia del bambino. Penso ai manager che trattano con persone tanto diverse le une dalle altre. e quanto è importante che gli stili manageriali siano inclusivi di competenze professionali e umane”.

Fondata nel 1978 da Charles Weissman, Heinz Schaller, Kenneth Murray e dai premi Nobel Walter Gilbert e Phillip Sharp, Biogen coltiva una ricerca all’avanguardia su una serie di malattie come la sclerosi multipla, l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), l’atrofia muscolare spinale (Sma) e la paralisi sopranucleare progressiva (Psp).

Con un fatturato globale 2018 di 13,5 miliardi di dollari, l’azienda americana la cui sede centrale è negli Usa, a Cambridge, nel Massachussetts, conta 7.300 dipendenti, opera direttamente con proprie filiali in 39 Paesi e collabora con una rete di partner in 102 nazioni. In Italia dal 1997 e con un’affiliata indipendente dal 2011, si trova a Milano, con 140 addetti, il 50% nella sede centrale e il resto sparso sul territorio nazionale, sei su dieci sono donne, un dato che si ripete anche a livello di top management.

La ricerca scientifica è il cuore dell’attività Biogen: l’azienda vi investe circa il 20% del proprio fatturato annuo. Tramite il suo portfolio di biosimilari di farmaci biologici avanzati per la cura di importanti malattie, crea sostenibilità e aumenta le possibilità per i pazienti di accedere ai trattamenti e all’assistenza necessari. Ha messo a punto terapie innovative per il trattamento della sclerosi multipla e per l’atrofia muscolare spinale. “Ora stiamo lavorando per immettere sul mercato il farmaco per la cura dell’Alzhaimer. Sarebbe il primo”.

Il concetto di presa in carico dei dipendenti e l’analisi dei processi che permettano di mettere al centro il lavoratore, sono il fulcro della strategia della top manager. Che nel suo percorso di carriera è stata per poco più di due anni in Ingram Micro, il più grande distributore a livello mondiale di prodotti tecnologici, leader globale nella supply chain IT, occupandosi delle maestranze. Poi con Teva Italia, multinazionale farmaceutica israeliana, ad Assago, è passata a hr business partner, con un ruolo a 360 gradi di una unit, seguendo anche la parte legale, di budget, procedure di mobilità, per quattro anni, di cui due nella affiliata italiana e gli altri nell’head quarter europeo di Amsterdam, dove rispondeva al responsabile delle Risorse umane Europa. “Si disegnavano i processi, la cultura organizzativa, i valori dell’azienda, e io ero il tramite tra chi progettava e chi li doveva attuare, un impegno molto interessante che mi ha messo in contatto con persone di tutto il mondo. È stato un momento di grande trasformazione per me, l’occasione per rivedere i miei stili di comunicazione e di inclusione”.

Rientrata in Italia nel 2016 ha fatto un’altra esperienza in Vodafone, azienda diversa e più grande, con 16 mila dipendenti. Prima come hr business partner per una unit che si occupava di tecnologia, e poi promossa a ruolo di training manager per negozi e agenzie che per Vodafone erano il fulcro.

Tre anni dopo eccola in Biogen Italia, subito responsabile delle Risorse umane. Qui, nel nuovo modello di business, la sostenibilità dell’individuo coincide con quella dell’azienda. “A volte quando si parla di felicità si pensa a concetti astratti, invece ha precisamente a che vedere con il benessere della persona e della compagnia per cui lavora. Guardiamo i dati: aumenta la capacità di innovare del 300 per cento, le vendite del 37 per cento, la produttività del 31 per cento. Per curare il nostro business ci dobbiamo occupare di tutto ciò che gravita in questo ecosistema. Il tema dei feedback, per esempio, focalizzati sull’aspetto emotivo di chi li riceve e di chi li invia, sulla qualità della relazione: se c’è cura nei rapporti tra le persone c’è fiducia e la fiducia porta all’empowerment. Come manager dobbiamo essere costantemente attenti a ciò che facciamo, non siamo esseri perfetti, abbiamo margini di miglioramento, ma c’è la voglia di essere all’interno di questo percorso. Che del resto corrisponde alla nostra missione, la cura delle malattie rare. Per riuscire non possiamo non prenderci cura di noi, e poi forse ci auto selezioniamo in questo senso. Tutto ciò viene prima della competenza di chiunque; chi non sposa questi valori non può funzionare”.

Azioni positive nella vita quotidiana, investire sul benessere psicologico di ognuno. Con uno sguardo attento al contesto sociale, l’azienda ha attivato un servizio che permette ai dipendenti e alle loro famiglie di usufruire in maniera gratuita di un supporto psicologico, in termini confidenziali e anonimi per tutto il nucleo familiare. “La depressione, l’ansia, lo stress da lavoro coinvolgono un gran numero di individui; si stima che in Europa 84 milioni di cittadini soffrano di disagio mentale. L’idea è stata di partire dagli indici che ci dà l’Organizzazione mondiale della Sanità. L’Oms avvisa che nel 2020 la depressione sarà la seconda malattia con cui il mondo farà i conti e già oggi, solo in Europa, 40 milioni di lavoratori soffrono di ‘stress da lavoro correlato’.

“Noi passiamo 8, 10 ore in ufficio e le varie forme di malessere hanno impatto sulla produttività. L’azienda ha un valore sociale e il suo sistema deve prendersene cura. Lo stesso discorso vale sul versante legale. Biogen affronta anche i disagi che nascono dalle separazioni, dalla ricerca di casa, i problemi del mutuo, le classiche preoccupazioni nel ciclo della vita. Per noi è importante dare strumenti che possano garantire la serenità dei dipendenti”.

Anche all’esterno Biogen con Cecilia Masserini sta investendo su più fronti. A partire da una collaborazione importante con Dynamo Camp, in Toscana, a San Mauro Pistoiese. È il primo laboratorio di terapia ricreativa per bambini malati in Italia, per periodi vacanza e divertimento con assistenza specifica. “Prima erano normali donazioni, poi la nostra organizzazione invece di prendere degli spazi in un hotel per le nostre riunioni di ciclo, ha deciso di andare a Dynamo camp, e di dare in beneficenza i soldi risparmiati”. L’evoluzione di questo rapporto è stata favorire le esperienze dei dipendenti all’interno della onlus e l’azienda ha regalato dieci giorni di volontariato. L’anno prossimo promuoverà un training per i suoi manager sulla gestione della diversità, inclusione e comunicazione non violenta.

Per Cecilia Masserini, uno dei driver è il viaggio. “Mia madre Maria Antonietta Russo, faceva l’assistente di volo, mio padre Francesco l’insegnante di Lettere. Fin da piccola con una sorella e un fratello di undici e dieci anni più grandi di me, dalla chiusura delle scuole fino a settembre, facevamo una lunga vacanza in un posto del mondo che poteva essere la Thailandia, Tokio, l’Argentina: nel mio dna c’è questa modalità di immergersi in culture diverse, nel confronto continuo ci sono un po’ cresciuta. Il viaggio è ancora oggi per me una necessità. L’ultimo l’ho fatto in Botswana, subito dopo ho agganciato la Namibia, prima ero stata in Israele, che avevo la curiosità di conoscere”.

La prossima spedizione, di solito in questo mese di dicembre, sarà diversa. “Ho deciso di fare il volontariato al Dynamo camp. Una settimana di terapia ricreativa dedicata a bambini con gravi patologie, sette giorni in cui si possono scordare della loro malattia, coinvolti in una serie di attività che li fanno pensare a un gioco. È una struttura che permette a questi bambini di fare gratis esperienze incredibili. Con la sedia a rotelle, in piscina, il circo, laboratori di pittura. Un concetto molto vicino a quello del ‘Fun’da noi introdotto in azienda. Per lavorare bene occorre attivare anche i bisogni primari che portano a più creatività. L’idea è: prendi con leggerezza e divertimento tutto quello che ti circonda, il lavoro o la malattia”.

Per accedere si deve passare per una selezione e una formazione di quattro giorni perché prima di stare con i bambini in situazioni che possono essere anche molto difficili. occorre testare il livello di energia, e seguire un corso sulla gestione della diversità, “estremamente toccante”. “Nei miei tre anni di counseling ho imparato che la gestione del diverso è costante. Significa capire i bisogni di chi ci sta accanto e includere questa diversità per un’evoluzione comune. In azienda è un valore aggiunto. Scelsi di fare tirocinio all’ospedale Niguarda e alla fine c’era un percorso per chi usciva dall’unità spinale che doveva rimettersi sui binari della vita quotidiana”.

Cecilia Masserini, che vive a Milano, vicino a San Siro, si dichiara felice. “Direi di sì, lo capisco dalla voglia che ho la mattina di portare avanti la giornata. E mi addormento con la stessa energia. Ho delle persone a cui voglio molto bene e su cui posso contare, mia sorella con i suoi quattro figli, il primo di venti anni, una bella rete di amici, sorelle acquisite, una famiglia allargata. Così le cose della vita acquistano un senso. Non si ha la sensazione di andare a vuoto, ma di sentirsi nutriti, sapere che ogni cosa fatta può avere un impatto. Sono stata più piena e appagata dal momento in cui ho capito qual è il contributo che posso dare; mi viene bene, sono contenta di farlo e vedo un ecosistema che si attiva intorno. Mi rattristano, invece, i danni causati dall’uomo, frutto di una mancata cura. Spesso sono le organizzazioni private che arrivano dove altri non riescono. La maternità, le malattie non sarebbero il perimetro dell’azienda, ma quelli che hanno un minimo di visione capiscono che se non lo fa qualcun altro, tocca a loro. È ovvio che un’azienda che si muove così è illuminata: è il tema della responsabilità sociale. Il profitto per il profitto non può essere il fine ultimo, altrimenti siamo destinati ad implodere”.

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